Ai fini della nozione di impresa agricola rilevante ai fini dell’esenzione dalla dichiarazione di fallimento

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|24 gennaio 2023| n. 2162.

Ai fini della nozione di impresa agricola rilevante ai fini dell’esenzione dalla dichiarazione di fallimento

Ai fini della nozione di impresa agricola desumibile dall’art. 2135 c.c., rilevante ai fini dell’esenzione dalla dichiarazione di fallimento, l’attività di produzione di energia mediante l’utilizzo di biomasse può essere inclusa tra le attività connesse ad attività agricola prevalente ex art 1, comma 423, della l. n. 266 del 2005, ove siano rispettati i limiti quantitativi dell’energia prodotta stabiliti dalla legge, dovendo comunque procedersi all’indagine sull’origine delle biomasse e sul rapporto tra produzione agricola e produzione di energia, dovendosi così interpretare il chiaro dato letterale dell’art. 14, comma 13 quater, del d. lgs. n. 99 del 2004, che espressamente si riferisce solo alla produzione delle biomasse e non alla produzione di energia mediante biomasse.

Ordinanza|24 gennaio 2023| n. 2162. Ai fini della nozione di impresa agricola rilevante ai fini dell’esenzione dalla dichiarazione di fallimento

Data udienza 8 novembre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Fallimento – Impresa agricola – Pregresso esercizio di un’attività commerciale – Reclamo ex art. 18 l. fall.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere

Dott. ZULIANI Andrea – rel. Consigliere

Dott. ABETE Luigi – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso n. 26294/2018 proposto da:
(OMISSIS) a r.l., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. prof. (OMISSIS), che la rappresenta e difende, per procura speciale allegata in calce al ricorso, al quale si e’ aggiunto l’avv. (OMISSIS), per procura speciale depositata il 15.7.2022;
– ricorrente –
contro
Fallimento (OMISSIS) a r.l., elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l’avv. prof. (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. prof. (OMISSIS), per procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
(OMISSIS) S.r.l., Procura generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Torino;
– intimati –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Torino n. 1512/2018 depositata il 7.8.2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 8.11.2022 dal Cons. Zuliani Andrea.

Ai fini della nozione di impresa agricola rilevante ai fini dell’esenzione dalla dichiarazione di fallimento

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Alessandria dichiaro’ il fallimento di (OMISSIS) a r.l. (d’ora innanzi, per brevita’, anche (OMISSIS)) su richiesta della Procura della Repubblica e su istanza della creditrice (OMISSIS) S.r.l..
(OMISSIS) propose reclamo, lamentando che non le fosse stata riconosciuta dal tribunale la qualifica di impresa agricola, come tale non assoggettabile a fallimento. La Corte d’Appello di Torino respinse il reclamo e condanno’ la reclamante alla rifusione delle spese di lite in favore del Fallimento e della creditrice istante.
Contro tale sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi. Si e’ costituito con controricorso il fallimento (OMISSIS) a r.l., mentre (OMISSIS) S.r.l. e’ rimasta intimata. La Procura generale non ha depositato conclusioni. Le parti costituite hanno altresi’ depositato memoria nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 380-bis.1 c.p.c..

Ai fini della nozione di impresa agricola rilevante ai fini dell’esenzione dalla dichiarazione di fallimento

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso e’ formulato “in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento alla L.Fall., articolo 1, comma 1, nonche’ all’articolo 2135 c.c.”.
1.1. Con questo motivo si sostiene la tesi, in diritto, secondo cui la natura di impresa agricola, ai fini dell’esenzione dalla dichiarazione di fallimento, dovrebbe essere valutata con riguardo alla situazione esistente al tempo dell’avvio del procedimento prefallimentare, essendo invece irrilevante l’attivita’ concretamente svolta dall’imprenditore negli anni precedenti. Si sostiene, quindi, che la corte d’appello avrebbe disatteso tale principio, valorizzando, per attribuire alla ricorrente la qualifica di imprenditore commerciale, l’attivita’ prevalente di produzione di energia da biomasse che era cessata oltre un anno prima della presentazione dell’istanza di fallimento.
1.2. Il motivo e’ inammissibile, prima di essere anche infondato.
1.2.1. L’inammissibilita’ deriva dal rilievo che il motivo non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, posto che la Corte d’Appello di Torino non ha affermato che la ricorrente fosse – al tempo della dichiarazione di fallimento – un’impresa agricola e che fosse tuttavia fallibile per il pregresso esercizio di un’attivita’ commerciale. La corte territoriale ha invece accertato la permanente qualifica di imprenditore commerciale in capo ad (OMISSIS), anche al momento della presentazione dell’istanza di fallimento, affermando che l’interruzione della produzione di energia da biomasse – dovuta a una rottura dell’impianto e alla mancanza di risorse finanziarie per ripararlo – non determinava il mutamento di oggetto sociale e non dimostrava lo svolgimento esclusivo o prevalente di attivita’ agricola.
La sentenza impugnata e’ dunque basata sulla corretta distinzione tra interruzione dell’attivita’ produttiva e mutamento dell’oggetto dell’attivita’ d’impresa. Essa e’ inoltre motivata sulla valutazione, in fatto, che l’interruzione della produzione era involontaria e solo temporanea, con argomenti desunti anche dalla dichiarata intenzione della societa’ di presentare una proposta di concordato preventivo il cui business plan indicava ingenti ricavi previsti proprio dalla cessione dell’energia prodotta negli anni a venire.
Il motivo di ricorso non si confronta con questa motivazione in fatto – del resto, come tale, sindacabile in sede di legittimita’ nei ristretti limiti ben noti (Cass. S.U. n. 8053/2014) – e attribuisce alla corte d’appello una statuizione in diritto che invece non si rinviene nella sentenza impugnata e nemmeno e’ implicita nella decisione assunta.
1.2.2. In ogni caso, la tesi in diritto sostenuta da parte ricorrente e’ infondata, perche’ l’assoggettabilita’ a fallimento di un’impresa non dipende dalla rilevazione puntuale dell’attivita’ svolta al momento della presentazione della relativa istanza, dovendosi avere riguardo, invece, all’attivita’ da cui origina l’insolvenza. Pertanto, il pregresso svolgimento di attivita’ commerciale e’ sicuramente rilevante nel caso in cui a quella attivita’, quantunque cessata, sia riconducibile l’insorgere dei debiti che l’imprenditore “non e’ in grado di soddisfare regolarmente” (L.Fall., articolo 5, comma 2).

Ai fini della nozione di impresa agricola rilevante ai fini dell’esenzione dalla dichiarazione di fallimento

Del resto, questa Corte ha gia’ avuto occasione di affermare che, “una volta accertato in sede di merito l’esercizio in concreto di attivita’ commerciale, in misura prevalente sull’attivita’ agricola contemplata in via esclusiva dall’oggetto sociale di un’impresa agricola costituita in forma societaria, questa resta assoggettabile a fallimento nonostante la sopravvenuta cessazione dell’esercizio di detta attivita’ commerciale prevalente al momento del deposito di una domanda di fallimento a suo carico” (Cass. n. 5342/2019).
2. Il secondo motivo di ricorso viene formulato, “in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento alla L.Fall., articolo 1, comma 1, nonche’ all’articolo 2135 c.c., avuto riguardo: I) alla L. n. 266 del 2005, articolo 1, comma 423; II) al Decreto Legislativo n. 99 del 2004, articolo 14, comma 13-quater”.
2.1. Il motivo e’ duplice, perche’, da un lato, e’ volto a sostenere che, in forza del Decreto Legislativo n. 99 del 2004, articolo 14, comma 13-quater l’attivita’ di produzione di energia da biomasse sia da considerare attivita’ agricola in se’ stessa e non solo in quanto connessa alla prevalente attivita’ di produzione delle biomasse; dall’altro lato, e’ volto a sostenere che, in forza della L. n. 266 del 2005, articolo 1, comma 423, la produzione da parte di un’impresa agricola di energia da biomasse nei limiti di 2.400.000 kwh annui sia da considerare sempre attivita’ connessa a un’attivita’ agricola prevalente, a prescindere da qualsiasi ulteriore indagine sull’origine delle biomasse e sul rapporto tra produzione agricola e produzione di energia.
2.2. Il motivo, cosi’ scomposto, e’ in parte infondato e in parte inammissibile.
2.2.1. Infondata e’ la proposta interpretazione del Decreto Legislativo n. 99 del 2004, articolo 14, comma 13-quater, il quale cosi’ dispone: “L’attivita’ esercitata dagli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 c.c., di cura e sviluppo del ciclo biologico di organismi vegetali destinati esclusivamente alla produzione di biomasse, con cicli colturali non superiori al quinquennio e reversibili al termine di tali cicli, su terreni non boscati, costituiscono coltivazione del fondo ai sensi del citato articolo 2135 c.c. e non e’ soggetta alle disposizioni in materia di boschi e foreste. Tali organismi vegetali non sono considerati colture permanenti ai sensi della normativa comunitaria”.
Parte ricorrente propone un’interpretazione di tale disposizione evidentemente contraria al senso “fatto palese dal significato proprio delle parole” (articolo 12, comma 1, preleggi), posto che sostiene che essa sia scritta per qualificare come attivita’ agricola, non solo e non tanto l’attivita’ di “produzione di biomasse” (dato che questa e’ gia’ attivita’ agricola ai sensi dell’articolo 2135 c.c.), quanto piuttosto la stessa produzione di energia mediante l’utilizzo di biomasse. Ma tale lettura contro il significato letterale non e’ sostenibile, non solo per il limite posto all’interprete dall’articolo 12 preleggi, ma anche perche’ non e’ affatto vero che la disposizione, se interpretata letteralmente, resterebbe priva di contenuto normativo. Innanzitutto, non e’ scontato che la cura e lo sviluppo di un ciclo biologico di carattere vegetale o animale i cui prodotti non siano destinati all’alimentazione rientri nella nozione di attivita’ agricola ai sensi dell’articolo 2135 c.c. (v., in senso contrario, con riferimento all’allevamento di cavalli da corsa, Cass. n. 12791/1997); in secondo luogo, il contenuto normativo dell’articolo 14, comma 13-quater, e’ esplicitamente indicato e chiaramente desumibile dal suo tenore letterale, trattandosi di definire i limiti della produzione di biomasse qualificabile come attivita’ agricola (“cicli colturali non superiori al quinquennio e reversibili al termine di tali cicli, su terreni non boscati”) e di escludere tale attivita’ dall’applicazione delle “disposizioni in materia di boschi e foreste” e dalla “normativa comunitaria” in materia di “colture permanenti”.
2.2.2. Inammissibile e’, invece, il motivo di ricorso laddove denuncia la violazione della L. n. 266 del 2005, articolo 1, comma 423, a mente del quale: “Ferme restando le disposizioni tributarie in materia di accisa, la produzione e la cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali, sino a 2.400.000 kWh anno, e fotovoltaiche, sino a 260.000 kWh anno, nonche’ di carburanti e prodotti chimici di origine agroforestale provenienti prevalentemente dal fondo, effettuate dagli imprenditori agricoli, costituiscono attivita’ connesse ai sensi dell’articolo 2135 c.c., comma 3, e si considerano produttive di reddito agrario. Per la produzione di energia, oltre i limiti suddetti, il reddito delle persone fisiche, delle societa’ semplici e degli altri soggetti di cui alla L. 27 dicembre 2006, n. 296, articolo 1, comma 1093, e’ determinato, ai fini IRPEF ed IRES, applicando all’ammontare dei corrispettivi delle operazioni soggette a registrazione agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, relativamente alla componente riconducibile alla valorizzazione dell’energia ceduta, con esclusione della quota incentivo, il coefficiente di redditivita’ del 25 per cento, fatta salva l’opzione per la determinazione del reddito nei modi ordinari, previa comunicazione all’ufficio secondo le modalita’ previste dal regolamento di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 442”.
Dalla sentenza impugnata emerge, infatti, che tale disposizione non venne invocata dalla ricorrente a sostegno del reclamo avverso la dichiarazione di fallimento, ma che anzi essa era stata utilizzata dal tribunale a ulteriore sostegno della accertata fallibilita’ dell’impresa, pur formalmente agricola. Non si discusse, pertanto, davanti alla corte d’appello, dei presupposti di fatto per l’applicazione di tale disposizione di legge (ovverosia dei limiti quantitativi dell’energia prodotta dalla ricorrente), ma solo della sua rilevanza in ambito civilistico (trattandosi chiaramente di una disciplina di carattere fiscale), che veniva tra l’altro negata proprio dalla reclamante. Ed e’ evidente che l’accertamento del fatto necessario per valutare la sua corrispondenza alla fattispecie normativa astratta non puo’ essere proposto e affrontato in questa sede di legittimita’.
3. Il terzo motivo di ricorso e’ svolto, “in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento alla L.Fall., articolo 1, comma 1, nonche’ all’articolo 2135 c.c., avuto riguardo agli articoli 1362 e 1363 c.c.”.
3.1. Questo motivo e’ diretto a contestare l’accertata prevalenza dell’attivita’ industriale di produzione di energia sull’attivita’ propriamente agricola della produzione di biomasse e si concentra, in particolare, sul contratto che regolava il rapporto tra la ricorrente e l’impresa agricola di (OMISSIS) e (OMISSIS). In sostanza, (OMISSIS) a r.l. era proprietaria di alcuni terreni circostanti l’impianto di produzione di energia, mentre altri terreni limitrofi erano di proprieta’ o comunque nella disponibilita’ dell’impresa (OMISSIS). Tutti questi terreni venivano coltivati dall’impresa agricola (OMISSIS), che era contrattualmente impegnata a produrre solo biomasse e a vendere tutto il prodotto realizzato alla ricorrente. La corte d’appello, confermando la decisione del tribunale, ha considerato prodotti agricoli acquistati da terzi le biomasse provenienti dai fondi dell’impresa (OMISSIS), per trarne la conseguenza che l’attivita’ di produzione di energia di (OMISSIS) non era qualificabile come attivita’ connessa all’impresa agricola, perche’ non posta in essere mediante l’utilizzazione di prodotti ottenuti prevalentemente dall’attivita’ agricola esercitata (articolo 2135 c.c., comma 3).
3.2. Il motivo e’ inammissibile, perche’, tramite una generica indicazione dei criteri normativi di interpretazione del contratto che sarebbero stati violati, propone, a ben vedere, un riesame del fatto, con particolare riferimento alle caratteristiche dell’attivita’ d’impresa svolta dalla ricorrente.
3.2.1. Si censura l’affermazione della corte territoriale secondo cui l’impresa agricola (OMISSIS), pur avendo firmato il contratto di collaborazione con la ricorrente, manteneva “la propria liberta’ ed autonomia nell’ambito della propria azienda”; con la conseguenza che le biomasse prodotte sui terreni di quell’impresa non sono state considerate tra le risorse autoprodotte da (OMISSIS) a r.l., ai fini della valutazione della prevalenza dell’attivita’ agricola sull’attivita’ connessa di produzione di energia. Ma davvero non si spiega e non si comprende come e perche’ con tale valutazione la corte d’appello avrebbe violato i criteri legali di interpretazione dei contratti e, in particolare, il dovere del giudice di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e di tenere conto del loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto (articolo 1362 c.c.), nonche’ di interpretare le clausole le une per mezzo delle altre (articolo 1363 c.c.).
In definitiva, si trattava di stabilire se la produzione di biomasse sui terreni agricoli nella disponibilita’ dell’impresa (OMISSIS) fosse da attribuire a tale impresa oppure ad (OMISSIS) a r.l.. Il contratto tra le parti attribuiva chiaramente all’impresa (OMISSIS) il compito di coltivare i terreni e produrre la biomassa. Pertanto, per giungere a una diversa conclusione, la corte d’appello avrebbe dovuto ritenere che i vincoli fissati nel contratto all’attivita’ dell’impresa (OMISSIS) fossero tali e tanti da rendere puramente fittizia la sua presenza quale soggetto autonomo e distinto rispetto ad (OMISSIS), in modo da attribuire direttamente a quest’ultima l’attivita’ agricola della prima. Non risulta che una tale ipotesi sia stata formulata dalla stessa ricorrente e, cio’ che e’ sufficiente rilevare in questa sede, non si spiega in che modo essa sarebbe imposta dal corretto utilizzo dei criteri legali che limitano la discrezionalita’ del giudice del merito nell’interpretazione dei contratti.
4. Respinto il ricorso, le spese di lite relative al presente grado di legittimita’ seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, respinge il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di lite, che liquida in Euro 10.000 per compensi, oltre a Euro 200 per esborsi e agli accessori come per legge;
ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

 

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