Allontanamento non autorizzato dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 24 settembre 2019, n. 39114.

Massima estrapolata:

L’allontanamento non autorizzato dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari rileva sotto due distinti profili, oggetto di separati procedimenti: 1) la violazione dell’originaria misura coercitiva, che impone di verificare la sua permanente adeguatezza a fronteggiare le esigenze cautelari poste a base della misura, e 2) la commissione di un autonomo reato di evasione, che consente l’arresto anche fuori dai casi di flagranza, ai sensi dell’articolo 3 del decreto legge 13 maggio 1991 n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991 n. 203. In un tale quadro, peraltro, le previsioni derogatorie contenute negli articoli 276, comma 1-ter, e 280, comma 3, del codice di procedura penale sono operative solo con riferimento alla misura coercitiva disposta in via di aggravamento di quella originaria e non già con riferimento all’autonomo titolo cautelare emesso in relazione al reato di evasione, per il quale, ove non aggravato ex articolo 385, comma 2, del codice penale, non è consentita l’applicazione della custodia cautelare in carcere, essendo punito con pena inferiore al limite di cui all’articolo 275, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Né, in senso contrario, potrebbe sostenersi che l’articolo 391, comma 5, del codice di procedura penale possa essere interpretato in maniera estensiva, ritenendo che la deroga che esso contempla alle «soglie di sbarramento» di cui agli articoli 274, comma 1, lettera c), e 280 del codice di procedura penale debba abbracciare anche quella di più recente introduzione di cui all’articolo 275, comma 2-bis, del codice di procedura penale, trattandosi di deroga inestensibile in malam partem.

Sentenza 24 settembre 2019, n. 39114

Data udienza 4 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente

Dott. GIORDANO Emilia Anna – Consigliere

Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere

Dott. APRILE Ercole – Consigliere

Dott. VIGNA Maria S. – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 17/04/2019 del Tribunale del riesame di Roma;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa VIGNA Maria Sabina;
sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa BARBERINI Roberta Maria che ha chiesto l’annullamento senza rinvio della ordinanza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale del riesame di Roma ha accolto l’appello proposto dal pubblico ministero ed applicato a (OMISSIS) la misura della custodia cautelare in carcere in relazione al reato di evasione da lui commesso il (OMISSIS).
1.1. Il Tribunale, all’esito dell’udienza di convalida dell’arresto, aveva respinto la richiesta di applicazione della misura inframuraria sul presupposto che in ipotesi di evasione non aggravata non e’ consentita l’applicazione della custodia cautelare in carcere, essendo tale reato punito con pena inferiore al limite di cui all’articolo 275 c.p.p., comma 2-bis.
1.2. Il Tribunale del riesame, nell’accogliere l’appello, ha osservato che i limiti di applicabilita’ della misura della custodia cautelare in carcere previsti dall’articolo 275 c.p.p., comma 2-bis, possono essere superati dal giudice qualora il giudice ritenga, secondo quanto previsto dal successivo comma 3, prima parte, della norma citata, comunque inadeguata a soddisfare le esigenze cautelari ogni altra misura meno afflittiva.
In ogni caso il Collegio della cautela ha ritenuto, richiamando alcuni arresti di legittimita’ sul punto, che ai sensi dell’articolo 391 c.p.p., comma 5, nei casi di arresti per evasione possa sempre essere applicata la misura del custodia cautelare in carcere anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera c) e articolo 280 c.p.p..
2. Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia, che deduce:
2.1. Vizio di motivazione per erronea applicazione dell’articolo 310 c.p.p. in relazione al mancato rispetto del principio del devoluto.
Nel proprio atto di impugnazione il pubblico ministero lamentava un’erronea valutazione da parte del giudice in relazione al reato contestato e alla omessa valutazione da parte di quest’ultimo della contestata recidiva di cui all’articolo 99 c.p., comma 4, con conseguente ammissibilita’ della custodia cautelare in carcere posto che, in caso di riconoscimento della recidiva, l’limiti preclusivi di cui all’articolo 275 c.p., comma 2-bis, sarebbero stati pacificamente superati.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’articolo 275 c.p.p., comma 2-bis, e all’articolo 310 c.p.p..
Dalla lettura del provvedimento impugnato non e’ dato comprendere quali fossero gli elementi valutati dal Tribunale che escludessero la sussumibilita’ del fatto nella ipotesi di lieve entita’, posto che lo stesso e’ stato sorpreso nel giardino condominiale con il proprio cane, senza che vi fosse alcun elemento che potesse fare ritenere che l’interessato stesse commettendo qualsivoglia tipo di reato (diverso ovviamente dall’evasione).
Inoltre, la misura della custodia cautelare in carcere non poteva essere applicata poiche’ l’articolo 391 c.p.p., comma 5, consente di derogare esclusivamente ai limiti previsti dall’articolo 274 c.p.p., lettera c), e articolo 280 c.p.p., ma non anche alla nuova preclusione di cui all’articolo 275 c.p.p., comma 2-bis.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato e la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame.
2. Non e’ condivisibile la censura relativa alla violazione del principio devolutivo. Pur non essendo in discussione, nell’appello cautelare, il principio tantum devolutum quantum appellatum, con la conseguenza che i motivi posti dalla parte a sostegno dell’impugnazione determinano l’oggetto del giudizio, circoscrivendo la cognizione del Tribunale della liberta’ ai punti della decisione che hanno formato oggetto di censura, va tuttavia precisato che il suddetto principio ha, nel procedimento ex articolo 310 c.p.p., un rilievo assai minore rispetto a quello che gli viene riconosciuto in sede di impugnazione avverso decisioni sul merito dell’accusa, giacche’, essendo le decisione in materia de libertate emessa rebus sic stantibus ed essendo funzionale alla tutela degli specifici interessi tutelati dall’articolo 274 c.p.p., la cognizione del giudice d’appello – che sia investito dall’impugnazione dell’indagato o del Pubblico Ministero – deve, per assolvere alla sua funzione, esplicarsi con la completezza richiesta dalla natura della decisione invocata, e quindi riguardare tutti gli elementi richiesti per l’applicazione, il mantenimento o la sostituzione della misura. In ogni caso va considerato, con riferimento al principio devolutivo dell’appello (ordinario o cautelare), che la cognizione del giudice e’ limitata ai punti della sentenza impugnata ma non all’ambito dei motivi dedotti, in particolare quando i punti investiti dal gravame si trovino in rapporto di pregiudizialita’, dipendenza, inscindibilita’ o connessione con altri non oggetto di gravame, cosi’ da rendere necessaria, per il giudice del gravame, una completa “cognitio causae” nell’ambito del “devolutum” (Cass., n. 2559 del 26/6/1995).
Il Tribunale del riesame ha, quindi, correttamente ritenuto di potere accogliere l’appello del pubblico ministero per motivi diversi da quelli prospettati.
Deve ricordarsi che il giudice dell’appello cautelare non incorre nel vizio di ultrapetizione, conseguente alla violazione del principio di devoluzione parziale, ove prenda in esame il punto della sussistenza di esigenze cautelari nella sua interezza, al di la’ delle specifiche esigenze che nell’atto di appello siano state indicate come oggetto di erronea valutazione (Sez. 1, n. 19992 del 29/04/2010, Brega Massone, Rv. 247615).
Nelle impugnazioni incidentali de liberate il punto della decisione e’ costituito dal periculum libertatis, inscindibilmente e globalmente inteso, quali che siano le specifiche esigenze tipizzate dall’articolo 274 c.p.p. di cui nella specie si supponga la probabile lesione. Per integrare la nozione giuridica di punto non basta, infatti, la autonomia concettuale della relativa quaestio juris vel fatti (in relazione a deduzioni in fatto e/o argomentazioni in diritto sviluppate); occorre, bensi’, che la questione si traduca in una precisa statuizione, scandita nel dispositivo e dotata di autonoma rilevanza. In tema di esigenze cautelari, pero’, importa esclusivamente, a tale riguardo, se ricorra (almeno) alcuna di esse (cosi’ da consentire la applicazione o la prosecuzione della misura) ovvero nessuna (cosi’ da ostare alla applicazione della misura o da imporne la revoca); mentre non hanno rilevanza i profili quantitativo (sussistenza di una sola esigenza o concorso di piu’ esigenze) e qualitativo (ricorrenza di una della previsioni dell’articolo 274 c.p.p. piuttosto che di una altra), in quanto le suddette alternative non hanno influenza sul dispositivo (Sez. 6, n. 13863 del 16/02/2017, Ferro, Rv. 269461).
3. La prima censura del secondo motivo di ricorso e’ manifestamente infondata, posto che il Collegio della cautela ricostruisce con una motivazione congrua e logica la dinamica dei fatti e spiega le ragioni per le quali la condotta di evasione dell’imputato non puo’ essere considerata di lieve entita’.
3.1. E’ fondata la seconda doglianza del secondo motivo di ricorso che censura l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere in presenza di reato punito con pena detentiva inferiore al limite di cui all’articolo 275 c.p.p., comma 2-bis.
3.2. In virtu’ dell’articolo 275 c.p.p., comma 2-bis, secondo periodo, “ferma restando l’applicabilita’ dell’articolo 276 c.p.p., comma 1-ter, e articolo 280 c.p.p., comma 3” la custodia in carcere non puo’ essere applicata, qualora si preveda che, all’esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sara’ superiore a tre anni di reclusione. Il reato di evasione e’ punito con una pena fino a tre anni di reclusione, salvo che ricorra alcuna delle circostanze aggravanti ad effetto speciale di cui al comma 2 della medesima disposizione.
Il Tribunale di Roma ha, invero, ritenuto che in tal caso, pur prospettandosi, in ragione della cornice edittale propria del delitto di evasione, l’irrogazione di una sanzione non superiore ai tre anni, potesse, comunque essere applicata la misura di massimo rigore in ragione di quanto previsto dall’articolo 391 c.p.p., comma 5.
3.3. Deve sottolinearsi che l’allontanamento non autorizzato dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari, nel sistema del codice di rito, rileva sotto due distinti profili, oggetto di separati procedimenti (Sez. 6, n. 40994 dell’1/1/2015, El Mkhatri, Rv. 265609): la violazione della originaria misura coercitiva, che impone di verificare la sua permanente adeguatezza a fronteggiare le esigenze cautelari poste a base della misura, e la commissione di un autonomo delitto di evasione, che consente l’arresto anche fuori dai casi di flagranza ai sensi del Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 3, convertito, con modifiche, nella L. 12 luglio 1991, n. 203. In tale ambito e’ di tutta evidenza che la deroga delle previsioni degli articolo 276 c.p.p., comma 1-ter, e articolo 280 c.p.p., comma 3, sia operativa solo con riferimento alla misura coercitiva disposta in via di aggravamento di quella originaria e non gia’ con riferimento all’autonomo titolo cautelare emesso in relazione al delitto di evasione (Sez. 6, n. 18856 del 15/03/2018, Fasciolo, Rv. 273248).
Ne’ e’ possibile ovviare ai limiti di applicabilita’ della custodia cautelare in carcere dettati dall’articolo 275 c.p.p., comma 2-bis, facendo riferimento alla disposizione di cui all’articolo 391 c.p.p., comma 5, la quale prevede una deroga in relazione ai delitti per i quali l’arresto e’ consentito anche fuori dai casi di flagranza (come per l’evasione), ammettendo l’applicazione di una misura coercitiva in deroga ai limiti di pena previsti dall’articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera c) e articolo 280 c.p.p., ma non alla norma generale di cui all’articolo 275 c.p.p., comma 2-bis.
In senso contrario, non e’ in alcun modo sostenibile che l’articolo 391 c.p.p., comma 5, possa essere interpretato in maniera estensiva, ritenendo che la deroga che esso contempla alle “soglie di sbarramento” di cui all’articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera c), e articolo 280 c.p.p. debba abbracciare anche quella di piu’ recente introduzione, ex articolo 275 c.p.p., comma 2-bis.
Il primo ed assorbente ostacolo che si frappone ad una siffatta lettura della norma e’ costituito dal carattere derogatorio in malam partem suo proprio, onde, vertendosi in tema di limitazioni alla liberta’ personale e, dunque, ad un bene costituzionalmente garantito, ne discende che tutte le eccezioni peggiorative all’ordinario regime cautelare non solo non sono suscettibili di interpretazione analogica, ma non possono che essere passibili di stretta interpretazione letterale, con esclusione di quella estensiva.
D’altro canto, il limite di pena previsto dall’articolo 280 c.p.p. non e’ affatto omogeneo a quello previsto dall’articolo 275 c.p.p., comma 2-bis: il primo, infatti, si rapporta alla pena edittale prevista per il reato, al chiaro scopo di introdurre una selezione fra le fattispecie, riservando solo a quelle connotate astrattamente da maggiore gravita’ la possibilita’ che il soggetto che le abbia violate sia sottoposto alla piu’ afflittiva misura consentita; laddove il secondo concerne la gravita’ in concreto dell’illecito per cui si procede, quale desumibile dall’entita’ della pena che ragionevolmente si prevede che verra’ irrogata al colpevole (Sez. 6, n. 32498 del 05/07/2016, Vasta, Rv. 267985; Sez. 6, n. 31583 del 23/06/2016, Halilovic, Rv. 267681).
Allo stesso modo, il limite di pena di cui all’articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera c), – che e’ il medesimo previsto dal succitato articolo 280 c.p.p. – si riferisce ad un peculiare profilo in tema di esigenze cautelari, anche in tal caso richiedendo che, ove siano ravvisate dal giudice quelle legate al pericolo di concreta ed attuale reiterazione di reati della stessa specie di quello per cui si procede, debba trattarsi di reati astrattamente di indubbia significativita’, desumibile dal tetto massimo della pena edittale per essi prevista.
Non puo’ giungersi a diversa conclusione avendo riguardo, come fa il Tribunale del riesame di Roma, alla clausola di riserva del secondo periodo dell’articolo 275 c.p.p., comma 2-bis, (“Salvo quanto previsto dal comma 3…”), atteso che la stessa deve essere logicamente riferita alle fattispecie derogatorie dallo stesso previste e non gia’ alla previsione generale con cui si apre il comma 3 (“La custodia cautelare in carcere puo’ essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate”). Posto che l’articolo 275 c.p.p., comma 2-bis, introduce, come si e’ detto, una ulteriore “soglia di sbarramento”, priverebbe di valore tale disposizione consentirne il generalizzato superamento sulla scorta di una valutazione discrezionale sempre rimessa al giudice, quale appunto quella del primo periodo dell’articolo 275 c.p.p., comma 3. La clausola in questione si spiega, invece, se rapportata alle ipotesi di cui alla seconda parte del medesimo articolo 275 c.p.p., comma 3, in quanto connotate da una valutazione presuntiva, perche’ operata a monte dallo stesso legislatore, di pericolosita’ dell’agente e di adeguatezza della massima misura coercitiva (Sez. 6, n. 32498 del 05/07/2016, Vasta, Rv. 267985).
In conclusione, colui che, trasgredendo alle prescrizioni degli arresti domiciliari, si allontani dal domicilio e venga poi arrestato per evasione, non potra’ essere poi sottoposto a custodia cautelare in carcere in relazione a tale delitto, salvo che gli arresti domiciliari non possano essere disposti per sopravvenuta mancanza di uno dei luoghi di esecuzione indicati nell’articolo 284 c.p.p., comma 1.
Alla luce di quanto fin qui esposto si rende necessario, in conclusione, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio degli atti al Tribunale del riesame di Roma perche’ proceda a nuovo esame sui punti e profili critici segnalati, adeguandosi ai principi di diritto sopra enunciati.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Roma, sezione per le misure cautelari personali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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