Appalti pubblici offerta e costo del lavoro

Consiglio di Stato, Sentenza|11 aprile 2022| n. 2639.

Appalti pubblici offerta e costo del lavoro

Tema oggetto dell’intervento del Consiglio di Stato è quello della rilevanza, in una gara pubblica, dell’indicazione di un costo della manodopera inferiore a quello determinato dalla stazione appaltante nei documenti di gara. Un tale scostamento – si precisa in sentenza – non comporta automaticamente l’esclusione dell’offerta, ma solo la necessità di giustificarlo nel corso della verifica di congruità (articolo 97, Dlgs n. 50/2016). E cioè a dire, i valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle ministeriali rappresentano un semplice parametro di valutazione della congruità dell’offerta e non già un limite minimo vincolante, con la conseguenza che l’eventuale scostamento delle voci di costo da essi non legittima, di per sé, un giudizio di anomalia, ma solo l’avvio della procedura finalizzata alla verifica di congruità della singola offerta. Del resto, ogni l’operatore economico può sempre, mediante l’organizzazione della sua impresa, realizzare economie di scala, che rendono il costo del lavoro offerto inferiore a quello di altro operatore pur a parità di ore lavorate. In termini generali, il costo del lavoro, ove non risulti inferiore ai minimi retributivi tabellari, non può essere indicativo dell’inattendibilità dell’offerta dell’operatore economico, e, d’altra parte, un’organizzazione aziendale di rilevante entità può essere in grado di far fronte alle richieste della stazione appaltante servendosi, a turno, dei lavoratori già impiegati nell’esecuzione di altre commesse. Emerge così il motivo per cui l’eventuale scostamento delle voci di costo da quelle riassunte nelle tabelle ministeriali non legittimi, ex se, un giudizio di anomalia o di incongruità. Non solo. Ove occorra valutare la congruità del costo del lavoro (e quindi la congruità e serietà dell’offerta), si deve ritenere comunque necessario, nei casi in cui non sia possibile fare un immediato riferimento agli importi dei contratti collettivi nazionali, che la stazione appaltante valuti la corretta determinazione del costo del lavoro anche con strumenti diversi. Deve infine ritenersi la legittimità dell’operato di un’amministrazione che, non ritenendo anomala l’offerta presentata da un concorrente per il sol fatto che nella stessa fossero presenti voci relative a prestazioni rese a titolo gratuito, abbia svolto una verifica di congruità sull’offerta con esito positivo, in ragione dei chiarimenti forniti dall’operatore economico.

Sentenza|11 aprile 2022| n. 2639. Appalti pubblici offerta e costo del lavoro

Data udienza 3 marzo 2022

Integrale
Tag- parola chiave Appalti pubblici – Offerta – Costo del lavoro – Tabelle ministeriali – Scostamento – Conseguenze – Chiarimenti – Dlgs 18 aprile 2016, n. 50, articolo 97

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 6230 del 2021, proposto da Vi.. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mi. Pe. e Pa. Cr., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Le. e Fe. Fi., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, piazza (…);
nei confronti
El. Ri. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ri. An., con domicilio digitale come da PEC Registri di giustizia;
per la riforma della sentenza in forma semplificata del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (Sezione Prima) n. 1512/2021, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e di El. Ri. s.p.a.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 marzo 2022 il Cons. Valerio Perotti e preso atto delle richieste di passaggio in decisione, senza discussione, depositate in atti dagli avvocati Pe., Cr., Le., Fi. ed An.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Risulta dagli atti che con determina n. 241 del 6 agosto 2020 il Comune di (omissis) aveva indetto una procedura di gara avente ad oggetto l’affidamento del servizio di ristorazione scolastica, infine aggiudicata ad El. Ri. s.p.a.
Contro il relativo provvedimento Vi.. s.p.a., seconda graduata, proponeva ricorso al Tribunale amministrativo della Lombardia, sul presupposto che l’aggiudicataria avrebbe in realtà dovuto essere esclusa per non aver segnalato alla stazione appaltante l’esistenza di una circostanza ostativa alla sua partecipazione.
A fronte di tali rilievi, nelle more del giudizio il Comune di (omissis) adottava la determinazione n. 42 del 18 febbraio 2021, poi impugnata con motivi aggiunti, con cui, riesaminata la posizione di El. Ri. s.p.a., confermava l’aggiudicazione in suo favore.
Costituitisi in giudizio, sia il Comune che l’aggiudicataria concludevano per l’infondatezza del ricorso, chiedendone la reiezione.
Con sentenza 21 giugno 2021, n. 1512, il giudice adito respingeva il gravame, ritenendo che nel caso di specie a carico di El. Ri. s.p.a. non sussistessero i presupposti integrativi della causa di esclusione di cui all’art. 80, comma, 5 lett. c-ter) del Codice dei contratti.
Avverso tale decisione Vi.. s.p.a. interponeva appello, deducendo i seguenti motivi di impugnazione:
1) Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione dell’art. 80, comma 5, lett. c), c-bis) e c-ter) e comma 6 dell’art. 32 del d.lgs. 50 del 2016. Violazione dell’art. 6 del disciplinare di gara.
2) Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione degli articoli 23 comma 16, 95, comma 10, 97, comma 5, lettera d) e 165 comma 2 del D.lgs. 50/2016. Eccesso di potere per difetto di istruttoria.
Il Comune di (omissis) si costituiva in giudizio, contestando la fondatezza del gravame e chiedendo che fosse respinto.
Anche la controinteressata El. Ri. s.p.a. si costituiva, parimenti concludendo per l’infondatezza dell’appello.
Successivamente le parti ulteriormente precisavano, con apposite memorie, le rispettive tesi difensive ed all’udienza del 3 marzo 2022 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Con il primo motivo di appello viene ribadita, come già nel precedente grado di giudizio, la sussistenza di una causa di esclusione di El. Ri. s.p.a. dalla gara per cui è causa, stante la mancata comunicazione, da parte della medesima società, di precedenti gravi violazioni – rilevanti agli effetti dell’art. 80, comma 5 lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016 – nell’esecuzione di un rapporto contrattuale con l’amministrazione del Comune di (omissis).
Quest’ultima, in particolare, avrebbe a suo tempo contestato ad El., con determinazione del 22 luglio 2019, l’inadempimento del contratto allora in essere tra le parti in ragione di rilevanti mancanze ed irregolarità, dando contestualmente avvio dell’avvio al procedimento di risoluzione dello stesso, infine evitato grazie ad un accordo transattivo tra le parti.
Ad avviso dell’appellante, la mancata menzione di tale precedente da parte di El. avrebbe integrato una violazione dei suoi obblighi comunicativi nei confronti della stazione appaltante, atteso che le informazioni dovute a quest’ultima comprenderebbero ogni addebito subìto in pregresse vicende professionali che possa rivelarsi utile all’amministrazione per valutare l’affidabilità e l’integrità dell’operatore economico e non solo, dunque, quelle informazioni che abbiano effettivamente dato luogo a provvedimenti espulsivi dalla procedura.
D’altra parte, prosegue l’appellante, anche il provvedimento di conferma dell’ammissione di El. sconterebbe gli stessi vizi che hanno connotato il provvedimento di aggiudicazione (determina n. 487 del 23 dicembre 2020), ossia la mancata valutazione delle gravi contestazioni rese dal Comune di (omissis) ai fini della valutazione di affidabilità del concorrente. El. infatti non avrebbe ragguagliato correttamente l’amministrazione sulle vicende che hanno caratterizzato il contratto di appalto tra la controinteressata e il Comune di (omissis), né il Comune di (omissis) – odierno appellato – avrebbe ben considerato che El. si era resa colpevole di gravi inadempimenti che incidevano sulla propria affidabilità.
Il motivo non è fondato.
Invero, come rilevato anche dall’amministrazione appellata, ancora di recente l’Adunanza plenaria di questo Consiglio ha chiarito – con sentenza 28 agosto 2020, n. 16 – che “La falsità di informazioni rese dall’operatore economico partecipante a procedure di affidamento di contratti pubblici e finalizzata all’adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante concernenti l’ammissione alla gara, la selezione delle offerte e l’aggiudicazione, è riconducibile all’ipotesi prevista dalla lett. c) [ora c-bis)] dell’art. 80, comma 5, del codice dei contratti di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50; in conseguenza di ciò la stazione appaltante è tenuta a svolgere la valutazione di integrità e affidabilità del concorrente, ai sensi della medesima disposizione, senza alcun automatismo espulsivo”, laddove “la lett. f-bis) dell’art. 80, comma 5, del codice dei contratti pubblici ha carattere residuale e si applica in tutte le ipotesi di falso non rientranti in quelle previste dalla lett. c) [ora c-bis)] della medesima disposizione”.
Ne consegue che, anche a ritenere dovuta la comunicazione alla stazione appaltante delle vicende in esame, la sola omissione di tale obbligo non avrebbe potuto determinare l’automatica espulsione dell’offerta dalla gara, dovendo in ogni caso l’amministrazione valutare in concreto se i precedenti omessi (e, più in generale, il comportamento successivamente tenuto dalla parte) fossero effettivamente idonei ad incidere sull’affidabilità – attuale – dell’operatore economico.
Risulta dagli atti che tale valutazione era stata operata dal Comune di (omissis) – ancorché in un momento successivo alla proposizione del ricorso di Vi.. s.p.a. – ed aveva un esito favorevole dall’aggiudicataria, avendo l’amministrazione ritenuto – alla luce dell’istruttoria all’uopo svolta, che le circostanze rappresentate dalla ricorrente non fossero tali da determinare il venir meno della fiducia nel corretto adempimento di El..
Il Comune, in particolare, aveva rilevato che, diversamente da quanto sostenuto da Vi.., “non si è trattato di una risoluzione per inadempimento e che le parti sono pervenute consensualmente allo scioglimento del rapporto contrattuale, facendosi reciproche concessioni, come attestato dall'”Atto di risoluzione consensuale” trasmesso unitamente ai chiarimenti” (cfr. pag. 5, doc. 18)”. Tale affermazione, lungi dall’apparire apodittica, si fondava in realtà proprio sul contenuto dell’accordo, con espresso riguardo agli artt. 2 (“Oggetto della risoluzione”: “2.1 Le Parti dichiarano di voler consensualmente risolvere il Contratto di cui in premessa a decorrere dal 31 agosto 2019”), 3 (“Obblighi di El.”: “3.2 El. Ri. S.p.A., con la firma del presente atto, dichiara di rinunciare, come in effetti rinuncia, a qualsiasi maggior compenso conseguente alla modifica dei menù disposta dal Comune”) e 6 (“Effetti della risoluzione”: “Con la corretta esecuzione degli obblighi previsti dal presente atto, il contratto si intenderà a tutti gli effetti risolto consensualmente, e le Parti dichiarano di essere interamente soddisfatte della regolamentazione dei rapporti pendenti, rinunciando ciascuna nei confronti dell’altra a qualsiasi altra pretesa per qualsiasi titolo, causa o ragione, comunque relativa al rapporto contrattuale tra loro intercorso”).
D’altra parte, la determina 22 luglio 2019 impegnava il Comune di (omissis) alla “restituzione delle cauzioni definitive in possesso dell’Amministrazione Comunale (polizza n. 995143126 emessa da AX. in favore di Ge. El. s.p.a. – polizza n. 2181777 emessa da CO. in favore di El. Ri. s.p.a.)”, così come al “pagamento alla società El. Ri. s.p.a. dell’attività svolta sino alla conclusione del servizio, con espressa rinuncia, da parte della medesima società, ad eventuali maggiori compensi conseguenti alla modifica dei menù”.
Il Comune di (omissis) dava infine atto di come fosse stato dimostrato documentalmente dall’aggiudicataria che “gli impegni assunti da El. ai sensi dell’art. 3.1 dell’Atto di risoluzione consensuale, consistenti nel versamento dell’importo di E. 160.000,00 e nella fornitura ed installazione di un nuovo forno a convenzione per il Centro Cottura “Tiziano”, non sono configurabili come penali, né hanno assunto, nelle intenzioni delle parti, alcun carattere sanzionatorio. Come chiarito dalla Società e come emerge dalla documentazione messa a disposizione, tali obbligazioni rientrano nel complesso dell’intesa che le Parti hanno raggiunto “per definire i loro reciproci rapporti” (cfr. lett. h) delle Premesse), a tacitazione delle reciproche pretese”.
Risulta dunque provato che, relativamente ai fatti a suo tempo evidenziati da Vi.., nessuna risoluzione per inadempimento contrattuale era stata in realtà disposta dall’amministrazione in danno di El. Ri. s.p.a., essendo in realtà venuto meno il rapporto precedentemente in essere tra le parti per effetto di un libero accordo, in tal senso, delle stesse.
In questi termini, non è dunque pertinente il richiamo fatto dall’appellante al precedente di Cons. Stato, V, 5 marzo 2020, n. 1605, riferito ad una vicenda nella quale – diversamente dal caso in esame – la risoluzione per inadempimento era già stata disposta dalla stazione appaltante, con la conseguenza che lì sì, effettivamente, “la transazione stipulata a seguito della risoluzione contrattuale disposta dalla stazione appaltante per grave inadempimento impedisce l’accertamento giudiziale circa la legittimità o meno della risoluzione stessa, ma determina definitivamente il consolidamento del fatto storico costituito dalla risoluzione per inadempimento disposta dalla stazione appaltante, che richiede, ai sensi dell’art. 1455 c.c., l’importanza e quindi la gravità dell’inadempimento”.
Nel caso di specie, del resto, come evidenziato nella determina 18 febbraio 2021, n. 42, del Comune di (omissis) (in primo grado impugnata da Vi.. con motivi aggiunti), il tenore dell’accordo bonario effettivamente neppure consentiva di quantificare gli impegni assunti dalla società come “risarcimento del danno”, né quali “altre sanzioni comparabili”.
Deve quindi concludersi che, diversamente da quanto ritenuto dall’appellante, il provvedimento di conferma dell’aggiudicazione in favore di El. era stato adottato all’esito di un’adeguata istruttoria e di un’approfondita valutazione della vicenda contestata, grazie alle quali l’amministrazione si era infine determinata a ritenere insussistenti le cause di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lettere c), c-bis) e c-ter) del d.lgs. n. 50 del 2016.
Non è quindi neppure pertinente l’obiezione a più riprese mossa da Vi.. all’amministrazione (da ultimo nella memoria di replica del 19 febbraio 2022), secondo cui il comportamento da questa tenuto nella gestione della vicenda de qua sarebbe stato connotato da una manifesta carenza istruttoria, avendo omesso di chiedere chiarimenti all’amministrazione a suo tempo controparte di El., ossia il Comune di (omissis).
Con il secondo motivo di appello la sentenza di primo grado viene invece censurata nella parte in cui non ha riconosciuto la mancata verifica, ad opera della stazione appaltante, del costo della manodopera indicato nell’offerta di El., nonostante questo fosse sensibilmente basso ed inidoneo ad assicurare la giusta retribuzione ai lavoratori.
Invero, deduce l’appellante, nel quadro economico posto a base della concessione il Comune aveva preventivato un costo del personale di euro 1.850.159,5 (euro 370.031,90 l’anno per i cinque anni di contratto), laddove El. aveva invece previsto un costo di euro 1.142.931,87 (euro 228.586,374 l’anno per i cinque anni di contratto), quindi inferiore di ben 707.227,63 euro nell’intera durata del contratto.
Nelle proprie giustificazioni, El. aveva precisato che il costo della manodopera indicato nell’offerta in euro 1.142.931,87 si riferiva all’effettiva durata contrattuale, pari a trentasei mesi, senza considerare la proroga della gestione, in quanto prevista dalla legge di gara come meramente eventuale.
Per contro, l’appellante evidenzia come l’art. 4 del disciplinare – nello stabilire che “l’ammontare presunto annuo dell’affidamento è pari a euro 934.349,52 […], IVA esclusa […] Pertanto, l’importo presunto dell’affidamento, per 36 mesi, è pari a euro 2.803.048,56 euro […], IVA esclusa, e, quindi, il valore complessivo stimato dell’affidamento per l’intera durata contrattuale (comprensiva dell’eventuale estensione temporale di cui al punto 4.2 del presente Disciplinare), ai sensi degli artt. 167 e 35 del Codice, è pari a euro 4.671.747,60” – verrebbe a sancire che l’intera durata contrattuale, sulla scorta della quale individuare i costi della manodopera, deve comprendere l’estensione (sia pure eventuale) di ventiquattro mesi.
Ciò anche alla luce del combinato disposto con l’art. 16 del medesimo disciplinare, il quale indica espressamente che i costi dichiarati (incluso quello relativo alla manodopera) fanno riferimento all’intera durata dell’affidamento: durata che deve necessariamente includere l’estensione di cui trattasi.
Neppure questo motivo può essere accolto.
Risulta infatti dagli atti che il supplemento istruttorio di cui si è in precedenza detto ha avuto ad oggetto anche il costo della manodopera come indicato nell’offerta di El., dovendo la stazione appaltante verificarne la congruità ed essendo in particolare tenuta – ai sensi dell’art. 97, comma 5, lett. d) del d.lgs. n. 50 del 2016 – a verificare che lo stesso non fosse inferiore ai minimi salariali retributivi.
Al riguardo, va in primo luogo confermato il consolidato principio secondo cui l’indicazione di un costo della manodopera inferiore a quello determinato dalla stazione appaltante nei documenti di gara non comporta automaticamente l’esclusione dell’offerta, ma solo la necessità di giustificarlo nel corso della verifica di congruità (ex multis, Cons. Stato, V, 6 febbraio 2017 n. 501): in questi termini, è dato ormai consolidato (ex pluribus, Cons. Stato, V, 21 giugno 2021, n. 4753) quello per cui i valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle ministeriali rappresentano un semplice parametro di valutazione della congruità dell’offerta e non già un limite minimo vincolante, con la conseguenza che l’eventuale scostamento delle voci di costo da essi non legittima, di per sé, un giudizio di anomalia, ma solo l’avvio della procedura finalizzata alla verifica di congruità della singola offerta (in termini anche Cons. Stato, V, 7 maggio 2018, n. 4989; IV, 29 febbraio 2016, n. 854; V, 2 marzo 2015, n. 1020).
Premesso quanto sopra, ritiene il Collegio che la precisazione, da parte di El., che il costo del personale indicato nell’offerta era riferito alla durata effettiva del contratto, pari a trentasei mesi – non comprendendo quindi il periodo di eventuale proroga – fosse coerente con le previsioni della legge di gara, la quale all’art. 4.1 (“Durata”) del disciplinare inequivocabilmente stabiliva che “La durata dell’affidamento è di trentasei (36) mesi con decorrenza dalla data di sottoscrizione del contratto oppure dalla data di consegna del Servizio, risultante da apposito verbale, previa convocazione del Concessionario, se anticipata rispetto alla data di sottoscrizione del contratto. Pertanto, il contratto avrà durata per gli anni scolastici 2020/2021 – 2021/2022 – 2022/2023”.
Da ciò doveva pertanto concludersi che la “durata” in senso tecnico del contratto, rilevante ai fini della formulazione delle offerte, non comprendesse anche il periodo di eventuale estensione biennale del contratto, proprio perché – in quanto tale – non certus an, ma subordinato all’esercizio di un diritto di opzione “a insindacabile giudizio” del Comune (ai sensi del successivo art. 4.2, relativo ad “Opzioni e rinnovi”).
Conferma di ciò può altresì trarsi, a contrario, dalla previsione di cui all’art. 3 del capitolato speciale, che in ordine all'”Importo presunto dell’affidamento” quantificava giustappunto il costo presunto della manodopera in euro 370.031,90/anno, indicando per contro (e separatamente) che l’ulteriore e maggiore importo di euro 1.850.159,50 avrebbe dovuto invece essere espressamente riferito alla “intera durata dell’affidamento (comprensiva dell’eventuale estensione temporale di cui all’art. 2 del presente Capitolato)”.
Tale precisazione non era però contenuta nelle previsioni di gara riferite alla valorizzazione del costo della manodopera da parte dei concorrenti, di talché doveva ritenersi con esse coerente la quantificazione operata da El..
Alla luce dei rilievi che precedono, l’appello va dunque respinto.
La particolarità delle questioni esaminate giustifica peraltro, ad avviso del Collegio, l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese di lite del grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 marzo 2022 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella – Presidente
Valerio Perotti – Consigliere, Estensore
Federico Di Matteo – Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere
Elena Quadri – Consigliere

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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