Appalto: il contratto

Appalto: il contratto

Ultimo aggiornamento 4 settembre 2022

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Sommario

A) INTRODUZIONE

 

          Il presente saggio non ambisce al rango di trattazione completa del tema del contratto d’appalto ma, rappresenta, con collegamenti ipertestuali, da un lato una approfondita sintesi degli orientamenti giurisprudenziali e dall’altro una sintesi delle teorie dottrinarie inerenti.

          Il tutto senza peccare di alcuna pretesa di esaustività ma, con la consapevolezza di dare atto solo degli interventi giurisprudenziali più importanti e di fornire spunti interpretativi.

          Fatta questa necessaria premessa, ebbene il contratto d’appalto (dal latino medievale appaltum, forse dal latino ad pactum a contratto) è un contratto tipico, disciplinato all’interno del codice civile al capo VI del titolo III del libro IV, attraverso il quale ex art. 1655

 

art. 1655 c.c.   nozione

l’appalto è il contratto col quale una parte [appaltatore] assume [A] con organizzazione di mezzi necessari e [B] con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro commissionatogli dall’altra [appaltante o committente].

 

Il contratto di appalto, rappresentando uno degli schemi contrattuali tipici ancora in auge, è largamente utilizzato nella pratica per la costruzione di immobili e per la fornitura di servizi di assistenza, consulenza, vigilanza.

Appalto pubblico

Con riferimento ai contratti conclusi con enti pubblici o enti che svolgono servizi pubblici, è intervenuto il D. Lgs. n. 163/2006, il cosiddetto Codice dei Contratti pubblici ed il suo regolamento di esecuzione e attuazione, il D.P.R. n. 207/2010, con una disciplina ad integrazione delle norme codicistiche.

Tale saggio è opportuno precisare non tratterà tale materia, ma solo con rapidi richiami.

La natura giuridica è pur sempre quella di un contratto di diritto privato perché l’Amministrazione non assume la veste di Autorità, ma quella di contraente; non possiede, infatti, alcun mezzo giuridico autoritativo idoneo a costruire il rapporto di appalto senza o contro la volontà dell’appaltatore.

L’appalto pubblico è regolato oltre che dalle disposizione del codice civile, anche da numerose leggi e regolamenti i quali danno luogo ad una normativa vasta e non sempre organica.

Diversa dall’appalto pubblico è la concessione di un pubblico servizio perché l’autorità in questi casi interviene nell’esercizio della sua attività d’imperio e la materia che ne forma oggetto è di natura pubblica (si pensi alle concessioni di linee ferroviarie, di servizi telefonici, ecc.).

 

B) NATURA DEL CONTRATTO

 

Per autorevole dottrina [1] è un contratto a forma libera tipicamente oneroso e quindi a prestazioni corrispettive, non necessariamente intuitus personae.

Riassumendo, secondo parte della dottrina ed in forza di alcune pronunce della S.C., schematicamente si può affermare che è un contratto:

  • Tipicamente oneroso

Come risulta dall’art. 1655 c.c., il quale prevede che il committente è tenuto a dare all’appaltatore un corrispettivo in denaro, ma la mancata determinazione del corrispettivo non è causa di nullità del contratto di appalto e non è nemmeno elemento decisivo per escludere che il contratto si sia perfezionato, posto che tale corrispettivo può essere ricavato dalle tariffe esistenti, ovvero dagli usi, ed in mancanza può essere determinato dal giudice [2].

  • Commutativo

Nell’appalto non sussiste l’elemento del rischio perché le prestazioni delle due parti sono, fin dal momento della conclusione del contratto, determinate o almeno determinabili in base a criteri prestabiliti e non dipendono da eventi futuri ed incerti.

Per gli ermellini il contratto di appalto presuppone che l’imprenditore abbia una organizzazione di mezzi e di persone destinati a realizzare a suo rischio un’opera complessa per conto del committente, il che si verifica sia nell’ipotesi in cui è rimessa all’appaltatore tutta l’attività occorrente per la esecuzione dell’opera, ivi compreso il reperimento e l’apprestamento dei materiali, sia nella ipotesi in cui è devoluta allo stesso la sola attività consistente nella messa in opera degli elementi costruttivi secondo i dettami della tecnica, in quanto la configurazione del contratto di appalto è esclusa soltanto se il committente fornisce anche gli strumenti e i mezzi meccanici che servono alla costruzione, o organizza direttamente il personale da impiegare, ovvero sottopone l’esecuzione dell’opera a suoi ordini continuativi e minuti. Non manca, invece, il requisito del rischio quando si pattuisce il corrispettivo commisurandolo all’impiego autonomo dei mezzi e del personale che concorrono a formare una organizzazione imprenditoriale ai fini costruttivi. Infatti, il rischio va ravvisato nel fatto che, nonostante l’applicazione delle tariffe, possa aversi da parte dell’imprenditore un impiego della propria organizzazione che non viene coperto dall’ammontare del corrispettivo che così risulta [3].

Infatti, con altra pronuncia [4] è stato precisato che il rischio o pericolo che l’appaltatore assume nel compimento dell’opera o del servizio, non è quello inteso in senso tecnico-giuridico, relativo, cioè, ai casi fortuiti, ma quello cosiddetto economico, che deriva dall’impossibilità di stabilire previamente ed esattamente i costi relativi, per cui l’appaltatore, che non ha il potere di interrompere i lavori per l’aumentata onerosità degli stessi, potrà anche perdere nell’affare se i costi si riveleranno superiori al corrispettivo pattuito, salve le modificazioni consentite in presenza di determinate circostanze e realizzabili col rimedio della revisione dei prezzi.

Inoltre, come si avrà modo di specifcare più in avanti, la deroga alla disciplina dell’art. 1664 c.c.[5] (onerosità o difficoltà dell’esecuzione) nel cosiddetto appalto a forfait non comporta alcuna alterazione della struttura o della funzione dell’appalto, nel senso di renderlo un contratto aleatorio, ma solo un ulteriore allargamento del rischio, senza che questo, pur così ulteriormente allargato, esorbiti dall’alea normale di questo tipo contrattuale.

  • Normalmente ad esecuzione prolungata

Con questa espressione parte della dottrina [6] intende riferirsi a quella categoria negoziale nella quale ogni atto di esecuzione di uno dei contraenti (nel nostro caso dell’appaltatore) non soddisfa, come avviene per i contratti di durata, una corrispondente parte dell’interesse dell’altro contraente (nel nostro caso del committente) perché questo interesse non viene soddisfatto di volta in volta, ma soltanto con l’atto finale d’esecuzione (nel nostro caso con il compimento e la consegna dell’opera).

Per la S.C. [7] l’appalto, anche nei casi in cui la sua esecuzione si protragga nel tempo, e fatte salve le ipotesi in cui le prestazioni in esso dedotte attengano a servizi o manutenzioni periodiche, non può considerarsi un contratto ad esecuzione continuata o periodica e, pertanto, non si sottrae, in caso di risoluzione, alla regola generale, dettata dall’art. 1458 cc., della piena retroattività di tutti gli effetti, anche in ordine alle prestazioni già eseguite. Conseguentemente, una volta pronunciata la risoluzione del contratto, in forza della operatività retroattiva di essa, stabilita dall’art. 1458 cc., si verifica per ciascuno dei contraenti ed indipendentemente dall’imputabilità dell’inadempienza, rilevante ad altri fini, una totale restituito in integrum e, pertanto, tutti gli effetti del contratto vengono meno e con essi tutti i diritti che ne sarebbero derivati e che si considerano come mai entrati nella sfera giuridica dei contraenti stessi.

  • Di risultato

È noto e fermo l’orientamento della Cassazione [8] secondo cui l’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo [9]. Pertanto, in mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori.

  • Normalmente a forma libera

È a forma libera – le parti, quindi, possono concluderlo anche oralmente, manifestando la volontà in modo espresso o tacito, anche se, evidentemente, la mancanza della forma scritta crea non pochi problemi in ordine alla prova qualora sorgano controversie tra committente e appaltatore.

Per la Cassazione il contratto d’appalto [10] non è soggetto a rigore di forme e, pertanto, per la sua stipulazione non è richiesta la forma scritta, nè ad substantiam, nè ad probationem, potendo dunque essere concluso anche per facta concludentia; ne consegue la rilevanza della prova testimoniale, dedotta con riguardo all’effettiva esecuzione delle prestazioni per il cui corrispettivo la parte, in quanto creditrice, chieda l’ammissione al passivo della procedura di fallimento.

Eccezioni al principio della forma libera si hanno negli appalti per la costruzione di navi o aeromobili e negli appalti pubblici.

È stato affermato [11] che devono avere ai sensi dell’art. 1350 n. 1, la forma scritta anche i contratti di appalto per la costruzione di immobili qualora il suolo sia di proprietà dell’appaltatore.

Inoltre, quando nell’appalto si seguono le regole della gara d’appalto, le relative clausole costituiscono parte integrante del contratto, difatti la Cassazione [12] ha affermato che nell’appalto privato aggiudicato mediante gara, le clausole attinenti allo svolgimento del rapporto (nella specie, relative ai tempi ed alle modalità di pagamento del corrispettivo), che siano contenute nel bando della gara medesima, costituiscono parte integrante, salvo espressa disposizione in senso contrario, del contratto stipulato con il vincitore della gara; tale contratto, infatti, configura il momento terminale di una fattispecie negoziale a formazione successiva, che si apre con il predetto bando, in ordine al quale l’appaltatore ha gia manifestato il suo assenso con la partecipazione alla gara.

  • Consensuale

L’appalto è un tipico contratto consensuale e si perfeziona, perciò, con il semplice accordo delle parti secondo la normativa stabilita dagli artt. 1326 e seg. c.c.

  • Ad effetti obbligatori

Dall’appalto deriva a carico di entrambe le parti il dovere di eseguire una prestazione, ma non anche, di regola, il trasferimento o la costituzione di un diritto reale:

l’appaltatore ha l’obbligo di eseguire l’opera o il servizio;

il committente ha l’obbligo di pagare il corrispettivo in denaro.

  • Intuitus personae

Anche se tale natura è discussa:

  1. i sostenitori [13] della teoria positiva si basano soprattutto sulla norma contenuta nell’art. 1656 c.c., secondo la quale l’appaltatore non può dare in subappalto l’esecuzione dell’opera o del servizio senza l’autorizzazione del committente.
  2. I sostenitori della teoria negatrice [14] si basano, invece, sull’art. 1674 c.c., il quale consente che l’appalto continui nei confronti degli eredi dell’appaltatore.

È preferibile [15] una teoria intermedia secondo la quale l’infungibilità riguarda non la persona fisica dell’appaltatore, ma l’impresa cui l’appaltatore fa capo, tenuto conto soprattutto dell’organizzazione tecnica.

 

  • Responsabilità precontrattuale

Anche nell’ambito del contratto d’appalto è possibile una responsabilità precontrattuale di cui agli artt. 1337 e ss. [16].

Si ricorda [17] che integrata la responsabilità precontrattuale, é necessario che tra le parti siano in corso trattative; che le trattative siano giunte ad uno stadio idoneo a far sorgere nella parte che invoca l’altrui responsabilità il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che la controparte, cui si addebita la responsabilità, interrompa le trattative senza un giustificato motivo; che, infine, pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto.

La verifica della ricorrenza di tutti questi elementi, risolvendosi in accertamento di fatto, é demandato al giudice di merito ed é incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato [18].

  • Clausola Penale

È possibile, logicamente, al fine di determinare in capo ad uno o ad ambedue i contraenti, pressioni psichiche al fine dell’esatto adempimento della prestazione  o delle prestazioni risultanti dal contratto, la previsione di una clausola penale [19], soprattutto in merito al termine della consegna dell’opera.

Per la S.C. [20] in tema di contratto, la pattuizione di una clausola penale è compatibile con la previsione di un termine non essenziale per l’adempimento della prestazione, in conseguenza della diversa funzione ed operatività nel rapporto contrattuale, atteso che, mentre il termine riguarda il momento in cui l’obbligazione deve essere adempiuta, cioè l’attualità dell’adempimento, la clausola penale si configura come mezzo di rafforzamento del vincolo contrattuale sul diverso e successivo piano degli effetti dell’eventuale inadempimento, concretando una anticipata liquidazione convenzionale del danno, indipendentemente dalla prova della sua effettiva esistenza.

 

C) LA CAUSA ED OGGETTO

 1) La causa

Consiste nello scambio di un’opera o di un servizio con un corrispondente pecuniario.

È dunque una causa tipicamente onerosa, perché ognuna delle parti subisce un sacrificio patrimoniale per procurarsi il vantaggio che le deriva dal contratto.

Ma, la mancata determinazione del corrispettivo non è causa di nullità del contratto di appalto e non è nemmeno elemento decisivo per escludere che il contratto si sia perfezionato, posto che tale corrispettivo può essere ricavato dalle tariffe esistenti, ovvero dagli usi, ed in mancanza può essere determinato dal giudice [21].

Si avrà un contratto innominato qualora in cambio del denaro sarà corrisposto un bene diverso (ristrutturerai il mio palazzo è in cambio ci potrai abitare per 10 anni).

Altra ipotesi di contratto innominato si ha quando il corrispettivo sia costituito da un dare.

Nel caso di appalto gratuito – l’opera o il servizio vengono compiuti gratuitamente –

  1. secondo alcuni [22] ricorre la figura della donazione obbligatoria nella quale l’attribuzione patrimoniale da parte del donante è costituita dalla prestazione caratteristica dell’appalto; questa affermazione deve, però adeguarsi alla tesi della dottrina prevalente, secondo cui le prestazioni di fare o non fare non possono formare oggetto di donazione, la cui causa consiste nel depauperamento del donante e nel correlativo arricchimento del donatario e non nella semplice omissio adquirendi che dà luogo ad un negozio gratuito ma non donativo.
  2. Si può, pertanto, in definitiva affermare [23] che nel caso del c.d. appalto gratuito si ha un negozio atipico e, precisamente, una liberalità non donativa ma, limitatamente alla parte nella quale vi sia tanto l’arricchimento del committente quanto il correlativo impoverimento dell’appaltatore.

2) L’Oggetto

 

A) La prestazione dell’appaltatore

 

  • un’opera – elaborazione della materia, creando o modificando cose e, al limite, anche distruggendole –
    • Appalto di costruzione: creazione di un prodotto finito
    • Appalto di ricostruzione: sostituzione di una cosa nuova ad altra già esistente, della quale possono essere utilizzati i materiali.
    • Appalto di riparazione: provvedere a guasti o a danneggiamenti di una cosa che rimane invariata e non perde la sua naturale destinazione (es. manutenzione di una strada).
    • Appalto di demolizione: distruzione di un’opera esistente alla quale non segue la creazione di un’opera nuova.

 

  • un servizio – quando l’attività sia volta a produrre un’utilità o a soddisfare un determinato interesse del committente senza elaborazione di materia.

Come ad esempio –

  • Catering: servizio di ristorazione, là dove l’appalto convive con la somministrazione;
  • Contratto di viaggi o tour operetor: appalto di servizi ed obbliga a procurare una un insieme di servizi comprendenti il trasporto, il soggiorno o qualunque altro servizio che ad essi si riferisca;
  • Contratto di pubblicità: appalto misto al mandato

            Per la Cassazione, con ultimo arresto [24], oggetto del contratto di appalto è il risultato di un facere (anche se comprensivo di un dare) che può concretarsi sia nel compimento di un’opera che di un servizio che l’appaltatore assume verso il committente dietro corrispettivo, mentre oggetto del contratto di vendita è il trasferimento di un bene a cui può essere connessa un’obbligazione di fare, cioè, l’obbligazione di mettere in opera il bene venduto.

            Nel contratto di appalto vi è un fare che può essere comprensivo di un dare, mentre nel contratto di compravendita vi è un dare che può comportare anche un fare. Pertanto, sono sempre da considerarsi contratti di vendita (e non di appalto) i contratti concernenti la fornitura ed eventualmente anche la posa in opera qualora l’assuntore dei lavori sia lo stesso fabbricante o chi fa abituale commercio dei prodotti e dei materiali di che trattasi, salvo, ovviamente, che le clausole contrattuali obbligano l’assuntore degli indicati lavori a realizzare un quid novi rispetto alla normale serie produttiva, perché in questo caso dovrebbe ritenersi prevalente l’obbligazione di facere, in quanto si configurano elementi peculiari del contratto di appalto e, precisamente, l’intuitus personae e l’assunzione del rischio economico da parte dell’appaltatore. Qualora, invece, l’assuntore dei lavori non è né il fabbricatore, né il rivenditore del bene da installare o mettere in opera, l’attività di installazione di un bene svolta dal prestatore, risultando autonoma rispetto a quella di produzione e vendita, identifica o rinvia ad un contratto di appalto, dato che la materia viene in considerazione quale strumento per la realizzazione di un’opera o per la prestazione di un servizio.

            Come di regola, l’oggetto della prestazione deve essere determinato o determinabile a pena di nullità ex art. 1346 e seg. c.c.

            In merito si sottolinea, a mente di una recente pronuncia della Cassazione [25] che il contratto di appalto per la costruzione di un immobile senza concessione edilizia è nullo, ai sensi degli artt. 1346 e 1418 c.c., avendo un oggetto illecito, per violazione delle norme imperative in materia urbanistica, con la conseguenza che tale nullità, una volta verificatasi, impedisce sin dall’origine al contratto di produrre gli effetti suoi propri e ne impedisce anche la convalida ai sensi dell’art. 1423 c.c.

            Il rigore di tale principio è tuttavia stato mitigato dall’orientamento giurisprudenziale [26] secondo il quale l’illiceità del contratto di appalto è ravvisabile solo ove esso sia, di fatto, eseguito in carenza di concessione e non pure per il solo fatto che quest’ultima sia rilasciata dopo la data della stipulazione del contratto, di appalto, ma prima della realizzazione dell’opera, posto che non sarebbe conforme alla mens legis la sanzione di nullità irrogata per un contratto il cui adempimento sia stato intenzionalmente posposto al previo ottenimento della concessione o autorizzazione richiesta, con una condotta, quindi, aderente al precetto normativo, potendosi il contratto stesso, considerare sospensivamente condizionato, in forza di presupposizione, al previo ottenimento dell’atto amministrativo, mancante al momento della relativa stipulazione

B) Appalto di somministrazione

 

art. 1677 c.c.   prestazione continuativa o periodica di servizi

se l’appalto ha per oggetto prestazioni continuative o periodiche di servizi, si osservano, in quanto compatibili, le norme di questo capo e quelle relative al contratto di somministrazione [27].

  • Differenza tra appalto e somministrazione di lavoro

Nel corso degli anni si sviluppata una forte esegesi sulle differenze tra le figure dell’appalto e la somministrazione di lavoro.

Spesso può accadere che per l’esecuzione dell’opera (o del servizio) sia necessario assegnare dei lavoratori per impiegarli in un sito o in un’unità produttiva gestita dal committente e quindi nasce la necessità di distinguere questa ipotesi da quella tipica della somministrazione di lavoro.

Per quanto riguarda l’appalto di servizi con il Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276 – attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro – di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30 oltre ad un importante intervento in merito alla garanzia dei lavoratori, è stata posta una pietra miliare (si spera definitiva) sulla distinzione tra le due figure; ovvero all’art. 29 (e le successive modifiche ) è stato previsto che:

  1. Ai fini dell’applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’articolo 1655 del c.c., si distingue dalla somministrazione di lavoro per l’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per l’assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa.
  2. Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti.

In caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento. Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l’azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l’infruttuosa escussione del patrimonio dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori. Il committente che ha eseguito il pagamento può esercitare l’azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali.

  1. L’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d’appalto, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda.

3-bis. Quando il contratto di appalto sia stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’articolo 414 del c.p.c., notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo. In tale ipotesi si applica il disposto dell’articolo 27, comma II.

3-ter. Fermo restando quando previsto dagli articoli 18 e 19, le disposizioni di cui al comma II non trovano applicazione qualora il committente sia una persona fisica che non esercita attività di impresa o professionale.

Con tale intervento si può agevolmente notare il deciso mutamento di prospettiva, in merito alla differenza delle due figura appalto di servizio e somministrazione, rispetto all’art. 1, comma III, della legge n. 1369/1960, per cui il capitale perde la centralità del passato, in favore dell’esercizio dei poteri datoriali sui lavoratori impiegati nell’appalto, mentre la rilevanza dell’elemento del rischio d’impresa resta immutato.

Con la conseguenza che la distinzione tra le due figure non si fonda più esclusivamente sull’impiego dei macchinari, bensì sull’individuazione del reale datore di lavoro:

se il potere direttivo risulta concretamente in capo all’appaltatore si ha appalto;

ove, all’opposto risulti in capo al committente si riscontra un’ipotesi di somministrazione di lavoro, che tuttavia, per essere lecita, deve essere preventivamente autorizzata dal Ministero del lavoro ai sensi dell’art. 4 del D.lgs n. 276 cit.

Quanto all’aspetto del rischio d’impresa, pure richiesto dall’art. 29, D.lgs n. 276 cit., ai fini della liceità dell’appalto, l’appaltatore deve assumere una precisa obbligazione di risultato, come il compimento di un’opera o l’erogazione di un servizio ben determinati, e non un’obbligazione di mezzi quale sarebbe la mera messa a disposizione del proprio personale a favore della stazione appaltante, con pieno inserimento dei lavoratori nell’organizzazione aziendale di quest’ultima.

Quindi, l’esercizio, da parte dell’appaltatore, dei poteri datoriali sul personale occupato nell’esecuzione dell’opera o del servizio è condizione necessaria ma non sufficiente per integrare un appalto lecito.

Infatti, è comunque necessaria anche l’assunzione del rischio d’impresa da parte dell’affidatario dei lavori che comporta la possibilità che l’appaltatore non sia remunerato per l’attività espletata.

Sia l’art. 1655 c.c. che lo stesso art. 29 del decreto Biagi, del resto, non lasciano dubbi in tal senso.

In difetto dei requisiti sopra richiamati, non si può parlare di appalto, bensì di somministrazione abusiva, con la ricorrenza di tutte le conseguenze di natura penale (art. 18, Dlgs n. 276/2003) ove la relativa attività non fosse autorizzata dal Ministero del lavoro ai sensi dell’art. 4, D.lgs n. 276.

La Cassazione [28] di recente ha ribadito quali sono gli elementi decisivi, ai fini della distinzione tra appalto e somministrazione di manodopera, a seguito del Dlgs n. 276/2003 cd. riforma Biagi del mercato del lavoro, ovvero: ai fini della distinzione tra appalto e somministrazione di manodopera, assume particolare significato l’autonomia gestionale dell’appaltatore nell’esecuzione dei lavori. In caso di insussistenza di tale elemento, è integrata la fattispecie penale di cui all’art. 18 del Dlgs n. 276/ 2003 (somministrazione abusiva), ove si riscontri anche la mancanza di autorizzazione di cui all’art. 4 del medesimo Dlgs n. 276.

C) Responsabilità solidale fiscale (abrogata) e la responsabilità solidale retributivo-previdenziale

All’interno esclusivamente dell’appalto (e del subappalto), si ricorda che il Legislatore ha previsto 2 tipi di responsabilità:
1) responsabilità solidale fiscale introdotta, in origine, dal D.L. 233/2006, conv. con modif. dalla L. 4.8.2006, n. 248, come modificata dall’art. 13-ter D.L. 22.6.2012, n. 83, conv. con modif. dalla L. 7.8.2012, n. 134, dal D.L. 21.6.2013, n. 69 ed infine, abrogata, con l’ 28, D.Lgs. 21.11.2014, n. 175 ;
2) responsabilità solidale retributivo-previdenziale, ex 29, D.Lgs. 10.9.2003, n. 276.
1) Responsabilità solidale fiscale

Il testo originario contenuto nel D.L. 4.7.2006, n. 223, conv. con modif. dalla L. 4.8.2006, n. 248, ha subito svariate modifiche.

Prima delle modifiche del D.L. 21.6.2013, n. 69 (cd. «Decreto del Fare»), il testo così recitava: In caso di appalto di opere o di servizi, l’appaltatore risponde in solido con il supabbaltatore, nei limiti dell’ammontare del corrispettivo dovuto, del versamento all’erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e del versamento dell’imposta sul valore aggiunto dovuta dal subappaltatore all’erario in relazione alla prestazioni effettuate nell’ambito del rapporto di subappalto.

Un primo intervento semi-abrogativo è avvenuto con l’art. 50, D.L. 21.6.2013, n. 69, rubricato Modifiche alla disciplina della responsabilità fiscale negli appalti .

Con il D.L. 21.6.2013, n. 69 (cd. decreto del fare), il Governo ha modificato la responsabilità solidale fiscale introdotta dall’art. 13-ter, D.L. 22.6.2012, n. 83, conv. con modif. dalla L. 7.8.2012, n. 134.

L’ultima demolizione alla responsabilità fiscale è avvenuta con il recente D.Lgs. 21.11.2014, n. 175, pubblicato nella G.U. il 28.11.2014.

Con l’art. 28, D.Lgs. 21.11.2014, n. 175, pubblicato nella G.U. n. 277 del 28.11.2014, il Legislatore, ha deciso l’abrogazione totale della responsabilità solidale fiscale negli appalti così come introdotta dall’art. 13-ter, D.L. 22.6.2012, n. 83, conv. con modif. dalla L. 7.8.2012, n. 134.

Dopo che con il D.L. 69/2013 è stata abrogata la responsabilità solidale sull’Iva, con decorrenza 13.12.2014 viene meno anche la responsabilità solidale sulle ritenute d’acconto da lavoro dipendente.

Con tale intervento, pertanto, è possibile affermare che:

per i pagamenti da effettuare sino al 12.12.2014 compreso è pienamente vigente la responsabilità fiscale sulle ritenute da lavoro dipendente;

per i pagamenti da effettuate dal 13.12.2014 in poi la responsabilità fiscale è stata totalmente abrogata.

2) La Responsabilità retributivo-previdenziale

Con il recente intervento normativo il Legislatore, come già scritto, si è marginalmente occupato anche dalla responsabilità solidale disciplinata dall’art. 29, D.Lgs. 276/2003.

Ai sensi di tale norma il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di 2 anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali ed i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto.

In base al testo attualmente in vigore contenuto nell’art. 29, D.Lgs. 276/2003, salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti, in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento.

Viene così a coesistere un doppio regime di tutela che – stante il diverso oggetto ed il diverso ambito di applicazione degli strumenti azionabili – rafforza la posizione del lavoratore interessato, il quale può indifferentemente far ricorso ad entrambe le azioni per ottenere la soddisfazione del proprio credito.

In specie, si sottolinea, che la natura solidale dell’obbligazione posta in capo al committente dalla norma lavoristica (co. 2, art. 29 del d.lgs. n. 276/2003) – finanche oltre, si osserva, le intenzioni del legislatore delegante – la differenzia dall’obbligazione che grava sull’appaltatore in forza della previsione codicistica e ciò esclude la sovrapposizione degli ambiti di applicazione delle due norme.

Un ulteriore vincolo di solidarietà per le retribuzioni dei lavoratori è contenuto nell’art. 1676 c.c.

Tale articolo definisce l’operatività della responsabilità del committente in ordine al pagamento diretto e non surrogato a favore dei lavoratori entro il limite di quanto è loro dovuto dall’appaltatore relativamente alle quote di retribuzione maturate nell’esecuzione dell’appalto.

art. 1676 c.c.    diritti degli ausiliari dell’appaltatore verso il committente

coloro che, alle dipendenze dell’appaltatore, hanno dato la loro attività per eseguire l’opera o per prestare il servizio possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda [trattasi secondo la dottrina unanime di un’azione speciale che, pur rientrando nel vasto quadro della sostituzione in senso ampio, non va confusa con la comune azione surrogatoria ex art. 2900, perché il dipendente può far valere direttamente il proprio credito facendosi attribuire quanto dovutogli e non deve, secondo il sistema della surrogatoria, far rientrare le somme dovute dal committente nel patrimonio del suo immediato debitore – l’appaltatore – per poi soddisfarsi contro quest’ultimo]

           

            Secondo ultima sentenza di merito [29] la responsabilità solidale prevista dall’art. 1676 c.c. riguarda solo il committente nei confronti dell’appaltatore (esclusi i subappaltatori); si applica a tutti i datori di lavoro, comprese le persone fisiche; si estende solo ai dipendenti impiegati nell’appalto, esclusi i lavoratori autonomi; è prevista fino a concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui si propone la domanda e non prevede un limite di tempo specifico entro cui attivare tale responsabilità solidale. Orbene, dalla lettura dell’art. 1676 c.c. si evince la funzione di garanzia generale, seppur limitata, a tutela del credito dei lavoratori subordinati impiegati negli appalti. Ed infatti, la pretesa creditoria potrà essere fatta valere dai lavoratori per il tramite della disciplina codicistica.

            In tema, corre l’obbligo di segnalare le modifiche apportate dall’art. 21, Dl n. 5/2012 all’art. 29, comma II, Dlgs n. 276/2003, le quali hanno specificato meglio i vincoli di solidarietà nel caso di appalto di opere o di servizi.

Anche i contributi previdenziali e i premi assicurativi sono dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, ma resta escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento.

In merito, poi, all’applicabilità dell’art. 29 ai contratti pubblici, fortemente dibattuta, altro ultimo intervento della S.C. [30] ha specificato che per i contratti pubblici di appalto relativi a lavori, servizi e forniture, in caso di ritardo nel pagamento delle retribuzioni o dei contributi dovuti al personale dipendente dell’esecutore o del subappaltatore, i lavoratori devono avvalersi degli speciali strumenti di tutela previsti dal codice di cui al D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, le cui modalità di utilizzazione sono determinate, in particolare, dagli artt. 4 (per i contributi) e 5 (per le retribuzioni) del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 (recante il regolamento di esecuzione ed attuazione del suddetto codice).

Ne consegue, che alla suddetta fattispecie non è applicabile l’art. 29, comma 2 del D.Lgs. n. 276/2003, come del resto stabilito dal precedente art. 1, comma 2, che esclude che il decreto stesso sia applicabile “per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale” e come, di recente, ha confermato l’art. 9 del D.L. 28 giugno 2013, n. 76 (convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 99). Viceversa in caso di mancata utilizzazione da parte dei lavoratori degli strumenti previsti dalla suindicata normativa speciale, è possibile fare ricorso, in via residuale, alla tutela di cui all’art. 1676 c.c., applicabile anche ai contratti di appalto con le pubbliche amministrazioni.

Con una sentenza che costituisce la prima pronuncia di legittimità sul tema specifico, la Cassazione fornisce la sua soluzione interpretativa alla questione (già dibattuta in sede di merito e in ambito dottrinale) dell’applicabilità alle stazioni appaltanti pubbliche delle modalità di attuazione della responsabilità solidale a carico del committente per le omissioni o i ritardi nell’adempimento degli obblighi retributivi o contributivi che riguardano posizione del lavoratore dipendente dell’appaltatore, previste dall’art. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 273/2003.

Infatti, altra sentenza della Corte d’Appello di Genova [31] la solidarietà tra committente e appaltatore di cui all’art. 29, D.Lgs. n. 276/2003 è applicabili alle pubbliche amministrazioni, difatti, ai fini dell’applicazione della solidarietà, di cui all’art. 29, D.Lgs. n. 276/2003 non si distingue tra committente pubblico e committente privato né tra contratto pubblico di appalto di servizi (D.Lgs. n. 163/2006) e contratto di appalto di diritto comune (artt. 1655 e ss. c.c.), né per escluderla può invocarsi la norma di cui all’art. 1, comma II° del medesimo decreto che disporrebbe la sua non applicabilità per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale, in quanto tale norma, in ossequio ad una interpretazione costituzionalmente orientata, va letta alla luce delle previsioni della legge delega n. 30/2003 che, all’art. 6, individua i casi di non applicabilità della stessa legge delega.

In definitiva, gli elementi dell’azione di cui all’art. 29 sono, dunque,

  • l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di un soggetto che, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, esercita un’attività diretta al compimento di un’opera o di un servizio nei confronti di un determinato committente verso un corrispettivo;
  • l’esecuzione della prestazione lavorativa per il compimento di quella particolare opera o di quello specifico servizio commissionati da quel determinato committente.
  • Altresì, occorre l’esistenza di un credito di lavoro in capo ai suddetti lavoratori, inadempiuto da parte dell’appaltatore-datore di lavoro e, contestualmente, l’esistenza di un credito dell’appaltatore verso il committente in relazione all’esecuzione dell’opera o del servizio commissionatigli.

Qualora ricorrano tutti questi elementi, la legge prevede che i lavoratori, mediante l’esercizio di un’azione contro il committente, possano conseguire direttamente da quest’ultimo la minor somma fra quella che è loro dovuta in conseguenza del rapporto di lavoro e quella che è dovuta all’appaltatore dal medesimo committente in relazione al contratto di appalto stipulato dalle parti.

Dal giorno in cui è proposta la domanda (che non è necessariamente quella giudiziale) e fino a quello del definitivo pagamento, all’iniziale rapporto di credito fra l’appaltatore ed il committente si affianca un nuovo e connesso rapporto, quello fra gli ausiliari dell’appaltatore e il committente.

Il committente, pertanto, diventa, per espressa volontà della legge, diretto debitore dei lavoratori in aggiunta all’appaltatore-datore di lavoro, unico originario debitore.

La ratio della disposizione di legge è quella di garantire agli ausiliari dell’appaltatore, proprio in relazione ad un’attività lavorativa prestata per l’esecuzione dell’opera o del servizio appaltati al loro datore di lavoro, il pagamento della retribuzione dovuta per quella determinata attività, in modo da sottrarre il soddisfacimento del relativo diritto al rischio dell’insolvenza del debitore.

In tal caso il giudice deve accertare la responsabilità solidale di entrambi gli obbligati, ma l’azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l’infruttuosa escussione del patrimonio dell’appaltatore. L’eccezione può essere sollevata anche se l’appaltatore non è stato convenuto in giudizio, ma in tal caso il committente imprenditore o datore di lavoro deve indicare i beni del patrimonio dell’appaltatore sui quali il lavoratore può agevolmente soddisfarsi. Il committente imprenditore o datore di lavoro che esegue il pagamento può esercitare l’azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali.

Pertanto, laddove venga accertata la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, l’azione esecutiva nei confronti del committente potrà essere intentata solo dopo l’infruttuosa escussione del patrimonio dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori.

A questa impostazione, l’art. 28, co. 2, D.Lgs. 175/2014, ha aggiunto che il committente che ha eseguito il pagamento è tenuto, se previsto, ad assolvere gli obblighi del sostituto d’imposta.

In materia è intervenuta anche la Corte Costituzionale
Corte Costituzionale, sentenza n. 254 del 7 dicembre 2017

la quale ha affermato che alla subfornitura industriale si applica lo stesso regime di responsabilità solidale previsto dalla legge Biagi (Dlgs 276/2003) per i committenti dell’appalto di servizi, in relazione ai crediti retributivi e contributivi dei dipendenti degli appaltatori.

Con questo principio, contenuto nella sentenza 254/2017, la Corte costituzionale amplia in misura rilevante l’ambito di responsabilità delle imprese che esternalizzano in tutto o in parte un processo produttivo ricorrendo alla subfornitura, il contratto (disciplinato dalla legge 192/1998) con il quale un’azienda committente si avvale di un’impresa fornitrice per la produzione di prodotti finiti o semilavorati.

Infine, è stato, specificato, da ultimo dalla Cassazione

Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza 13 febbraio 2019, n. 4237.

visti il susseguirsi degli interventi normativi che nella successione delle disposizioni diversamente regolanti, alla stregua di solidarietà in senso stretto ovvero sussidiaria (per la previsione di un beneficio di escussione), in caso di appalto di opere o di servizi, la responsabilità del committente imprenditore o datore di lavoro con l’appaltatore, ai sensi dell’art. 29, secondo comma d.lg. 276/2003, si applica, per la sua natura sostanziale, il regime di solidarietà vigente al momento di assunzione dell’obbligazione, e quindi di insorgenza del credito del lavoratore.

D) I caratteri principali della prestazione dell’appaltatore

È un’obbligazione di risultato

perché l’interesse del committente è diretto non certo al comportamento dell’appaltatore, ma alla compiuta realizzazione dell’opera o del servizio.

È una prestazione di fare

e l’eventuale accessoria prestazione di dare ha normalmente una funzione meramente strumentale.

Non è necessario che l’appaltatore esegua personalmente i lavori, potendo egli servirsi, nell’esecuzione, della collaborazione di altri soggetti.

È una prestazione indivisibile

è più precisamente una prestazione soggettivamente indivisibile, perché ha per oggetto un bene (l’opera o il servizio) non suscettibile di divisione per il modo in cui è stato considerato dalle parti contraenti, anche nei casi in cui sia oggettivamente possibile in frazionamento.

È un’obbligazione da eseguirsi in regime di autonomia

come risulta dalla nozione data dall’art. 1655 c.c., all’appaltatore compete l’organizzazione dei mezzi necessari al compimento dell’opera o del servizio e la gestione dell’impresa a proprio rischio. Da ciò deriva che egli, nell’esecuzione del suo lavoro, gode di una sfera più o meno ampia di autonomia, nel senso che il suo lavoro ed il conseguimento del risultato sono sottratti alla subordinazione verso il committente.

Ma se l’autonomia relativa alla gestione economica dell’impresa è assoluta, quella tecnica, è invece, limitata in particolare dagli artt. 1661 e 1662 c.c., i quali prevedono il potere del committente di apportare, entro certi limiti, variazioni al progetto originario e di controllare lo svolgimento dei lavori.

É necessario che l’appaltatore goda di un certo grado di autonomia nella esecuzione, di modo che il committente non sia chiamato a rispondere verso i terzi dell’esecuzione delle opere de quibus, salvo l’ipotesi in cui sia possibile configurare in capo al committente una culpa in eligendo .

Rebus sic stantibus, è evidente che laddove l’appaltatore esegua l’opera o il servizio sotto la diretta direzione del committente, senza alcun margine di autonomia e correlativo rischio d’impresa, assumendo, cioè, la qualifica di nudus minister, si assiste a una snaturazione del contratto di appalto, il quale, per taluni [32] potrebbe essere assimilato ad un rapporto di lavoro subordinato ovvero, per altri[33] a una forma di appalto a regia.

Per la Cassazione [34] nel cosiddetto appalto «a regia», il controllo esercitato dal committente sull’esecuzione dei lavori esula dai normali poteri di verifica ed è così penetrante da privare l’appaltatore di ogni margine di autonomia, riducendolo a strumento passivo dell’iniziativa del committente, sì da giustificarne l’esonero da responsabilità per difetti dell’opera, una volta provato che abbia assunto il ruolo di «nudus minister» del committente.

Appalto a regia

non è pertanto appalto in senso tecnico; in base al quale l’appaltatore è un nudus minister e si differenzia in:

  1. regia semplice esegue un’opera sotto la direzione del committente che gli corrisponde una somma fissa
  2. regia cointeressata una percentuale sul valore dell’opera.

Le modalità di esecuzione

  1. ex 1375 c.c. il contratto deve essere eseguito secondo buona fede;
  2. ex 1662, II comma, c.c. la sua esecuzione non procede secondo le condizioni stabilite dal contratto e a regola d’arte;
  3. ex 1667, c.c. l’appaltatore è tenuto alla garanzia per la difformità e i vizi dell’opera.

Quanto al luogo – bisogna distinguere

1) quello in cui l’appalto deve essere eseguito da quello

2) in cui l’opera deve essere consegnata

  1. Negli appalti immobiliari –
    • l’indicazione del luogo in cui l’appalto deve essere eseguito non può evidentemente mancare, altrimenti il contratto deve considerarsi nullo per indeterminatezza assoluta dell’oggetto, in quanto non si può certo ritenere che l’appaltatore sia libero di costruire l’edifico dove preferisca;
    • il luogo della consegna coinciderà con quello dell’esecuzione, salva l’ipotesi che le parti stabiliscano che la consegna sia simbolica e non reale.
  2. Negli appalti mobiliari –
    • non è necessario indicare il luogo dell’esecuzione perché, se non è stabilito diversamente dalle parti, esso è rimesso alla discrezionalità dell’appaltatore (art. 1182 I comma, c.c., in quanto dipende dalla natura della prestazione);
    • in quanto al luogo della consegna, troverà applicazione, in mancanza di un’espressa normativa in tema di appalto, l’art. 1182, I comma e IV comma c.c.

Per la S.C. [35] l’obbligazione di pagamento del corrispettivo dell’appalto deve essere adempiuta a norma dell’art. 1182, terzo comma, c.c., al domicilio del creditore.

Quanto al tempo – che non costituisce elemento essenziale dell’appalto, troveranno applicazione, nel caso di mancata previsione nel contratto, le regole contenute nell’art. 1183 c.c.

 

Proroga del termine finale

E’ riconosciuta all’appaltatore quando il termine non è stato rispettato a causa di variazioni apportate al progetto in corso d’opera ovvero a circostanze ed eventi sopravvenuti non imputabili, come gli eventi naturali (pioggia, terremoto, epidemie ecc. ecc.)

 

Obbligo di fornire i materiali

art. 1658 c.c.   fornitura della materia

la materia necessaria a compiere l’opera deve essere fornita dall’appaltatore, se non è diversamente stabilito dalla convenzione o dagli usi.

            Sul punto è necessario chiarire, come ha avuto modo di fare la Cassazione [36], la responsabilità dell’appaltatore per i difetti dell’opera, in caso di sua accettazione senza riserve dei materiali forniti dal committente, sussiste anche nell’ipotesi in cui i predetti materiali, sebbene nè difettosi nè inadatti, richiedano tuttavia per la loro corretta utilizzazione l’osservanza di una particolare procedura, il cui eventuale apprendimento è a carico dell’appaltatore stesso ed è esigibile al pari del possesso delle ordinarie nozioni dell’arte.

Obbligo di custodia e detenzione

qualora i materiali siano forniti dal committente, l’appaltatore ha tra i suoi obblighi accessori quelli di custodirli dal momento in cui gli sono consegnati fino al momento in cui li impiega nell’opera.

Quest’obbligo si basa sulla funzione stressa del contratto di appalto, in quanto la custodia dei materiali è inscindibilmente legato, sotto il profilo strumentale, all’obbligazione primaria di compiere l’opera

Obbligo d’indagine sulla natura e consistenza del suolo

            Difatti secondo la S.C.[37] l’indagine sulla natura e consistenza del suolo sul quale deve essere realizzato un fabbricato non rientra nell’attività di direzione dei lavori, che consiste nella verifica — concretantesi in un’attività intellettuale esplicata mediante visite periodiche e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa e nella emanazione delle disposizioni necessarie alla esecuzione dell’opera — della conformità dell’opera stessa al progetto e alle indicazioni del committente. La predetta indagine, implicante una specifica attività conoscitiva da svolgersi con l’uso di particolari mezzi tecnici, spetta all’appaltatore, quale soggetto obbligato a realizzare l’opera commessagli mettendo a disposizione la propria organizzazione, e che, pertanto, risponde dei vizi della costruzione dipendenti dal cedimento delle fondazioni dovuto alle caratteristiche geologiche del suolo. In solido con l’appaltatore risponderà, ove risulti che i predetti vizi dipendano da una progettazione inadeguata alle predette condizioni geologiche del terreno, anche il progettista.

Ancora, secondo ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 26 febbraio 2020, n. 5144.

nell’appalto, sia pubblico che privato, rientra tra gli obblighi dell’appaltatore, senza necessità di una specifica pattuizione, il controllo della validità tecnica del progetto fornito dal committente, anche in relazione alle caratteristiche del suolo su cui l’opera deve sorgere, posto che dalla corretta progettazione, oltre che dall’esecuzione dell’opera, dipende il risultato promesso, sicché la scoperta in corso d’opera di peculiarità geologiche del terreno tali da impedire l’esecuzione dei lavori, non può essere invocata dall’appaltatore per esimersi dall’obbligo di accertare le caratteristiche idrogeologiche del terreno sul quale l’opera deve essere realizzata e per pretendere una dilazione o un’indennizzo, essendo egli tenuto a sopportare i maggiori oneri derivanti dalla ulteriore durata dei lavori, restando la sua responsabilità esclusa solo se le condizioni geologiche non siano accertabili con l’ausilio di strumenti, conoscenze e procedure normali.

D) LA RESPONSABILITÀ CIVILE DELL’APPALTATORE

1) Responsabilità comune nei confronti del committente

troveranno, perciò, applicazione i rimedi generali per l’inadempimento:

  • risoluzione per inadempimento – artt. 1453 e ss., c.c.[38]
  • esecuzione forzata degli obblighi di fare (ex 2931 c.c.) –
  • inadempimento parziale determina la risoluzione totale – con dispensa dall’obbligo di pagamento del prezzo, ma naturalmente, non potrà ottenere la parte dell’opera eseguite che resta all’appaltatore.

Le disposizioni speciali in tema di inadempimento del contratto di appalto (artt. 1667, 1668, 1669 c.c.) integrano, ma non escludono i principi generali in tema di inadempimento contrattuale, che sono applicabili quando non ricorrano i presupposti delle norme speciali, nel senso che la comune responsabilità dell’appaltatore ex art. 1453 e 1455 c.c. sorge allorquando egli non esegue integralmente l’opera o, se l’ha eseguita, si rifiuta di consegnarla o vi procede con ritardo rispetto al termine di esecuzione pattuito, mentre la differente responsabilità dell’appaltatore inerente alla garanzia per vizi o difformità dell’opera, previste dagli artt. 1667 e 1668 c.c., ricorre quando il suddetto ha consegnato un’opera completa ma affetta da vizi o non conforme e così ha violato le prescrizioni pattuite per l’esecuzione dell’opera o le regole imposte dalla tecnica. Pertanto, in caso di omesso completamento dell’opera (anche se questa, per la parte eseguita, risulti difettosa o difforme), non è consentito, al fine di accertare la responsabilità dell’appaltatore, per inesatto adempimento, far ricorso alla disciplina della suindicata garanzia, che richiede necessariamente il totale compimento dell’opera [39].

Un caso particolare riguarda la costruzione immobiliare su suolo del committente, perché l’opera nasce direttamente di proprietà di quest’ultimo, che ne acquista la titolarità per accessione [40] a titolo originario, via via che i materiali vengono incorporati al suolo (art. 934 c.c.).

Se, ad es., l’appaltatore costruisce soltanto lo scheletro della villa appaltata, il committente potrà richiedere la risoluzione totale del contratto per inadempimento e, perciò, non dovrà, pagare il prezzo, ma non dovrà restituire la parte dell’opera eseguita, ormai divenuta sua per accessione.

Infatti, come disciplinato in una pronuncia di merito [41], nel contratto di appalto il committente può rifiutare l’adempimento parziale oppure accettarlo, secondo la propria convenienza per cui, nel caso in cui la parziale o inesatta esecuzione sia tale da giustificare la risoluzione, ciò non impedisce al committente di trattenere la parte del manufatto realizzato e provvedere direttamente al completamente e all’eliminazione degli eventuali difetti riscontrati, chiedendo successivamente al Giudice l’accertamento del diritto al risarcimento dei danni. Tale pretesa risarcitoria ben può tradursi nella riduzione del prezzo convenuto, in ragione sia del valore del manufatto, che dell’ammontare delle spese sostenute per portare a compimento l’opera.

 

2) Responsabilità contrattuale speciale verso il committente

L’obbligazione principale consiste nel compimento dell’opera secondo le modalità e le condizioni dedotte all’interno del contratto, nonché secondo la cd. regola d’arte.

La regola d’arte è un concetto, spesso inserito nei capitolati speciali, volutamente generico: rifugge infatti da puntuali prescrizioni, in quanto deve adeguarsi allo sviluppo raggiunto dalle capacità tecniche e scientifiche in un certo momento storico, in cui appunto l’appaltatore è chiamato a eseguire l’opera. L’esecuzione di quest’ultima a regola d’arte, peraltro, si richiama ai noti canoni della diligenza, prudenza e perizia che accompagnano il contenuto di qualunque prestazione obbligatoria. In capo all’appaltatore gravano particolari responsabilità di cui agli artt. 1667, 1668 e 1669 c.c. (si tratta, come si avrà modo di leggere, della garanzia per difformità e vizi e per rovina e difetti di immobili) che formano l’oggetto delle obbligazioni di garanzia cui questi è tenuto nei confronti del committente.

Per la Cassazione [42] la responsabilità propria dell’appaltatore, in relazione allo speciale contenuto delle obbligazioni nascenti a suo carico dal contratto di appalto, sussiste anche nell’ipotesi in cui la sua sfera di autonomia e discrezionalità venga limitata dal controllo e dall’ingerenza del committente e dalle istruzioni dal medesimo impartite, direttamente o tramite il direttore dei lavori, tale sfera di autonomia dovendosi ritenere esclusa nel solo caso in cui ingerenza ed istruzioni abbiano una continuità ed una analiticità tali da elidere, nell’esecutore, ogni facoltà di vaglio, di guisa che il rapporto di appalto si trasforma, ipso facto, in un rapporto di lavoro subordinato.

Pertanto, l’autonomia e la responsabilità dell’appaltatore nell’esecuzione dell’opera non vengono meno per il solo fatto che egli abbia ottemperato a specifiche richieste o a direttive del committente, sia perché tale circostanza non è idonea a trasformarlo in nudus minister di quest’ultimo, sia perché egli, comunque, non è tenuto a seguire supinamente direttive che importino lesioni di diritti assoluti dei terzi, ai quali non può opporre di aver cagionato il danno nella esecuzione degli obblighi contrattuali assunti verso il committente.

Inoltre [43], il principio, secondo cui l’appaltatore, anche quando sia chiamato a realizzare un progetto altrui sotto il controllo e la vigilanza di un tecnico designato dal committente (e salvo il caso eccezionale di esclusione contrattuale di ogni suo potere di iniziativa e valutazione critica), è tenuto non solo ad eseguire a regola d’arte il progetto a cui è chiamato a dare esecuzione, ma anche a controllare, con la diligenza richiesta dal caso concreto e nei limiti delle cognizioni tecniche da lui esigibili, la congruità e completezza dello stesso, segnalando al committente gli eventuali errori riscontrati, trova applicazione anche quando l’errore progettuale consiste nella mancata previsione di accorgimenti o manufatti necessari per rendere le opere appaltate tecnicamente valide e funzionali rispetto alle esigenze del committente.

Ancora, per la stessa Corte di Legittimità [44] l’appaltatore, anche quando sia chiamato a realizzare un progetto altrui, è sempre tenuto a rispettare le regole dell’arte ed è soggetto a responsabilità anche in caso di ingerenza del committente.

Ne consegue che la responsabilità dell’appaltatore, con il conseguente obbligo risarcitorio, non viene meno neppure in caso di vizi imputabili ad errori di progettazione o direzione dei lavori se egli, accortosi del vizio, non lo abbia tempestivamente denunziato al committente manifestando formalmente il proprio dissenso, ovvero non abbia rilevato i vizi pur potendo e dovendo riconoscerli in relazione alla perizia ed alla capacità tecnica da lui esigibili nel caso concreto.

Con recente intervento la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, 2 marzo 2015, n. 4161

ha ribadito che l’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità, soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo; pertanto, in mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori (cfr. Cass. 21.5.2012, n. 8016)

Ancora secondo ultima pronuncia della Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 8 luglio 2016, n. 14071

l’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale “nudus minister”, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista.

Altra recente sentenza della Cassazione

Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 30 settembre 2016, n. 19378

ha avuto modo di precisare che la responsabilità dell’appaltatore per i danni causati ai beni del committente nell’esecuzione di lavori ordinatigli non può essere esclusa per il solo fatto che le operazioni fonte di danno fossero estranee all’oggetto dell’appalto.

Ulteriormente, è stato da ultimo specificato che
Corte di Cassazione, sezione seconda civile, ordinanza 21 settembre 2017, n. 21959

l’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, e’ obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bonta’ del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, puo’ andare esente da responsabilita’, soltanto, se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale “nudus minister”, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova, l’appaltatore e’ tenuto, a titolo di responsabilita’ contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, ne’ l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori.

 

  • Per quanto riguarda la natura giuridica di tale responsabilità
  • la prima opinione [45] si basa sulla lettera della legge, interpretandola nel senso che l’appaltatore è tenuto a sopportare le spese necessarie per eliminare le difformità o i vizi anche se non siano imputabili a sua colpa, la quale è richiesta soltanto per l’eventuale risarcimento del danno.
  • Prevale nettamente sia in dottrina [46] che in giurisprudenza [47] la seconda opinione per la quale la fattispecie in esame non è altro se non un’ipotesi di responsabilità contrattuale per inadempimento, sia pure con numerose particolarità, come vedremo, rispetto alle regole comuni.

La colpa dell’appaltatore si presume fino a prova contraria.

Secondo una pronuncia di merito [48] in materia di appalto, in capo all’appaltatore sussiste una responsabilità di tipo contrattuale e la diligenza con la quale lo stesso è tenuto ad operare è di tipo professionale, dovendo valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata. Le obbligazioni cui è tenuto l’appaltatore sono identificate dall’art. 1655 c.c. nel compimento di un’opera verso il corrispettivo in danaro ed il committente, nei casi più gravi di inadempimento dell’appaltatore, può ottenere la risoluzione del contratto, facendo sempre salva la possibilità di chiedere il risarcimento del danno. In materia di appalto la responsabilità per i vizi e le difformità dell’opera trova applicazione soltanto nell’ipotesi in cui l’opera sia stata completata ma presenti vizi, difformità o difetti. Nel caso in cui invece, l’appaltatore non abbia portato a termine l’esecuzione dell’opera commissionata, restando inadempiente all’obbligazione assunta con il contratto, la disciplina applicabile nei suoi confronti è quella generale in materia di inadempimento contrattuale, dettata dagli artt. 1453 e 1455 c.c.

Bisogna, poi, distinguere

  • vizi e difformità
  • dall’inadempimento parziale

e in via approssimativa è stato affermato [49] che si ha quest’ultimo nel caso che la porzione di materiale mancante avrebbe esplicato una funzione propria, vale a dire, anche se non autonoma, pur sempre individuabile nel vasto quadro della funzione complessiva dell’intera opera; mentre si avrà vizio o difformità dell’opera quando manchi la predetta funzione (si pensi ad un edificio nella cui struttura non è stata impiegata la quantità necessaria di cemento armato).

A) Difformità e vizi dell’opera

[50]

art. 1667 c.c. difformità e vizi dell’opera

l’appaltatore è tenuto alla garanzia per le difformità e i vizi dell’opera. La garanzia non è dovuta se il committente ha accettato l’opera e le difformità o i vizi erano da lui conosciuti o erano riconoscibili, purché in questo caso, non siano stati in mala fede taciuti dall’appaltatore.

Il committente deve, a pena di decadenza , denunziare all’appaltatore le difformità o i vizi [non conosciuti o non facilmente riconoscibili] entro 60 giorni dalla scoperta. La denunzia non è necessaria se l’appaltatore ha riconosciuto le difformità o i vizi o se li ha occultati.

L’azione contro l’appaltatore si prescrive in due anni dal giorno della consegna dell’opera. Il committente convenuto per il pagamento può sempre far valere la garanzia, purché le difformità o i vizi siano stati denunziati entro sessanta giorni dalla scoperta e prima che siano decorsi i due anni dalla consegna (att. 181).

 

La valutazione delle difformità o dei vizi dell’opera agli effetti della risoluzione del contratto di appalto è di natura oggettiva, ma può essere effettuata con criteri soggettivi, solo se la possibilità di un particolare impiego o di una particolare destinazione o finalità dell’opera sia stata contemplata nel negozio [51].

Allorché l’appaltatore eccepisca la decadenza del committente dalla garanzia di cui all’art. 1667 c.c. per i vizi dell’opera, incombe su questi l’onere di dimostrare di averli tempestivamente denunziati, costituendo tale denuncia una condizione dell’azione [52].

Non è necessaria una denuncia specifica ed analitica delle difformità e dei vizi dell’opera, tale da consentire l’individuazione di ogni anomalia di quest’ultima, essendo, per converso, sufficiente ad impedire la decadenza del committente dalla garanzia cui è tenuto l’appaltatore una pur sintetica indicazione delle difformità suscettibile di conservare l’azione di garanzia anche con riferimento a quei difetti accertabili, nella loro reale sussistenza, solo in un momento successive [53].

 

  • Il Riconoscimento

Il riconoscimento da parte dell’appaltatore dei vizi e delle difformità dell’opera, agli effetti dell’art. 1667, secondo comma, c.c., non richiede la confessione giudiziale o stragiudiziale della sua responsabilità, né formule sacramentali e può, pertanto, manifestarsi per fatti concludenti, essendo sufficiente, affinché l’eccezione di decadenza del committente dalla garanzia per vizi possa ritenersi rinunciata e preclusa, che l’appaltatore abbia tenuto, nel corso del giudizio di primo grado, un comportamento incompatibile con la volontà di avvalersi di detta decadenza [54].

La Cassazione [55] ha avuto modo di precisare che il riconoscimento dei vizi della res, da parte dell’appaltatore, oltre a rendere superflua la tempestiva denuncia da parte del committente, comporta l’assunzione di una nuova obbligazione, sempre di garanzia, diversa da quella originaria, svincolata dai termini di decadenza e soggetta al solo termine prescrizionale ordinario.

Principio confermato anche da ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 22 ottobre 2015, n. 21525

secondo cui, appunto, dal riconoscimento dei vizi dell’opera da parte dell’appaltatore discende l’assunzione, da parte dell’appaltatore stesso, di una nuova obbligazione svincolata dai termini di decadenza e soggetta all’ordinario termine di prescrizione di dieci anni

Tale risultato – con la soggezione al solo termine prescrizionale ordinario – possa essere perseguito anche senza ricorrere all’artificio giuridico della novazione della originaria obbligazione di garanzia dando seguito, anche in materia di appalto, alla giurisprudenza della medesima Corte [56] enunciata in materia di compravendita.

In questo senso, attraverso il richiamo alle regole di cui agli artt. 1176 c.c. in tema di diligenza nell’adempimento e 2058 c.c. in tema di adempimento in forma specifica, utilizzabile anche nell’ambito del contratto di appalto [57], l’impegno sostitutivo riparatorio può finire per essere ricompreso all’interno del momento funzionale del rapporto obbligatorio, con esclusione della necessità di ricorrere alla novazione dell’originario rapporto.

L’impegno dell’appaltatore – attivatosi per l’eliminazione dei vizi – non rappresenta, infatti, un quid novi con effetto estintivo/modificativo della garanzia, ma semplicemente un quid pluris che serve ad ampliarne le modalità di attuazione, nel senso di consentire al committente di essere svincolato dalle condizioni e dai termini di cui all’art. 1667 c.c., come la prescrizione biennale rispetto a quella decennale.

In sostanza l’appaltatore – con l’assunzione dell’attività diretta all’eliminazione dei vizi – pone in essere un comportamento finalizzato a fare ottenere al committente il risultato che egli aveva il diritto di conseguire fin dalla conclusione del contratto di appalto; ovvero il suo esatto adempimento.

Ed allora, non può ragionevolmente escludersi che il riconoscimento operoso – sia pure implicito, attraverso una condotta finalizzata ad ottenere l’esatto adempimento della prestazione ed il conseguimento del risultato per il committente – dell’appaltatore sia idoneo ad esaurire definitivamente, sul piano funzionale, una fase del rapporto fra le parti, ivi comprese le limitazioni temporali connesse con le esigenze di stabilità negoziale, con la sostituzione, agli originari termini dell’ordinaria regula iuris della prescrizione ordinaria, derivante dal nuovo assetto di interessi, diritti ed obblighi (riparazione/sostituzione) delle parti.

  • Profili processuali della garanzia per difformità e vizi: art. 1667, comma III, c.c.

L’art. 1667, comma III, c.c., prevede che il committente possa far valere la garanzia che vanta nei confronti dell’appaltatore anche nelle ipotesi in cui sia convenuto in giudizio da quest’ultimo per il pagamento del corrispettivo: ciò a condizione che le difformità o i vizi de quibus siano stati denunciati nei sessanta giorni dalla loro scoperta e non siano decorsi più di due anni dalla consegna dell’opera. Sul punto va segnalata la diversità di opinioni che si registra in dottrina quanto nella giurisprudenza: taluni sostengono che la norma comprende anche la possibilità del committente di far valere la garanzia in via riconvenzionale, altri ritengono invece che la garanzia possa esercitarsi solo in via di eccezione.

A riguardo, ci si limita ad opinare che non vi sono ragioni per escludere la possibilità del committente-convenuto di far valere la garanzia in via riconvenzionale: il fatto che, anche in tale ipotesi, rimanga valido il termine di prescrizione biennale previsto per l’azione in via principale, induce a escludere che la norma de qua faccia esclusivo riferimento a una mera eccezione. Peraltro, qualora si aderisse a tale ultima prospettazione, ci si troverebbe innanzi a una superfetazione normativa: la relativa eccezione, da ricondursi al principio inadimplenti non est adimplendum, è già prevista dall’art. 1460 c.c., norma applicabile a qualsivoglia contratto con prestazioni corrispettive, dunque anche al contratto d’appalto.

É stato anche sottolineato [58] che la denuncia tempestiva dei vizi o delle difformità dell’opera costituisce una necessaria condizione dell’azione di garanzia; ma, da ciò non deriva che il giudice sia tenuto, anche in difetto di contestazione, ad accertare di ufficio l’eventuale intempestività della denuncia, poiché non può essere rilevata di ufficio, in contrasto con il disposto dell’art. 2969 c.c., una decadenza in materia non sottratta alla disponibilità delle parti.

B) Contenuto della garanzia per difformità e vizi

[59]

 

art. 1668 c.c. contenuto della garanzia per difetti dell’opera

il committente può chiedere che le difformità o i vizi siano eliminati a spese dell’appaltatore, oppure che il prezzo sia proporzionalmente diminuito, salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell’appaltatore.

Se però le difformità o i vizi dell’opera sono tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, il committente può chiedere la risoluzione del contratto (1453 c.c.).

            Ai fini della risoluzione del contratto d’appalto per vizi e difetti dell’opera si richiede un inadempimento più grave (di quello richiesto secondo i principi generali), in considerazione della particolare irreversibilità dell’obbligazione posta a carico dell’appaltatore, così che la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto d’appalto è ammessa nella sola ipotesi in cui l’opera realizzata, globalmente considerata, sia assolutamente inadatta alla destinazione sua propria, in quanto affetta da vizi e difetti che incidono in misura determinante sulla struttura e funzionalità della stessa, impedendone la normale utilità.

            In caso diverso, e cioè qualora i vizi ed i difetti siano facilmente e sicuramente eliminabili, il committente può solo richiedere uno dei provvedimenti previsti dal primo comma dell’art. 1668 c.c. ed il risarcimento del danno.

            L’art. 1668 c.c. identifica tre distinti rimedi a tutela del committente:

  • la materiale eliminazione delle difformità o dei vizi;
  • la proporzionale riduzione del prezzo;
  • il risarcimento del danno.

            Per difformità si intende una qualsivoglia deviazione che l’opera presenti rispetto a quanto previsto, in ordine al suo compiuto risultato, nel contratto; per vizi, invece, si intendono quei difetti che derivano dalla realizzazione dell’opera non a regola d’arte, ovvero con modalità inidonee a ottenere il risultato voluto e, così, indicato nel contratto.

            Per quanto attiene ai vizi, in particolare, si deve distinguere tra vizi palesi e vizi occulti: la distinzione è di primario rilievo, in quanto incide sull’atteggiarsi dell’obbligo di garanzia.

            Nell’ipotesi di vizi palesi cioè di vizi conosciuti o, quantomeno, riconoscibili secondo un grado di diligenza media la garanzia non è dovuta, se il committente ha scientemente accettato l’opera: ne deriva, pertanto, che i vizi palesi devono essere fatti valere al più in sede di accettazione, pena la decadenza dal relativo diritto alla garanzia.

            Nell’ipotesi di vizi occulti, invece, proprio perché si è in presenza di vizi che esulano in sede di verifica e collaudo dall’ordinaria diligenza del committente, l’accettazione dell’opera non libera l’appaltatore dalla garanzia cui è tenuto [60].

            Detto in altri termini in tema di garanzia nell’appalto, occorre distinguere tra vizi conosciuti o riconoscibili (c.d. apparenti) e vizi non riconoscibili (cd. occulti): l’obbligo della denuncia si riferisce soltanto ai vizi occulti, mentre quelli apparenti, o si fanno valere in sede di verifica/accettazione, o si perde il diritto alla garanzia giacché l’accettazione dell’opera senza riserve determina un fatto impeditivo al sorgere della responsabilità ex art. 1667 c.c. [61].

            Per Giurisprudenza consolidata [62], poi, ai fini della risoluzione del contratto di appalto per i vizi dell’opera si richiede un inadempimento più grave di quello richiesto per la risoluzione della compravendita per i vizi della cosa, atteso che, mentre per l’art. 1668, comma II, c.c. la risoluzione può essere dichiarata soltanto se i vizi dell’opera sono tali da renderla del tutto inidonea alla sua destinazione, l’art. 1490 c.c. [63] stabilisce che la risoluzione va pronunciata per i vizi che diminuiscano in modo apprezzabile il valore della cosa, e ciò in aderenza alla norma generale di cui all’art. 1455 c.c., secondo cui l’inadempimento non deve essere di scarsa importanza avuto riguardo all’interesse del creditore.

            Pertanto, la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto di appalto è ammessa nella sola ipotesi in cui l’opera, considerata nella sua unicità e complessità, sia assolutamente inadatta alla destinazione sua propria in quanto affetta da vizi che incidano in misura notevole sulla struttura e funzionalità della medesima si da impedire che essa fornisca la sua normale utilità, mentre, se i vizi e le difformità sono facilmente e sicuramente eliminabili, il committente può solo richiedere, a sua scelta, uno dei provvedimenti previsti dal primo comma dell’articolo 1668 c.c., salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell’appaltatore.

            La responsabilità dell’appaltatore regolata dall’art. 1668 c.c. è stata estesa [64] anche alla mancanza di qualità (essenziali o pattuite), non essendo ipotizzabile una diversità di disciplina tra le predette ipotesi, che in egual modo concretano forme di inadempimento contrattuale dell’appaltatore.

            La valutazione delle difformità o dei vizi, come già scritto, deve avvenire in base a criteri obiettivi, ossia considerando la destinazione che l’opera riceverebbe dalla generalità delle persone, mentre deve essere compiuta con criteri subiettivi quando la possibilità di un particolare impiego o di un determinato rendimento siano dedotti in contratto.

            Incombe, poi, al committente l’onere probatorio in ordine alla sussistenza dei vizi dedotti a fondamento della domanda di risoluzione del contratto di appalto, mentre compete all’appaltatore addurre l’esistenza di eventuali cause che impediscano al committente di far valere il suo diritto.

            Se, poi, le parti hanno chiesto utili mezzi di prova a sostegno delle rispettive tesi, il giudice deve prendere in considerazione le relative richieste qualora l’espletamento dei mezzi di prova possa fornire elementi per un più completo accertamento delle situazioni di fatto influenti sul giudizio.

            È stato, infine, osservato dalla Cassazione [65] in caso di materiali acquistati dall’appaltatore presso terzi e messi in opera in esecuzione del contratto, che il committente si trova, rispetto a tali materiali, in una posizione analoga a quella dell’acquirente successivo nell’ipotesi della cd. «vendita a catena», potendosi, conseguentemente, configurare, in suo favore, due distinte fattispecie di azioni risarcitorie: quella contrattuale (esperibile soltanto nei confronti del «venditore immediato», e cioè dell’appaltatore), in quanto, nonostante l’identità dell’oggetto e del contenuto delle rispettive obbligazioni, ciascuna vendita conserva la propria autonomia strutturale, sicché non è consentito trasferire nei confronti dei precedenti venditori l’azione risarcitoria dell’acquirente danneggiato (ciò che legittima, poi, l’appaltatore, in quanto rivenditore ultimo, ed ogni rivenditore precedente, a rivolgersi al proprio venditore per essere tenuto indenne di quanto versato al subacquirente ove quanto dovuto a quest’ultimo debba considerarsi parte integrante del danno subito per la violazione degli obblighi contrattuali assunti dal precedente venditore nei confronti di esso venditore successivo); quella extracontrattuale, con la quale il committente – destinatario finale dei materiali è legittimato a far valere, anziché la responsabilità contrattuale dell’appaltatore (in quanto proprio venditore, o in concorso con essa, relativa ai danni propriamente connessi all’inadempimento in ragione del vincolo negoziale, e deducibili con l’azione contrattuale ex art. 1668 corrispondente, per l’appalto, a quella ex art. 1494 comma II relativa alla compravendita), quella aquiliana del fabbricante in ragione dei danni sofferti per i vizi dei materiali posti in opera in relazione a propri interessi sorti, e svolgentesi al di fuori del contratto di appalto (ed aventi, perciò, natura di diritti assoluti).

  • Eliminazione delle difformità e dei vizi

Sia in dottrina che in giurisprudenza viene sostenuto che l’azione per la eliminazione dei vizi e difetti dell’opera sia accomunabile all’azione di adempimento che spetta ad ogni creditore ex art. 1453, comma I, c.c.

Infatti lo stesso art. 1668 c.c. prevede espressamenteche il committente possa chiedere che i vizi e le difformità siano eliminati a spese dell’appaltatore.

In tal senso la dottrina maggioritaria [66] ha sostenuto sussistere una ulteriore ipotesi di esecuzione di obbligo di fare.

Supponendo che il rimedio della eliminazione dei vizi e difetti a spese dell’appaltatore sia una speciale applicazione dell’azione ex art. 1453, comma I, c.c., il committente non potrà in alcun modo richiedere a terzi la regolare esecuzione dell’opera rivalendosi poi sull’appaltatore per il rimborso delle spese sostenute.

Infatti, il committente sarà tenuto prima ad agire contro l’appaltatore affinché lo stesso provveda ad eliminare il vizio e, solo in caso di rifiuto di quest’ultimo, potrà permettere che un terzo elimini i vizi e difetti a spese dell’appaltatore agendo in executivis ex art. 2931 c.c. e 612 c.p.c.

La Suprema Corte [67] ha sottolineato come la tutela apprestata al committente dall’art. 1668 c.c., si inquadra nell’ambito della normale responsabilità contrattuale per inadempimento e pertanto, qualora l’appaltatore non provveda direttamente all’eliminazione dei vizi e dei difetti dell’opera, il committente, ove non intenda ottenere l’affermazione giudiziale dell’inadempimento con la relativa condanna dell’appaltatore e l’attuazione dei suoi diritti nelle forme dell’esecuzione specifica, può sempre chiedere il risarcimento del danno, nella misura corrispondente alla spesa necessaria all’eliminazione dei vizi, senza alcuna necessità del previo esperimento dell’azione di condanna all’esecuzione specifica.

Con quest’ultima statuizione, per quanto contraria alla costante giurisprudenza e alla dottrina maggioritaria, viene rimessa alla discrezionalità del committente la possibilità di scegliere alternativamente se chiedere all’appaltatore inadempiente la diretta eliminazione dei vizi e difetti o chiedere solo la condanna dell’appaltatore al pagamento delle spese necessarie alla suddetta eliminazione.

In altri termini, nel contratto di appalto, il committente, che lamenti difformità o difetti dell’opera, può richiedere, a norma dell’art. 1668, primo comma, c.c., che le difformità o i difetti siano eliminabili a spese dell’appaltatore mediante condanna da eseguirsi nelle forme previste dall’art. 2931 c.c. , oppure che il prezzo sia ridotto e, in aggiunta o in alternativa, che gli venga risarcito il danno derivante dalle difformità o dai vizi. Tale domanda risarcitoria non si identifica con quella diretta all’attribuzione del risarcimento per equivalente che il committente proponga in subordine alla mancata esecuzione specifica della condanna all’eliminazione delle difformità o dei vizi: la prima, infatti, che postula la colpa dell’appaltatore, è utilizzabile per il ristoro del pregiudizio che non sia eliminabile mediante un nuovo intervento dell’appaltatore (come nel caso di danni a persone o a cose, o di spese di rifacimento che il committente abbia provveduto a fare eseguire direttamente); la seconda, che prescinde dalla colpa dell’appaltatore tenuto comunque alla garanzia, tende a conseguire un minus rispetto alla reintegrazione in forma specifica, della quale rappresenta il sostitutivo legale, mediante la prestazione della eadem res debita, sicché deve ritenersi ricompresa, anche se non esplicitata, nella domanda di eliminazione delle difformità o dei vizi.

Sulla stessa linea altra pronuncia [68] secondo la quale l’azione del committente per il risarcimento dei danni derivanti dalle difformità, i vizi o la mancanza di qualità dell’opera appaltata si aggiunge nel caso di colpa dell’appaltatore a quella diretta all’eliminazione a spese dell’appaltatore delle difformità e dei vizi o alla riduzione del prezzo specificamente prevista dall’art. 1668 c.c.

Le predette azioni non sono surrogabili l’una con l’altra ed in particolare non è consentito ottenere con la domanda di risarcimento dei danni gli effetti dell’azione per l’eliminazione dei vizi, se questa non è stata proposta e neppure è possibile pretendere sotto il profilo del risarcimento (quando non sussistono danni ulteriori cagionati dall’opera difettosa) una riduzione del prezzo maggiore dell’entità del corrispettivo pattuito, salvo il diritto all’eventuale rivalutazione monetatia.

É stato poi, da ultimo, dal Tribunale Euganeo [69] previsto che l’impegno assunto dall’appaltatore o dal prestatore alla eliminazione dei vizi della cosa o dell’opera realizzata, alla stregua di principi generali non dipendenti dalla natura del singolo contratto, costituisce fonte di una autonoma obbligazione di facere, la quale si affianca all’originaria obbligazione di garanzia, senza estinguerla, e rimane, pertanto, soggetto non ai termini di prescrizione e decadenza stabiliti per quella garanzia, ma all’ordinario termine di prescrizione decennale fissato per l’inadempimento contrattuale.

Sul punto la Cassazione [70] ha più volte affermato che l’impegno dell’appaltatore di eliminare i vizi dell’opera oggetto del contratto di appalto comporta l’assunzione di una nuova obbligazione, sempre di garanzia, diversa ed autonoma rispetto a quella originaria, svincolata dai termini di decadenza e prescrizione di cui all’art. 1667 c.c. e soggetta all’ordinario termine prescrizionale di dieci anni. L’impegno dell’appaltatore di provvedere alla eliminazione dei vizi dell’opera si configura come un implicito unilaterale riconoscimento dell’esistenza di tali vizi e comporta, pertanto, la superfluità di una tempestiva denuncia da parte del committente. Se poi il riconoscimento dei vizi è esplicito ricorre una rinunzia a far valere la inoperatività della garanzia prevista dall’art. 1667 c.c. per inosservanza dei termini di decadenza e di prescrizione ivi previsti.

Con ultimo intervento la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, 2 marzo 2015, n. 4161

ha ribadito che qualora l’inadempimento dell’appaltatore si concretizzi in vizi o difformità dell’opera, i rimedi accordati al committente sono quelli previsti dalla norma speciale dell’art. 1668 c.c. (prevalente sulle regole generali dell’art. 1453 c.c.), ai sensi del quale, se il committente medesimo opti per la eliminazione di detti vizi a cura e spese dell’appaltatore, anziché per la riduzione del prezzo, l’azione risarcitoria resta utilizzabile solo in via integrativa, per il pregiudizio che non sia eliminabile attraverso tale nuovo intervento dell’appaltatore (cfr. in tal senso Cass. 27.2.1988, n. 2073).

In questi termini – si continua al eggere nella sentenza in commento – pur ì rimedi speciali di cui all’art. 1668 c.c. devono soggiacere alle regole cardini in tema di risarcimento del danno espresse dagli insegnamenti di questa Corte di legittimità.

A) Ovvero dall’insegnamento a tenore del quale il risarcimento del danno per inadempienza contrattuale deve ristabilire l’equilibrio economico turbato, mettendo il creditore nella stessa situazione economica nella quale si sarebbe trovato se il fatto illecito (inadempienza) non si fosse verificato, e, quindi, la somma liquidata a titolo di risarcimento deve essere equivalente all’effettivo valore dell’utilità perduta (cfr. Cass. 15.4.1980, n. 2458).

B) Ovvero dall’insegnamento a tenore del quale in tema di risarcimento del danno, la compensazione del pregiudizio arrecato e la restaurazione della situazione patrimoniale del soggetto leso non possono risolversi in un vantaggio, dovendo la determinazione delle conseguenze patrimoniali negative limitarsi alla perdita subita ed al mancato guadagno (cfr. Cass. 6.12.1995, n. 12578, ove, sulla scorta dell’affermato principio, si puntualizza che, nel caso in cui il committente, in seguito all’inadempimento del contratto d’appalto, abbia fatto eseguire da altri la prestazione non esattamente adempiuta dall’appaltatore, con il compimento di un’opera di maggior pregio, in virtù dell’impiego di materiali più costosi di quelli previsti nell’originario contratto d’appalto, il risarcimento del danno per l’inadempimento non s’estende a compensare il costo dei materiali più onerosi di quelli pattuiti).

C) Ovvero dall’insegnamento a tenore del quale in tema di appalto il risarcimento del danno in caso di vizi dell’opera appaltata, rimedio alternativo ed autonomo rispetto alle tutele (riduzione del prezzo e risoluzione) approntate a favore del committente dall’art. 1668 c.c., e normalmente consistente nel ristoro delle spese sopportate dall’appaltante per provvedere, a cura di terzi, ai lavori ripristinatoli, deve essere raccordato con la particolare natura dell’opus commissionato; ne consegue che, se l’oggetto dell’appalto sia costituito dalla realizzazione di una res, gli interventi emendativi si rapportano all’opera come sarebbe dovuta risultare, ove realizzata a regola d’arte; mentre, se oggetto dell’appalto sia l’esecuzione di un’attività sul bene del committente, alla luce dei medesimi criteri di proporzionalità tra oggetto dell’appalto e danno, il risarcimento non può concretarsi in un radicale intervento di ripristino della cosa (come avvenuto nella specie, per la messa a punto dei motori di un natante), facendo altrimenti conseguire al danneggiato una res qualitativamente migliore rispetto a quella anteriore, nella quale pure l’originario oggetto dell’appalto viene ricompreso (cfr. Cass. 6.11.2012, n. 19103; cfr. Cass. 4.8.1988, n. 4839, secondo cui, tra l’altro, neppure è possibile pretendere sotto il profilo del risarcimento (quando non sussistano danni ulteriori, cagionati dall’opera difettosa) una riduzione del prezzo maggiore dell’entità del corrispettivo pattuito salvo il diritto alla eventuale rivalutazione monetaria).

Pertanto, la Cassazione ha enunciato il seguente principio:

allorché si esperiscono i rimedi riparatori di cui all’art. 1668, 1 co., c.c. il committente deve conseguire la medesima utilità economica che avrebbe ottenuto se l’inadempimento della appaltatore non si fosse verificato, utilità puntualmente correlata, nei rigorosi limiti del valore dell’opera o del servizio oggetto del contratto, al quantum necessario per l’eliminazione dei vizi e delle difformità che l’opera o il servizio prefigurati in contratto abbiano palesato ovvero al quantum monetario per cui gli stessi vizi e difformità incidano sull’ammontare del corrispettivo in danaro pattuito; giammai invero i rimedi ex art. 1668, 1 co., c.c. possono risolversi nell’acquisizione di un’utilità economica eccedente i termini anzidetti.

E’ stato, poi, specificato dalla medesima Cassazione con altro arresto

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 14 maggio 2015, n. 9879

allorché sia stata proposta una domanda di risarcimento per equivalente in caso di inadempimento dell’appaltatore/prestatore d’opera, ai sensi dell’articolo 1668, 1 comma, ultima parte, c.c., il giudice del merito deve esaminarla anche se con la stessa possano prodursi i medesimi effetti di una non proposta domanda di risarcimento in forma specifica una volta accertati i presupposti soggettivi ed oggettivi tipici della stessa.

Infine, è d’obbligo precisare come previsto anche in una pronuncia di merito [71], che la somma liquidata in favore del committente per la eliminazione dei vizi e difformità dell’opera, a titolo di risarcimento del danno o anche di riduzione del prezzo, ha ad oggetto un debito di valore dell’appaltatore, non soggetto al principio nominalistico.

  • Riduzione del prezzo

Il committente che, deducendo difformità dell’opera eseguita dall’appaltatore, agisce per la riduzione del prezzo, ai sensi dell’art. 1668 c.c., ha l’onere di provare il deprezzamento, non essendo questo un effetto necessario e costante delle difformità dell’opera, a meno che queste difformità non dipendano dall’impiego di materiali meno pregiati di quelli contrattualmente previsti o ad altre cause che per la loro intrinseca natura incidono sul pregio dell’opera; in tal caso la riduzione, che di regola deve essere determinata in base al raffronto del valore e del rendimento dell’opera pattuita con quelli dell’opera difettosamente eseguita, può anche farsi coincidere col costo delle opere necessarie per l’eliminazione delle difformità [72].

Inoltre [73], il committente può rifiutare, ai sensi dell’art. 1181 c.c., l’adempimento parziale oppure accettarlo e, anche se la parziale esecuzione del contratto sia tale da giustificarne la risoluzione, può trattenere la parte di manufatto realizzata e provvedere direttamente al suo completamento, essendo, poi, legittimato a chiedere in via giudiziale che il prezzo sia proporzionalmente diminuito e, in caso di colpa dell’appaltatore, anche il risarcimento del danno. Correlativamente, nel caso in cui la parziale esecuzione del contratto sia imputabile al committente che l’abbia espressamente o tacitamente accettata, l’appaltatore ha il diritto di invocare, secondo la propria convenienza, la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno, ovvero il pagamento del prezzo proporzionalmente ridotto.

Infine [74], è stato chiarito che l’azione di riduzione del prezzo dell’appalto, prevista dall’art. 1668, comma primo, c.c., pur avendo natura diversa da quella di risarcimento dei danni disciplinata dalla medesima norma, costituisce anch’essa un rimedio volto a riparare le conseguenze di un inadempimento contrattuale, sicché la somma liquidata a tale titolo non è soggetta al principio nominalistico ed è, quindi, rivalutabile in relazione al diminuito potere d’acquisto della moneta.

 

  • Risarcimento del danno

 

            Qualora i vizi dell’opera appaltata siano tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, e non siano perciò esperibili né l’azione per l’eliminazione dei vizi stessi, né quella per la diminuzione del prezzo, il committente può esperire la sola azione di risarcimento del danno, qualora non ritenga di chiedere la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1668, secondo comma, c.c. [75].

            É opportune ribadire che in caso di appalto in presenza di vizi costruttivi che non pregiudicano in assoluto la destinazione dell’opera, pur limitandone in modo notevole l’ordinario godimento, il committente può, ai sensi dell’art. 1668 c.c. , agire nei confronti dell’appaltatore anche soltanto con l’azione di risarcimento del danno, (ossia senza chiedere la risoluzione del contratto [76]).

 

  • Profili processuali

 

            La scelta tra la riduzione del prezzo o l’azione di eliminazione dei vizi spetta chiaramente al committente e, mentre la domanda di riduzione del prezzo può essere proposta subordinatamente alla domanda di eliminazione dei vizi, non pare ammissibile il contrario [77].

            Neppure l’ammessa variazione in corso di giudizio, entro i limiti preclusivi di cui all’art. 183 c.p.c. e dei termini per le memorie autorizzate, da azione di riduzione del prezzo a domanda di eliminazione dei vizi.

            Dunque, se è stata domandata la riduzione del prezzo deve intendersi che il committente abbia rinunciato a domandare l’eliminazione dei vizi ad opera dell’appaltatore.

            Secondo la Corte di Piazza Cavour [78] la scelta prevista dall’art. 1668 c.c. tra l’eliminazione delle difformità o dei vizi dell’opera a spese dell’appaltatore e la riduzione proporzionale del prezzo può essere effettuata anche in corso di causa: conseguentemente, nell’ipotesi in cui le contestazioni tra le parti siano state sottoposte ad un collegio arbitrale, la scelta suddetta, per la completa rinnovazione del giudizio dinanzi al giudice ordinario in conseguenza dell’annullamento del lodo, ben può essere effettuata per la prima volta in sede rescissoria, senza che possa ravvisarsi alcuna preclusione nel precedente comportamento processuale dinanzi agli arbitri e senza che possa esser d’ostacolo la sentenza rescindente, la quale, tranne che nel caso in cui decida specificamente, nel merito, una determinata questione, non crea tra le parti alcun giudicato implicito che possa porre dei limiti a successive pronuncie di merito da emettersi in sede rescissoria.

            Al fine della riduzione del prezzo appare importantissimo distinguere il vizio dalla difformità, in quanto nel primo caso vi è sempre una diminuzione del valore e di rendimento dell’opera, nel secondo caso invece occorrerà accertare caso per caso se il valore sia realmente diminuito, essendo possibile per quanto difficile, ma non assurdo, che la difformità abbia regalato maggior valore all’opera.

            Mentre, sempre per la S.C. [79], la domanda, proposta dal committente ai sensi dell’art. 1668 c.c., per il risarcimento dei danni derivanti da vizi dell’opera eseguita dalla controparte è del tutto autonoma rispetto alla domanda tendente all’eliminazione dei vizi; pertanto, non è consentito al committente, nel caso di colpa dell’appaltatore, ottenere, con la predetta domanda di risarcimento dei danni gli effetti dell’azione per l’eliminazione dei vizi, trattandosi di domande aventi natura diversa e non surrogabili l’una con l’altra.

            Inoltre [80], l’azione del committente per il risarcimento dei danni derivanti dalle difformità, i vizi o la mancanza di qualità dell’opera appaltata si aggiunge, nel caso di colpa dell’appaltatore, a quella diretta all’eliminazione a spese dell’appaltatore e delle difformità e dei vizi o alla riduzione del prezzo specificamente prevista dall’art. 1668 c.c.; le predette azioni non sono surrogabili l’una con l’altra ed in particolare non è consentito ottenere con la domanda di risarcimento dei danni gli effetti dell’azione per l’eliminazione dei vizi, se questa non è stata proposta e neppure è possibile pretendere sotto il profilo del risarcimento (quando non sussistono danni ulteriori cagionati dall’opera difettosa) una riduzione del prezzo maggiore dell’entità del corrispettivo pattuito, salvo il diritto all’eventuale rivalutazione monetaria.

            Infine [81], in tema di vendita e di appalto, e con riguardo alla responsabilità per vizi del venditore e dell’appaltatore, alla stregua, rispettivamente, dell’art. 1494 c.c. e del successivo art. 1668 c.c., l’interessato può chiedere, in alternativa ovvero in cumulo con le azioni tese all’adempimento del contratto in via specifica ed alla riduzione del prezzo o alla risoluzione del contratto, che gli venga risarcito il danno costituito dalle spese necessarie per eliminare i vizi del bene a lui fornito, senza che all’accoglimento di tale richiesta osti il principio della riserva al giudice dell’esecuzione dell’attuazione della sentenza di condanna alla esecuzione specifica (art. 612 c.p.c.), trattandosi di risarcimento per equivalente, in una somma riconosciuta indipendentemente dalla effettiva eliminazione dei vizi a cura del creditore ed insuscettibile di variazioni in rapporto alla concreta entità della relativa spesa. Pertanto sono coevamente proponibili la domanda di eliminazione dei vizi ad opera del debitore (venditore o appaltatore) e quella, subordinata alla mancata esecuzione specifica della condanna all’eliminazione dei vizi, intesa al risarcimento dei danni in misura pari all’importo della spesa per detta eliminazione, nel qual caso spetta al giudice del merito, che le accolga entrambe, fissare il termine alla cui scadenza il debitore che non abbia eseguito la condanna all’esecuzione specifica resti tenuto al risarcimento del danno per equivalente.

C) Prescrizione e decadenza

          ll dies a quo del temine di prescrizione viene individuato nella data di avvenuta consegna dell’opera dall’appaltatore al committente: in epoca antecedente al completamento dell’opera, e dunque alla consegna, il committente non è difatti materialmente in grado di constatarvi la presenza di difformità o vizi, palesi quanto occulti.

          Riguardo questi ultimi, tuttavia, la giurisprudenza sembra incline a differire la decorrenza del termine di prescrizione dal giorno della scoperta o, comunque, dal momento in cui il committente raggiunga un’esaustiva conoscenza dello stato dell’opera [82] .

Poi, secondo la Giurisprudenza di Legittimità, come da particolare pronuncia,

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 11 luglio 2016, n. 14136

con riguardo ai vizi dell’opera conosciuti o riconoscibili, il committente, che non abbia accettato l’opera medesima, non è tenuto ad alcun adempimento, a pena di decadenza, per far valere la garanzia dell’appaltatore, poiché, ai sensi dell’art. 1667, primo comma, cod. civ., solo tale accettazione comporta liberazione da quella garanzia. Pertanto, prima dell’accettazione e consegna dell’opera non vengono in rilievo problemi di denuncia e di prescrizione per i vizi comunque rilevabili, i quali, se non fatti valere in corso d’opera, possono essere dedotti alla consegna: ma prima dell’accettazione non vi è onere di denuncia, e prima della consegna non decorrono i termini di prescrizione.

Inoltre, sempre a mente della medesima pronuncia, quanto alla prova dell’intervenuta accettazione ai fini della distribuzione dell’onere probatorio e delle ulteriori conseguenze in tema di vizi, la giurisprudenza si e’ consolidata nel senso di ritenere sufficiente anche il comportamento concludente del committente (cfr. n. 19146 del 09/08/2013), fermo restando tuttavia che “l’accettazione dell’opera non si identifica con la presa in consegna della medesima, con la conseguenza che incombe all’appaltatore l’onere di provare che il committente ha accettato l’opera, dopo essere stato invitato e messo in condizione di verificare la buona esecuzione della stessa” (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 3752 del 19/02/2007).

          Per la S.C. [83] i termini di prescrizione e di decadenza previsti dall’art. 1667 c.c. assumono rilevanza ai fini delle azioni previste dal primo comma dell’art. 1668 c.c.; viceversa, nel caso in cui le difformità o i vizi dell’opera siano tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione (art. 1668, secondo comma, c.c.), poiché è fatta valere non tanto la garanzia della perfetta esecuzione, quanto il difetto funzionale della causa, l’azione non può subire limitazioni connesse al decorso del tempo diverse da quelle dell’ordinaria prescrizione, neppure quando la domanda sia stata volontariamente limitata alla diminuzione del prezzo.

Con altro arresto, secondo la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 18 febbraio 2016, n. 3199

l’articolo 1668 del Cc, nell’enunciare il contenuto della garanzia prevista dall’articolo 1167 del Cc, attribuisce al committente, oltre all’azione prevista per l’eliminazione dei vizi dell’opera a spese dell’appaltatore o di riduzione del prezzo, anche quella di risoluzione del contratto, salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell’appaltatore; sicché trattandosi di azioni comunque riferibili alla responsabilità connessa alla garanzia per vizi o difformità dell’opera e destinante a integrarne il contenuto, i termini di prescrizione e di decadenza si applicano anche all’azione di risoluzione del contratto di cui all’articolo 1668, secondo comma, del Cc, atteso che il legislatore ha inteso contemperare l’esigenza della tutela del committente a conseguire un’opera immune da difformità e vizi con l’interesse dell’appaltatore a un accertamento sollecito delle eventuali contestazioni in ordine a un suo inadempimento nell’esecuzione della prestazione

          In un caso particolare è stato poi affermato [84] che ai fini della decorrenza dei termini di prescrizione previsti dall’art. 1667 c.c. , l’invio di una lettera da parte di uno solo dei coniugi [85] comproprietari dell’appartamento adibito ad abitazione comune, contenente una denuncia di vizi nell’esecuzione di lavori, in difetto della prova del dissenso da parte dell’altro coniuge, è idoneo a far presumere che l’esistenza dei vizi fosse a conoscenza di entrambi.

 E’ degno di nota ultimo intervento della S.C.

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 3 gennaio 2019, n. 11

secondo il quale l’articolo 1667 c.c., comma 3, dispone che la garanzia per i vizi e le difformita’ dell’opera appaltata si prescrive nel termine di due anni dalla consegna dell’opera ultimata.
A tal fine occorre anzitutto distinguere tra atto di “consegna” e atto di “accettazione” dell’opera: la consegna costituisce attivita’ puramente materiale che si compie mediante la messa a disposizione del bene a favore del committente, mentre l’accettazione esige che il committente esprima (anche “per facta concludentia”) il gradimento dell’opera, potendone conseguire solo in tal caso l’esonero dell’appaltatore da ogni responsabilita’ per i vizi e le difformita’ e il diritto al pagamento del prezzo (Cass. 19019/2017; Cass. 15711/2013).
La presunzione di accettazione dell’opera di cui all’articolo 1665 c.c., comma 4, non opera, quindi, automaticamente dal momento della consegna, comunque effettuata, e non determina la decorrenza dei termini per far valere la garanzia, dovendo il giudice comunque accertare, nel caso in cui il committente abbia chiesto la consegna (o, senza opposizione dell’appaltatore, si sia immesso nel possesso) omettendo di eseguirne la verifica, se abbia anche inteso rinunciare alla verifica nella convinzione che le obbligazioni dell’appaltatore siano state esattamente adempiute o abbia voluto ottenere la disponibilita’ materiale dell’opera con riserva di eseguire ugualmente la verifica (Cass. 3959/1976; Cass. 1283/1965).

Si continua a leggere nella sentenza in commento che, la consegna dell’opera e la sua accettazione (anche se presunta a norma dell’articolo 1665 c.c., comma 3), libera l’appaltatore esclusivamente dalla responsabilita’ per vizi palesi e riconoscibili dal committente, i quali devono essere necessariamente esser fatti valere in sede di verifica o collaudo (Cass. 1590/1959; Cass. 2991/1962; Cass. 444/1962; Cass. 960/1966; Cass. 4061/1968; Cass. 346/1970).
Se invece trattasi di vizi occulti o non immediatamente rilevabili, l’appaltatore non e’ liberato dalla garanzia, salvo che i difetti non siano denunciati tempestivamente.
Ne consegue che, in tali ipotesi, la prescrizione del diritto alla garanzia inizia a decorrere dalla scoperta, la quale e’ da ritenersi acquisita dal giorno in cui il committente abbia avuto conoscenza della loro dipendenza dalla imperfetta esecuzione dell’appalto mediante le necessarie indagini tecniche, con accertamento rimesso al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimita’, salvo che per vizi di motivazione (Cass. 14199/2017; Cass. 26233/2013; Cass. 18402/2009; Cass. 15283/2005; Cass. 1655/1986; Cass. 3752/1975).

3) Responsabilità speciale per gli immobili di lunga durata

 

Rovina dell’immobile e gravi difetti

art. 1669 c.c. rovina e difetti di cose immobili

quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, se, nel corso di 10 anni dal compimento, l’opera per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore, il progettista e il direttore dei lavori, sono responsabili nei confronti del committente e dei suoi avente causa, purché sia fatta senza particolare forma denunzia entro 1 anno dalla scoperta.

 

É stato giustamente precisato [86] che l’esito positivo del collaudo [87] di un’opera non esclude la responsabilità dell’appaltatore ai sensi dell’art. 1669 c.c. — norma di garanzia dell’opera nel tempo, mentre il collaudo costituisce prova di tenuta in un unico contesto — e pertanto egli è tenuto a rispondere in caso di gravi difetti nell’esecuzione. Qualora poi essi dipendano altresì da errori del progettista, anche costui è responsabile, in concorso e in solido con l’appaltatore, ai sensi del medesimo art. 1669 c.c., per i danni derivatine, con la conseguenza che il rapporto processuale tra i predetti condebitori è scindibile e che la notifica della sentenza, da parte del danneggiato, nei confronti dell’uno, non determina la decorrenza del termine breve per impugnare nei confronti dell’altro.

Per quanto riguarda la natura giuridica di tale responsabilità:

  • Secondo alcuni autori [88] sarebbe contrattuale poiché la norma è situata nell’ambito della disciplina dell’appalto e non in quella relativa alla responsabilità da fatto illecito e che il potere di far valere siffatta responsabilità è attribuito soltanto al committente ed ai suoi aventi causa, non ad ogni terzo.
  • Prevale nettamente in giurisprudenza [89] ed in parte nella dottrina [90] la tesi extracontrattuale, secondo la quale questa responsabilità è di ordine pubblico in quanto persegue finalità d’interesse generale (stabilità e solidarietà degli edifici, incolumità personale dei cittadini) che trascendono i confini negoziali e va, perciò, ricondotta nell’ambito di quelle obbligazioni legali che, pur presupponendo un contratto, trovano, tuttavia, il loro fondamento in principi non derogabili dalla volontà privata.

Per la Corte di Legititimità [91] l’ipotesi di responsabilità regolata dall’art. 1669 c.c. in tema di rovina e difetti di immobili ha natura extracontrattuale e, conseguentemente, trova un ambito di applicazione più ampio di quello risultante dal tenore letterale della disposizione — che fa riferimento soltanto all’appaltatore nei confronti del committente e dei suoi aventi causa — perché operante anche a carico del progettista, del direttore dei lavori e dello stesso committente che abbia provveduto alla costruzione dell’immobile con propria gestione diretta, ovvero sorvegliando personalmente l’esecuzione dell’opera, sì da rendere l’appaltatore un mero esecutore dei suoi ordini.

Principio ripreso anche da altra Cassazione
Corte di Cassazione, sezione seconda civile, sentenza 27 novembre 2017, n. 28233

secondo la quale, appunto, la responsabilità regolata dall’art. 1669 c.c. in tema di rovina e difetti di immobili ha natura non contrattuale, derivando, ex art. 1173 c.c., da un fatto idoneo a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico; da ciò consegue che, nel caso in cui l’opera appaltata non venga ultimata, non trovano applicazione le norme dettate in tema di risoluzione del contratto per inadempimento dagli artt. 1453 ss. c.c., dovendosi far riferimento in via esclusiva all’art. 1669 c.c.

Ancora, secondo la recente Cassazione

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 25 febbraio 2020, n. 5096.

in tema di appalto, l’art. 1669 cod. civ. individua una responsabilità aquiliana di ordine pubblico, sancita per finalità di interesse generale, che trascende i confini dei rapporti negoziali tra le parti, invocabile anche dall’acquirente contro il venditore, allorché questi abbia costruito l’immobile sotto la propria responsabilità, abbia assunto nei confronti dei terzi e degli stessi acquirenti una posizione di diretta responsabilità nella costruzione dell’opera. In altri termini, l’art. 1669 cod. civ., trova applicazione, oltre che nei casi in cui il venditore abbia provveduto alla costruzione con propria gestione di uomini e mezzi, anche nelle ipotesi in cui, pur avendo utilizzato l’opera di soggetti estranei, la costruzione sia, comunque, a lui riferibile in tutto o in parte per avere ad essa partecipato in posizione di autonomia decisionale, mantenendo il potere di coordinare lo svolgimento dell’altrui attività o di impartire direttive o di sorveglianza, sempre che la rovina o i difetti dell’opera siano riconducibili all’attività da lui riservatasi.

É dibattuto in Cassazione il rapporto tra la responsabilità extracontrattuale ex art. 1669 e quella di cui all’art. 2043 c.c.

Secondo una prima sentenza [92] la responsabilità dell’appaltatore nei confronti del committente o dei suoi aventi causa, per il caso di rovina e difetti di edifici, secondo la previsione dell’art. 1669 c.c., ha natura extracontrattuale e resta preclusa l’applicabilità della norma generale dell’art. 2043 c.c. in tema di responsabilità per fatto illecito.

Mentre successivamente con altra pronuncia [93] è stato contrariamente affermato che l’art. 1669 c.c., nonostante la sua collocazione nell’ambito della disciplina del contratto d’appalto, dà luogo ad un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, la quale, pur presupponendo un rapporto contrattuale, ne supera i confini e si configura come obbligazione derivante dalla legge per finalità e ragioni di carattere generale, costituite dall’interesse pubblico — trascendente quello individuale del committente — alla stabilità e solidità degli immobili destinati ad avere lunga durata, a preservazione dell’incolumità e sicurezza dei cittadini; e, sotto tale profilo la norma si pone in rapporto di specialità con quella generale di cui all’art. 2043 c.c., che trova applicazione solo ove non risulti applicabile quella speciale, ed attribuisce legittimazione ad agire contro l’appaltatore ed eventuali soggetti corresponsabili non solo al committente ed ai suoi aventi causa (ivi compreso l’acquirente dell’immobile), ma anche a qualunque terzo che lamenti essere stato danneggiato in conseguenza dei gravi difetti della costruzione, della sua rovina o del pericolo della rovina di essa.

Ulteriormente con ultimo arresto della Cassazione,

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 4 marzo 2016, n. 4319

è stato specificato che circa la quantificazione dei danni dovuti ex articolo 1669 codice civile, e’ quello secondo cui l’ambito della relativa responsabilita’, posta da tale norma a carico dell’appaltatore per rovina o difetti della costruzione, in mancanza di limitazioni legali, deve ritenersi coincidere con quello generale della responsabilita’ extracontrattuale, e, come tale, comprensivo di tutte le spese necessarie per eliminare, definitivamente e radicalmente, i difetti medesimi, anche mediante la realizzazione di opere diverse e piu’ onerose di quelle originariamente progettate nel contratto d’appalto, purche’ utili a che l’opera possa fornire la normale utilita’ propria della sua destinazione, dovendosi la liquidazione dei danni ispirare ai criteri dettati in materia dagli articoli 2056, 1223, 1226 e 1227 codice civile. Compete al giudice del merito, d’altra parte, avvalendosi al riguardo dei suoi poteri di libero apprezzamento delle prove, determinare, sulla base dei criteri dettati dagli articoli 2056 e 1223 codice civile e segg., l’effettiva consistenza del pregiudizio risentito dal danneggiato e l’individuazione del rapporto causale immediato e diretto fra illecito e danno, in modo da limitare l’estensione temporale e spaziale degli effetti degli eventi illeciti, al fine di escludere dalla connessione giuridicamente rilevante ogni conseguenza della accertata responsabilita’ che non sia propriamente diretta ed immediata.

Principio ripreso, poi, dalla medesima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 29 novembre 2016, n. 24249

In linea generale, poi, è opportuno richiamare anche quest’ultimo arresto della Cassazione
Corte di Cassazione, sezione seconda civile, sentenza 9 novembre 2017, n. 26552

secondo il quale, appunto, l’ipotesi di responsabilita’ regolata dall’articolo 1669 c.c. in tema di rovina e difetti di immobili ha natura extracontrattuale e, conseguentemente, trova un ambito di applicazione piu’ ampio di quello risultante dal tenore letterale della disposizione cosicche’ nella stessa possono incorrere, a titolo di concorso con l’appaltatore che abbia costruito un fabbricato minato da gravi difetti di costruzione, tutti quei soggetti che, prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione dell’opera, abbiano contribuito, per colpa professionale (segnatamente il progettista e/o il direttore dei lavori), alla determinazione dell’evento dannoso, costituito dall’insorgenza dei vizi in questione.
Inoltre quando l’opera appaltata presenta gravi difetti dipendenti da errata progettazione il progettista e’ responsabile, con l’appaltatore, verso il committente, ai sensi dell’articolo 1669 c.c., a nulla rilevando in contrario la natura e la diversita’ dei contratti cui si ricollega la responsabilita’, rendendosi sia l’appaltatore che il progettista, con le rispettive azioni od omissioni – costituenti autonomi e distinti illeciti o violazioni di norme giuridiche diverse, concorrenti in modo efficiente a produrre uno degli eventi dannosi tipici indicati nel medesimo articolo 1669 c.c. -, entrambi autori dell’unico illecito extracontrattuale, e percio’ rispondendo, a detto titolo, del danno cagionato.
Il “difetto di costruzione” che, a norma dell’articolo 1669 c.c., legittima il committente all’azione di responsabilita’ extracontrattuale nei confronti dell’appaltatore, come del progettista, puo’ consistere in una qualsiasi alterazione, conseguente ad un’insoddisfacente realizzazione dell’opera, che, pur non determinandone la “rovina” o il “pericolo di rovina, incida negativamente e in modo considerevole sul godimento dell’immobile medesimo.

La natura dell’azione ha importanti riflessi soprattutto in punto di legittimazione attiva e passiva.

Quanto alla legittimazione attiva, la norma menziona ex professo soltanto il committente e i suoi aventi causa [94], per questi ultimi intendendosi coloro che hanno acquistato a titolo derivativo l’immobile, realizzato sulla base di contratto di appalto.

Ove la rovina o il pericolo di rovina, conseguente a gravi difetti di costruzione, riguardi anche le parti comuni di un edificio condominiale, oltre che i singoli appartamenti, alla denuncia ed all’azione di cui all’articolo 1669 c.c. è abilitato, oltre ai condomini [95], l’amministratore del condominio [96].

Tuttavia, la qualificazione extracontrattuale della responsabilità per rovina e difetti di immobili impone la legittimazione all’esercizio della relativa azione anche in capo a coloro che alle medesime condizioni e termini di cui all’art. 1669 c.c. abbiano sofferto un danno a causa della rovina o dei gravi difetti dell’immobile, purché rivestano una posizione qualificata rispetto al contratto.

Inoltre, come confermato da altra Cassazione, già indicata

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 29 novembre 2016, n. 24249

l’azione ex articolo 1669 c.c., puo’ essere esercitata non solo dal committente contro l’appaltatore, ma anche dall’acquirente contro il venditore che abbia costruito l’immobile sotto la propria responsabilita’, allorche’ lo stesso venditore abbia assunto, nei confronti dei terzi e degli stessi acquirenti, una posizione di diretta responsabilita’ nella costruzione dell’opera (Cass. n. 2238/2012; Cass. 29-3-2002 n. 4622; Cass. 16-2-2012 n. 2238).

Al fine poi di individuare le ipotesi in cui e’ dato estendere la responsabilita’ di cui alla norma in esame anche al venditore si e’ stabilito (cfr. Cass. n. 16202/2007) che la responsabilita’ ex articolo 1669 c.c., trova applicazione anche quando il venditore-costruttore abbia realizzato l’edificio servendosi dell’opera di terzi, se la costruzione sia ad esso riferibile, in tutto o in parte, per aver partecipato in posizione di autonomia decisionale, mantenendo il potere di coordinare lo svolgimento di attivita’ altrui o di impartire direttive e sorveglianza, sempre che i difetti siano riferibili alla sua sfera di esercizio e controllo. Gia’ in tale pronuncia si e’ pervenuti alla cassazione della sentenza di merito che aveva respinto la domanda dell’acquirente non essendo stato accertato, sebbene la venditrice non avesse fornito ne, mezzi ne’ manodopera propria, se fosse direttamente responsabile del progetto, se avesse assunto la direzione lavori e se i difetti riscontrati fossero riconducibili all’attivita’ esercitata da essa o da suoi ausiliari.

Piu’ in dettaglio, e con specifico riferimento all’attivita’ anche di progettazione dell’opus, Cass. n. 3406/2006, nel ribadire che l’ipotesi di responsabilita’ regolata dall’articolo 1669 c.c., in tema di rovina e difetti di immobili ha natura extracontrattuale e, conseguentemente, trova un ambito di applicazione piu’ ampio di quello risultante dal tenore letterale della disposizione – che fa riferimento soltanto all’appaltatore nei confronti del committente e dei suoi aventi causa -, perche’ operante anche a carico del progettista, del direttore dei lavori e dello stesso committente che abbia provveduto alla costruzione dell’immobile con propria gestione diretta, ovvero sorvegliando personalmente l’esecuzione dell’opera, si’ da rendere l’appaltatore un mero esecutore dei suoi ordini, ha confermato la sentenza di merito, in cui era stata correttamente ravvisata una responsabilita’ del committente ex articolo 1669 c.c., in quanto riferita ai lavori di completamento dell’immobile, previsti nel contratto preliminare come a carico della parte promittente venditrice, e da questa direttamente supervisionati, benche’ materialmente eseguiti da un’impresa terza; in senso analogo Cass. n. 567/2005; Cass. n. 12406/2001).

Mentre per quanto riguarda la legittimazione passiva anche secondo un adagio della Corte Romana [97] in ipotesi di responsabilità ex art. 1669 cod. la natura extracontrattuale di tale responsabilità trova applicazione anche a carico di coloro che abbiano collaborato nella costruzione, sia nella fase di progettazione o dei calcoli relativi alla statica dell’edificio, che in quella di direzione dell’esecuzione dell’opera, qualora detta rovina o detti difetti siano ricollegabili a fatto loro imputabile. Ne consegue che la chiamata in causa del progettista e/o direttore dei lavori [98] da parte dell’appaltatore, convenuto in giudizio per rispondere, ai sensi dell’art. 1669 c.c., dell’esistenza di gravi difetti dell’opera, e la successiva chiamata in causa di chi ha effettuato i calcoli relativi alla struttura e statica dell’immobile da parte del progettista e/o direttore dei lavori, effettuata non solo a fini di garanzia ma anche per rispondere della pretesa dell’attore, comporta, in virtù di quest’ultimo aspetto, che la domanda originaria, anche in mancanza di espressa istanza, si intende automaticamente estesa al terzo, trattandosi di individuare il responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unico.

Inoltre, la responsabilità extracontrattuale prevista dall’art. 1669 c.c. è una responsabilità presunta iuris tantum , sicché, quando l’opera (nella specie, rete fognaria) manifesta gravi difetti strutturali, l’appaltatore può liberarsene provandone l’ascrivibilità al caso fortuito o all’opera di terzi [99].

La presunzione semplice di responsabilità del costruttore posta dall’art. 1669 c.c. , può essere vinta, non già con la prova dell’essere stata usata tutta la diligenza possibile nell’esecuzione dell’opera, bensì mediante la specifica dimostrazione della mancanza di una sua responsabilità conclamata da fatti positivi precisi e concordanti [100].

  • Gravi difetti

            Sono quelli che incidono sulla solidità, efficienza e quindi funzionalità dell’opera, comportando una menomazione del godimento dell’immobile, a prescindere dalla stabilità.

            Per la Cassazione [101] il difetto di costruzione che, a norma dell’art. 1669 c.c., legittima il committente all’azione di responsabilità extracontrattuale nei confronti dell’appaltatore, come del progettista, può consistere in una qualsiasi alterazione, conseguente ad un’insoddisfacente realizzazione dell’opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e perciò non determinandone la rovina o il pericolo di rovina), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l’impiego duraturo cui è destinata, incida negativamente e in modo considerevole sul godimento dell’immobile medesimo [102].

            In sostanza, i gravi difetti che, ai sensi dell’art. 1669 c.c., fanno sorgere la responsabilità dell’appaltatore nei confronti del committente e dei suoi aventi causa consistono in quelle alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura [103] .

            In realtà la giurisprudenza di legittimità [104] ormai da molti anni ha superato la tesi dell’equiparabilità alla rovina o pericolo di rovina dei gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall’articolo 1669 c.c., per approdare alla diversa tesi secondo cui quei difetti non si identificano con i fenomeni che influiscono sulla staticità, durata e conservazione dell’edificio, ma possono consistere in qualsiasi alterazione che, pur riguardando direttamente solo una parte dell’opera, incida sulla struttura e funzionalità globale, menomando in modo apprezzabile il godimento dell’opera medesima.

            É pur vero che la Corte di legittimità ha avuto occasione di affermare [105] che la responsabilità dell’appaltatore ex articolo 1669 c.c. trova applicazione quando siano riscontrabili vizi riguardanti la costruzione dell’edificio stesso o di una parte di esso, ma non anche in caso di modificazioni o riparazioni apportate ad un edificio preesistente o ad altre preesistenti cose immobili, anche se destinate per loro natura a lunga durata, tuttavia nel caso allora esaminato la responsabilità ex articolo 1669 c.c. era stata esclusa dalla Corte perché l’opera riguardava un mero rifacimento della impermeabilizzazione e pavimentazione del terrazzo condominiale di un edificio preesistente. Infatti, si legge nella massima che la responsabilità dell’appaltatore ex art. 1669 c.c. trova applicazione esclusivamente quando siano riscontrabili vizi riguardanti la costruzione dell’edificio stesso o di una parte di esso, ma non anche in caso di modificazioni o riparazioni apportate ad un edificio preesistente o ad altre preesistenti cose immobili, anche se destinate per loro natura a lunga durata.

            L’interpretazione orientata [106] di detta norma si è spinta fino a considerare rientranti nella nozione di gravi difetti anche le infiltrazioni d’acqua determinate da carenze d’impermeabilizzazione [107] e da inidonea realizzazione degli infissi [108], difetti che, senza richiedere opere di manutenzione straordinaria, possono essere eliminati solo con gli interventi di manutenzione ordinaria indicati dalla lettera a dell’art. 31 della legge 5 agosto 1978 n. 457 e cioè con opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici o con opere necessarie per integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti [109] .

            Inoltre, la responsabilità ex articolo 1669 c.c., in un caso affrontato dalla s.c.[110], è stata accertata con riferimento a lavori di integrale rifacimento del tetto ed a lavori concernenti l’intera costruzione ed i suoi elementi strutturali; la costruzione doveva essere posta in condizione di resistere al rischio sismico e, invece, era stata addirittura indebolita con l’eliminazione delle catene che tenevano imbrigliati i muri maestri.

            É stato dunque riaffermato il principio che le violazioni delle prescrizioni dettate per la progettazione e l’esecuzione delle costruzioni soggette ad azione sismica integrano i gravi difetti, di cui l’appaltatore é responsabile nei confronti del committente ai sensi dell’articolo 1669 c.c., incidendo esse sulla sostanza e stabilità degli edifici o delle altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata [111].

Da ultimo la Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|15 dicembre 2020| n. 28455.

ha nuovamente precisato che in tema di appalto, il fondamento del diritto, di cui all’art. 1669 cod. civ., risiede nella circostanza che ricorrano gravi difetti della costruzione, tali da incidere sugli elementi essenziali dell’opera stessa, influendo sulla sua durata e compromettendone la conservazione, tali cioè da comprometterne la funzionalità globale e la normale utilizzazione, secondo la destinazione propria di quest’ultimo. In particolare, i gravi difetti che, ai sensi dell’art. 1669 cod. civ., fanno sorgere la responsabilità dell’appaltatore nei confronti del committente e dei suoi aventi causa consistono in quelle alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura.

            Ad esempio [112] i difetti costruttivi dei lastrici solari e delle coperture a tetto che determino infiltrazioni d’acqua, e le inadeguatezze della rete fognaria rappresentano gravi difetti costruttivi, e quindi consentono, anche agli aventi causa del committente — e al condominio per le parti comuni dell’edificio — la proposizione dell’azione di cui all’art. 1669 c.c. nei confronti dell’appaltatore esecutore della costruzione. Nella specie, per la parte coperta a tetto si era verificato anche lo scivolamento continuo delle tegole — insufficienti di numero e inadeguatamente fissate — con pericolo di caduta delle stesse, mentre l’inadeguatezza delle fognature aveva causato continui fenomeni di intasamento degli scarichi e infiltrazioni nei muri interrati delle cantine.

            Ancora per la Cassazione [113] nella categoria di questi difetti, va sicuramente compreso quello in merito al distacco dell’intonaco esterno poichè ha riguardato una parte della superficie esterna dell’edificio che comprometteva l’intero intonaco dello stesso edificio, dato che era uno strumento di protezione uniforme ed a struttura unica.

            Per altra non recente pronuncia [114] sono stati ritenuti gravi difetti dell’edificio, al fine della responsabilità dell’appaltatore di cui all’art. 1669 c.c., le deformazioni e rotture delle colonne montanti di scarico delle acque luride eseguite in plastica, con conseguenti infiltrazioni di acque luride nell’edificio).

            Ulteriormente la Suprema Corte [115] ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito che aveva ravvisato i «gravi difetti» nel fatto che gli scarichi delle acque bianche e le caditoie pluviali erano stati collegati direttamente alla condotta fognaria, con conseguente fuoruscita di miasmi espandentisi nell’aria e persino negli appartamenti per la mancanza di idonee vasche di depurazione.

            Del resto anche il caso di inefficienza dell’impianto centralizzato di riscaldamento che rende l’immobile privo di tale servizio e quindi pressoché inutilizzabile per molti mesi all’anno è stato ritenuto grave difetto [116].

            Oppure [117] l’umidità conseguente ad inadeguata coibentazione delle strutture perimetrali di un edificio, può integrare, ove sia compromessa l’abitabilità e il godimento del bene, grave difetto dell’edificio ai fini della responsabilità del costruttore ex art. 1669 c.c.

            Sempre per la medesima Corte di Legittimità [118], il difetto di costruzione ricorre anche quando l’imperfezione costruttiva di natura strutturale riguardi la finitura essenziale del pavimento (nella sua quasi globalità) determinante la inutilizzabilità dell’abitazione (nel caso in questione strutturata su più livelli) a causa dell’anomalia di posa del sottofondo con correlato cedimento del massetto, in tal modo conseguendo la necessità della rimozione della pavimentazione e della sua successiva completa sostituzione.

Per la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 4 novembre 2015, n. 22553

poi, nessun valore può essere attribuito con riguardo alla responsabilità di cui all’art. 1669 c.c. alle classificazioni urbanistiche predisposte dal legislatore al diverso fine del recupero di manufatti preesistenti: la differenza dei parametri di riferimento giustifica l’integrale responsabilità dell’appaltatore sia in presenza di interventi di manutenzione straordinaria sia in ipotesi di manutenzione ordinaria ai sensi dell’art. 31 della legge n. 457 del 1978. Infatti, ai fini della responsabilità dell’appaltatore, costituiscono gravi difetti dell’edificio non solo quelli che incidono in misura sensibile sugli elementi essenziali delle strutture dell’opera, ma anche quelli che riguardano elementi secondari ed accessori (impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi, ecc), purché tali da compromettere la funzionalità globale dell’opera stessa e che, anche senza richiedere opere di manutenzione straordinaria, possano essere eliminati finanche solo con gli interventi di manutenzione ordinaria indicati dalla lettera a dell’art. 31 della legge 5 agosto 1978 n. 457 e cioè con “opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici” o con “opere necessarie per integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti” (cfr. Cass. 1 febbraio 1995 n. 1164). In applicazione del suddetto principio, la corte di merito, congruamente motivando sul punto, ha chiarito la notevole portata degli interventi realizzati, consistiti nell’accorpamento di due diversi edifici attraverso lavori di raccordo fra le due coperture, di cui una a falda e l’altra a terrazzo, nel rifacimento integrale delle scale, nell’eliminazione degli archi sulle finestre, nella ricostruzione di due solai, nel rifacimento degli intonaci esterni. Ed ha concluso affermando che le fessurazioni presenti sull’intonaco esterno rifatto dalla DI.MI. hanno determinato le infiltrazioni lamentate dal Condominio sulle parti comuni, le quali incidono in modo rilevante sulla struttura e sulla funzionalità dell’opus per cui si tratta di gravi difetti di costruzione, ciò anche in coerenza con la tipologia degli interventi descritti.

Ancora per la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 4 dicembre 2015, n. 24763

la presenza nell’unità immobiliare, quand’anche non abitabile, di intollerabili immissioni di fumo, così come la mancanza di idoneo isolamento acustico, costituiscono vizi che pregiudicano e menomano in modo grave il normale godimento, la funzionalità e l’abitabilità dell’unità immobiliare e, come tali, rientranti nella disciplina di cui all’art. 1669 c.c.

            Anche per la giurisprudenza di merito [119], attenendosi ai principi sopra riportati, in materia di appalto, relativamente all’ipotesi della rovina e dei difetti delle cose immobili, ai sensi dell’art. 1669 c.c., è stato previsto che quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per la loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l’opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore risponde nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché i vizi siano denunciati entro un anno dalla scoperta. Devono ritenersi gravi difetti dell’edificio, idonei ad attivare la responsabilità dell’appaltatore, non solo quei difetti che incidono in misura sensibile sulla struttura e sensibilità dell’opera, ma anche i vizi costruttivi che menomano apprezzabilmente il normale godimento della cosa, ovvero quei difetti da cui può derivare un apprezzabile danno alla funzione economica od una sensibile menomazione della possibilità di godimento del bene nella sua globalità, rendendolo inidoneo all’utilità cui era destinato, senza che necessariamente deve sussistere anche il pericolo di crollo immediato dell’edificio. Anche l’impermeabilizzazione di parti di un edificio, causa di umidità, rientra tra i gravi difetti di costruzione.

  • La denunzia

Per la Cassazione [120] la denunzia dei gravi difetti dell’opera prevista dall’art. 1669 c.c., in relazione al suo scopo, si perfeziona in virtù della comunicazione al soggetto responsabile dei gravi difetti che si sono manifestati nella costruzione, senza necessità che in essa vengano indicate le sue cause specifiche, il cui addebito implicito alla controparte risiede nella stessa natura di obbligazione di risultato che questi ha assunto, e il cui accertamento tecnico in termini di certezza risulta incompatibile con la stessa esigenza perseguita dalla legge attraverso gli istituti della decadenza e della prescrizione, di consentire all’appaltatore di compiere gli accertamenti necessari per verificare l’esistenza effettiva dei difetti lamentati e la loro imputabilità.

  • Il termine di denuncia e di prescrizione

          In tema di rovina e difetti di cose immobili destinate per loro natura a durare nel tempo, l’art. 1669 c.c. prescrive, oltre al termine decennale attinente al rapporto sostanziale di responsabilità dell’appaltatore (ricollegabile anche alla posizione del venditore — costruttore), due ulteriori termini:

  1. uno di decadenza, per la denuncia del pericolo di rovina o dei gravi difetti, di un anno dalla scoperta» dei vizi o difetti,
  2. l’altro di prescrizione, per l’esercizio dell’azione di responsabilità, di un anno dalla denuncia. I detti termini sono interdipendenti, nel senso che, ove uno soltanto di essi non sia rispettato, la responsabilità dell’appaltatore nei confronti del committente (o dei suoi aventi causa) non può essere fatta valere.

            Orbene, in merito a quest’ultimo termine, la conoscenza del difetto e delle sue specifiche cause, oltreché della sua gravità, consegue alla semplice constatazione dell’aspetto delle cose solo quando si tratti di manifestazioni indubbie (come cadute, rovine estese, e simili). Per lo più, invece, quando si tratti di opere di una certa entità, deriva dall’espletamento di indagini tecniche suggerite dall’ovvia prudenza di non iniziare azioni infondate, con la conseguenza, in questa seconda ipotesi, che il termine di decadenza della prima parte della norma, condizionante il decorso del successivo termine di prescrizione previsto dal secondo comma dello stesso articolo, incomincia a decorrere solo dall’acquisizione della relazione del tecnico.[121]

            Per la medesima Cassazione [122] il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti della costruzione di un immobile, previsto dall’art. 1669 c.c., a pena di decadenza dall’azione di responsabilità contro l’appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera, non essendo sufficienti, viceversa, manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti [123], e che, la conoscenza completa idonea a provocare la decorrenza del doppio termine (decadenziale e prescrizionale) deve ritenersi acquisita, in assenza di anteriori esaustivi elementi, solo all’atto dell’acquisizione delle disposte relazioni peritali [124] , non potendosi onerare il danneggiato della proposizione di azioni generiche a carattere esplorativo.

Principio, quest’ultimo, riconfermato anche dalla medesima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 3 giugno 2016, n. 11493

            Con altra pronuncia [125] si è precisato che in tema di garanzia per gravi difetti dell’opera ai sensi dell’articolo 1669 c.c., il termine per la relativa denunzia non inizia a decorrere finché il committente non abbia conoscenza sicura dei difetti e tale consapevolezza non può ritenersi raggiunta sino a quando non si sia manifestata la gravità dei difetti medesimi e non si sia acquisita, in ragione degli effettuati accertamenti tecnici, la piena comprensione del fenomeno e la chiara individuazione ed imputazione delle sue cause, non potendosi onerare il danneggiato della proposizione di azioni generiche a carattere esplorativo [126]. L’inizio della decorrenza del termine di decadenza può essere però legittimamente spostato in avanti nel tempo solo quando gli accertamenti tecnici si rendano effettivamente necessari per comprendere appieno la gravità dei difetti e stabilire il corretto collegamento causale, allo scopo di indirizzare verso la giusta parte una eventuale azione del danneggiato.

            Non necessariamente né automaticamente il decorso del termine é postergato all’esito degli approfondimenti tecnici qualora, come nella specie, si tratti di problema di immediata percezione sia nella sua reale entità che nelle sue possibili cause fin dal suo primo manifestarsi.

            In precedenza la medesima Cassazione [127] così affermava: l’onere della denuncia del vizio dell’edificio appaltato sorge, a norma dell’art. 1669 c.c., non già per effetto della semplice manifestazione e percezione del difetto costruttivo, ma per effetto della riconducibilità del difetto alla fattispecie legale, e cioè per effetto della rilevanza del difetto stesso come segnale di rovina, di evidente pericolo di rovina o di gravi vizi dell’opera e, ancora, dell’accertamento della sua dipendenza da insufficienza della attività di progettazione o di esecuzione del suo autore e della imputabilità a costui di tale insufficienza di attività. Non rileva, pertanto, che (come nella specie), taluni vizi siano espressamente denunciati solo con la domanda giudiziale, ed accertati, conseguentemente, nel corso del processo, dacché, qualora i relativi estremi possano con certezza emergere soltanto da una consulenza tecnica, è dal momento del deposito di quest’ultima che decorre il termine annuale per la denunzia.

Ancora, secondo ultima Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|5 aprile 2022| n. 11034.

il termine annuale di decadenza per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti della costruzione di un immobile, di cui al citato articolo 1669 del codice civile, decorre dal momento in cui il denunciante abbia acquisito un apprezzabile grado di conoscenza, seria e obiettiva, non soltanto della gravità dei difetti della costruzione, ma anche dell’incidenza di essa sulla statica e sulla possibilità di lunga durata e del collegamento causale tra i dissesti e l’attività di esecuzione dell’opera. Affinché il termine cominci a decorrere, è necessaria, quindi, la percezione degli effetti e del loro nesso eziologico con i fattori scatenanti: occorre avere acquisito la piena comprensione del fenomeno e la chiara individuazione e imputazione delle sue cause.

            Infine, anche in forza di un caso arrivato in Cassazione [128], l’esecuzione da parte dell’appaltatore di riparazioni a seguito di denuncia dei vizi dell’opera da parte del committente deve intendersi come riconoscimento dei vizi stessi e, pertanto, il termine decennale di prescrizione di cui all’art. 1669 c.c. comincia a decorrere ex novo dal momento in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti. Ne consegue che, nel caso in cui la sufficiente conoscenza dei difetti sia raggiunta solo dopo l’esecuzione delle riparazioni ed in conseguenza dell’inefficacia di queste, il termine prescrizionale deve farsi decorrere da questo successivo momento e non dall’esecuzione delle riparazioni.

  • Risarcimento in forma specifica o per equivalente

Preliminarmente è d’obbligo segnalare che la responsabilità dell’appaltatore ex art. 1669 c.c. dà luogo ad un debito di valore che va liquidato avuto riguardo al potere di acquisto della moneta alla data della decisione. Né l’obbligazione risarcitoria perde la sua natura di debito di valore per il fatto che il danneggiato abbia a proprie spese provveduto ad eliminare o ridurre le conseguenze del fatto dannoso [129]

            Con l’azione di responsabilità ex art. 1669 c.c. può essere chiesta la condanna dell’appaltatore, alternativamente, sia al pagamento della somma di denaro corrispondente al costo delle opere necessarie per l’eliminazione dei vizi, sia la diretta esecuzione di tali opere.

            Infatti, tale norma, riferendosi genericamente alla responsabilità dell’appaltatore, senza precisare le forme nelle quali il danno deve essere risarcito, ha inteso richiamare il principio generale secondo cui, nei limiti stabiliti dall’art. 2058 c.c. il risarcimento può disporsi in forma specifica o per equivalente [130].

            Pertanto, come è stato detto, nel giudizio nei confronti dell’appaltatore per la responsabilità ex art. 1669 c.c. non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che, di fronte alla richiesta di condanna dell’appaltatore al pagamento della somma necessaria per la ricostruzione di un impianto, condanni l’appaltatore stesso al pagamento di quella somma a titolo di risarcimento del danno, non essendosi in presenza di un titolo diverso da quello della domanda, in quanto il costo per la sostituzione dell’impianto costituisce solo una parte del generico ed onnicomprensivo risarcimento del danno, che trova titolo nella responsabilità dell’appaltatore ex art. 1669 cod. civ [131].

  • Questioni processuali

            Con ultima pronuncia [132] è stato confermato il principio secondo il quale non sussiste incompatibilità tra le norme di cui agli articoli 1667 e 1669 c.c., nel senso che il committente di un immobile che presenti gravi difetti ben può invocare, oltre al rimedio risarcitorio del danno (contemplato soltanto dall’articolo 1669 c.c.), anche quelli previsti dall’articolo 1668 c.c. (eliminazione dei vizi, riduzione del prezzo, risoluzione del contratto) con riguardo ai vizi di cui all’articolo 1667 c.c.; infatti, quanto a struttura – diversamente da ciò che riguarda la diversa natura giuridica della responsabilità rispettivamente disciplinata dalle anzidette norme (l’articolo 1669 c.c., quella extracontrattuale; l’articolo 1667 c.c., quella contrattuale) – le relative fattispecie si configurano l’una (l’articolo 1669 c.c.) come sottospecie dell’altra (articolo 1667 c.c.), perché i gravi difetti dell’opera si traducono inevitabilmente in vizi della medesima, sicché la presenza di elementi costitutivi della prima implica necessariamente la presenza di quelli della seconda, con la conseguenza – non smentita dal alcun dato testuale, logico e sistematico – che la norma generale continua ad applicarsi anche in presenza dei presupposti di operatività della norma speciale, così da determinare una concorrenza delle due garanzie [133].

Principio ripreso anche da ultima Cassazione,

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 10 ottobre 2018, n. 25057.

secondo la quale la domanda con la quale venga chiesta la condanna ad eliminare i vizi dell’opera, bene e’ qualificata dal giudice di merito quale domanda di risarcimento in forma specifica del danno da responsabilita’ extracontrattuale ex articolo 1669 c.c., anziche’ quale richiesta di adempimento contrattuale ex articolo 1667 c.c., allorche’ a suo fondamento siano dedotti difetti della costruzione cosi’ gravi da incidere sugli elementi essenziali dell’opera stessa, influendo sulla sua durata e compromettendone la conservazione. La mancata qualificazione, in detto atto, dell’azione con riferimento all’articolo 1669 c.c., piuttosto che all’articolo 1667 c.c., non rileva, poiche’ spetta al giudice di merito procedere all’interpretazione della domanda, inquadrandola nell’ambito della norma ritenuta confacente al caso concreto. Infatti, in tema di appalto, il giudice puo’ qualificare la domanda proposta ricollegandola all’articolo 1669 c.c., invece che considerarla quale richiesta di adempimento contrattuale ex articolo 1667 c.c., allorche’ a suo fondamento siano dedotti difetti della costruzione cosi’ gravi da incidere sugli elementi essenziali dell’opera stessa.

            Con altra precedente pronuncia [134] è stato conformemente stabilito, in particolare, che l’azione del committente per il risarcimento dei danni derivanti dalle difformità e/o dai vizi dell’opera appaltata si aggiunge, nel caso di colpa dell’appaltatore, a quella diretta all’eliminazione, a spese dell’appaltatore, delle difformità e dei vizi o alla riduzione del prezzo, specificamente prevista dall’art. 1668 c.c., senza identificarsi con questa, né è surrogabile con gli effetti della relativa pronuncia.

            É stato, anche evidenziato [135] che la decadenza dall’azione per tardività della denunzia, stabilita dall’art. 1669, primo comma, c.c., non può essere rilevata d’ufficio dal giudice ma deve essere eccepita dalla parte, trattandosi di decadenza posta a tutela di interessi individuali e concernente diritti disponibili.

            Infine [136], ai fini della competenza territoriale deve aversi riguardo, ai sensi dell’art. 20 c.p.c., al luogo in cui il fatto illecito (effetti dannosi dell’edificio) si è verificato ed in cui è sorta la relativa obbligazione risarcitoria.

 4) Responsabilità per danni arrecati a terzi

Generica responsabilità dell’appaltatore nel caso che dall’esecuzione dell’appalto derivino danni alle persone o alle cose dei terzi.

Questa responsabilità, anche se trova nel contratto d’appalto la sua occasione, è fondata sull’obbligo di osservare il generale precetto del neminem ledere ed ha, perciò, la sua disciplina nelle norme dettate dagli artt. 2043 e ss. sui fatti illeciti.

Come da ultima pronuncia

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 8 giugno 2015, n. 11798

nel contratto di appalto, di regola, l’appaltatore è l’esclusivo responsabile dei danni cagionati a terzi poiché, nell’esecuzione dei lavori appaltati, opera in autonomia, con propria organizzazione ed apprestando i mezzi necessari (art. 1655 c.c.); mentre, in disparte l’ipotesi di culpa in eligendo, si ha esclusiva responsabilità del committente se questi si sia ingerito nei lavori con direttive vincolanti che abbiano ridotto l’appaltatore al rango di “nudus minister”. Sussiste poi corresponsabilità del committente qualora si sia ingerito con direttive che riducono soltanto, e non annullano, l’autonomia dell’appaltatore.

Per le Sezioni unite [137], l’autonomia dell’appaltatore, il quale esplica la sua attività nella esecuzione dell’opera organizzando e apprestando i lavori e curandone le modalità, al fine di fornire al committente l’opera stessa, esclude ogni rapporto institorio tra committente ed appaltatore, con la conseguenza che nei rapporti con i terzi, risponde solo quest’ultimo, ma se viene meno il presupposto dell’autonomia, nei casi in cui il danno si debba far risalire ad uno specifico ordine impartito dal committente, o quando il danno derivi non dall’attività materiale dell’appaltatore, ma dagli errori e dai difetti del progetto preparato dallo stesso committente, la responsabilità ricade esclusivamente sul committente.

Responsabilità solidale tra l’appaltatore ed il committente nel caso in cui l’appaltatore è un nudus minister, vale a dire sfornito dei suoi tipici poteri di autonomia, ovvero quando il fatto lesivo del diritto del terzo è stato compiuto dall’appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal committente.

Da ultimo per la Cassazione [138], in tema di appalto è di regola l’appaltatore che risponde dei danni provocati a terzi ed eventualmente anche dell’inosservanza della legge penale durante l’esecuzione del contratto, attesa l’autonomia con cui egli svolge la sua attività nell’esecuzione dell’opera o del servizio appaltato, organizzandone i mezzi necessari, curandone le modalità ed obbligandosi a fornire alla controparte l’opera o il servizio cui si era obbligato, mentre il controllo e la sorveglianza del committente si limitano all’accertamento e alla verifica della corrispondenza dell’opera o del servizio affidato all’appaltatore con quanto costituisce l’oggetto del contratto. In tale contesto, pertanto, una responsabilità del committente nei riguardi dei terzi risulta configurabile solo allorquando si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso dall’appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso [139], oppure quando sia configurabile in capo al committente una culpa in eligendo per aver affidato il lavoro ad impresa che palesemente difettava delle necessarie capacità tecniche, ovvero in base al generale principio del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c. [140]

Mentre, in materia di appalti pubblici, l’appaltatore conserva, anche se generalmente in misura minore rispetto all’appalto privato, i necessari margini di autonomia, sicché egli è da considerare, di regola, unico responsabile dei danni cagionati ai terzi nel corso dei lavori, potendosi riconoscere anche la responsabilità dell’amministrazione solo se il fatto dannoso si è determinato in esecuzione del progetto o di direttive impartite dall’amministrazione committente, poiché in questo caso l’appaltatore agisce quale nudus minister.

Superato, pertanto, il principio secondo il quale il proprietario di un immobile non cessa di averne la materiale disponibilità per averne pattuito, in appalto, la ristrutturazione, e pertanto, salvo che provi il totale affidamento di esso all’appaltatore, è responsabile, ai sensi dell’art. 2051 c.c. perché custode del bene, dei danni derivati ad un terzo, avendo l’obbligo, al fine di impedire che essi si verifichino, di controllare e vigilare l’esecuzione dei relativi lavori [141].

Principio ripreso anche da altra Cassazione

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 28 ottobre 2015, n. 21938

secondo la quale, appunto, nel caso di appalto che non implichi il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile nel quale deve essere eseguita l’opera appaltata, non viene meno per il committente e detentore del bene il dovere di custodia e di vigilanza e, con esso, la conseguente responsabilità ex art. 2051 c.c., che, essendo di natura oggettiva, sorge in ragione della sola sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha determinato l’evento lesivo.

Sul punto è tornata nuovamente la Cassazione,

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 31 marzo 2016, n.6231

la quale con ampia disamina ha affermato che nel caso di specie la corte di appello ha fatto corretta applicazione della costante giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 11371 del 16 maggio 2006; Sez. 3, Sentenza n. 13131 del 1 giugno 2006; Sez. 3, Sentenza n. 7356 del 26 marzo 2009; Sez. 3, Sentenza n. 7755 del 29 marzo 2007; Sez. 3, Sentenza n. 10588 del 23 aprile 2008; Sez. 3, Sentenza n. 24320 del 30 settembre 2008; Sez. 3, Sentenza n. 23947 del 12 novembre 2009) secondo cui, di regola, l’appaltatore deve ritenersi unico responsabile dei danni derivati a terzi dall’esecuzione dell’opera, atteso che egli esplica l’attività contrattualmente prevista in piena autonomia, con propria organizzazione ed a proprio rischio, apprestando i mezzi adatti e curando le modalità esecutive per il raggiungimento del risultato. Secondo tale giurisprudenza una corresponsabilità del committente può eccezionalmente configurarsi in caso di specifica violazione di regole di cautela nascenti dall’art. 2043 c.c., ovvero in caso di riferibilità dell’evento al committente stesso per culpa in eligendo, per essere stata affidata l’opera ad un’impresa assolutamente inidonea, ovvero ancora quando l’appaltatore, in base a patti contrattuali o nel concreto svolgimento del contratto, sia stato un semplice esecutore di ordine del committente e privato della sua autonomia a tal punto da aver agito come nudus minister di questi, o infine quando il committente si sia di fatto ingerito con singole e specifiche direttive nella esecuzione del contratto o abbia concordato con l’appaltatore singole fasi o modalità esecutive dell’appalto. In particolare, un dovere di controllo di origine non contrattuale gravante sul committente al fine di evitare che dall’opera derivino lesioni del principio del neminem laedere può essere configurato solo con riferimento alla finalità di evitare specifiche violazioni di regole di cautela (cfr. ad es., oltre a quelle sopra citate: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 11478 del 21 giugno 2004; Sez. 2, Sentenza n. 7273 del 12 maggio 2003) e non anche al fine di realizzare una generale supervisione da parte del committente sulla conformità del comportamento dell’appaltatore al principio base della responsabilità civile. Sulla base di questo corretto approccio ermeneutico, ha peraltro escluso che fossero state allegate e provate dall’attore (come sarebbe stato suo onere) circostanze comportanti la deroga al principio della responsabilità del solo appaltatore.

Inoltre, si continua a leggere nella medesima sentenza la responsabilità del proprietario di un fondo per i danni derivanti da attività di escavazione, ex art. 840 c.c., non opera in senso oggettivo, ma richiede una condotta colposa, sicché, nell’ipotesi in cui i lavori di escavazione siano affidati in appalto, è l’appaltatore ad essere di regola l’esclusivo responsabile dei danni cagionati a terzi nell’esecuzione dell’opera, salvo che non risulti accertato che il proprietario committente aveva – in forza del contratto di appalto la possibilità di impartire prescrizioni o di intervenire per richiedere il rispetto delle normative di sicurezza e che se ne sia avvalso per imporre particolari modalità di esecuzione o particolari accorgimenti antinfortunistici che siano stati causa (diretta o indiretta) del sinistro’ (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 6296 del 13 marzo 2013; Sez. 3, Sentenza n. 538 del 17 gennaio 2012; Sez. 3, Sentenza n. 16254 del 25 settembre 2012).

In particolare, la suddetta responsabilità postula che il committente venga chiamato in giudizio quale proprietario del fondo nel quale siano state fatte escavazioni e che proprio queste escavazioni siano state causa dei danni lamentati, con l’ulteriore deduzione di un comportamento dello stesso proprietario colposo (o doloso) tale da determinarne la responsabilità (ai sensi delle norme sull’illecito civile: artt. 2043, 2050, 2053 c.c.), posto che questa non sussiste per effetto della sola titolarità del diritto di proprietà (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 26002 del 5 dicembre 2011, in motivazione).

Con riguardo ad ipotesi di tal fatta, la responsabilità del committente è stata infatti spiegata in ragione della sua qualità di proprietario ex art. 840, co. 1, c.c. (v. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5273 del 28 febbraio 2008), e si è precisato che l’esistenza del rapporto di appalto può valere per consentire al committente una eventuale rivalsa nei confronti dell’appaltatore inadempiente o in colpa, o se del caso, a far sorgere una responsabilità dell’appaltatore verso il terzo danneggiato che può aggiungersi a quella del proprietario, ma non sostituirla o eliminarla.

Ma si è anche precisato che l’art. 840 c.c., va letto in combinato disposto con l’art. 2043 c.c. (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2988 del 23 giugno 1989) o con l’art. 2053 c.c. (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22226 del 17 ottobre 2006) o, ancora, con l’art. 2050 c.c. (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6104 del 20 marzo 2006), per come si evince anche dalle motivazioni delle sentenze che si sono occupate della questione (cfr., tra le altre, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6473 del 15 luglio 1997, Sez. 3, Sentenza n. 4577 del 6 maggio 1998, nonché da ultimo, la citata Cass. n. 5273 del 2008). In altri termini la responsabilità del proprietario ex art. 840 c.c., non opera in senso oggettivo, ma richiede una condotta colposa, con la conseguenza che, nell’ipotesi in cui lavori di escavazione siano affidati dal proprietario in appalto, la suindicata disciplina va interpretata alla stregua del principio sopra richiamato secondo cui l’appaltatore è di regola esclusivo responsabile dei danni cagionati a terzi nella esecuzione dell’opera. Ne consegue che non sussiste responsabilità del proprietario committente ove non risulti accertato che questi, avendo in forza del contratto di appalto la possibilità di impartire prescrizioni nell’esecuzione dei lavori o di intervenire per chiedere il rispetto della normativa di sicurezza, se ne sia avvalso per imporre particolari modalità di esecuzione dei lavori o particolari accorgimenti antinfortunistici che siano stati causa (diretta o indiretta) del sinistro (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19132 del 20 settembre 2011; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 15782 del 12 luglio 2006, oltre alle già richiamate sentenze n. 6296 del 2013, n. 538 del 2012 e n. 16254 del 2012).

Ancora sul punto la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 20 ottobre 2016, n. 21221

ha ripreso un precedente principio, affermando che solamente allorquando non si realizzi il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile non viene meno per il concedente la detenzione del bene e il conseguente dovere vigilanza e custodia (cfr., con riferimento all’ipotesi dell’appalto Cass., 18/7/2011, n. 15734), e conseguentemente la responsabilita’ nei confronti dei terzi danneggiati da sinistri come nella specie verificatisi all’interno del bene in concessione (demaniale – spiaggia).

Sul punto, nuovamente la Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|30 giugno 2022| n. 20840

ha precisato che la clausola di un contratto di appalto, nella quale si preveda che tutti i danni che i terzi dovessero subire dall’esecuzione delle opere siano a totale ed esclusivo carico dell’appaltatore, rimanendone indenne il committente, non può essere da quest’ultimo invocata quale ragione di esenzione dalla propria responsabilità risarcitoria nei confronti del terzo danneggiato per effetto di quei lavori, atteso che tale clausola, operando esclusivamente nei rapporti fra i contraenti, alla stregua dei principi generali sull’efficacia del contratto fissati dall’art 1372 c.c., non può vincolare il terzo a dirigere verso l’una, anziché verso l’altra parte, la pretesa nascente dal fatto illecito occasionato dall’esecuzione del contratto.

Altra responsabilità riscontrata dalla Cassazione, con recente pronuncia
Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 12 dicembre 2017, n. 29648
si ha in caso di furto in un appartamento condominiale commesso per la presenza di ponteggi esterni, allestiti per lavori di ristrutturazione sull’intero fabbricato. La responsabilità del condominio a titolo di custodia si affianca a quella dell’appaltatore, poiché sul condominio grava l’obbligo di vigilare e custodire il soggetto a cui sono affidati i lavori.

Poiché l’appaltatore gode di autonomia organizzativa e gestionale, una responsabilità del committente per i danni causati a terzi durante l’esecuzione dell’opera – come rappresentato in un’altra massima della Cassazione [142] – è configurabile solo in due casi:

  • o quando l’opera sia stata affidata ad impresa manifestamente inidonea (cosiddetta culpa in eligendo);
  • ovvero quando la condotta causativa del danno sia stata imposta all’appaltatore dal committente stesso, attraverso rigide ed inderogabili direttive.

L’accertamento della sussistenza di tali circostanze costituisce una indagine di fatto, riservata al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivata.

Tali principi valgono anche in materia di subappalto [143] perché il subcommittente risponde nei confronti dei terzi in luogo del subappaltatore, ovvero in via solidale con lui, quando — esorbitando dalla mera sorveglianza sull’opera oggetto del contratto al fine di pervenire alla corrispondenza tra quanto pattuito e quanto viene ad eseguirsi — abbia esercitato una concreta ingerenza sull’attività del subappaltatore al punto da ridurlo al ruolo di mero esecutore ovvero agendo in modo tale da comprimerne parzialmente l’autonomia organizzativa, incidendo anche sull’utilizzazione dei relativi mezzi [144].

Inoltre, secondo altra sentenza della Cassazione [145], l’art. 2049 c.c. prevede una ipotesi di responsabilità indiretta in capo all’imprenditore appaltatore, che organizza il lavoro altrui e subisce i rischi connessi ad una non buona organizzazione; non è escluso che tale responsabilità si possa estendere, in casi particolari, anche al committente, e tuttavia tale estensione costituisce una eccezione alla regola, al verificarsi di determinati presupposti che consistono nella scelta inadeguata della ditta esecutrice da parte del committente, o nell’essersi questi intromesso nella gestione dei lavori, direttamente o tramite tecnici incaricati, fino a far assumere all’appaltatore il ruolo di mero esecutore materiale; la configurabilità di detti presupposti rientra nell’onere probatorio di chi richiede tale applicazione estensiva della norma, e il suo accertamento in fatto è riservato al giudice di merito e sindacabile solo sotto il profilo della completezza e logicità della motivazione.

Alcune pronunce di merito

A tali principi si è riportata anche ultima sentenza di merito [146] secondo la quale, in materia di appalto privato, l’appaltatore esplica l’attività che conduce al compimento dell’opus perfectum in piena autonomia, con propria organizzazione ed a proprio rischio, apprestando i mezzi adatti e curando le modalità esecutive per il raggiungimento del risultato. L’espresso principio non solo esclude la configurabilità di un rapporto institorio tra committente ed appaltatore, ma implica, altresì, che solo l’appaltatore deve, di regola, ritenersi responsabile dei danni derivati a terzi nella, ovvero dalla, esecuzione dell’opera. Il committente, tuttavia, è direttamente responsabile dei danni predetti ogni qualvolta sia autore di specifiche violazioni riconducibili all’art. 2043 c.c., quando l’evento dannoso gli sia addebitabile per essere stata l’opera affidata ad una impresa palesemente carente delle necessarie capacità tecniche e organizzative per eseguirla correttamente, ovvero quando l’appaltatore sia stato un semplice esecutore di ordini del committente, nonché qualora questi si sia ingerito con singole e specifiche direttive nelle modalità di esecuzione del contratto, o abbia concordato con l’appaltatore singole fasi o modalità esecutive dell’appalto. Nel caso concreto, la mancata allegazione di alcuna specifica violazione posta in essere dal committente in relazione all’art. 2043 c.c., ovvero di una sua specifica culpa in eligendo nell’affidamento dei lavori all’impresa appaltatrice, impone la reiezione della domanda risarcitoria proposta nei suoi confronti, stante, altresì, la carenza di qualsivoglia eccezione in ordine alla configurabilità, in capo all’appaltatore, del ruolo di mero esecutore delle disposizioni del direttore dei lavori.

Con una pronuncia precedente il medesimo Tribunale [147], in merito, così stabiliva: l‘appaltatore, di norma, è l’unico responsabile dei danni derivati a terzi dall’esecuzione dell’opera, poiché il medesimo, in virtù del principio di autonomia di cui gode, esplica la sua attività nell’esecuzione dell’opera assunta con propria organizzazione, apprestandone mezzi, nonché curandone le modalità ed obbligandosi verso il committente a prestargli il risultato della sua opera. Quanto innanzi, tuttavia, non esclude la configurabilità di una corresponsabilità del committente in caso di riferibilità a quest’ultimo dell’evento dannoso per culpa in eligendo, per avere esso affidato la realizzazione dell’opera ad un’impresa assolutamente inidonea, ovvero nell’ipotesi in cui l’appaltatore in base a patti contrattuali sta stato un semplice esecutore degli ordini del committente ed abbia agito quale nudus minister, limitandosi cioè ad attuare specifiche direttive del committente. Nella fattispecie concreta, applicando tali principi, non vi sono elementi per ravvisare una responsabilità del committente, posto che i danni lamentati dal terzo derivano unicamente da una scelta lavorativa erronea, imputabile in via esclusiva all’impresa esecutrice dei lavori e al Direttore dei lavori, in quanto non oppostosi alla predetta scelta di esecuzione dell’opera. In circostanze siffatte, posto che il danno è ascrivibile alle condotte concorrenti dell’appaltatore e del direttore dei lavori, deve concludersi per la configurabilità di una responsabilità solidale di entrambi, a nulla rilevando la diversità dei titoli cui tale responsabilità si ricollega.

Mentre per altra sentenza della Corte Capitolina [148] l’appaltatore, seppure limitatosi alla esecuzione pedissequa delle direttive tecniche del progettista e del direttore dei lavori, non può ritenersi esonerato dalla responsabilità per i danni subiti dai terzi in seguito all’avvenuto accertamento delle cause di quei danni come ricollegate direttamente alla esecuzione dei lavori necessari alla realizzazione delle opere appaltate ed alla tipologia degli stessi. L’eventuale responsabilità solidale della ditta appaltatrice e del direttore dei lavori nei confronti del danneggiato, invero, può legittimare una rivalsa della prima verso il secondo, ma non può valere ad esonerare da colpa e responsabilità l’esecutrice dei lavori, prima responsabile dal fatto. Quanto innanzi trova giustificazione nell’obbligo dell’appaltatore di controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente, così da andare esente da responsabilità nell’ipotesi in cui queste siano palesemente errate, previa dimostrazione dell’avvenuta manifestazione del proprio dissenso e dell’avvenuta esecuzione delle stesse, quale nudus minister, per le insistenze del committente ad a rischio di quest’ultimo.

E) LA PRESTAZIONE DELL’APPALTANTE

 

art. 1657 c.c.  determinazione del corrispettivo

se le parti non hanno determinato la misura del corrispettivo né hanno stabilito il modo di determinarla, essa è calcolata con riferimento alle tariffe esistenti o agli usi; in mancanza, è determinata dal giudice.

 

            Bisogna subito precisare che la mancata determinazione del corrispettivo, in deroga alla disposizione generale di cui all’art. 1346 c.c. , non è causa di nullità del contratto, giacché lo stesso può essere stabilito, ai sensi dell’art. 1657 c.c. in base alle tariffe vigenti o agli usi, e ciò anche quando le parti, pur avendo pattuito il corrispettivo, non abbiano fornita la relativa prova; peraltro, qualora le parti non vi abbiano fatto preciso riferimento, le tariffe del Genio Civile non sono vincolanti ed inderogabili, avendo valore meramente indicative [149].

Inoltre, è opportuno subito chiarire, come ha avuto modo di stabilire anche recente Cassazione

Corte di Cassazione, sezione sesta (seconda) civile, Ordinanza 10 settembre 2020, n. 18792.

nel contratto di appalto, la qualità di committente può anche non coincidere con quella del soggetto a favore del quale i lavori vanno eseguiti, di tal che chiunque può, per le più svariate ragioni, dare incarico ad un appaltatore affinché questi compia le opere a favore di un terzo, con la conseguenza che il contratto si conclude tra il committente e l’appaltatore, il quale resta obbligato verso il primo ad adempiere alla prestazione a favore del terzo, mentre il primo resta obbligato al pagamento del compenso

1) Il corrispettivo in denaro

Il Corrispettivo:

  1. appalto à forfait : fissato dalle parti a corpo (per l’intera opera)
  2. appalto a prezzi unitari: fissato dalle parti a misura (pagamento a metro quadrato ad es.)

la differenza ha notevole importanza pratica perché, nella prima ipotesi, il rischio della maggiore quantità di lavoro o di materiale necessario è a carico dell’appaltatore, il quale non avrà diritto ad ulteriori compensi per eventuali variazioni che egli ritenga necessarie anche se autorizzate dal committente, essendo il prezzo determinato solo in funzione dell’unità di misura.

Di regola vige dunque il principio della postnumerazione del corrispettivo.

Infatti, va pagato dopo l’accettazione, che non avviene se l’opera non è terminata.

Stato Avanzamento Lavori

Le parti possono però pattuire una esecuzione per partite dell’opera ed allora ciascuno dei contraenti può chiedere che la verifica avvenga con riferimento alla singola partita. In tal caso l’appaltatore può domandare il pagamento in proporzione all’opera eseguita.

Qualora il compenso del contratto d’appalto o di prestazione d’opera non sia convenzionalmente determinato, sicché debba essere liquidato in base alle tariffe o agli usi, ovvero secondo il prudente apprezzamento del giudice (artt. 1657 e 2233 c.c.), la domanda con la quale l’appaltatore od il prestatore d’opera chieda il pagamento di detto compenso, mediante versamento di una certa somma, comporta a carico dell’attore medesimo l’onere di fornire la prova [150] della congruità di tale somma, alla stregua della natura ed entità dell’opera, ovvero di eventuali tariffe od usi vigenti in materia, mentre la deduzione del convenuto committente circa l’eccessività della richiesta avversaria non integra un’eccezione in senso proprio, implicante l’onere della relativa dimostrazione, ma una mera difesa sul fondamento della domanda, mediante contestazione della ricorrenza dei suoi presupposti.

Per le Sezioni unite [151] la domanda dell’appaltatore, diretta alla quantificazione ed al pagamento del corrispettivo dovuto dal committente, a norma dell’art. 1657 c.c., investe un’obbligazione avente ad oggetto originariamente la prestazione di una somma di denaro, determinabile dal giudice, e, quindi, un debito di valuta, ne consegue che la sopravvenuta svalutazione monetaria non può comportare l’adeguamento automatico di detto credito dell’appaltatore, effettuabile anche d’ufficio ed in grado d’appello (come nel caso dei debiti di valore), ma può solo implicare il riconoscimento di un maggior danno, ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, c.c., a condizione che il creditore stesso ne abbia fatto espressa domanda, e che tale domanda, in quanto autonoma rispetto a quella rivolta all’adempimento, sia stata tempestivamente proposta nel giudizio di primo grado.

2) Revisione del prezzo

            Il prezzo dell’appalto è in linea di massima, invariabile; l’appaltatore, cioè, non può pretendere un aumento del corrispettivo pattuito né il committente una riduzione qualora, nel corso dell’opera, si sia avuta una variazione del costo di produzione, ma trattandosi di un contratto ad esecuzione prolungata, il principio dell’invariabilità è derogato dall’art. 1664 c.c.

            L’istituto della revisione del prezzo si applica integralmente anche agli appalti di servizi, e quindi la revisione deve essere riconosciuta solo nel caso di variazioni dei costi superiori al decimo del prezzo pattuito, e deve essere accordata solo per la differenza che ecceda il decimo. Né a ciò è di ostacolo il riferimento, contenuto nell’art. 1664 citato, alla revisione del prezzo complessivo, poiché negli appalti di servizi il diritto alla revisione del compenso matura gradualmente, in concomitanza del corrispondente aumento del costo dei servizi appaltati, e pertanto, proposta la richiesta di revisione, questa vale anche per gli aumenti verificatisi anteriormente a detta richiesta [152].

art. 1664 c.c.   onerosità o difficoltà dell’esecuzione

qualora per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al 1/10 del prezzo convenuto, l’appaltatore o il committente possono chiedere un a revisione del prezzo medesimo. La revisione può essere accordata solo per quella differenza che eccede l’1/10.

L’art. 1664 c.c. costituisce una speciale applicazione del principio della rilevanza dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, previsto come fenomeno generale dall’art. 1467 [153] ma non può escludersi l’applicazione all’appalto anche dell’art. 1467.

Per le Sezioni unite [154] ai fini dell’applicazione dell’art. 1664 c.c., il diritto dell’appaltatore alla revisione dei prezzi è subordinato al duplice accertamento che vi sia stato un aumento, in misura superiore al decimo del prezzo convenuto, del costo dei materiali e della mano d’opera impiegati e che tali aumenti fossero imprevedibili al momento della conclusione del contratto, potendo, peraltro, l’imprevedibilità del mutamento riguardare, in epoca di instabilità monetaria, anche la sola misura del mutamento, quando si verifichi un improvviso salto inflattivo, rispetto all’andamento della svalutazione manifestatosi negli anni precedenti, dovuto a particolari contingenze

É stato precisato [155] che all’appaltatore costituito in mora non spetta, ai sensi degli artt. 1221 e 1664 del c.c., il diritto alla revisione del prezzo per aumenti imprevedibili del costo dei materiali o della mano d’opera, superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto, in quanto la mora del debitore fa persistere, con l’obbligazione, anche gli eventuali rischi aggiuntivi.

Tale norma che mira a tutelare le parti rispetto all’eccessiva onerosità può essere derogata.

Infatti, per la S.C. [156], la norma sulla revisione del prezzo dell’appalto ha carattere dispositivo; è, quindi, in facoltà delle parti derogarvi, fissando convenzionalmente un diverso limite o anche rimuovendo lo stesso limite legale di un decimo nello aumento o nella diminuzione del prezzo. In quest’ultima ipotesi, tuttavia, la deroga è operante e valida purché le parti abbiano preventivamente preso in considerazione le circostanze imprevedibili cui si richiama la citata disposizione.

E non può qualificarsi vessatoria, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1341, secondo comma, c.c., la clausola di esclusione della revisione del prezzo ex art. 1664 successivo, in quanto l’elencazione delle clausole onerose contenuta nell’art. 1341, secondo comma, citato ha carattere tassativo e la clausola suindicata non rientra in nessuna delle ipotesi ivi previste [157].

La clausola derogatoria non rende però il contratto aleatorio [158], comportando solo un’estensione del rischio contrattuale, già a carico dell’appaltatore ai sensi dell’art. 1655 c.c.

Con recente pronuncia di merito [159] si è avuto modo di precisare che nel contratto di appalto stipulato tra privati, quando il corrispettivo è stato determinato a corpo e non a misura, l’appaltatore non può invocare la revisione dei prezzi, di cui all’art. 1664 c.c. per le variazioni di costo intervenute in corso di esecuzione e dipendenti da fattori che al momento della stipula del contratto potevano essere preveduti; quando, invece, gli aumenti siano dipesi da fattori del tutto imprevedibili al momento della stipula del contratto, la revisione dei prezzi è dovuta anche nell’appalto con corrispettivo a corpo, a meno che le parti, nell’esercizio della loro autonomia, non vi abbiano inequivocabilmente rinunciato [160].

Mentre la deroga alla disciplina dell’art. 1664 c.c. (onerosità o difficoltà dell’esecuzione) nel cosiddetto appalto a forfait non comporta alcuna alterazione della struttura o della funzione dell’appalto, nel senso di renderlo un contratto aleatorio, ma solo un ulteriore allargamento del rischio, senza che questo, pur così ulteriormente allargato, esorbiti dall’alea normale di questo tipo contrattuale.

Pertanto, il mancato adeguamento del prezzo convenuto per l’appalto al maggior costo non può integrare arricchimento senza causa a favore del committente, non concretandosi l’arricchimento in un accanimento estraneo alla volontà contrattuale ed al consenso prestato alla parte «impoverita» [161].

  • Questioni processuali

Una volta che sia intervenuta la pronuncia di risoluzione del contratto, non è più ravvisabile (neppure astrattamente) la possibilità di dare accoglimento alla domanda di revisione dei prezzi, la quale presuppone la vigenza del rapporto anzidetto e ne costituisce esecuzione, laddove la risoluzione ha effetti restitutori e liberatori, postulando il venir meno del contratto quale causa giustificativa delle prestazioni che già siano state eseguite e di quelle che, a titolo di corrispettivo, debbano ancora essere eseguite, nel cui novero va inclusa la corresponsione dei compensi revisionali [162].

3) Difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili

a prescindere dal limite del decimo, necessario per la revisione del prezzo.

L’equo compenso

art. 1664 2 co c.c.

[…………..]

se nel corso dell’opera si manifestano difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti, che rendano notevolmente più onerosa la prestazione dell’appaltatore, questi ha diritto ad un equo compenso.

L’equo compenso di cui all’art. 1664, comma secondo, c.c., dovuto in dipendenza della c.d. sorpresa geologica, costituisce un supplemento di natura indennitaria proporzionale al prezzo, assolvente alla funzione di reintegrare l’appaltatore dei maggiori oneri, rispetto al compenso contrattuale, subiti per effetto delle impreviste ed imprevedibili difficoltà incontrate nell’esecuzione della prestazione per ostacoli di natura geologica e simili.

Ne consegue che detto compenso non è determinabile da parte del giudice di merito laddove difetti la prova del prezzo originario, posto che è proprio di quest’ultimo che si deve necessariamente tener conto ai fini della determinazione dell’indennizzo [163].

Da ultimo la Cassazione,

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 27 settembre 2018, n. 23174.

ha avuto modo di affermare che nell’ipotesi di opere edilizie da eseguirsi su strutture o basamenti preesistenti o preparati dal committente o da terzi, l’appaltatore viola il dovere di diligenza stabilito dall’art. 1176 c.c. se non verifica, nei limiti delle comuni regole dell’arte, l’idoneità delle anzidette strutture a reggere l’ulteriore opera commessagli, e ad assicurare la buona riuscita della medesima, ovvero se, accertata l’inidoneità di tali strutture, procede egualmente all’esecuzione dell’opera. Anche l’ipotesi della imprevedibilità di difficoltà di esecuzione dell’opera manifestatesi in corso d’opera derivanti da cause geologiche, idriche e simili, specificamente presa in considerazione in tema di appalto dall’art. 1664, 2° co., c.c. e legittimante se del caso il diritto ad un equo compenso in ragione della maggiore onerosità della prestazione, deve essere valutata sulla base della diligenza media in relazione al tipo di attività esercitata. E laddove l’appaltatore svolga anche i compiti di ingegnere progettista e di direttore dei lavori, l’obbligo di diligenza è ancora più rigoroso, essendo egli tenuto, in presenza di situazioni rivelatrici di possibili fattori di rischio, ad eseguire gli opportuni interventi per accertarne la causa ed apprestare i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi.

4) L’obbligo di cooperazione

Dovere che ha carattere strumentale in quanto ha lo scopo di permettere all’appaltatore di compiere l’opera o il servizio.

Difatti per la S.C. [164] anche in tema di appalto, è da ritenersi applicabile il principio secondo cui, ai sensi dell’art. 1206 c.c., il committente è tenuto a cooperare all’adempimento dell’appaltatore qualora tale cooperazione di riveli necessaria con riferimento alla particolare portata obiettiva dell’obbligazione pattuita (come, appunto, quella ascrivibile all’appalto di servizi di una nave durante i suoi tragitti di lungo corso), precisandosi che tale dovere discende da quelli più ampi di correttezza e buona fede oggettiva (che presiedono alla disciplina delle obbligazioni in generale e, quindi, anche dei contratti), i quali impongono all’appaltante di porre in essere quelle attività, distinte rispetto al comportamento dovuto ed esigibile dall’appaltatore (come verificatosi nel caso di specie), che risultino necessarie affinché quest’ultimo possa realizzare e garantire il risultato al quale era stato preordinato il rapporto obbligatorio.

Ed è stato anche precisato, da ultimo

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|18 gennaio 2022| n. 1475

che in tema di appalto, il committente non è obbligato a sorvegliare l’esecuzione delle opere, che normalmente avviene con piena autonomia dell’imprenditore. Lo stesso committente è, però, tenuto a cooperare all’adempimento dell’appaltatore, ai sensi dell’art. 1206 cod. civ. qualora tale cooperazione sia necessaria per l’oggetto particolare dei lavori appaltati, sicché egli deve porre in essere quelle attività, distinte rispetto a quanto dovuto dall’appaltatore, occorrenti affinché quest’ultimo possa conseguire il risultato cui il rapporto obbligatorio è preordinato e discendenti da eventuali specifiche pattuizioni contrattuali, o, più in generale, dai principi di correttezza e buona fede oggettiva

5) Consegna dei lavori

Da parte del committente, il quale deve mettere in grado l’appaltatore di intraprendere la propria attività, ad es. immettendolo nel possesso del terreno di sua proprietà su cui deve essere costruito l’immobile appaltato.

6) L’obbligazione di fornire il materiale in deroga all’art. 1658.

 

art. 1658 c.c.   fornitura della materia

la materia necessaria a compiere l’opera deve essere fornita dall’appaltatore, se non è diversamente stabilito dalla convenzione o dagli usi.

 

Poiché a norma dell’art. 1658 c.c. la materia necessaria a compiere l’opera si presume fornita dall’appaltatore, incombe al committente, il quale deduca di avere fornito tale materia, di dare la relativa prova [165].

 

art. 1663 c.c.  denuncia dei difetti della materia

l’appaltatore è tenuto a dare pronto avviso al committente dei difetti della materia da questo fornita, se si scoprono nel corso d’opera e possono compromettere la regolare esecuzione.

            Norma letta come una specificazione dell’art. 1175 c.c.

            Secondo la Corte di legittimità [166] l’appaltatore, una volta adempiuto l’obbligo, incombentegli ai sensi dell’art. 1663 c.c., di dare avviso al committente dei difetti della materia o dei macchinari da questi fornitigli, deve astenersi dall’eseguire l’opera; per cui, qualora vi dia ugualmente corso, resta esonerato da responsabilità soltanto nel caso che il committente, benché debitamente avvertito, abbia ciò nonostante insistito nel pretendere l’esecuzione del contratto, assumendo così in proprio il rischio e degradando l’appaltatore ad un semplice nudus minister.

            Tale previsione può essere dergota dalle parti, infatti, la regola secondo cui la responsabilità dell’appaltatore per vizi e difetti della materia impiegata non è a priori esclusa dall’essere stata essa scelta dallo stesso committente, può trovare valida deroga nelle private pattuizioni, ove prevalga l’esigenza di sottrarre l’appaltatore all’onere di complessi accertamenti preventivi, come nel caso in cui il committente riservi al direttore dei lavori un potere insindacabile di scelta e di controllo dei materiali tale da escludere ogni facoltà di determinazione e di decisione dell’appaltatore al riguardo [167].

            In definitiva l’appaltatore risponde dei difetti dell’opera quando accetti senza riserve i materiali fornitigli dal committente, sebbene questi presentino vizi o difformità riconoscibili da un tecnico dell’arte o non siano adatti all’opera da eseguire ed i difetti denunziati dal committente derivino da quei vizi o da quella inidoneità [168].

 

F) L’ESECUZIONE DELL’APPALTO

1) Controllo

Nella fase esecutiva si rivela in modo concreto l’autonomia dell’appaltatore la quale, poi, non esclude il controllo da parte del committente, ciò significa che quest’ultimo può operare controlli nel merito durante lo svolgimento dei lavori, al fine di verificarne lo stato.

In tema di appalto, come si è già avuto modo di specificare, è di regola l’appaltatore che risponde dei danni provocati a terzi ed eventualmente anche dell’inosservanza della legge penale durante l’esecuzione del contratto, attesa l’autonomia con cui egli svolge la sua attività nell’esecuzione dell’opera o del servizio appaltato, organizzandone i mezzi necessari, curandone le modalità ed obbligandosi a fornire alla controparte l’opera o il servizio cui si era obbligato. Il controllo e la sorveglianza del committente, invece, si limitano all’accertamento e alla verifica della corrispondenza dell’opera o del servizio affidato all’appaltatore con quanto costituisce l’oggetto del contratto.

In generale, in altri termini, è stato affermato dalla Cassazione [169] che il potere di controllo e di vigilanza del direttore dei lavori preposto dal committente non annullano l’autonomia dell’appaltatore che, salvo patto contrario, rimane conseguentemente tenuto a rispettare, nell’esecuzione dell’appalto, le regole dell’arte, al fine di assicurare un risultato tecnico conforme alle esigenze del committente, e, perciò, a controllare, tra l’altro, la qualità del materiale impiegato rispondendo dei vizi di tale materiale anche quando questo è servito dal committente o dal produttore da questo indicato, a meno che non provi che il controllo richiedeva cognizioni tecniche che eccedevano i limiti della diligenza dovuta o che ha dato pronto avviso al committente della inadeguata qualità del materiale ricevuto.

In tale contesto, una responsabilità del committente nei riguardi dei terzi risulta configurabile solo allorquando si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso dall’appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso, tanto che l’appaltatore finisca per agire quale nudus minister privo dell’autonomia che normalmente gli compete [170].

È stata poi riconosciuta una responsabilità del committente anche quando sia configurabile in capo al medesimo una culpa in eligendo, per aver affidato il lavoro ad un’impresa che palesemente difettava delle necessarie capacità tecniche, ovvero in base al generale principio del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c. [171].

In particolare, è stato anche precisato [172], che anche in capo all’amministratore di Condominio, che non costituisce un’entità diversa dal condominio del quale è rappresentante, perché il condominio è un ente di gestione privo di personalità giuridica diversa da quella dei singoli condomini, esiste questo dovere di controllo.

Ciò significa che il condomino che ritenga di essere stato danneggiato da un’omessa vigilanza da parte del condominio nell’esecuzione di lavori sulle parti comuni non può considerare l’amministratore come un soggetto terzo ed estraneo; dovrà comunque rivolgere la propria pretesa risarcitoria nei confronti del condominio il quale, a sua volta, valuterà se esistono gli estremi di una rivalsa nei confronti dell’amministratore.

Del resto, anche la sentenza [173] della medesima Terza Sezione, che pure ha riconosciuto una sorta di responsabilità allargata in capo all’amministratore di condominio, ha tuttavia escluso che il potere di controllo sui beni comuni permanga quando l’appaltatore sia posto in condizioni di esclusivo custode delle cose sulle quali si effettuano i lavori.

Il direttore dei lavori

 

[174]

La responsabilità del direttore dei lavori, tematica di rilievo nell’ambito del contratto di appalto pubblico e privato, costituisce snodo di primaria importanza nella dinamica relazionale committente appaltatore.

Molteplici i compiti e le funzioni del professionista dalla redazione dei SAL alla vidimazione di eventuali modifiche del progetto, la verifica della corretta esecuzione dei lavori, il controllo dell’impresa in tutte le fasi del cantiere, visite periodiche nel cantiere.

La prestazione del D.L. si sviluppa su diversi fronti, ovvero

  • aspetto tecnico
  • aspetto contabile e
  • aspetto amministrativo,

tutti caratterizzati dalla presenza di una serie di documenti tecnici e contabili, cui si aggiungono verbali, disposizioni, relazioni aggiuntive, certificati, che vanno compilati tutti a opera del tecnico.

Ebbene, come già scritto, l’art. 1662 c.c. riconosce al committente, nel corso dell’esecuzione di un’opera, il diritto di controllare lo svolgimento dei lavori e di verificarne a proprie spese lo stato. Orbene, tale diritto può essere esercitato personalmente dal committente ovvero delegato a un professionista appositamente incaricato: il direttore dei lavori (DL).

Il contratto stipulato tra committente e direttore dei lavori va inquadrato nell’ambito della fattispecie del contratto d’opera (art. 2222 ss. c.c.) e, segnatamente, nelle prestazioni professionali intellettuali (art. 2229 c.c.).

La responsabilità del professionista è disciplinata dall’art. 1176, comma II, c.c., secondo il quale nell’adempimento delle obbligazioni inerenti l’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata.

Per la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 17 maggio 2018, n. 12116

poi,  l’eventuale responsabilità del direttore dei lavori ha presupposti, contenuto e natura giuridica del tutto diversi da quelli previsti dall’art. 1490 c.c., fondandosi sulla violazione di specifici obblighi di vigilanza, secondo il parametro della diligentia quam in concreto.

Inoltre, assume rilievo il concetto di colpa professionale, presupposto essenziale per una imputazione di responsabilità, definito dal disposto di cui all’art. 2236 c.c., ovvero se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave.

Secondo la Giurisprudenza di legittimità il direttore dei lavori per conto del committente presta un’opera professionale in esecuzione di un’obbligazione di mezzi [175] e non di risultati ma, essendo chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l’impiego di peculiari competenze tecniche, deve utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare, relativamente all’opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della diligentia quam in concreto; rientrano pertanto nelle obbligazioni del direttore dei lavori l’accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l’adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi [176].

Principio ripreso anche da altra recente Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 3 settembre 2020, n. 18289.

secondo la quale, appunto, in tema di responsabilità conseguente a vizi o difformità dell’opera appaltata, il direttore dei lavori, pur prestando un’opera professionale in esecuzione di un’obbligazione di mezzi e non di risultato, è chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l’impiego di peculiari competenze tecniche e deve utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare, relativamente all’opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente-preponente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della “diligentia quam in concreto”. Rientrano, pertanto, nelle obbligazioni del direttore dei lavori, l’accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l’adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi; sicché non si sottrae a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e, in difetto, di riferirne al committente.

Il direttore dei lavori, in sostanza, assume la specifica funzione di tutelare la posizione del committente nei confronti dell’appaltatore, vigilando che l’esecuzione dei lavori abbia luogo in conformità a quanto stabilito nel capitolato di appalto.

Pertanto, in senso generale, la responsabilità del direttore dei lavori nei confronti del committente è configurabile sia a titolo extracontrattuale ex art. 1669 c.c. [177] sia a titolo contrattuale ai sensi dell’art. 1218 c.c. Ed infatti, accanto alle responsabilità extracontrattuale connessa all’ipotesi del crollo di edificio, sussiste responsabilità contrattuale tutte le volte che il direttore dei lavori non esegua correttamente le prestazioni cui è tenuto in virtù del conferimento dell’incarico [178].

Per recente giurisprudenza di merito [179] in ordine al contratto di appalto ed, in particolare, nell’ambito dell’obbligazioni che il direttore assume nei confronti della committenza rientrano l’accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l’adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi. Di talché, non si sottrae a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e di riferirne al committente. Ne deriva, dunque, che l’attività del direttore dei lavori per conto del committente si concreta nell’alta sorveglianza delle opere, che, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere né il compimento di operazioni di natura elementare, implica il controllo della realizzazione dell’opera nelle sua varie fasi e, pertanto, l’obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole dell’arte e la corrispondenza dei materiali impiegati. Tale interpretazione applicata nei casi di difetti e vizi dell’opera appaltata deve estendersi anche quando la violazione degli obblighi assunti dal direttore dei lavori abbia determinato non vizi dell’opera ma danni a terzi, come nel caso concreto, in cui l’ingegnere che, in qualità di direttore dei lavori, aveva impartito le prescrizioni relative alle modalità di esecuzione delle opere, ma non si era recato in cantiere nel periodo preso in riferimento per il tempo necessario per la verifica dell’inizio dei lavori e delle loro modalità. Si è, quindi, ritenuta sussiste una responsabilità del direttore dei lavori per inadempimento dell’incarico ricevuto sotto il profilo appena enunciato, anche perché pur non essendo necessaria la sua presenza giornaliera in cantiere, la fase iniziale dei lavori era di certo la più importante proprio in considerazione della fase di demolizione che era prodromica alle restanti.

Mentre, [180] per la costruzione di un immobile, la vigilanza sulla regolare realizzazione dell’opera, che compete al direttore dei lavori nominato dal committente, non comprende il controllo della qualità dei materiali utilizzati dall’appaltatore.

La cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 18 agosto 2020, n. 17213

ha avuto modo di precisare che il principio dell’esclusione di responsabilità per danni in caso di soggetto ridotto a mero esecutore di ordini (“nudus minister”) non si applica al direttore dei lavori che, per le sue peculiari capacità tecniche, assume nei confronti del committente precisi doveri di vigilanza, correlati alla particolare diligenza richiestagli, gravando su di lui l’obbligazione di accertare la conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera appaltata al progetto sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, sicché non è esclusa la sua responsabilità nel caso ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e, in difetto, di riferirne al committente

È opportuno, poi, ricordare

  • l’art. 29 T.U. [181] per l’edilizia dispone che il direttore dei lavori è responsabile della conformità delle opere alla normativa urbanistica, a quelle relative al permesso di costruire e a quelle esecutive stabilite dal medesimo permesso;
  • anche le nuove responsabilità del direttore dei lavori introdotte dal D.Lgs. n. 81/2008 in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro [182].

 

            Su quest’ultimo punto, per la Cassazione [183], la responsabilità del committente in merito agli infortuni sul lavoro, sicurezza del cantiere – fattispecie a rilevanza penale – non potendo esigersi da questi un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori ceduti in appalto, ai fini della configurazione della responsabilità del committente occorre verificare in concreto quale sia stata l’incidenza della sua condotta nell’eziologia dell’evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera, alla sua ingerenza nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d’opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pencolo. Di conseguenza, il contratto di appalto non solleva da precise e dirette responsabilità il committente allorché lo stesso assuma una partecipazione attiva nella conduzione e realizzazione dell’opera, in quanto, in tal caso, rimane destinatario degli obblighi assunti dall’appaltatore, compreso quello di controllare direttamente le condizioni di sicurezza del cantiere.

            In altre parole, in assenza di un qualche indice che faccia supporre che l’appaltatore sia stato sottoposto dal committente a direttive così stringenti da sottrargli qualsiasi possibilità di autodeterminazione, in conformità alla giurisprudenza in tema di appalto sopra ricordata deve ribadirsi che l’appaltatore rimane esclusivo responsabile dell’esecuzione dei lavori, nonché dei relativi danni conseguenti a negligenza nell’esecuzione.

Sulla responsabilità del direttore dei lavori è intervenuta nuovamente la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 19 settembre 2016, n. 18285

secondo la quale negli appalti di opere edilizie, la figura del direttore dei lavori per conto dell’appaltatore e’ diversa da quella del direttore dei lavori per conto del committente: mentre il primo, quale collaboratore professionale dell’imprenditore, ha il dovere di provvedere, dal punto di vista tecnico, all’esecuzione dell’opera, organizzando e vigilando che essa si svolga in modo non pericoloso per gli addetti ai lavori ed i terzi, il secondo ha soltanto il compito di controllare la corrispondenza dell’opera al progetto, rispondendo dell’adempimento di tale obbligo solo verso il committente a norma dell’articolo 2236 c.c., e, pertanto, ove abbia esercitato il compito suddetto, non puo’ essere ritenuto responsabile con l’appaltatore dei danni derivati al committente dalla difettosa esecuzione dell’opera e dall’imprudente svolgimento dei lavori diretti al compimento di essa (Cass. n. 3051/80).

Non sostiene, a ben leggere, cosa diversa Cass. n. 15124/01, secondo cui il direttore dei lavori e’ tenuto, in virtu’ delle competenze tecniche di cui deve essere in possesso per l’incarico affidatogli, ad una diligentia quam in concreto, da esplicare per l’accertamento della conformita’ sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, sia delle modalita’ dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, con la conseguenza che egli non si sottrae a responsabilita’ ove ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonche’ di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore ed, in difetto, di riferirne al committente.

Nell’un caso come nell’altro, e sia pure sotto diversi angoli visuali, i suddetti precedenti lasciano intendere la medesima conclusione, vale a dire che il direttore dei lavori per conto del committente non risponde insieme con l’appaltatore del risultato finale, costituito dall’opus oggetto dell’appalto, diverso e piu’ limitato essendo il suo ambito di responsabilita’.

Lungo questa medesima linea argomentativa è stato ulteriormente ribadito, nella sentenza in commento che il direttore dei lavori esercita in luogo del committente quei medesimi poteri di controllo sull’attuazione dell’appalto che questi ritiene di non poter svolgere di persona. La connotazione precipuamente tecnica di tale obbligazione di vigilanza non lo rende, pero’, corresponsabile della fattibilita’ dell’opera insieme con l’appaltatore, il quale soltanto ne risponde in base ai (e nei limiti dei) noti principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, anche quando il progetto da realizzare sia stato redatto da terzi (cfr. ex multis, Cass. nn. 1981/16 e 12995/06). Una cosa, infatti, e’ l’obbligo vigilare affinche’ l’opera sia realizzata in maniera conforme alle regole dell’arte, al progetto e al capitolato d’appalto; altra e’ l’obbligo di rilevare le eventuali carenze o i possibili difetti da cui sia affetto lo stesso progetto. Attivita’, quest’ultima, non riferibile al direttore dei lavori cosi’ come non si riferisce al committente, essendone specificamente onerato il solo appaltatore. Con la differenza che mentre il committente si auto-responsabilizza solo se, edotto delle carenze o degli errori del progetto, ne richieda egualmente l’esecuzione, riducendo cosi’ l’appaltatore a proprio mero nudus minister, il direttore dei lavori risponde della fattibilita’ e dell’esattezza tecnica del progetto solo se ed in quanto sia stato espressamente incaricato dal committente di svolgere anche tale attivita’ di verifica, aggiuntiva rispetto a quella costituente l’oggetto della sua normale prestazione professionale.

Ne è scaturito, infine, il seguente principio di diritto: “il direttore dei lavori esercita in luogo del committente quei medesimi poteri di controllo sull’attuazione dell’appalto che questi ritiene di non poter svolgere di persona. La connotazione precipuamente tecnica di tale obbligazione di sorveglianza lo obbliga a vigilare affinche’ l’opera sia eseguita in maniera conforme al progetto, al capitolato e alle regole della buona tecnica, ma non lo rende per cio’ solo corresponsabile con l’appaltatore per i difetti dell’opera derivanti da vizi progettuali, salvo egli sia stato espressamente incaricato dal committente di svolgere anche l’attivita’, aggiuntiva rispetto a quella costituente l’oggetto della sua normale prestazione, di verificare la fattibilita’ e l’esattezza tecnica del progetto“.

Ancora sul punto è intervenuta altra recente Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 21 settembre 2016, n. 18521

la quale ha confermato nuovamente che in tema di contratto di appalto, qualora il danno subito dal committente sia conseguenza dei concorrenti inadempimenti dell’appaltatore e del direttore dei lavori, entrambi rispondono solidalmente dei danni, essendo sufficiente, per la sussistenza della solidarieta’, che le azioni e le omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre l’evento, a nulla rilevando che le stesse costituiscano autonomi e distinti fatti illeciti, o violazioni di norme giuridiche diverse. La solidarieta’ fra coobbligati trova fondamento nel principio di cui all’articolo 2055 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilita’ extracontrattuale, si estende all’ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilita’ contrattuale.

2) Verifica in corso d’opera

se l’appaltatore si oppone è inadempiente e il contratto può essere risolto

art. 1662 c.c.   verifica nel corso di esecuzione dell’opera

il committente ha diritto di controllare lo svolgimento dei lavori e di verificarne a proprie spese lo stato.

Quando nel corso dell’opera, si accerta che la sua esecuzione non procede secondale condizioni stabilite dal contratto e a regola d’arte, il committente può fissare un congruo termine entro il quale l’appaltatore si deve conformare a tali condizioni; trascorso inutilmente il termine stabilito, il contratto è risoluto, salvo il diritto del committente al risarcimento del danno.

 

Nel contratto di appalto, il committente ha diritto, ai sensi dell’art. 1662 c.c., di controllare e sorvegliare a proprie spese lo svolgimento dei lavori scegliendo non solo i tempi ed i modi della verifica ma anche le persone attraverso cui effettuarla senza che l’appaltatore possa limitare questi diritti, richiedendo che la verifica sia eseguita da particolari categorie di esperti [184].

La richiesta del committente di procedere alla verifica dell’opera appaltata non è necessariamente collegata al completamento dell’appalto, o di una partita di esso, in quanto l’art. 1662 c.c. consente al suddetto di controllare lo svolgimento dei lavori, sicché dall’esito positivo di tale verifica durante l’esecuzione dell’opera — a differenza di quanto previsto dagli artt. 1665 e 1666 c.c. (per la verifica compiuta, rispettivamente, dopo l’ultimazione dell’opera e di una partita di questa) — non sorge il diritto dell’appaltatore all’immediato pagamento del corrispettivo [185].

Poichè, infatti, la facoltà, prevista dall’art. 1662 c.c., è finalizzata a garantire l’esatto adempimento dell’appalto, ma non anche a fungere da accettazione dell’opera, e non esclude, pertanto, la responsabilità dell’appaltatore per vizi o difformità dell’opera stessa [186].

La fissazione di un congruo termine entro il quale l’appaltatore si deve conformare alle condizioni stabilite dal contratto ed alla regola d’arte si tratta di una sorta di diffida ad adempiere ex art 1454 [187] che fa eccezione [188] però al principio generale secondo cui la risoluzione presuppone un inadempimento, il quale, a sua volta, presuppone venuta a scadenza l’obbligazione.

In tal caso, il termine di adempimento dell’appalto è, per definizione, ancora pendente, cosicché non rileva nemmeno l’eventuale non scarsa importanza, essendo sufficiente il periodo.

Il termine che il committente può fissare all’appaltatore, a norma dell’art. 1662 c.c., per provocare, in caso di inosservanza, l’automatica risoluzione del contratto, costituisce — al pari della diffida ad adempiere — una facoltà [189] e non un onere per la parte adempiente, in quanto ha la funzione di determinare lo scioglimento di diritto del rapporto, non quello di condizionarne la risoluzione giudiziale, la quale trova il suo solo presupposto nell’inadempimento di non scarsa importanza.

La notifica della diffida lascia presumere l’intenzione di risolvere il contratto, a differenza della diffida ordinaria in cui detta intenzione va dichiarata, ma il committente può escludere espressamente la risoluzione.

Poichè, infatti, come stabilioto anche dalla Cassazione [190], la disposizione dell’art. 1662, secondo comma, c.c., non esclude il rimedio generale previsto dagli artt. 1453 e seguenti c.c., e cioè la declaratoria di risoluzione per inadempimento, indipendentemente dalla diffida del committente, nel caso in cui la situazione verificatasi a causa dell’inadempimento dell’appaltatore venga ritenuta come irrimediabilmente compromessa.

In merito alla forma della diffida secondo la Corte di Piazza Cavour [191] non è necessario che l’intimazione ad adempiere entro un determinato termine sia espressa in formule sacramentali.

Mentre ai fini della congruità del termine fissato, ai sensi dell’art. 1662, comma secondo, c.c., dal committente all’appaltatore per conformare l’esecuzione dei lavori alle condizioni stabilite dal contratto ed a regola d’arte, la relativa valutazione, pur rientrando nell’apprezzamento discrezionale del giudice del merito, deve essere adeguatamente suffragata in motivazione ponendo quel termine in correlazione con i vizi lamentati e l’entità e gravità dei vizi stessi [192].

3) Variazioni al progetto

A) Non necessarie

l’appaltatore non avrà diritto ad alcun compenso se eseguite senza autorizzazione nemmeno sottoforma d’indebito arricchimento, se abbiano migliorato l’opera incrementandone il valore.

 

art. 1659 c.c.    variazioni concordate dal progetto

[1–A ipotesi variazione arbitraria dell’appaltatore] l’appaltatore non può apportare variazioni alle modalità convenute dell’opera  se il committente non le ha autorizzate [2–A ipotesi variazione concordata la sanzione è quella prevista dall’art. 1668 [193]].

L’autorizzazione si deve provare per iscritto.

Anche quando le modificazioni sono state autorizzate, l’appaltatore, se il prezzo dell’intera opera è stato determinato globalmente, non ha diritto a compenso per le variazioni o per le aggiunte, salvo diversa pattuizione.

B) Necessarie

art. 1660 c.c.   variazioni necessarie del progetto

[3–A ipotesi variazione necessaria] se per l’esecuzione dell’opera a regola d’arte è necessario apportare variazioni al progetto e le parti non si accordano, spetta al giudice di determinare le variazioni da introdurre e le correlative variazioni del prezzo.

Se l’importo supera l’ 1/6 del prezzo complessivo convenuto, l’appaltatore può recedere dal contratto e può ottenere, secondo le circostanze, un’equa indennità.

Se le variazioni sono di notevole entità, il committente può recedere dal contratto ed è tenuto a corrispondere un equo indennizzo.

 

La disciplina delle variazioni necessarie del progetto dell’opera appaltata, posta dall’art. 1660 c.c., contempla l’ipotesi in cui, durante l’esecuzione del contratto, sia necessario apportare variazioni al progetto, il cui costo è a carico del committente, non le ipotesi in cui la necessità di variazioni sia accertata dopo l’esecuzione del contratto e sia dovuta all’inadeguatezza dell’esecuzione stessa, in cui il costo delle opere è a carico dell’appaltatore a norma dell’art. 1668, primo comma, c.c. [194]

Per altro adagio della S.C. [195] la norma dell’art. 1660 c.c. , riguarda un’ipotesi di impossibilità dell’oggetto e costituisce espressione della volontà del legislatore di non attribuire uguale efficacia a qualsiasi ipotesi di impossibilità dell’oggetto, in quanto prevede, diversamente dall’art. 1672 c.c. [196] (relativo all’impossibilità assoluta di conseguimento del risultato), che il contratto abbia esecuzione anche se il suo oggetto sia divenuto in parte impossibile, e ciò mediante l’introduzione delle necessarie varianti, i cui limiti le parti possono anche avere preventivamente determinato. E tale soluzione resta valida anche con riferimento ad un’impossibilità originaria, perché nulla vieta che le parti, con apposite clausole contrattuali, deroghino alla disciplina generale, prevedendo la possibilità di un mutamento parziale dell’oggetto al fine di renderlo possibile anche nell’eventualità che si riscontri una impossibilità originaria di realizzazione del progetto.

  • Ius variandi del committente

 

art. 1661 c.c. variazioni ordinate dal committente

 

[4–A ipotesi – variazione ordinata dal committente] il committente può apportare variazioni al progetto, purché il loro ammontare non superi 1/6 del prezzo complessivo convenuto. L’appaltatore ha diritto al compenso per i maggiori lavori eseguiti, anche se il prezzo dell’opera era stato concordato globalmente [il legislatore non ha previsto il caso in cui il committente ordini variazioni che comportino una riduzione della quantità dei lavori da eseguire con conseguente diminuzione dei costi, ma la dottrina nell’ammetterle, afferma che un siffatto ordine integri un legittimo recesso parziale del contratto].

 

Nel contratto di appalto, per la Corte di Legittimità [197], le variazioni al progetto che il committente, ai sensi dell’art. 1661 c.c., ha il potere di apportare assumendone i costi, quando queste non importino notevoli modificazioni della natura dell’opera o dei quantitativi delle singole categorie dei lavori e l’ammontare dei relativi costi non superi il sesto del prezzo convenuto, non determinano, di per sé, la sostituzione del precedente contratto con uno diverso, ma solo la parziale modifica dell’oggetto della prestazione dovuta dall’appaltatore e l’obbligazione del committente di pagamento degli eventuali costi aggiuntivi, né implicano rinuncia del committente al termine di consegna dei lavori stabilito nel contratto, con conseguente applicabilità della disciplina dell’art. 1183 c.c. , ma, a meno che non sia dimostrato, in concreto, un diverso e specifico accordo tra le parti e che non si tratti di variazioni di notevole entità che, comportando un importante mutamento del piano dei lavori, rendano inesigibile l’adempimento nell’originario termine, possono assumere rilievo solo come eventuale causa di ritardo non imputabile all’appaltatore e di giustificazione della inosservanza di quel termine pattuito.

 

  • Esclusione dello ius variandi

Il potere di modifica unilaterale del contratto che spetta ex lege al committente può essere escluso con apposita pattuizione.

Secondo alcuni autori [198] l’appaltatore può in ogni caso rifiutarsi di eseguire quei lavori che non appaiono necessari per una migliore esecuzione dell’opera.

Inoltre, lo ius variandi è escluso quando ex art. 1661 II co c.c. le variazioni pur essendo contenute nei limiti suddetti, importano notevoli modificazioni della natura dell’opera e dei quantitativi nelle singole categorie di lavori previsti nel contratto per l’esecuzione dell’opera medesima.

A mente di una pronuncia della S.C.[199], al fine di individuare la fattispecie prevista dall’art. 1661, secondo comma, c.c., relativa alle variazioni del progetto, che importano notevoli modificazioni della natura dell’opera, con conseguente inapplicabilità dello jus variandi del committente di cui al primo comma del citato art. 1661, occorre aver riguardo allo sconvolgimento del piano originario delle opere, che determina una sostituzione consensuale del regolamento contrattuale già in essere e trova concretezza in base a specifici parametri, correlati all’entità materiale e tecnica degli interventi di modifica o alla loro consistenza economica.

Il riconoscimento all’appaltatore del compenso supplementare ex art. 1661, primo comma, c.c., per variazioni al progetto ordinate dal committente, postula la dimostrazione della consistenza e del costo delle opere inizialmente pattuite, in quanto solo se a seguito delle variazioni risultino opere di costo maggiore trova fondamento la pretesa inerente a tale supplemento, sicché, ai fini della liquidazione di questo, non è sufficiente l’accertamento di una eccedenza del costo delle opere realmente compiute rispetto al prezzo pattuito globalmente, ma occorre, invece, che l’eccedenza sussista tra il costo delle opere inizialmente pattuite ed il costo di quelle realmente eseguite. L’onere di provare l’entità ed il costo sia delle opere eseguite a seguito delle variazioni, che delle opere progettate, incombe sull’appaltatore, con la conseguenza che, in mancanza di detta prova, il supplemento suindicato non può essere attribuito [200].

L’appaltatore può provare, con ogni mezzo di prova ed anche in via presuntiva, che le variazioni dell’opera appaltata siano state richieste dal committente, essendo richiesta la prova scritta dell’autorizzazione di quest’ultimo solo ove le variazioni delle opere siano dovute ad iniziativa dell’appaltatore [201].

Mentre [202], allorquando il committente, anziché portare a compimento l’opera, sia pure difformemente dalla originaria previsione, abbia dato disdetta del contratto, lasciando l’opera stessa incompleta e sottraendo, così, all’appaltatore l’esecuzione della parte non ancora eseguita, non si configura l’ipotesi disciplinata dall’art. 1661 c.c. — che accorda al committente la facoltà di apportare variazioni, anche in meno, al progetto nei limiti di un sesto del prezzo complessivo convenuto — vertendosi, invece, nella diversa ipotesi del recesso unilaterale [203] che, secondo la disposizione dell’art. 1671 c.c., può essere esercitato ad nutum dal committente in un qualunque momento successivo alla conclusione del contratto e, quindi, anche nel corso dell’esecuzione dell’opera, con il correlativo obbligo a suo carico di lasciare indenne l’appaltatore dalle spese sostenute, dai lavori eseguiti e dal mancato guadagno.

4) Verifica

Eseguita dal committente a spese dell’appaltatore non appena costui lo mette in condizioni di poterla eseguire.

Per la Cassazione [204] la verifica e con essa il collaudo dell’opera appaltata devono ritenersi atti pertinenti al committente anche se per la loro esecuzione siano contrattualmente imposti all’appaltatore oneri e prestazioni, onde anche in tale ultima ipotesi spetta al committente sollecitare e permettere la verifica, trovando egualmente applicazione in caso contrario la presunzione di accettazione dell’opera di cui all’art. 1665 c.c.

Per autorevole autore [205] la verifica se positiva termina con il collaudo, negozio bilaterale di accertamento o secondo taluni [206], mera dichiarazione di scienza.

art. 1665 c.c.  verifica e pagamento di singole partite

il committente, prima di ricevere la consegna, ha diritto di verificare l’opera compiuta.

La verifica deve essere fatta dal committente appena l’appaltatore lo mette in condizione di poterla eseguire.

Se, nonostante l’invito fattogli dall’appaltatore, il committente tralascia di procedere alla verifica senza giusti motivi, ovvero non ne comunica il risultato entro un breve termine, l’opera si considera accettata.

Se il committente riceve senza riserve la consegna dell’opera, questa si considera accettata ancorché non si sia proceduto alla verifica.

Salvo diversa pattuizione o uso contrario, l’appaltatore ha diritto al pagamento del corrispettivo quando l’opera è accettata dal committente (att. 181).

È stato precisato dalla S.C. [207] che la previsione in contratto del diritto dell’appaltatore al pagamento di acconti da parte del committente e della periodica esigibilità di essi sulla base della constatazione, misurazione e contabilizzazione dei lavori eseguita in contraddittorio delle parti o del direttore dei lavori, non è idonea ad integrare e sostituire la verifica dell’opera che, ai sensi dell’art. 1665 c.c., il committente ha il diritto di eseguire dopo l’ultimazione dei lavori medesimi, né costituisce prova legale del diritto al corrispettivo maturato sulla base dei conteggi eseguiti; tuttavia, gli stati di avanzamento approvati, anche mediatamente, dal committente possono essere considerati prova del diritto dell’appaltatore, se il committente non dimostri che nei fatti, per quantità dei lavori eseguiti e prezzi applicati, l’opera è difforme da quella che da tali atti complessivamente risulta.

Inoltre, per costante giurisprudenza [208] la disciplina stabilita dall’art. 1665 c.c., per il diritto dell’appaltatore al pagamento del corrispettivo, non si sottrae alla regola generale secondo la quale il principio inadimplenti non est adimplendum [209] va applicato secondo buona fede e, pertanto, il giudice del merito deve accertare se la spesa occorrente per eliminare i vizi dell’opera è proporzionata a quella che il committente rifiuta perciò di corrispondere all’appaltatore, ovvero subordina a tale eliminazione, per cui l’eccezione d’inadempimento è istituto di applicazione generale in materia di contratti a prestazioni corrispettive, che mira a conservare, in caso d’inadempimento di una delle parti, l’equilibrio sostanziale e funzionale del negozio, e perciò richiede quel giudizio sulla ragionevolezza del rifiuto di adempiere, espresso dal secondo comma dell’art. 1460 c.c., con la formula della non contrarietà alla buona fede. Il rimedio dell’eccezione d’inadempimento è applicabile al contratto di appalto nell’ipotesi di rifiuto del committente di pagare il corrispettivo all’appaltatore inadempiente all’obbligo di eliminare i vizi e le difformità dell’opera, nonché nell’ipotesi in cui l’appaltatore non consegni l’opera perché il committente, adducendo vizi e difformità inesistenti, rifiuta il pagamento del corrispettivo [210].

Da ultimo, è stato precisato dalla S.C.

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 16 maggio 2019, n. 13224.

In tema di appalto, l’art. 1665 c.c., pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell’opera, indica i fatti e i comportamenti dai quali deve presumersi la sussistenza dell’accettazione da parte del committente e, in particolare, al quarto comma prevede come presupposto dell’accettazione (da qualificare come tacita) la consegna dell’opera al committente (alla quale è parificabile l’immissione nel possesso) e come fatto concludente la “ricezione senza riserve” da parte di quest’ultimo anche se “non si sia proceduto alla verifica”. I soli pagamenti eseguiti dal committente a titolo di acconto, sulla base dell’avanzamento dei lavori, non sono idonei, in sé, a supportare l’assunto della sussistenza della intervenuta accettazione tacita dell’opera, neppure per “facta concludentia”, in assenza di qualunque richiamo a una effettiva consegna dell’opera medesima.

Principio, ripreso anche da ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 3 giugno 2020, n. 10452

 

art. 1666 c.c.    verifica e pagamento di singole partite

se si tratta di opere da eseguire per partite, ciascuno dei contraenti può chiedere che la verifica avvenga per le singole partite. In tal caso l’appaltatore può domandare il pagamento in proporzione dell’opera eseguita.

Il pagamento fa presumere l’accettazione della parte di opera pagata; non produce questo effetto il versamento di semplici acconti (att. 181).

 

La norma di cui all’art. 1666, comma secondo c.c. si riferisce specificamente ai contratti relativi ad opere da eseguire per partite, nei quali sia la verifica, sia il pagamento, sia, infine, l’accettazione della (parte di) opera — che può anche avere una sua autonomia funzionale e che, comunque, forma oggetto di autonoma consegna, sebbene rientrante nell’oggetto generale del contratto — riguardano le singole partite, delle quali, una volta eseguito il pagamento da parte del committente, si presume l’accettazione senza riserve da parte di costui, e non si applica, per converso, agli appalti che non risultano essere stati convenuti ed eseguiti per partite [211].

5) Collaudo

Differisce dalla verifica perché non è un accertamento in senso tecnico, ma un atto giuridico non negoziale [212] e, precisamente, una dichiarazione di scienza [213] con la quale il committente comunica all’appaltatore il risultato, positivo o negativo della verifica già effettuata.

Ciò risulta anche dall’unica norma nella quale la dottrina ravvisa una previsione, ancorché incidentale, del collaudo e, precisamente, nel III comma dell’art. 1665 dove si parla di comunicazione del risultato della verifica.

Tale ipotesi è prevista espressamente dalle norme sugli appalti pubblici.

La differenza è stata ampiamente spiegata in una pronuncia della Cassazione [214] a mente della quale la distinzione fra verifica e collaudo — estranea alla terminologia del codice che parla solo di verifica (artt. 1665 e 1666 c.c. ) — indica due diversi momenti di una complessa operazione che, con l’accettazione e la consegna, pone fine al rapporto di appalto: il momento della verifica — intesa come ispezione materiale dell’opera, consistente in un’operazione eminentemente tecnica — ed il momento del collaudo, costituito dalla coeva o successiva dichiarazione, da parte del committente, che l’opera è stata o meno eseguita a regola d’arte e nel rispetto dei patti contrattuali. Spetta al giudice del merito accertare, nell’interpretazione dei patti contrattuali, se le parti abbiano convenuto un collaudo propriamente detto o una mera ispezione materiale dell’opera allo scopo di porre fine al rapporto di appalto.

Per la S.C. [215]. la funzione del collaudo e quella dell’approvazione del conto sono distinte e non si implicano reciprocamente, nel senso che mentre il collaudo è rivolto ad accertare l’adeguatezza tecnica dell’opera, l’approvazione del conto riguarda, invece, l’adeguatezza delle pretese dell’appaltatore in relazione ai parametri unitari di compenso fissati ed alla consistenza delle opere eseguite, con la conseguenza che si può ben riconoscere la bontà dell’opus e, nel contempo, disconoscere l’esattezza del prezzo richiesto. In tal caso spetta all’appaltatore agire in giudizio per dimostrare l’esattezza del prezzo richiesto dando dimostrazione del suo assunto

 

6) L’accettazione

Una volta che l’opera sia stata completata deve essere consegnata al committente così da consentirgli l’effettuazione di verifiche e collaudi: nel caso in cui a questi ultimi consegua un esito positivo, il committente accetta espressamente l’opera; nel caso, invece, di esito negativo l’opera si considera come non accettata e dunque la garanzia continua a sussistere nella vigenza dei termini per la sua azionabilità in giudizio.

V’è da dire, peraltro, che l’accettazione può configurarsi anche in assenza di una dichiarazione del committente in tal senso: a norma dell’art. 1655, comma III, c.c., l’opera si considera accettata quando il committente non abbia dato seguito all’invito dell’appaltatore di procedere alla verifica, senza giustificati motivi, ovvero non ne abbia comunicato l’esito entro un termine ragionevole; ancora, quando il committente abbia ricevuto senza riserve la consegna dell’opera, anche omettendone la verifica.

Nel caso in cui il contratto preveda il diritto dell’imprenditore al pagamento di acconti sul corrispettivo, pagati sulla base delle risultanze della misurazione della quantità di lavori già eseguiti, quali emergono dal certificato sullo stato di avanzamento degli stessi, quest’ultimo in nessun caso sostituisce la verifica dell’opera che il committente ha diritto di eseguire una volta che essa sia ultimata, né costituisce prova legale, in favore dell’appaltatore, nemmeno quando sia formato dal committente o da persona da lui incaricata, dell’avvenuta esecuzione dei lavori nelle misure ivi indicate e per i prezzi ivi liquidati. Ne consegue che, in caso di contestazione, da parte del committente, delle risultanze degli stati di avanzamento, l’appaltatore non è esonerato dal provare il fondamento del suo diritto al corrispettivo nella misura dallo stesso richiesta, in presenza di una domanda fondata esclusivamente su tale stato di avanzamento, potendo la prova della sussistenza del diritto in questione essere considerata acquisita solo per la parte di lavori per la quale la contestazione sia mancata [216].

L’accettazione è un negozio giuridico unilaterale recettizio [217] non formale, con il quale il committente dichiara di essere pronto a ricevere la consegna della cosa, con conseguente pagamento del prezzo.

L’accettazione dell’opera non si identifica con la presa in consegna della medesima, con la conseguenza che incombe all’appaltatore l’onere di provare che il committente ha accettato l’opera, dopo essere stato invitato e messo in condizione di verificare la buona esecuzione della stessa [218].

Per la Cassazione [219], il codice civile, pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell’opera, indica i fatti e i comportamenti dai quali deve presumersi la sussistenza dell’accettazione da parte del committente e, in particolare, al quarto comma prevede come presupposto dell’accettazione (da qualificare come tacita) la consegna dell’opera al committente (alla quale è parificabile l’immissione nel possesso) e come fatto concludente la ‘ricezione senza riservé da parte di quest’ultimo anche se‘non si sia proceduto alla verificà.

Bisogna, però, distinguere tra atto di consegnà e atto di accettazione dell’opera: la consegnà costituisce un atto puramente materiale che si compie mediante la messa a disposizione del bene a favore del committente, mentre l accettazione esige, al contrario, che il committente esprima (anche per facta concludentià) il gradimento dell’opera stessa, con conseguente manifestazione negoziale la quale comporta effetti ben determinati, quali l’esonero dell’appaltatore da ogni responsabilità per i vizi e le difformità dell’opera ed il conseguente suo diritto al pagamento del prezzo.

Di pari avviso è altra pronuncia di merito [220] a mente della quale, in tema di appalto, l’art. 1655 c.c., pur non enunciando l’accettazione tacita dell’opera, indica i fatti ed i comportamenti in forza dei quali si può presumere la sussistenza dell’accettazione dell’opera da parte del committente prevedendo come il presupposto dell’accettazione tacita, sia la consegna dell’opera al committente e come fatto concludente la ricezione senza riserve anche se non si sia proceduto alla verifica. Dall’accettazione dell’opera bisogna però distinguere la consegna della stessa costituendo la consegna, un atto puramente materiale che si compie mediante la messa a disposizione del bene in favore del committente, mentre l’accettazione esige che il committente esprima, anche per fatti concludenti, il gradimento dell’opera stessa, con conseguente manifestazione negoziale che comporta effetti determinati, come l’esonero dell’appaltatore da ogni responsabilità per i vizi e le difformità dell’opera ed il conseguente suo diritto al pagamento del prezzo.

Per ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione sesta civile, Ordinanza 3 luglio 2018, n. 17317.

in tema di appalto, affinché possa parlarsi di accettazione tacita dell’opera commissionata occorre che il committente accetti senza riserve la consegna dell’opera oppure compia un atto che presupponga necessariamente la volontà di accettarla o tale da risultare incompatibile con quella di rifiutarla o accettarla condizionalmente. In particolare, l’art. 1665 cod. civ., pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell’opera, indica i fatti ed i comportamenti dai quali deve presumersi la sussistenza dell’accettazione da parte del committente. Le prime due ipotesi – da qualificarsi accettazione presunta – di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 1665 cod. civ., ricorrono allorché il committente, cui sia pervenuto l’invito a procedere alla verifica dell’opera, tralasci di provvedervi senza giusti motivi – prima ipotesi – oppure – seconda ipotesi – avendo a tanto provveduto, non comunichi i risultati all’appaltatore entro breve termine. È pur vero che bisogna però distinguere tra atto di “consegna” ed atto di “accettazione” dell’opera, costituendo la “consegna” un atto puramente materiale che si attua mediante la messa a disposizione del bene a favore del committente, mentre l’”accettazione” esige, al contrario, che il committente esprima – anche per “facta concludentia” – il gradimento dell’opera stessa da cui sorge il conseguente obbligo di pagamento del prezzo, tuttavia, il codice civile prevede che essa debba avvenire in un ragionevole lasso di tempo. L’accertamento in concreto dei presupposti per l’accettazione tacita e del fatto concludente è una “quaestio facti” rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità se sorretto da congrua motivazione.

  • Gli effetti

Per autorevole dottrina [221]

in primo luogo determina il passaggio del rischio ex art. 1673 c.c. [222] perimento o deterioramento della cosa: se per causa non imputabile ad alcuna delle parti, l’opera perisce o è deteriorata prima che sia accettata dal committente o prima che il committente sia in mora a verificarla, il perimento o il deterioramento è a carico dell’appaltatore qualora questi abbia fornito la materia.

In secondo luogo esonera l’appaltatore da ogni responsabilità per vizi ex art. 1667 c.c.[223] secondo il quale l’appaltatore è tenuto alla garanzia per le difformità e i vizi dell’opera. La garanzia non è dovuta se il committente ha accettato l’opera e le difformità o i vizi erano da lui conosciuti o erano riconoscibili, purché in questo caso, non siano stati in mala fede taciuti dall’appaltatore.

Infatti secondo la S.C. [224] l’accettazione senza riserve dell’opera appaltata determina il venir meno per il committente, a norma dell’art. 1667, comma primo, c.c. , della garanzia per eventuali difformità o vizi, che erano da lui riconosciuti o riconoscibili, ma non importa rinunzia al risarcimento dei danni per il ritardo nella consegna.

Più specificamente, secondo altra recente Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 3 gennaio 2019, n. 11

in tema di contratto di appalto, la consegna dell’opera e la sua accettazione (anche se presunta ai sensi dell’art. 1665, comma 3, c.c.) liberano l’appaltatore esclusivamente dalla responsabilità per vizi palesi e riconoscibili dal committente ex art. 1667 c.c., i quali devono necessariamente essere fatti valere in sede di verifica o collaudo.

In terzo luogo, art. 1665 5 co c.c. salvo diversa pattuizione o uso contrario l’appaltatore ha diritto al pagamento del corrispettivo quando l’opera è accettata dal committente.

  • L’accettazione presunta

1 – A ipotesiart. 1665 III co, prima parte < Se, nonostante l’invito fattogli dall’appaltatore, il committente tralascia di procedere alla verifica senza giusti motivi …………, l’opera si considera accettata >

2 – A ipotesiart. 1665 III co, seconda parte <Se, nonostante l’invito fattogli dall’appaltatore, ………….., ovvero non ne comunica il risultato entro un breve termine, l’opera si considera accettata >

3 – A ipotesiart. 1665 IV co, < Se il committente riceve senza riserve la consegna dell’opera, questa si considera accettata ancorché non si sia proceduto alla verifica >

4 – A ipotesiart. 1666 II co, < Il pagamento fa presumere l’accettazione della parte di opera pagata; non produce questo effetto il versamento di semplici acconti >

 

7)   Pagamento del prezzo

art. 1665 5 co c.c.

[……………….]

salvo diversa pattuizione o uso contrario l’appaltatore ha diritto al pagamento del corrispettivo quando l’opera è accettata dal committente.

 

É stato, logicamente, precisato [225] sotto un profilo meramente processuale che in tema di inadempimento del contratto di appalto, in applicazione del principio di cui all’art. 2697 c.c., relativamente al riparto dell’onere della prova, l’appaltatore che agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto, ha l’onere di provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto ed alle regole dell’arte. Il committente dal canto suo potrà liberarsi dall’obbligazione di pagamento provando l’inadempimento dell’appaltatore ovvero la corretta esecuzione dei lavori da questi eseguiti.

Inoltre, per altra sentenza [226], del medesimo Tribunale, l’appaltatore che, al fine di ottenere il pagamento del residuo dovuto per la esecuzione dei lavori, convenga in giudizio la parte committente, la quale eccepisca la non corrispondenza delle opere realizzate e del prezzo pattuito con quelli indicati in contratto, nonché l’inesatto adempimento dell’obbligazione contrattualmente assunta dall’appaltatore medesimo, è gravato dall’onere di provare non solo l’intervenuta stipula del contratto di appalto, come allegata a fondamento della domanda, e l’esecuzione dei lavori indicati nel computo metrico allo stesso allegato, ma, a fronte dell’eccezione di inesatto adempimento tempestivamente sollevata dal debitore, anche il corretto adempimento della sua obbligazione, in quanto fatti costitutivi della pretesa azionata. In tal senso, seppure può essere in astratto superata la contrapposizione tra le parti in ordine all’ammontare del corrispettivo pattuito, in quanto l’art. 1657 c.c. sancisce che se le parti non hanno stabilito la misura del corrispettivo, oppure non hanno fornito in giudizio la relativa prova, il corrispettivo stesso deve essere determinato secondo le tariffe o gli usi, oppure, in mancanza, dal Giudice, l’appaltatore è tenuto comunque a provare le opere oggetto del contratto, espressamente contestate dalla parte committente. Il mancato adempimento dell’onere probatorio gravante sull’appaltatore impone la reiezione della domanda di adempimento dal medesimo proposta, in quanto all’evidenza paralizzata dall’eccezione di inesatto adempimento svolta dalla parte avversa.

Per ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 16 marzo 2015, n. 5162

in tema di appalto, il diritto dell’appaltatore al corrispettivo sorge con l’accettazione dell’opera da parte del committente (art. 1665, ultimo comma, c.c.) e non già al momento stesso della stipulazione del contratto. Ne consegue che, ove l’appaltatore abbia ceduto il proprio credito (futuro) e successivamente fallisca nel corso dell’esecuzione dell’opera, il cessionario non ha diritto al credito per il corrispettivo maturato per l’opera già compiuta, nei limiti dell’utilità della stessa ed in proporzione all’intero prezzo pattuito, ove l’appaltante ceduto non l’abbia in precedenza accettata nei confronti dell’imprenditore “in bonis”, non potendo neppure invocarsi gli effetti dello scioglimento del contratto di cui all’art. 1672 c.c., operando essi in base ad un’impossibilità assoluta ed oggettiva della prestazione in sé, mentre nello scioglimento a seguito di fallimento dell’appaltatore (art. 81 L.F.) rileva un evento di natura personale.

E’ opportuno anche sottolineare che all’appaltatore comunque è concessa l’azione residuale di cui all’art. 2041 c.c.

Difatti, ricorda ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 13 settembre 2016, n. 17957

chi propone vittoriosamente l’azione di arricchimento senza causa ha diritto, a titolo di indennizzo, alla somma determinata nella minor misura tra l’entita’ della diminuzione patrimoniale subita e quella dell’arricchimento ricavato dalla persona nei cui confronti l’azione e stata proposta.

Ai fini dell’indennizzo dovuto per l’arricchimento senza causa, l’articolo 2041 c.c., considera, poi, solo la diminuzione patrimoniale subita dal soggetto e non anche il lucro cessante, che e’ altra componente, separata e distinta, del danno patrimoniale complessivamente subito alla stregua dell’articolo 2043 c.c., ma espressamente escluso dal cit. articolo 2041. Ne deriva che in tema di azione di indebito arricchimento, conseguente all’assenza di un valido contratto, l’indennita’ prevista dall’articolo 2041 c.c., va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dalla parte nell’erogazione della prestazione e non in misura coincidente con il mancato guadagno che la stessa avrebbe potuto trarre dall’instaurazione di una valida relazione contrattuale.

Nella fattispecie, la Corte di merito ha correttamente attribuito valore al costo sopportato dall’appaltatore per l’esecuzione delle opere ed escluso, quindi, che fosse dovuto, per il titolo che qui viene in esame, il lucro che lo stesso avrebbe potuto percepire nell’ipotesi in cui il contratto fosse stato valido e produttivo di effetti (lucro consistente nella quota, stimata dalla Corte di appello in ragione del 30% del corrispettivo complessivo volto a remunerare i lavori affidati all’impresa).

Infine, occorre segnalare come ha avuto modo di recente la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 27 febbraio 2019, n. 5734.

che la disciplina dettata in attuazione della direttiva 2000/35/CE, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali e contenuta Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 31, ove stabilisce l’automatica decorrenza degli interessi moratori, senza la necessita’ della costituzione in mora del debitore, alla scadenza del termine legale, variamente individuato, illustra, dunque, una evoluzione tendenziale della legislazione che mira a incentivare (attraverso sanzioni automatiche, di natura monetaria) il pagamento delle somme dovute nell’ambito dei contratti tra imprese o tra imprese e pubbliche amministrazioni, relative a cessioni o consegne di merci ovvero a prestazioni di servizi, nel cui novero va incluso anche l’appalto (arg. da Cass. Sez. 1, 29/07/2004, n. 14465). La definizione adottata del Decreto Legislativo n. 231 del 2002, articolo 2, comprensiva dei contratti, comunque denominati, tra imprese che comportano, in via esclusiva o prevalente, la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo, e’, invero, compatibile con la definizione dell’appalto specificata dall’articolo 1655 c.c., dovendosi intendere l’espressione prestazione di servizi come riferibile a tutte le prestazioni di fare (e, quindi, anche di non fare) che trovano il loro corrispettivo in un pagamento in denaro.

Il corrispettivo dell’appalto deve essere pagato alle scadenze contrattuali ovvero, in difetto di pattuizione, quando l’opera sia accettata dal committente, sicche’ e’ da tale momento che decorrono per l’appaltatore gli interessi sulle somme dovutegli. Peraltro, il corrispettivo diviene inesigibile se vengono riscontrati nell’opera difetti legittimanti l’exceptio inadimpleti contractus: tale inesigibilita’ si protrae finche’ i vizi non vengano eliminati, ovvero il committente non opti per la riduzione del corrispettivo.

La riserva

Sul punto, si riporta recente Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Sentenza 27 ottobre 2020, n. 23556.

la quale ha avuto modo di ribadire che in tema di appalto privato, il principio secondo cui il prezzo non è esigibile se il committente riceve l’opera con riserva presuppone, per la sua applicabilità, che la riserva sia giustificata, cioè è applicabile in quanto l’opera presenti realmente i vizi rilevanti, ma se, a verifica eseguita, si accerta che l’opera non presentava i vizi denunciati, il pagamento del prezzo non può più essere differito con l’eccezione di inesatto adempimento, ma deve seguire senza ulteriore indugio. (Nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto infondata l’eccezione di prescrizione del diritto al corrispettivo sull’assunto che, essendo mancata l’accettazione del committente, il credito dell’appaltatore per il pagamento del prezzo era divenuto esigibile solo a seguito dell’accertamento giudiziale dell’inesistenza dei vizi e delle difformità eccepite dal committente).

8) La Consegna

E’ un’obbligazione accessoria e può essere adempiuta dall’appaltatore, secondo le regole generali, in modo effettivo, fittizio o simbolico.

In difetto di adempimento spontaneo il committente può agire in forma specifica ex art. 2930 c.c. fino la momento della consegna, ma dopo l’accettazione, l’appaltatore ha l’obbligo di custodire l’opera, di cui egli è detentore qualificato.

Se il committente non provvede a ritirare l’opera, sarà in mora e troveranno integrale applicazione le norme in materia di mora del creditore (art. 1206 ss.).

La presa in consegna dell’opera da parte del committente non equivale, ipso facto, ad accettazione della medesima senza riserve, con conseguente rinunzia all’azione per i difetti conosciuti o conoscibili della stessa, atteso che, integrando la ricezione senza riserve della res un’ipotesi di accettazione tacita, occorre in concreto stabilire se, nel comportamento delle parti, siano o meno ravvisabili elementi contrastanti con la presunta volontà di accettare l’opera [227]; ciò vale, tanto più, nel caso in cui i vizi dell’opera si siano manifestati successivamente alla presa in consegna, trattandosi, dunque, di vizi occulti [228].

9)  Passaggio della proprietà

Il passaggio della proprietà dell’opera avviene con modalità diverse in relazione alle diverse circostanze:

  1. in caso di costruzione di beni mobili:
  • se i materiali sono prevalentemente forniti dall’appaltatore, la proprietà si trasferisce con l’accettazione
  • se i materiali sono forniti dal committente la proprietà si acquista a misura che l’opera viene ad esistenza
  1. in caso di costruzione di beni immobili:

1) la proprietà si acquista per accessione ex art. 934 ss. se il terreno è di proprietà del committente

2) in seguito ad accettazione se esso è di proprietà dell’appaltatore.

EPILOGO – mediante esempio

Tizio (committente) ha concluso (accordo – proposta + accettazione) con Caio (appaltatore) un contratto di appalto avente ad oggetto [229] la costruzione di una villa che sarà edificata sul suolo dello stesso Tizio (per differenziare tale fattispecie dalla vendita di cosa futura [230]). Le parti hanno convenuto in euro 600.000 il corrispettivo [231] in denaro.

Nel corso dell’opera, Tizio, che ha continuamente fatto eseguire verifiche (in corso d’opera [232]) dal suo direttore dei lavori [233] (l’ing. Sempronio), ordina a Caio, contro il parere di costui, di variare [234] il pavimento della villa, sostituendo quello previsto con materiale di maggior pregio e, in conseguenza di ciò il corrispettivo aumenta ad euro 700.000; non supera, ciò, il sesto consentito.

Costruita la villa, Tizio fa effettuare la verifica [235] da Sempronio, il quale gli comunica che l’opera è stata eseguita a regola d’arte; quindi comunica a Caio il risultato positivo della verifica (collaudo [236]) e, a conferma di ciò manifesta espressamente (a differenza della accettazione presunta) la sua volontà di ricevere l’opera (accettazione [237] ).

Tizio, che è divenuto proprietario della villa per accessione, paga [238] i 700.000 euro a Caio e, il giorno stesso, riceve la consegna [239] ufficiale della villa.

 G) IL SUBAPPALTO

 

Contratto derivato dall’appalto originario in ordine a tutto o a parte dell’oggetto o del servizio da eseguire; contraenti sono l’appaltatore originario ed il subappaltatore, mentre resta estraneo il committente.

 

art. 1656 c.c. subappalto

l’appaltatore non può dare in subappalto l’esecuzione dell’opera o del servizio se non è stato autorizzato [natura negoziale, ma non richiede forme particolari – essere preventiva, ossia intervenire prima che il contratto di subappalto sia concluso] dal committente.

Secondo parte della dottrina [240] ricorre una ipotesi di collegamento negoziale [241] unilaterale, nel senso che il subappalto è subordinato all’appalto che ne costituisce un presupposto logico, sebbene non giuridico.

Per la Corte di Legittimità [242] il subappalto è un contratto derivato (o subcontratto) in quanto con esso l’appaltatore incarica un terzo (subappaltatore) di eseguire, in tutto o in parte, l’opera o il servizio che egli ha assunto. Al subappalto, quindi, quale contratto derivato, si applica in genere la stessa disciplina del contratto base, non diversamente da quanto avviene negli altri subcontratti (subcomodato, sublocazione), escluse quelle disposizioni che fanno eccezione alla regola e che concedono particolari benefici.

Il contratto di subappalto fa nascere un rapporto obbligatorio intercorrente tra appaltatore (che diventa subappaltante o subcommittente) e subappaltatore (che svolge la propria attività in condizioni di autonomia imprenditoriale o quale libero professionista) rispetto al quale il committente è estraneo – anche quando lo abbia autorizzato – poiché egli non acquista diritti né assume obblighi nei confronti del subappaltatore.

Difatti, per la S.C.[243] per mezzo del subappalto, l’appaltatore conferisce a un altro soggetto (il subappaltatore, terzo rispetto al contratto di appalto) l’incarico di eseguire l’opera o il servizio che erano stati commissionati ad esso appaltatore dal committente. Nel contratto di subappalto, che rinviene il proprio antecedente logico e funzionale nel contratto di appalto intercorrente tra committente e appaltatore, quest’ultimo assume a propria volta la veste di subcommittente in un ulteriore contratto di appalto, comunque autonomo rispetto al primo.

In merito all’autonomia con altro arresto la Cassazione ha precisato che le obbligazioni costituite con il contratto di subappalto, ancorché dipendenti dal contratto d’appalto, hanno propria autonomia ed individualità, e, in particolare, non si sottraggono alla regola secondo cui l’impossibilità sopravvenuta è ragione di esonero del debitore solo se derivi da causa a lui non imputabile (art. 1218 c.c. ).

Pertanto, la responsabilità risarcitoria del subcommittente nei confronti del subappaltatore, per la mancata consegna dell’area di cantiere, non può essere esclusa per il solo fatto che l’area medesima non sia stata a sua volta acquisita dal committente, con conseguente sospensione dei lavori nell’ambito del rapporto d’appalto, occorrendo la prova di detta non imputabilità (e quindi dell’uso della dovuta diligenza, da parte del subcommittente, nell’accertare la possibilità di disporre di quel terreno) [244].

Per altra pronuncia [245], la consapevolezza, o anche il consenso, sia antecedente, sia successivo, espresso dal committente all’esecuzione, in tutto o in parte, delle opere in subappalto, valgono soltanto a rendere legittimo, ex art. 1656 c.c., il ricorso dell’appaltatore a tale modalità di esecuzione della propria prestazione e non anche ad instaurare alcun diretto rapporto tra committente e subappaltatore. Ne consegue che, in difetto di diversi accordi, il subappaltatore risponde della relativa esecuzione nei confronti del solo appaltatore e, correlativamente, solo verso quest’ultimo, e non anche nei confronti del committente, può rivolgersi ai fini dell’adempimento delle obbligazioni, segnatamente di quelle di pagamento derivanti dal subcontratto in questione. A tale principio non si sottrae l’esperimento dell’azione per il pagamento dell’indennizzo spettante all’appaltatore in caso di recesso del committente, di cui all’art. 1671 c.c., rivestendo anche quest’ultima natura contrattuale.

Invero, l’assenso al subappalto è configurato come mera autorizzazione diretta a tutelare l’interesse del committente e non già a costituire un nuovo rapporto tra committente e subappaltatore. L’appalto, infatti, resta immutato tra committente e appaltatore originario sul quale continua a far carico la responsabilità esclusiva dell’esecuzione dei lavori.

Il subappalto si distingue, quindi, dalla cessione del contratto [246] di appalto che implica il trasferimento della posizione contrattuale dell’appaltatore a un terzo. Ciò, in quanto mentre nella cessione del contratto il contraente ceduto entra in rapporto diretto con il contraente originario, nel subappalto i due rapporti restano distinti ancorché tra loro collegati.

Il fondamento del divieto di subappaltare senza autorizzazione si ritrova in due principi –

  • innanzitutto il legislatore ha voluto dare rilevanza, sia pure limitata, all’intuitus personae;
  • il secondo principio è intrinseco al contratto di appalto e si ritrova nello scopo d’impedire che l’appaltatore si trasformi in un accaparratore di lavori e che la riduzione del margine di guadagno del subappaltare influisca negativamente sull’esecuzione dell’opera.

            Per quanto riguarda il subappalto non autorizzato è preferibile che sia valido, ma da luogo alla risoluzione dell’originario contratto di appalto – è preferibile perché il subappaltatore non ha diretti rapporti con il committente, il quale potrà, perciò, agire soltanto nei confronti dell’appaltatore per non aver costui adempiuto ad un obbligo (negativo) inerente al contratto d’appalto.

            Il subappalto non autorizzato potrà, evidentemente essere convalidato dal committente, ma questa convalida nient’altro sarà se non una rinunzia all’azione di risoluzione.

art. 1670 c.c.    responsabilità dei subappaltatori

l’appaltatore, per agire in regresso nei confronti dei subappaltatori, deve, sotto pena di decadenza, comunicare ad essi la denunzia entro sessanta giorni dal ricevimento.

            La dottrina [247] nega che il committente abbia azione diretta nei confronti del subappaltatore per il caso di autorizzazione del subappalto.

            Pertanto, il medesimo, per far valere i vizi e le difformità di cui agli artt. 1667-1677 c.c., dovrà rivolgersi all’appaltatore il quale, al fine di agire in via di regresso nei confronti dei subappaltatori, dovrà, a pena di decadenza, comunicare loro la denuncia del committente entro sessanta giorni dal ricevimento (art. 1670 c.c.), salvo che preferisca agire direttamente in giudizio nei loro confronti.

In ordine alla comunicazione, poi, come anche da ultimo arresto della S.C.

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza 22 ottobre 2020, n. 23071.

l’appaltatore è tenuto, ai sensi dell’art. 1670 c.c., a denunciare tempestivamente al subappaltatore i vizi o le difformità dell’opera a lui contestati dal committente sia nell’ipotesi in cui agisca in regresso nei confronti del subappaltatore che in quella speculare in cui sia il subappaltatore ad agire nei suoi confronti per inadempimento, tenuto conto che la pretesa dell’appaltatore di andare esente dal pagamento del corrispettivo trova fondamento, in entrambe le ipotesi, nel vizio dell’opera contestato dal committente.

            Per la Cassazione [248], in tema di risarcimento del danno per vizi e difformità dell’opera, l’appaltatore non può agire in responsabilità contro il subappaltatore prima ancora che il committente gli abbia denunciato l’esistenza di vizi o difformità, essendo l’appaltatore, prima di tale momento, privo dell’interesse ad agire, ben potendo, infatti, il committente accettare l’opera nonostante i vizi palesi, oppure non denunciare mai i vizi occulti oppure denunciarli tardivamente, con la conseguenza che, in tali ipotesi, di nulla potrebbe dolersi l’appaltatore, perché nessun danno (non essendo il destinatario dell’opera) sarebbe a lui derivato dalla esistenza di difformità o vizi dell’opera realizzata dal subappaltatore.

 

            Il subappaltatore, a sua volta, non ha alcuna azione diretta nei confronti del committente per ottenere il pagamento del corrispettivo della prestazione oggetto del subappalto. Tale azione infatti, è riservata esclusivamente ai dipendenti dell’appaltatore.

            Il subappaltatore è responsabile:

  • nei confronti dell’appaltatore (subappaltante) per i vizi o le difformità della propria prestazione [249],
  • nei confronti dei terzi [250] per danni cagionati nell’esecuzione dell’opera o del servizio, salvo il caso che il subappaltante abbia esercitato sull’attività del subappaltatore un’ingerenza così penetrante da averlo reso mero esecutore dei suoi ordini [251];

in altri termini [252], l’imprenditore che prende in subappalto lo svolgimento di un determinato servizio o il compimento di una determinata opera assume tutte le obbligazioni che facevano capo all’appaltatore, tra le quali quelle di porre in essere tutte le cautele indispensabili per evitare infortuni sul lavoro, e nel caso che essi si verifichino ne risponderà direttamente nei confronti dei propri dipendenti, non potendo pretendere di essere tenuto indenne dall’appaltatore sub-committente, salvo le ipotesi eccezionali di violazione, da parte del sub-committente, del principio del neminem laedere, o di una sua responsabilità per colpa per aver affidato l’opera ad impresa che palesemente difettava delle necessarie capacità tecniche ed amministrative per eseguirla correttamente, o anche quando il subappaltatore, in base ai patti contrattuali o nel concreto svolgimento del rapporto, sia stato un semplice esecutore di ordini del subcommittente, privato della sua autonomia organizzativa a tal punto da risultare un nudus minister di questi, o infine quando il sub-committente si sia di fatto ingerito con singole, specifiche direttive nella esecuzione del contratto o abbia concordato con il subappaltatore singole fasi o modalità esecutive dell’appalto.

  • Per eventuali reati commessi nell’esecuzione dell’opera.

            Per la S.C. [253], poiché l’obbligazione assunta dal subappaltatore ha ugualmente natura di obbligazione di risultato e non di mezzi, anche nel caso di affidamento dell’incarico sulla base di un progetto già predisposto, la diligenza nell’adempimento deve essere valutata in base ai criteri dell’art. 1176, secondo comma, c.c.; ne consegue che permane l’obbligo del subappaltatore di segnalare al subcommittente gli inconvenienti derivanti dalle direttive ricevute, riducendosi il ruolo del subappaltatore al rango di nudus minister , come tale esente da responsabilità, soltanto nell’estrema ipotesi di conferma delle precedenti disposizioni nonostante detta segnalazione.

            Infine, è stato precisato [254] che in caso di subappalto, la responsabilità del subcommittente per i danni derivati ai terzi dall’attività esecutiva dell’opera commessa al subappaltatore può essere affermata solo nel caso che il primo abbia esercitato sull’attività del secondo una ingerenza siffattamente penetrante da averlo reso mero esecutore dei suoi ordini.

 

H) L’ESTINZIONE DELL’APPALTO

 

1) Il recesso

[255]

 

art. 1671 recesso unilaterale dal contratto

il committente può recedere dal contratto, anche se è stata iniziata l’esecuzione dell’opera o la prestazione del servizio, purché tenga indenne l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno.

La norma accorda al committente la possibilità, esercitabile ad nutum (e quindi a suo arbitrio, e senza necessità di addurre i motivi [256]), di impedire l’ultimazione dell’opera, in quanto ritenuta non più conveniente, o addirittura pregiudizievole, oppure inficiata dal venir meno del rapporto di fiducia tra le parti: si tratta di un rimedio che costituisce eccezione al principio della forza obbligatoria del contratto, ex art. 1372.

É un negozio costitutivo, di secondo grado (opera sul rapporto posto in essere dal contratto originario), recettizio.

Se il contratto è accordo, nel senso che l’accordo non è elemento costitutivo del contratto, ma, secondo un’efficace espressione la facoltà riservata a una parte di sciogliersi unilateralmente dal vincolo, a prescindere da un accordo in tal senso e in assenza di esso, costituisce vera e propria anomalia del sistema, la cui ratio può essere individuata esclusivamente nell’intuitu personae e nella sua ultrattività, nel senso che la valutazione obiettiva di fiducia verso l’appaltatore si estende dalla formazione dell’accordo, sostanziando la volontà del contraente, all’esecuzione del contratto, condizionandone lo svolgimento.

Per la giurisprudenza [257] il recesso rappresenta l’esercizio di un diritto potestativo, è uno strumento di carattere eccezionale nell’ambito dei contratti a prestazioni corrispettive che trova la sua giustificazione nella rilevanza dell’elemento soggettivo del tipo contrattuale, riservato alla libera determinazione del recedente e sottratto al controllo dell’appaltatore e dei terzi, a nulla rilevando i motivi che lo hanno determinato, tra i quali vi può essere la sfiducia maturata nei confronti dell’appaltatore; ed anche la valutazione proveniente da un terzo; può essere esercitato in qualsiasi momento successivo alla conclusione del contratto [258] da parte del committente, anche se sia egli stesso inadempiente [259]; preclude al medesimo, per contro, la domanda di risoluzione per inadempimento nei confronti dell’appaltatore, il quale ultimo, a sua volta, non ha diritto a continuare l’opera [260].

L’incompatibilità tra le due domande vale anche nel caso contrario: il committente che abbia già formulato domanda di risoluzione per inadempimento, innescando così un procedimento di valutazione comparativa dei comportamenti delle parti, non può più recedere [261]; a differenza di quanto avviene nel contesto dell’azione di risoluzione, in caso di recesso non vi è necessità di indagini sull’importanza e la gravità dell’inadempimento, salvo il caso che il committente, nel recedere, abbia preteso anche il risarcimento dei danni per inadempimenti in cui l’appaltatore fosse già incorso al momento del recesso [262].

In tale ultimo caso la condanna dell’appaltatore al risarcimento del danno in favore del committente può vanificare l’obbligo di quest’ultimo di indennizzare l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno [263].

Secondo recente Cassazione [264] anche nell’appalto continuativo o periodico di servizi, sia pubblico che privato, trova applicazione l’art. 1671 c.c., in tema di recesso unilaterale del committente, recesso che costituisce esercizio di un diritto potestativo e che, come tale non richiede la ricorrenza di una giusta causa e può essere esercitato per qualsiasi ragione, ponendosi in relazione all’esigenza di evitare che il medesimo committente resti vincolato pure quando sia venuto meno il suo interesse alla prestazione dei servizi appaltati e quindi anche se, come nella specie, ritenga il relativo costo eccedente le proprie disponibilità e previsioni di spesa.

Il diritto (del committente) di recedere dal contratto di appalto in ogni momento, ai sensi dell’art. 1671 c.c., obbliga il recedente a tenere indenne l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno ossia del danno emergente e del lucro cessante, da liquidare secondo i principi regolatori del risarcimento del danno – anche in via equitativa.

In effetti, mentre il recesso unilaterale ex art. 1373 c.c. presuppone, invece, un patto espresso [265] che attribuisca al committente la facoltà di recedere dal contratto prima che sia iniziata l’esecuzione, ai fini dell’esercizio del recesso non è richiesta condizione alcuna e il committente può recedere anche se sia inadempiente e senza necessità di fornire giustificazione.

Per ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, sentenza 7 marzo 2018, n. 5368

La domanda dell’appaltatore volta a conseguire dal committente il corrispettivo previsto per l’esercizio della facolta’ di recesso pattuita in suo favore ai sensi dell’articolo 1373 c.c. e la domanda dello stesso appaltatore di essere tenuto indenne dal committente avvalsosi del diritto di recesso riconosciutogli dall’articolo 1671 c.c., sono sostanzialmente diverse in quanto la prima presuppone l’esistenza di un patto espresso che attribuisca al committente la facolta’ di recedere dal contratto prima che questo abbia avuto un principio di esecuzione, nonche’ l’avvenuto esercizio del recesso entro tale limite temporale, ed ha per oggetto la prestazione, in corrispettivo dello “ius poenitendi”, di una somma (“multa poenitentialis”) integrante un debito di valuta e non di valore; la seconda, invece, presuppone l’esercizio, in un qualsiasi momento posteriore alla conclusione del contratto e quindi anche ad iniziata esecuzione del medesimo, di una facolta’ di recesso che al committente e’ attribuita direttamente dalla legge ed ha per oggetto un obbligo indennitario.

Il diritto di recesso esercitabile ad nutum dal committente in qualsiasi momento dell’esecuzione del contratto di appalto non presuppone uno stato di regolare svolgimento del rapporto ma, al contrario, stante l’ampiezza di formulazione della norma di cui all’art. 1671 c.c., può essere esercitato per qualsiasi ragione che induca il committente a porre fine al rapporto, da un canto non essendo configurabile un diritto dell’appaltatore a proseguire nell’esecuzione dell’opera (avendo egli solo diritto all’indennizzo previsto dalla detta norma) e, d’altro canto, rispondendo il compimento dell’opera esclusivamente all’interesse del committente. Nel contratto di appalto, sia pubblico che privato, il recesso ad nutum del committente rappresenta «l’esercizio di un diritto potestativo, riservato alla libera determinazione del recedente e sottratto al controllo di terzi e dell’appaltatore, senza che assumano rilievo i motivi che lo hanno determinato anche se consistenti nel venir meno dei presupposti dell’appalto.

  • La forma

Si concorda sul fatto che la forma sia libera: dunque il recesso può essere comunicato anche oralmente.

Occorre tuttavia una manifestazione espressa di volontà: trattandosi di negozio unilaterale recettizio, un recesso tacito, quand’anche fosse ravvisabile in fatto, rimarrebbe giuridicamente irrilevante per mancanza di comunicazione all’appaltatore [266].

La giurisprudenza [267] pare ammettere un comportamento per facta concludentia, purché non equivoco, pur se, in precedenza, ha sottolineato la necessità di dare notizia all’appaltatore [268].

La dottrina [269] prevalente non ritiene necessario un preavviso.

Lo scioglimento anticipato del rapporto di appalto — che ne sia la causa — lascia permanere le specifiche obbligazioni, riconducibili al contratto, rispettivamente dell’appaltatore di lasciare libero il fondo, essendo l’occupazione dello stesso giustificata dal fine della realizzazione o completamento dell’opera, e del committente di non ostacolare e rendere possibile l’attuazione del correlato diritto dell’appaltatore di smontare il cantiere e di ritirare gli attrezzi ed i materiali da lui forniti e non ancora utilizzati. Consegue che la violazione di un tale obbligo da parte del committente configura un inadempimento, fonte idonea di responsabilità a suo carico [270].

  • Derogabilità

Giurisprudenza di merito e di legittimità concordano nel ritenere derogabile la previsione di cui all’art. 1671 c.c.

Tuttavia la derogabilità della disposizione appare concernere più l’assoggettamento della facoltà a limiti e condizioni che non alla possibilità di escludere dagli effetti del contratto la facoltà di recesso unilaterale del committente a esecuzione iniziata.

Con una prima pronuncia [271] la Suprema Corte ha stabilito che in tema di appalto, il recesso del committente disciplinato dall’art. 1671 c.c. può essere convenuto, tra le parti, con determinati requisiti di tempo e di forma, attesa la derogabilità convenzionale della norma in parola, sicché in caso di mancata (o non formale) disdetta i contraenti possono legittimamente concordare conseguenze diverse da quelle previste dalla norma stessa.

Di derogabilità, nel senso di regolamentazione contrattuale delle conseguenze patrimoniali del recesso, viene affrontata anche in un altro arresto [272], con riferimento a un contratto di appalto di servizi, in relazione al quale si è ritenuta valida ed efficace la clausola con la quale le parti hanno anticipatamente quantificato gli effetti patrimoniali del recesso, circoscrivendo l’importo dell’indennizzo a un certo numero di canoni.

Pur affermando la derogabilità della disposizione in commento, le pronunce richiamate si limitano a prevedere l’assoggettabilità, per espressa pattuizione, dell’esercizio della facoltà di recesso a limiti e condizioni, oppure la possibilità per le parti di definire pattiziamente limiti al diritto all’indennizzo per l’appaltatore.

  • Sussistenza anche di un recesso unilaterale ex art. 1373 c.c.

É possibile prevedere, nell’ambito dell’autonomia contrattuale anche un recesse uniltarela convenzionale.

Infatti, per la S.C.[273] la domanda dell’appaltatore volta a conseguire dal committente il corrispettivo previsto per l’esercizio della facoltà di recesso pattuita in suo favore ai sensi dell’art. 1373 c.c. e la domanda dello stesso appaltatore di essere tenuto indenne dal committente avvalsosi del diritto di recesso riconosciutogli dall’art. 1671 c.c. sono sostanzialmente diverse: la prima presuppone l’esistenza di un patto espresso che attribuisca al committente la facoltà di recedere dal contratto prima che questo abbia avuto un principio di esecuzione, nonché l’avvenuto esercizio del recesso entro tale limite temporale, ed ha per oggetto la prestazione, in corrispettivo dello ius poenitendi, di una somma (multa poenitentialis) integrante un debito di valuta e non di valore; la seconda, invece, presuppone l’esercizio, in un qualsiasi momento posteriore alla conclusione del contratto e quindi anche ad iniziata esecuzione del medesimo, di una facoltà di recesso che al committente è attribuita direttamente dalla legge ed ha per oggetto un obbligo indennitario (delle perdite subite dall’appaltatore — per le spese sostenute ed i lavori eseguiti — e del mancato guadagno) cui sono applicabili gli stessi principi in tema di risarcimento del danno da inadempimento e, in particolare, sia quello della possibilità di una liquidazione equitativa sia quello della necessità di tener conto, anche d’ufficio, della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla data della liquidazione.

  • Gli effetti

Il committente che intenda determinare l’estinzione del contratto con il recesso, con efficacia ex nunc, è costretto a pagare un pesante pedaggio[274], dovendo tenere indenne l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno, e praticamente assoggettandosi, in tal modo, alla disciplina dell’inadempimento.

La giurisprudenza equipara a sua volta gli effetti del recesso a quelli della risoluzione per inadempimento, attribuendo all’indennizzo previsto natura risarcitoria e di debito di valore [275]; il giudice, pertanto, deve tener conto, anche d’ufficio, della svalutazione monetaria sopravvenuta alla data della liquidazione e degli interessi moratori.

Grava sull’appaltatore, che chiede di essere indennizzato del mancato guadagno, l’onere di dimostrare quale sarebbe stato l’utile netto da lui conseguibile con l’esecuzione delle opere appaltate, costituito dalla differenza tra il pattuito prezzo globale dell’appalto e le spese che si sarebbero rese necessarie per la realizzazione delle opere, restando salva per il committente la facoltà di provare che l’interruzione dell’appalto non ha impedito all’appaltatore di realizzare guadagni sostitutivi ovvero gli ha procurato vantaggi diversi [276].

Principio ripreso anche da ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 17 luglio 2020, n. 15304

secondo la quale nel caso di recesso unilaterale del committente dal contratto di appalto, secondo quanto disposto dall’art. 1671 c.c., l’appaltatore, che chiede di essere indennizzato dal mancato guadagno, ha l’onere di dimostrare quale sarebbe stato l’utile netto da lui conseguibile con l’esecuzione di opere appaltate. L’utile netto da lui conseguibile sarebbe costituito dalla differenza tra il pattuito prezzo globale dell’appalto e le spese necessarie per la realizzazione delle opere, restando salva per il committente la facoltà di provare che l’interruzione dell’appalto non ha impedito all’appaltatore di realizzare guadagni sostitutivi oppure gli ha procurato vantaggi diversi.

Qualora il committente eccepisca il lucrum dell’appaltatore (il quale abbia potuto eseguire altri lavori, essendo stato liberato dagli impegni contrattuali per effetto del recesso), ne dovrà provare esistenza ed ammontare al fine dell’eccezione di compensatio lucri cum damno.

Le spese sostenute sono quelle che non si sono ancora tradotte nell’opera oggetto del contratto (ad esempio quelle per l’acquisto ed il trasporto dei materiali rimasti inutilizzati, e che passeranno in proprietà del committente), ivi comprese quelle generali proporzionalmente alla parte rimasta ineseguita.

Il valore dei lavori eseguiti va valutato sulla base dei prezzi contrattuali.

Il calcolo è relativamente facile se si tratta di appalto a misura; non così negli appalti a corpo, dovendo innanzitutto essere calcolata la proporzione tra la parte eseguita ed il tutto, il che crea non poche difficoltà soprattutto se l’opera non è omogenea.

Il mancato guadagno consiste non in quel margine di profitto che l’appaltatore poteva soggettivamente sperare o prevedere di conseguire al momento della stipulazione del contratto, ma in quello che avrebbe effettivamente conseguito se avesse portato a termine i lavori; ed è rappresentato dalla differenza tra il prezzo pattuito ed il costo, con riferimento alla parte di opera da eseguire.

La domanda dell’appaltatore volta ad ottenere l’indennizzo ex art. 1671 (la quale muove dall’esercizio di un diritto attribuito al committente dalla legge, da esercitarsi dopo la conclusione del contratto) si differenzia da quella tesa a conseguire il corrispettivo previsto per l’esercizio della facoltà di recesso ex art. 1373, in quanto il presupposto di questo secondo caso è l’esistenza di un patto espresso che attribuisce al committente la facoltà di recedere dal contratto prima che questo abbia avuto un inizio di esecuzione, e la somma che risulta dovuta ha natura di multa poenitentialis a fronte del pattuito ius poenitendi.

La dottrina tende ad escludere un diritto di ritenzione dell’appaltatore a garanzia delle sue ragioni di indennizzo. La giurisprudenza nega tale diritto all’appaltatore rispetto alle opere da lui costruite sul suolo del concedente.

Infine, altra ipotesi di recesso da parte del committente si ha nel caso in cui l’appaltatore alieni la propria azienda [277]; il committente potrà recedere dal contratto nel quale, salvo patto contrario, è subentrato l’acquirente che non dia sufficiente affidamento.

2) La risoluzione per inadempimento

A) ex art. 1668 [278]
B) ex art. 1662 2 co verifica nel corso dell’esecuzione d’opera

[……..]

Quando nel corso dell’opera, si accerta che la sua esecuzione non procede secondale condizioni stabilite dal contratto e a regola d’arte, il committente può fissare un congruo termine entro il quale l’appaltatore si deve conformare a tali condizioni; trascorso inutilmente il termine stabilito, il contratto è risoluto, salvo il diritto del committente al risarcimento del danno.

  • La risoluzione per impossibilità sopravvenuta [279] [280]

art. 1672 impossibilità di esecuzione dell’opera

se il contratto si scioglie perché l’esecuzione dell’opera è divenuta impossibile in conseguenza di una causa non imputabile ad alcuna delle parti, il committente deve pagare la parte dell’opera già compiuta, nei limiti in cui è per lui utile, in proporzione del prezzo pattuito per l’opera intera.

 

  • Perimento o deterioramento della cosa

 

art. 1673 c.c. [281] perimento o deterioramento della cosa

se, per causa non imputabile ad alcuna delle parti, l’opera perisce o è deteriorata prima che sia accettata dal committente o prima che il committente sia in mora a verificarla (1207), il perimento o il deterioramento è a carico dell’appaltatore, qualora questi abbia fornito la materia.

Se la materia è stata fornita in tutto o in parte dal committente, il perimento o il deterioramento dell’opera è a suo carico per quanto riguarda la materia da lui fornita, e per il resto è a carico dell’appaltatore.

3) Morte dell’appaltatore

 

art. 1674 c.c. morte dell’appaltatore

il contratto di appalto non si scioglie per la morte dell’appaltatore, salvo che la considerazione della sua persona sia stata motivo determinante del contratto. Il committente può sempre recedere (questo recesso è differente dal recesso ex art. 1671, perché non è ad nutum, ma richiede una giusta causa) dal contratto, se gli eredi dell’appaltatore non danno affidamento per la buona esecuzione dell’opera o del servizio.

La siffatta normativa viene applicata, per analogia, anche ad ipotesi considerate, ai fini dello scioglimento del contratto, equivalenti alla morte:

  • sopravvenuta interdizione;
  • incapacità naturale
  • assenza dichiarata dell’appaltatore.

Diritti ed obblighi degli eredi del successore:

art. 1675 c.c.    diritti e obblighi degli eredi dell’appaltatore

nel caso di scioglimento del contratto per morte dell’appaltatore, il committente è tenuto a pagare agli eredi il valore delle opere eseguite, in ragione del prezzo pattuito, e a rimborsare le spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, ma solo nei limiti in cui le opere eseguite e le spese sostenute gli sono utili.

Il committente ha diritto di domandare la consegna, verso una congrua indennità, dei materiali preparati e dei piani in via di esecuzione, salve le norme che proteggono le opere dell’ingegno (2578).

4) Fallimento di una delle parti

L’art. 81 L. fallimentare – il contratto d’appalto si scioglie per il fallimento di una delle parti, se il curatore, previa autorizzazione (non più del giudice delegato) del comitato dei creditori non dichiara di voler subentrare nel rapporto dandone comunicazione all’altra parte nel termine di giorni 60 (rispetto ai 20 precedentemente previsti) dalla dichiarazione di fallimento ed offrendo idonee garanzie.

Nel caso di fallimento dell’appaltatore, il rapporto contrattuale si scioglie se la considerazione della qualità soggettiva è stata un motivo determinante del contratto, salvo che il committente non consenta, comunque, la prosecuzione del rapporto. Sono salve le norme relative al contratto di appalto per le opere pubbliche.

Se il suolo è di proprietà del committente, l’opera non entra a far parte dell’attivo fallimentare, perché sarà acquistata direttamente dal committente per accessione;

se il suolo è di proprietà dell’appaltatore fallito ed il fallimento sia dichiarato prima che sia avvenuto un trasferimento opponibile alla massa dei creditori, il committente ha soltanto un credito da insinuare al passivo.

A mente di una sentenza della Cassazione [282] in tema di fallimento, qualora il committente abbia introdotto, prima della dichiarazione di fallimento dell’appaltatore, domanda per l’esecuzione del contratto d’appalto stipulato con quest’ultimo e per il risarcimento dei danni derivatigli dal ritardo nell’adempimento, l’esercizio, da parte del curatore, della facoltà di sciogliersi dal contratto rende improseguibili le azioni di adempimento e di danni così proposte.

Infine,  recente Cassazione

Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 6 marzo 2015, n. 4616

ha affermato che una volta che il contratto si sia sciolto, per qualsiasi causa, non può più essere invocata l’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c., la quale presuppone l’esistenza di un contratto ancora in vigore. Qualora, pertanto, si sia verificato lo scioglimento dell’appalto, anche di opera pubblica, per effetto della dichiarazione di fallimento dell’appaltatore, poiché, ai sensi dell’art. 81 L. Fall., lo scioglimento ha efficacia ex nunc, dovranno essere fatti salvi gli effetti contrattuali già prodottisi ed all’appaltatore – e per esso al curatore fallimentare – spetterà il corrispettivo maturato per le opere eseguite, salvo ovviamente di risarcimento degli eventuali danni conseguenti al ritardo o al non corretto adempimento dell’appaltatore stesso

 I) FIGURE AFFINI

A) La Vendita

[283]

 

Dalla vendita si distingue per la prevalenza del valore sulla materia, che non a caso può essere fornita dall’appaltante.

Pertanto, si ha contratto d’appalto quando la cosa prodotta è frutto di specifica richiesta del committente mentre si ha la vendita se la cosa è costruita per autonoma iniziativa.

Per recente Cassazione [284] ai fini della differenziazione tra il contratto di appalto e quello di vendita, quando alla prestazione di fare caratterizzante l’appalto, si affianchi anche quella di dare, caratterizzante la vendita, occorre avere riguardo alla prevalenza o meno del lavoro sulla materia, da considerarsi in relazione alla volontà dei contraenti, al fine di accertare se la somministrazione della materia da parte dello stesso appaltatore sia un mezzo per la produzione dell’opera, intesa come effettivo risultato della prestazione.

Per altra recente sentenza di merito [285] oggetto del contratto di appalto è il risultato di un facere, anche se comprensivo di un dare, che può concretarsi sia nel compimento di un’opera, sia nella soddisfacimento di un servizio che l’appaltatore assume verso il committente dietro corrispettivo. Esso si differenzia dalla vendita, il cui oggetto è il trasferimento di un bene a cui può essere connessa un’obbligazione di fare, cioè l’obbligazione di mettere in opera il bene venduto. Mentre nell’appalto vi è un fare che può essere comprensivo di un dare, nella compravendita vi è’ un dare che può comportare anche un’obbligazione di fare.

Sono sempre da considerarsi contratti di vendita e non di appalto i contratti concernenti la fornitura, ed eventualmente anche la posa in opera, qualora l’assuntore dei lavori sia lo stesso fabbricante o chi fa abituale commercio dei prodotti e dei materiali di che trattasi, salvo che le clausole contrattuali obbligano l’assuntore degli indicati lavori a realizzare un quid novi rispetto alla normale serie produttiva. In questo caso, infatti, dovrebbe ritenersi prevalente l’obbligazione di facere, configurandosi elementi peculiari del contratto di appalto, quali l’intuitus personae e l’assunzione del rischio economico da parte dell’appaltatore

Con una pronuncia meno recente la Cassazione [286] affermava che per stabilire l’esatta natura giuridica di un negozio giuridico complesso nel quale siano commisti e combinati elementi dello appalto ed elementi della vendita, occorre seguire il criterio della prevalenza fra le prestazioni pattuite, ed il negozio deve essere assoggettato alla disciplina unitaria dell’uno o dell’altro contratto, in base alla prevalenza degli elementi che concorrono a costituirla.

Il fattore decisivo per stabilire tale prevalenza è dato dall’interesse che ha mosso le parti, avendosi una vendita se esse abbiano avuto fondamentalmente interesse a scambiarsi un bene in natura contro una somma di danaro, e solo per ragioni contingenti il venditore si sia adattato a ricevere una parte del corrispettivo sotto forma del compimento di un opus, mentre deve ravvisarsi un appalto se l’interesse originario e fondamentale delle parti sia stato quello di compiere e, rispettivamente, ricevere un’opera, anche se il corrispettivo sia stato integrato con un bene in natura, ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto sottratto al sindacato di legittimità, se congruamente e correttamente motivato. (Nella specie, in un contratto avente ad oggetto il trasferimento di un bene immobile verso il corrispettivo costituito in parte dal pagamento di una somma di danaro ed in parte dalla costruzione di una strada da parte dell’acquirente, i giudici del merito avevano ritenuto predominante, in base alla valutazione del rispettivo interesse delle parti, il carattere traslativo del contratto, con conseguente assoggettamento dello stesso alla disciplina della vendita, escludendo quindi l’applicabilità dell’art. 1667 c.c. e del relativo termine di prescrizione. La S.C., premesso il principio di cui in massima, ha ritenuto incensurabile tale statuizione).

Mentre il negozio misto nel quale siano presenti gli elementi della compravendita e dell’appalto, deve essere assoggettato alla disciplina unitaria del contratto i cui elementi costitutivi debbono considerarsi prevalenti, salvo che gli elementi del contratto non prevalente, regolabili con norme proprie, non siano incompatibili con quelli del contratto prevalente, dovendosi in tal caso procedere, nel rispetto dell’autonomia contrattuale (art. 1322 c.c. ), al criterio della integrazione delle discipline relative alle diverse cause negoziali che si combinano nel negozio misto [287].

  • Vendita di cosa futura e appalto

In generale la vendita e l’appalto sono due contratti diversi tra loro sotto molti punti di vista.

Fondamentalmente, non dovrebbe porsi un problema di qualificazione poiché la vendita ha un’efficacia essenzialmente traslativa e dà origine ad un’obbligazione di dare mentre l’appalto determina il sorgere di un’obbligazione di fare.

Tuttavia, in alcuni casi particolari, il contratto non si limita ad imporre ad una delle parti una precisa obbligazione di dare o di fare ed assume contorni più sfumati imponendo una prestazione consistente sia in un dare che in un fare. Ciò accade, ad esempio, nel caso della vendita di cosa futura espressamente contemplata dal legislatore nell’ art. 1472 c.c.

L’art. 1476 c.c. stabilisce quali sono le obbligazioni principali del venditore e prevede che quest’ultimo, oltre a dover consegnare al compratore la cosa venduta, deve anche fargliene acquistare la proprietà se l’acquisto non è effetto immediato del contratto.

Nel caso specifico della vendita di cosa futura, poiché il bene ancora non esiste in rerum natura , sorge per il venditore l’obbligo di fare tutto ciò che è necessario affinché la cosa venduta venga ad esistenza. Ciò potrà quindi determinare in capo al venditore l’obbligo di provvedere, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, alla realizzazione del bene.

Anche nell’appalto ci si può trovare di fronte ad un’ipotesi particolare, come quella dell’appalto dotato di effetto traslativo, in cui alla normale obbligazione di fare dell’appaltatore si affianca un’obbligazione di dare. Basti pensare all’ipotesi in cui debba essere realizzata un’opera con materiali forniti dallo stesso appaltatore.

In questo caso, una delle parti assume l’impegno non soltanto di compiere l’opera commissionatagli con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, ma anche quello di trasferire al committente i materiali impiegati per la realizzazione.

Peraltro, l’ipotesi dell’appalto con effetto traslativo è tutt’altro che infrequente, posto che l’art. 1658 c.c. espressamente prevede che, se le parti non hanno stabilito diversamente, i materiali necessari per il compimento dell’opera devono essere forniti dall’appaltatore; dunque, nella maggior parte dei casi, accanto all’obbligazione di fare sussisterà in capo all’appaltatore un’obbligazione di dare.

Appare subito chiaro che le due figure contrattuali della vendita di cosa futura e dell’appalto con effetto traslativo si somigliano molto non solo perché in entrambi i casi abbiamo un contratto che impone ad una delle parti sia un’obbligazione di fare sia un’obbligazione di dare, ma soprattutto perché la prestazione dovuta dalla parte finisce sostanzialmente per essere identica. Infatti, tanto il venditore quanto l’appaltatore dovranno provvedere a realizzare un’opera, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, facendone acquistare la proprietà alla controparte.

La differenza tra vendita di cosa futura e appalto è, in teoria, di estrema chiarezza, in quanto l’appalto ha un’efficacia essenzialmente obbligatoria, mentre la compravendita ha un’efficacia essenzialmente traslativa.

Nella pratica, invece, i confini tra i due istituti non sono sempre marcati e precisi nelle ipotesi, non infrequenti, di contratti in cui un soggetto si obbliga verso un altro soggetto ad eseguire una determinata opera che egli realizzerà non solo con la propria organizzazione e a proprio rischio, ma anche con proprio materiale; lo stesso risultato economico, infatti, può essere raggiunto sia con la vendita di cosa futura che con l’appalto.

Appalto

  1. a)     Beni mobili qualora i materiali non siano forniti dal costruttore, ma dal committente
  2. b)     Costruzione di beni immobili, qualora il suolo non sia del costruttore

In questi due casi il negozio non produce alcun effetto traslativo, ma soltanto l’obbligo di compiere l’opera dietro corrispettivo.

 

Vendita di cosa futura [288]

Qualora il suolo sia del costruttore, nella maggior parte dei casi, le parti avranno concluso una vendita di cosa futura.

In tale ipotesi la natura traslativa dell’appalto richiederà sia la forma scritta che la trascrizione, secondo l’ampia formula degli artt. 1350 n.1 e 2643 n.1 c.c., comprensiva di tutti i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili.

Ma nella pratica, molto spesso le parti pongono in essere più contratti, attraverso la figura giuridica del collegamento negoziale [289], e precisamente: una vendita di cosa presente (con effetti reali immediati) del suolo, un appalto (che ha per oggetto la costruzione) ed eventualmente anche una divisione di cosa futura (nel caso in cui sei debba costruire un edificio composto da più appartamenti).

Per quanto riguarda la disciplina di tale contratto essa varia rispetto a quella della vendita di cosa futura, poiché la forma scritta sarà prevista soltanto per la divisione e la vendita immediata del suolo mentre per l’appalto sarà libera e per quanto riguarda il momento dell’acquisto dell’immobile, nell’ipotesi dei negozi collegati l’acquisto si avrà per accessione [290] (art. 934 c.c.), mentre nel caso di vendita di cosa futura si avrà soltanto quando l’opera sarà terminata.

La differenza tra le due figure (Appalto e vendita di cosa futura) è sottile, evidentemente, nel caso in cui i materiali (per i beni mobili) ovvero il suolo (per gli immobili) appartengono all’appaltatore ovvero a colui che esegue i lavori.

L’individuazione delle due figure può essere fatta,

1)          innanzitutto attraverso la volontà delle parti – che può essere diretta, esclusivamente o prevalentemente, al trasferimento (nella vendita di cosa futura) ovvero alla produzione dell’opera (nell’appalto) –

2)          indi qualora dalla volontà delle parti non possa emergere alcuna interpretazione, si fa ricorso al criterio dell’accessorietà; secondo il quale il negozio deve qualificarsi vendita di cosa futura quando il carattere principale ed essenziale del contratto è nel trasferimento, mentre l’opera dell’uomo costituisce un elemento strumentale ed accessorio; deve, invece, considerarsi appalto qualora abbia carattere accessorio il trasferimento e sia in primo piano l’opera dell’uomo.

In effetti per la cassazione[291] quando oggetto prevalente del contratto non è un dare, ma un facere, la convenzione tra le parti dove qualificarsi come appalto, e non vendita di cosa futura, con la conseguenza che non possono trovare applicazione nella specie le regole della compravendita

3)          Altro criterio è quello della normale produzione, nel senso che si ha vendita e non appalto quando l’oggetto costituisce la normale attività del fornitore. In virtù del criterio della normale produzione, il contratto deve essere qualificato come vendita di cosa futura nel caso in cui la cosa che forma oggetto del contratto, pur ancora non realizzata, costituisca un bene, con caratteristiche predeterminate e costanti, che viene prodotto periodicamente e professionalmente dalla parte. Il contratto deve essere invece qualificato come appalto nel caso in cui l’opera che deve essere fornita dalla parte non abbia le normali caratteristiche dei prodotti da questa periodicamente e professionalmente realizzati, ma se ne discosti in modo significativo, presentando caratteristiche particolari convenute tra i contraenti.

4)          Un ulteriore criterio, è quello dato dall’interferenza, che si ha quando viene attribuito un potere di partecipazione e di controllo a colui che ha conferito l’incarico.

5)          La ricostruzione come contratto misto o complesso

Alcune sentenze, infine, hanno qualificato la fattispecie contrattuale in esame come un’ipotesi atipica di contratto, riconducibile alle figure del contratto misto o del contratto complesso, caratterizzata dalla presenza di elementi riconducibili ai contratti tipici della vendita e dell’appalto. Lasciando da parte i dubbi sorti in dottrina e in giurisprudenza sulla possibilità di operare una distinzione tra contratto misto e contratto complesso, è sufficiente qui sottolineare che la disciplina legislativa applicabile sarà comunque quella del tipo contrattuale prevalente. Per determinare quale sia il tipo contrattuale prevalente sarà ancora una volta necessario indagare quale sia stato l’intento che ha spinto le parti a porre in essere il contratto: se esse hanno avuto come interesse principale quello di scambiare un bene contro una somma di denaro e l’attività diretta a far venire ad esistenza la cosa aveva una funzione solo strumentale, ci si trova di fronte ad una vendita; se invece le parti hanno avuto come interesse principale quello di realizzare una determinata opera dietro pagamento di una somma di denaro e solo per ragioni di opportunità l’esecuzione dell’opera è stata accompagnata dal trasferimento dei materiali, ci si trova di fronte ad un appalto.

6)          Il criterio della prevalenza in senso oggettivo

In un primo tempo, è stato affermato un criterio oggettivo di distinzione detto della prevalenza in forza del quale il contratto dovrebbe essere considerato vendita di cosa futura nel caso di una oggettiva prevalenza dell’elemento fornitura e trasferimento dei materiali da una parte del contratto all’altra, mentre dovrebbe essere qualificato come appalto nel caso di una oggettiva prevalenza dell’opera di lavorazione del materiale fornito. Si tratta di un criterio distintivo che è stato fatto proprio anche dal legislatore in una disposizione tributaria, l’articolo 1 comma 1, della legge 19 luglio 1941, n. 771, secondo cui ai fini dell’imposta di registro devono essere considerati contratti di vendita e non di appalto quelli in cui prevalga il prezzo o il valore delle materie, merci e prodotti, rispetto al prezzo o al valore della prestazione d’opera. Un simile criterio aveva il pregio di non allontanarsi, anche nel caso delle fattispecie contrattuali più ambigue e incerte, dalla distinzione dogmatica classica che vede fondamentalmente nell’appalto un contratto dal quale nasce un’obbligazione di fare e nella vendita un contratto dal quale nasce un’obbligazione di dare. Nel caso in esame, l’obbligazione nascente dal contratto sarebbe da considerarsi come di dare nel caso di prevalenza nella prestazione dell’elemento traslativo della materia, mentre dovrebbe considerarsi come di fare nel caso in cui nella prestazione fosse prevalente l’elemento lavoro.

Però, la Cassazione [292] , in merito, ha affermato che la distinzione tra vendita e appalto, nei casi in cui la prestazione di una parte consista sia in un dare, sia in un facere, non si esaurisce nel dato meramente oggettivo del raffronto fra il valore della materia e il valore della prestazione d’opera, essendo, all’uopo, necessario avere riguardo alla volontà dei contraenti, per cui si ha appalto quando la prestazione della materia costituisce un mezzo per la produzione dell’opera ed il lavoro è lo scopo essenziale del negozio, in modo che le modifiche da apportare alle cose, pur rientranti nella normale attività produttiva del soggetto che si obblighi a fornirle ad altri, consistono non già in accorgimenti marginali e secondari diretti ad adattarle alle specifiche esigenze del destinatario della prestazione, ma sono tali da dare luogo ad un opus perfectum, inteso come effettivo e voluto risultato della prestazione.

7)          Il criterio della prevalenza in senso soggettivo

Per rispondere ad interrogativi come questo, la giurisprudenza, come già evidenziato, ha elaborato un altro criterio, definibile della prevalenza in senso soggettivo, in cui il punto di riferimento per operare una distinzione continua ad essere la prevalenza dell’uno o dell’altro elemento della prestazione contrattuale; tuttavia, tale prevalenza deve essere valutata non più oggettivamente in base ad una valutazione astratta, fondata esclusivamente sul contenuto del contratto e sulla concreta attività che deve essere svolta da una delle parti, ma deve essere determinata dall’interprete sulla base di quella che è stata l’effettiva comune intenzione delle parti. L’elemento distintivo per determinare la corretta qualificazione del contratto diventa dunque la reale volontà dei contraenti: se nella comune intenzione delle parti l’attività lavorativa di trasformazione della materia è stata considerata a servizio del trasferimento del bene e quindi come attività meramente strumentale, ci si troverà di fronte ad una vendita di cosa futura; se invece è stato il trasferimento della proprietà dei materiali ad essere considerato come elemento accessorio diretto a consentire lo svolgimento dell’attività di trasformazione, allora ci si troverà di fronte ad un contratto di appalto.

In realtà per la S.C.[293] la circostanza che il venditore sia anche il costruttore del bene compravenduto, non vale ad attribuirgli la veste di appaltatore nei confronti dell’acquirente e a quest’ultimo la qualità di committente nei confronti del primo. L’acquirente non può pertanto esercitare l’azione per ottenere l’adempimento del contratto d’appalto e l’eliminazione dei difetti dell’opera a norma degli artt. 1667 e 1668 c.c., spettando tale azione esclusivamente al committente del contratto d’appalto di natura contrattuale, diversamente da quella prevista dall’art. 1669 c.c. di natura extracontrattuale operante non solo a carico dell’appaltatore nei confronti del committente, ma anche a carico del costruttore nei confronti dell’acquirente.

B) Il contratto d’opera

            Hanno in comune vari elementi: l’oggetto, la mancanza di subordinazione verso il committente, la gestione a proprio rischio.

            Quanto al contratto d’opera la diversità si ravvisa essenzialmente nel fatto che l’appaltatore deve essere in grado di organizzare i mezzi necessari al compimento dell’opera e quindi di regola egli è titolare di un’impresa media o grande.

            Infatti, secondo la S.C. [294] essendo l’appalto connotato dalla organizzazione imprenditoriale della parte che assume l’obbligazione del compimento dell’opera o del servizio, la qualità di imprenditore del soggetto cui è affidata l’esecuzione de quo fa presumere l’esistenza di un contratto d’appalto e non di un contratto d’opera, ove facciano difetto le circostanze di fatto atte a dimostrare che il committente si era riservato l’organizzazione e la direzione del lavoro e degli strumenti tecnici, assumendo pertanto il rischio del conseguimento del risultato.

            Anche se parte della dottrina sostiene la configurabilità del c.d. appalto occasionale, cioè l’appalto in cui all’appaltatore manca la qualifica d’imprenditore, in quanto, pur in presenza dell’organizzazione richiesta dall’art. 1665, non sussiste il carattere della professionalità, necessario, a norma dell’art. 2082 per essere imprenditori.

            Secondo una pronuncia di merito [295] il contratto d’opera e l’appalto hanno in comune l’obbligazione verso il committente, di compiere un’opera o un servizio a fronte di un corrispettivo, senza vicolo di subordinazione e con assunzione del rischio da parte di chi li esegue. La due fattispecie contrattuali di distinguono in quanto, mentre l’opera o il servizio nell’appalto sono eseguiti con un’organizzazione di media o grande impresa cui l’obbligato è preposto, il contratto d’opera si svolge con il prevalente lavoro dell’obbligato, anche se coadiuvato da componenti della sua famiglia, ovvero da qualche collaboratore, secondo il modelli organizzativo della piccola impresa.

            Ancora, secondo altra sentenza di merito [296] il contratto di appalto e il contratto d’opera hanno in comune l’obbligazione verso il committente di adempiere, a fronte del pagamento di un corrispettivo, un’opera o un servizio senza vincolo di subordinazione, e con l’assunzione di rischio da parte di colui il quale li esegue. Dette fattispecie contrattuali si differenziano per il fatto che mentre nel contratto di appalto l’esecuzione dell’opera commissionata avviene mediante un’organizzazione di media o grande impresa, in cui l’obbligato è preposto, nel contratto d’opera l’esecuzione avviene mediante il prevalente lavoro di quest’ultimo, coadiuvato dai componenti della famiglia o da qualche collaboratore, secondo il modulo organizzativo della piccola impresa. Il contratto d’opera ha in comune con l’appalto l’obbligo verso il committente, di compiere dietro corrispettivo, un’opera o un servizio senza vincolo di subordinazione e con l’assunzione del rischio da parte di chi esegue i lavori, differenziandosene invece per il fatto che l’opera e il servizio vengono compiuti con il lavoro prevalentemente proprio dell’obbligato, con l’eventuale aiuto dei propri familiari o di pochi collaboratori e, pertanto, sotto un aspetto quantitativo più che qualitativo, restando cioè le due fattispecie diversificate in relazione non alla natura, all’oggetto o al contenuto della prestazione, ma per il profilo organizzatorio del soggetto che deve compierla.

            Per una lontana sentenza della Cassazione [297] il contratto d’appalto, per l’importanza o entità dell’opera o del servizio, presuppone nell’appaltatore una organizzazione di mezzi produttivi a forma di impresa — compresa in tale nozione tanto la grande quanto la media impresa — in modo che egli possa disporre di più vasti mezzi produttivi ed avvalersi del lavoro subordinato di altre persone, assunte di regola al di fuori del suo nucleo familiare. Il contratto d’opera, invece, presuppone che il contraente (ed il più noto e comune esempio è fornito dal lavoro artigianale di cui all’art. 2083 c.c. ) impieghi prevalentemente il lavoro proprio e dei componenti della propria famiglia.

C) Il mandato

[298]

La distinzione tra appalto e mandato, con o senza rappresentanza, non presenta problemi, tenuto conto della netta differenza concettuale tra le due figure:

  • l’appaltatore svolge un’attività di carattere materiale;
  • mentre il mandatario svolge un’attività giuridica.

D) La somministrazione

[299]

Qualche problema sorge nel caso di prestazioni periodiche di cose lavorate e la soluzione si ritrova considerando il momento della lavorazione:

  • se questa è avvenuta prima della conclusione del contratto, si avrà somministrazione;
  • se è avvenuta dopo, dietro ordinazione del cliente, si vrà normalmente appalto, ma non può escludersi l’esistenza della somministrazione qualora prevalga nettamente la materia, mentre l’elemento del lavoro costituisca una prestazione accessoria.

E) Il Trasporto

[300]

Il c.c. del 1942 ha conferito al contratto di trasporto un’autonomia completa, ma non poteva certo sopprimere la sua autentica natura, nel senso che, considerando l’attività del vettore ha una propria organizzazione (art. 1655), ovvero una sottospecie del contratto di opera se l’organizzazione non esiste.

Questa constatazione non è senza rilievo perché consente di applicare al contratto di trasporto, la disciplina prevista rispettivamente per l’appalto di servizi o per il contratto d’opera.

F) Contratto d’albergo ed appalto di servizi

            Il contratto di albergo costituisce un contratto atipico, con il quale l’albergatore si impegna a fornire al cliente, dietro corrispettivo, una serie di prestazioni di dare e di fare che si incentrano nella concessione dell’uso di un alloggio, cui si accompagnano altri servizi, strumentali ed accessori al primo, i quali, peraltro, cessano di essere tali allorché rivestano per la loro natura ed entità un carattere eccezionale rispetto a quelli comunemente forniti da alberghi della stessa categoria, ed assumano per il loro costo un’importanza di gran lunga prevalente rispetto al prezzo dell’alloggio. In tal caso, i predetti servizi acquistano una propria autonomia, potendo essere utilizzati anche da chi non è ospite dell’albergo, e potendo, comunque, formare oggetto di un negozio giuridico separato, quale l’appalto di servizio. Ne consegue che, in siffatte ipotesi, correttamente si ravvisa un contratto misto, avente ad oggetto sia le prestazioni alberghiere, sia le altre prestazioni, la cui disciplina giuridica va individuata, in base alla teoria dell’assorbimento, che privilegia la disciplina dell’elemento in concreto prevalente, in quella predisposta per l’appalto di servizi. (Nella specie, una società si era impegnata nei confronti di un’altra sia alla esecuzione di prestazioni alberghiere propriamente dette, messa a disposizione di centodieci camere d’albergo e comuni servizi accessori relativi, sia a concedere la disponibilità del Centro congressi esistente presso l’albergo, per la quale era stato previsto un corrispettivo di gran lunga superiore a quello pattuito per le camera [301].

 

NOTE

[1] Gazzoni

[2] Corte di Cassazione, 12-1-72, n. 87

[3] Corte di Cassazione, 20-7-79, n. 4339

[4] Corte di Cassazione, 3-7-79, n. 3754

[5] Cfr.par.fo E) La prestazione dell’appaltante, punto 2) Revisione del prezzo, pag. 94

[6] Rubino – Stolfi – Cagnasso

[7] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 21 giugno 2013 n. 15711. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 21 giugno 2013 n. 15711

[8] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 15093 del 17 giugno 2013. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 15093 del 17 giugno 2013, Corte di Cassazione, sentenza n. 8016/12; conformi, ex pluribus, Cassazione, sentenze nn. 7515/05,10550/01, 5099/95 e 821/83.

[9] cfr. par.fo D) La responsabilità civile dell’appaltatore, punto 2) La responsabilità contrattuale speciale verso il committente, pag. 37

[10] Corte di Cassazione, I, sent. 22616 del 26-10-2009, conforme Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 19 settembre 2014, n. 19821. Il contratto di appalto non è soggetto a rigore di forme e, pertanto, per la sua stipulazione, non è richiesta la forma scritta, nè ad substantiam, nè ad probationem, potendo dunque essere concluso anche per facta concludentia .

[11] Rubino

[12] Corte di Cassazione, 20-1-76, n. 160

[13] Giannattasio – Stolfi

[14] per tutti Mirabelli

[15] Rubino – Moscarini – RescignoCapozzi

[16] Per una maggiore consultazione sulla responsabilità precontrattuale aprire il seguente collegamento on-line Le trattative ed il contratto preliminare

 [17] Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 13 giugno 2014, n. 13507. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 13 giugno 2014, n. 13507, Corte di Cassazione, sentenze nn. 4802/013, 7768/07, 11438/04

[18] Corte di Cassazione, sentenza n. 11438/04

[19] Per unamaggiore consultazione sulla clausola penale aprire il seguente collegamento on-line Il rafforzamento degli effetti del contratto; 1) la clausola penale; 2) la caparra confirmatoria; 3) la caparra penitenziale

[20] Corte di Cassazione, II, sent. 4779 del 4-3-2005. Nella specie, è stato ritenuto dovuto il pagamento della clausola penale pattuita per il ritardo nell’esecuzione dell’appalto, nonostante la natura non essenziale del termine stabilito per la consegna dell’opera

[21] Corte di Cassazione, 12-1-72, n. 87

[22] Stolfi – Rubino

[23] Capozzi

[24] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 17 gennaio 2014, n. 872. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 17 gennaio 2014, n. 872

[25] Corte di Cassazione, Sezione II civile, Sentenza 9 ottobre 2014, n. 21350, conforme Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza 16 aprile 2014, n. 8890; il contratto di appalto per la costruzione di un immobile senza concessione edilizia è nullo, ai sensi degli artt. 1346 e 1418 c.c. , avendo un oggetto illecito per violazione delle norme imperative in materia urbanistica, con la conseguenza che tale nullità, una volta verificatasi, impedisce sin dall’origine al contratto di produrre gli effetti suoi propri e ne impedisce anche la convalida ai sensi dell’art. 1423 c.c., onde l’appaltatore non può pretendere, in forza del contratto nullo, il corrispettivo dovuto, senza che rilevi l’ignoranza del mancato rilascio della concessione edilizia, che non può ritenersi scusabile per la grave colpa del contraente, il quale, con l’ordinaria diligenza, ben avrebbe potuto avere conoscenza della reale situazione, incombendo anche sul costruttore, ai sensi dell’art. 6 della legge 28/2/1985, n. 47, l’obbligo giuridico del rispetto della normativa sulle concessioni. Così anche Tribunale Roma, Sezione XI civile, sentenza 18 giugno 2013, n. 13289; è nullo, per illiceità dell’oggetto, il contratto di appalto avente ad oggetto la costruzione di un’opera non ancora assentita da concessione edilizia all’epoca della sua realizzazione. Tale vizio, rilevabile d’ufficio anche in presenza di un giudizio promosso per ottenere la declaratoria di risoluzione del contratto per inadempimento, una volta determinatosi, impedisce sin dall’origine al contratto di esplicare i propri effetti. Nel descritto contesto, poiché l’eventuale ignoranza delle parti non può comunque ritenersi scusabile, attesa la possibilità di verificare, con la ordinaria diligenza, la reale situazione da un punto di vista amministrativo, diventa irrilevante accertare le rispettive responsabilità in ordine al mancato rilascio della concessione, trattandosi di un elemento privo del carattere della decisività. Nel caso concreto, all’accertata nullità del contratto di appalto non può, dunque, che conseguire la reiezione di tutte le domande avanzate da parte attrice.

[26] Corte di Cassazione, I, sent. 3913 del 18-2-2009. L’illiceità del contratto di appalto per la costruzione di un immobile senza concessione edilizia sussiste solo qualora l’appalto sia eseguito in carenza di concessione, e non anche nel caso in cui la concessione sia rilasciata dopo la data di stipula ma, comunque, prima della realizzazione dell’opera, non essendo conforme alla mens legis la sanzione di nullità comminata ad un contratto il cui adempimento, in ossequio al precetto normativo, sia stato intenzionalmente posposto al previo ottenimento della concessione o autorizzazione richiesta, e potendosi tale contratto considerare sospensivamente condizionato, in forza di presupposizione, al previo ottenimento dell’atto amministrativo mancante al momento della stipulazione.

[27] Per una maggiore consultazione sul contratto di somministrazione aprire il seguente collegamento on-line Il contratto di somministrazione ex artt 1559 e ss c.c.

[28] Corte di cassazione, sez. III penale, sentenza 26 marzo 2013, n. 14087, Ai fini della distinzione tra appalto e somministrazione di manodopera, assume particolare significato l’autonomia gestionale dell’appaltatore nell’esecuzione dei lavori. In caso di insussistenza di tale elemento, è integrata la fattispecie penale di cui all’art. 18 del Dlgs n. 276/ 2003 (somministrazione abusiva), ove si riscontri anche la mancanza di autorizzazione di cui all’art. 4 del medesimo Dlgs n. 276

[29] Tribunale Bari, Sezione L civile, sentenza 20 gennaio 2014, n. 337. Nella fattispecie, allorché poteva essere vantato un credito nei confronti della committente, esso doveva essere distinto per ratei riferiti a quel periodo di lavoro, allegazione omessa dal ricorrente. In definitiva, non era possibile comprendere dall’allegazione difensiva se il t.f.r. preteso fosse riferito a tutto il rapporto intercorso con il committente ovvero solo a parte di esso; in ogni caso, non sussisteva il credito dell’appaltatore verso il committente in relazione al compimento dell’opera o del servizio commissionatigli, trattandosi di credito non certo ma litigioso, non accertato ed oggetto di attuale verifica giudiziale. Conseguentemente, la domanda, come proposta, è stata rigettata

[30] Corte di Cassazione, sez. lav., 7 luglio 2014, n. 15432

[31] Corte d’Appello Genova, Sezione L civile, sentenza 8 aprile 2014, n. 152

[32] Ruperto

[33] Vaccà – Gramiccia – Rabaglietti

[34] Corte di Cassazione, II, sent. 2752 del 11-2-2005. Nella specie la S.C ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto configurabile l’appalto a regia sulla base delle clausole contrattuali, che prevedevano l’obbligo dell’appaltante di fornire tutte le attrezzature e i materiali d’uso, l’esecuzione sotto la direzione esclusiva dell’impresa appaltante e del personale da essa incaricato, la previsione, quale oggetto del contratto, soltanto di prestazioni di manodopera, con contabilizzazione a parte dei lavori a giornata, sfiorando la fattispecie delittuosa di cui alla legge n. 1369/60 sul divieto di intermediazione ed interposizione di lavoro

[35] Corte di Cassazione, 9-10-71, n. 2822

[36] Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza 23 giugno 2014, n. 14220

[37] Corte di Cassazione, 7-9-2000, n. 11783, inoltre per altra sentenza Corte di Cassazione, II, sent. 5632 del 18-4-2002; nell’appalto per la costruzione di un edificio, l’indagine sulla natura e la consistenza del suolo edificatorio rientra nei compiti dell’appaltatore, ove manchi una diversa previsione contrattuale; in tale situazione, pertanto, i difetti della costruzione, derivanti da vizi ed inidoneità del suolo, comportano la responsabilità dello stesso. Nel caso, poi, in cui l’appaltatore abbia svolto anche i compiti di ingegnere progettista e di direttore dei lavori, l’obbligo di diligenza è ancora più rigoroso ed in presenza di situazioni rivelatrici di possibili fattori di rischio (come, nella specie, risorgenza della falda idrica in caso di eventi meteorici) deve eseguire gli opportuni interventi per accertarne la causa ed apprestare i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi.

[38] Per una maggiore consultazione sulla risoluzione, aprire il seguente collegamento on-line La Risoluzione

[39] Corte di Cassazione, 15-12-90, n. 11950

[40] Per una maggiore consultazione sull’accessione aprire il seguente collegamento on-line L’Accessione

[41] Tribunale Potenza, civile, sentenza 24 luglio 2013, n. 1011

[42] Corte di Cassazione, II, sent. 1154 del 29-1-2002

[43] Corte di Cassazione, 23-4-97, n. 3520; Nella specie la S.C. ha annullato la sentenza impugnata che aveva escluso la responsabilità dell’appaltatore per la realizzazione di locali destinati a magazzino per i quali era stata omessa la necessaria impermeabilizzazione del pavimento e delle pareti laterali, poggianti contro il terreno

[44] Corte di Cassazione, II, sent. 8813 del 30-5-2003

[45] Barbero – Greco – Corte di Cassazione, sentenza del 9.11.1960, n. 2980

[46] Rubino – Albano – Stolfi – Giannattasio

[47] È noto e fermo l’orientamento della Cassazione secondo cui l’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori. Data, dunque, la responsabilità dell’appaltatore anche per i difetti del progetto che egli non abbia rilevato o in ordine ai quale non abbia espressamente manifestato il proprio dissenso, è del tutto irrilevante ogni questione circa la partecipazione o non dell’appaltatore alla redazione del progetto stesso. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 15093 del 17 giugno 2013, Corte di Cassazione, sentenza n. 8016/12; conformi, ex pluribus, Cassazione, sentenze nn. 7515/05,10550/01, 5099/95 e 821/83

[48] Tribunale Perugia, civile, sentenza 2 ottobre 2013, n. 1262

[49] Rubino

[50] Cfr. Par.fo F) L’esecuzione dell’appalto, punto 6) L’accettazione, pag. 131

[51] Corte di Cassazione, 18-3-78, n. 1365

[52] Corte di Cassazione, II, sent. 10579 del 25-6-2012. Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto non assolto l’onere del committente di provare la tempestività della denunzia di vizi riconoscibili, dovendosi tener conto dell’epoca di esecuzione delle opere, nonché della presenza di un direttore dei lavori

[53] Corte di Cassazione, II, sent. 11520 del 25-5-2011. Nella specie, la S.C. ha ritenuto eccessivamente generica la denuncia di carenze nel fabbricato , in quanto non idonea a consentire di avere cognizione, sia pure in modo conciso, dei vizi riscontrati

[54] Corte di Cassazione, II, sent. 2733 del 5-2-2013

[55] Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 20 aprile 2012, n. 6263. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 20 aprile 2012, n. 6263, (Corte di Cassazione, sentenza 10.9.2009 n. 19560; Corte di Cassazione, sentenza 16.12.2004 n. 23461; Corte di Cassazione, sentenza 27.4.2004 n. 8026; anche Corte di Cassazione, sentenza 29.9.2009 n. 20853)

[56] Corte di Cassazione, sentenza 14.1.2011 n. 747

[57] arg. a contrario anche da Corte di Cassazione, sentenza 18.4.2011 n. 8889

[58] Corte di Cassazione, 29-7-75, n. 2935

[59] Cfr. Par.fo F) L’esecuzione dell’appalto, punto 3) Variazioni al progetto, pag. 116

[60] Corte di Cassazione, sentenza 12 giugno 2000, n. 7969

[61] Tribunale di Modena, Sez. I, 23 maggio 2012, n. 876

[62] Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 18 maggio 2012, n. 7942. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 18 maggio 2012, n. 7942 in tali sensi, tra le tante, sentenze 15/5/2002 n. 7061; 29/11/2001 n. 15167; 2/8/2001 n. 10571; 4/11/1994 n. 9078; 20/9/1990 n. 9613; 4/8/1990 n. 7872

[63] Per una maggiore consultazione ed approfondimento sulla garanzia per i vizi della cosa venduta si consiglia di aprire il seguente collegamento on-line La-Compravendita, Par.fo C)  OBBLIGHI PER IL VENDITORE, Punto 3) Quella di Garantire il compratore dall’evizione e dei vizi della cosa, lettera b) Tutela particolare a favore del compratore, 2)  La garanzia per i vizi

[64] Corte di Cassazione, 25-7-92, n. 9001

[65] Corte di Cassazione, II, sent. 12704 del 30-8-2002,

[66] Rescigno – Rubino – Iudica. In giurisprudenza nello stesso senso: Corte di Cassazione, sentenza 5 marzo 1979, n. 1386, Corte di Cassazione, sentenza 26 febbraio 1979 n. 1264

[67] Corte di Cassazione, Sez. III, sentenza 10 gennaio 1996, n. 169

[68] Corte di Cassazione, 21-2-96, n. 1334

[69] Tribunale Padova, Sezione II civile, sentenza 11 settembre 2014, n. 2759. Nel caso concreto, dunque, rilevato che il problema delle infiltrazioni sul tetto del capannone industriale dell’attrice imputabile alla cattiva esecuzione dei lavori di impermeabilizzazione dello stesso, fu pacificamente riconosciuto dalla subappaltatrice, con l’impegno di eliminarne le relative cause, deve escludersi ogni questione relativa a decadenza e prescrizione, né tra l’attrice e l’appaltatore convenuto, né tra questi ed il subappaltatore terzo chiamato.

[70] Corte di Cassazione, 30-1-2001, n. 1320 (conf. Corte di Cassazione, sentenza 10-5-2000, n. 5984; Corte di Cassazione, sentenza 3-9-97, n. 8439).

[71] Tribunale Milano, Sezione VII civile, sentenza 14 marzo 2014, n. 3641. In tema di appalto, mentre la somma liquidata in favore del committente per la eliminazione dei vizi e difformità dell’opera, a titolo di risarcimento del danno o anche di riduzione del prezzo, ha ad oggetto un debito di valore dell’appaltatore, non soggetto al principio nominalistico, deve essere rivalutata in considerazione del diminuito potere d’acquisto della moneta, intervenuto fino al momento della decisione, il diritto dell’appaltatore al corrispettivo ha natura di debito di valuta, che non è suscettibile di automatica rivalutazione per effetto del processo inflattivo della moneta.

[72] Corte di Cassazione, Sez. III, 10 gennaio 1996, n. 169

[73] Corte di Cassazione, II, sent. 3786 del 17-2-2010

[74] Corte di Cassazione, 7-2-2001, n. 1770, conf. Corte di Cassazione, sentenza 4-2-99, n. 977. Nella specie, la S.C. nell’enunciare il principio di cui in massima, ha peraltro ritenuto esente da censure la decisione del giudice del merito, la quale aveva negato la rivalutazione monetaria del debito dell’appaltatore per l’assenza di un apprezzabile decremento derivante dal diminuito potere di acquisto della moneta, essendo stato il danno da svalutazione, nel caso concreto, sostanzialmente eliso per essersi il committente avvalso dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. ed avendo quindi conservato la disponibilità della somma di denaro costituente il residuo prezzo dell’opera

[75] Corte di Cassazione, 13-12-80, n. 6463

[76] Corte di Cassazione, II, sent. 5632 del 18-4-2002

[77] In tema di appalto, la domanda di risoluzione del contratto e quella di riduzione del prezzo, non sono reciprocamente incompatibili, onde ne è ammissibile la cumulativa proposizione in un unico giudizio, poiché l’actio quanti minoris non è richiesta di esatto adempimento, sicché la proposizione di domanda di risoluzione del contratto per inadempimento impedisce al committente di mutare tale domanda in quella di adempimento, ma non anche di richiedere la riduzione del prezzo. Corte di Cassazione, 22-2-99, n. 1475

[78] Corte di Cassazione, 14-3-78, n. 1276

[79] Corte di Cassazione, sentenza civ., sez. II, 2 agosto 2001, n. 10571

[80] Corte di Cassazione, sentenza civ., Sez. II, 27 novembre 2000, n. 15247

[81] Corte di Cassazione, 30-7-83, n. 5245

[82] Corte di Cassazione, sentenza civ. 19 agosto 2009, n. 18402

[83] Corte di Cassazione, II, sent. 2562 del 2-2-2009

[84] Corte di Cassazione, II, sent. 15283 del 21-7-2005

[85] Per una maggiore consultazione sull’istituto della comunione legale tra i coniugi aprire il seguente link La comunione legale tra i coniugi e lo scioglimento

[86] Corte di Cassazione, sentenza 5-2-2000, n. 1290

[87] Cfr. par.fo F) L’esecuzione dell’appalto, punto 5) Collaudo, pag. 125

[88] Rubino – Mirabelli – Giannattasio

[89] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 18 giugno 2014, n. 13882. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 18 giugno 2014, n. 13882, quando l’opera eseguita in appalto presenta gravi difetti dipendenti da errata progettazione, il progettista è responsabile, con l’appaltatore, verso il committente, ai sensi dell’art. 1669 c.c., a nulla rilevando in contrario la natura e la diversità dei contratti cui si ricollega la responsabilità, perchè l’appaltatore ed il progettista, quando con le rispettive azioni od omissioni – costituenti autonomi e distinti illeciti o violazioni di norme giuridiche diverse, concorrono in modo efficiente a produrre uno degli eventi dannosi tipici indicati nell’art. 1669 c.c., si rendono entrambi responsabili dell’unico illecito extracontrattuale, e rispondono entrambi, a detto titolo, del danno cagionato. Trattandosi di responsabilità extracontrattuale, specificamente regolata anche in ordine alla decadenza ed alla prescrizione, non spiega alcun rilievo la disciplina dettata dagli artt. 2226 e 2330 c.c., e si rivela ininfluente la natura dell’obbligazione – se di risultato o di mezzi – che il professionista assume verso il cliente committente dell’opera data in appalto (Corte di Cassazione, sentenza n. 7992 del 1997; Corte di Cassazione, sentenza n. 8016 del 2012). Ovviamente, il principio trova applicazione anche nell’ipotesi in cui venga fatta valere la responsabilità, ex art. 1669 c.c., del direttore dei lavori; tanto più quando, come nel caso di specie, il direttore dei lavori sia stato anche progettista.

Per altra Cassazione, Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 8 maggio 2013, n. 10893 per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 8 maggio 2013, n. 10893 la responsabilità dell’appaltatore per gravi difetti dell’opera sancita dall’art. 1669 cc – (difetti ravvisabili in qualsiasi alterazione dell’opera, conseguente ad un’inadeguata sua realizzazione, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa e non determinandone, pertanto, la rovina od il pericolo di rovina, si traducano, tuttavia, in vizi funzionali di quegli elementi accessori o secondari che dell’opera stessa consentono l’impiego duraturo cui è destinata e tali, quindi, da incidere negativamente ed in considerevole misura sul godimento di essa, ciò che li distingue nettamente dai vizi e dalle difformità denunziabili, ex art. 1667 CC, con l’azione di responsabilità contrattuale e per i quali non è richiesto che necessariamente incidano in misura rilevante sull’efficienza e la durata dell’opera) – non è affatto di natura contrattuale, bensì extracontrattuale, in quanto intesa a garantire la stabilità e la solidità degli edifici e delle altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata per la tutela dell’incolumità personale dei cittadini, e, quindi, d’interessi generali inderogabili, che trascendono i confini ed i limiti dei rapporti negoziali tra le parti (ex pluribus Corte di Cassazione, sentenze 6.12.00 n. 15488,2.10.00 n. 13003, 14.2.00 n. 1608, 7.1.00 n. 81).

L’art. 1669 cc, benché collocato tra le norme disciplinanti il contratto di appalto, è diretto alla tutela dell’esigenza di carattere generale della conservazione e funzionalità degli edifici e di altri immobili destinati per loro natura a lunga durata. Conseguentemente, l’azione di responsabilità prevista da detta norma ha natura extracontrattuale e, trascendendo il rapporto negoziale (appalto o vendita) in base al quale l’immobile è pervenuto nella sfera di un soggetto diverso dal costruttore, può essere esercitata nei confronti di quest’ultimo, quando abbia veste di venditore, anche da parte degli acquirenti, i quali in tema di gravi difetti dell’opera possono fruire dei termini decennale di prescrizione ed annuale di decadenza, (ex pluribus: Corte di Cassazione, sezione II, sentenza del 27 novembre 2012, n. 2189, per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza del 27 novembre 2012, n. 2189, Corte di Cassazione, sentenza 31.3.06 n. 7634, 13.1.05 n. 567, 29.3.02 n. 4622,10.4.00 n. 4485, 6.2.98 n. 1203, 19.9.97 n. 9313, 27.8.97 n. 8109,14.12.93 n. 12304).

[90] Favara – Moscarini

[91] Corte di Cassazione, sentenza 3406 del 16-2-2006. Il suo presupposto risiede quindi, in ogni caso, nella partecipazione alla costruzione dell’immobile in posizione di autonomia decisionale. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, in cui era stata correttamente ravvisata una responsabilità del committente ex art. 1669 c.c. in quanto riferita ai lavori di completamento dell’immobile, previsti nel contratto preliminare come a carico della parte promittente venditrice, e da questa direttamente supervisionati, benché materialmente eseguiti da un’impresa terza.

[92] Corte di Cassazione, sentenza 14-4-84, n. 2415

[93] Corte di Cassazione, sentenza 1748 del 28-1-2005

[94] L’azione di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili, prevista dall’art. 1669 c.c., può essere esercitata non solo dal committente contro l’appaltatore, ma anche dall’acquirente contro il venditore che abbia costruito l’immobile sotto la propria responsabilità, allorché lo stesso venditore abbia assunto, nei confronti dei terzi e degli stessi acquirenti, una posizione di diretta responsabilità nella costruzione dell’opera, e sempre che si tratti di gravi difetti, i quali, al di fuori dell’ipotesi di rovina o di evidente pericolo di rovina, pur senza influire sulla stabilità dell’edificio, pregiudichino o menomino in modo rilevante il normale godimento, la funzionalità o l’abitabilità del medesimo. (Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, la quale aveva omesso di inquadrare tra i gravi difetti, di cui all’art. 1669 c.c., le deficienze costruttive, imputabili al venditore-appaltatore, consistenti nel cedimento della pavimentazione interna ed esterna, della rampa di scala e del muro di recinzione). Corte di Cassazione, sentenza 2238 del 16-2-2012.

[95] L’azione di garanzia ex art. 1669 c.c. ha carattere personale e può essere promossa da ciascun condomino senza necessità che al giudizio partecipino gli altri condomini, sia nel caso in cui i vizi denunciati riguardino la cosa comune, sia se investano delle unità immobiliari di proprietà esclusiva. Corte di Cassazione, sentenza 10-4-2000, n. 4485

[96] Corte di Cassazione, sentenza 28-9-73, n. 2429

[97] Corte di Cassazione, sentenza 8811 del 30-5-2003

[98] Cfr. par.fo F) L’esecuzione dell’appalto, punto 1) Il controllo – il direttore dei lavori, pag. 105

[99] Corte di Cassazione, sentenza 1026 del 17-1-2013. Nella specie, attraverso la prova dell’utilizzazione anormale dell’impianto, con immissione di materiali di difficile smaltimento

[100] Corte di Cassazione, sentenza 15-4-99, n. 3756

[101] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 18 giugno 2014, n. 13882 – Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 18 giugno 2014, n. 13882

[102] Corte di Cassazione, sentenza n. 20307 del 2011

[103] Corte di Cassazione, sentenza n. 19868 del 2009

[104] Corte di Cassazione, sentenze n. 19868/2009, 21351/2005,13106/1995,10218/1994

[105] Corte di Cassazione, sentenza 20/11/2007 n. 24143. Nella specie, la S.C. ha riformato la sentenza di merito che aveva ritenuto configurabile tale ipotesi di responsabilità in riferimento all’opera di mero rifacimento della impermeabilizzazione e pavimentazione del terrazzo condominiale di un edificio preesistente

[106] L’incidenza negativa dei difetti costruttivi inclusi nell’art. 1669 Corte di Cassazione, sentenza Corte di Cassazione, sentenza può consistere, in particolare, in una qualsiasi alterazione, conseguente ad un’insoddisfacente realizzazione dell’opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e perciò non determinandone la rovina od il pericolo di rovina), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l’impiego duraturo cui è destinata (quali, ad esempio, le condutture di adduzione idrica, i rivestimenti, l’impianto di riscaldamento, la canna fumaria), incida negativamente ed in modo considerevole sul godimento dell’immobile medesimo (così, Corte di Cassazione, sentenza n. 11740/03, pronunciata in un caso di difettosa impermeabilizzazione del manto di copertura dell’edificio con relativi problemi di infiltrazione).

[107] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 14650 dell’11 giugno 2013. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 14650 dell’11 giugno 2013 Corte di Cassazione, sentenze nn. 11740/03, 117/00 e 2260/98

[108] Corte di Cassazione, sentenze nn. 8140/04 e 1164/95

[109] così, Corte di Cassazione, sentenza n. 1164/95

[110] Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 10 dicembre 2013, n. 27500. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 10 dicembre 2013, n. 27500

[111] Corte di Cassazione, sentenza 4/6/2008 n. 14812

[112] Corte di Cassazione, sentenza 28-3-97, n. 2775. Conforme Corte di Cassazione, sentenza 21351 del 4-11-2005. In tema di appalto, i gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall’art. 1669 c.c. non si identificano con i fenomeni che influiscono sulla staticità, durata e conservazione dell’edificio ma possono consistere in qualsiasi alterazione che, pur riguardando direttamente una parte dell’opera, incidano sulla struttura e funzionalità globale, menomando in modo apprezzabile il godimento dell’opera medesima, come ad esempio si verifica nel caso di infiltrazioni di acqua e di umidità per difetto di copertura dell’edificio.

[113] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 9 dicembre 2013, n. 27433. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 9 dicembre 2013, n. 27433, i gravi difetti dell’opera, oggetto della garanzia di cui all’art. 1669 c.c., ricorrono anche se non si producono fenomeni tali da influire sulla stabilità della costruzione e consistono in qualsiasi alterazione, conseguente ad un’insoddisfacente realizzazione dell’opera, che, pur non riguardando le sue parti essenziali, ne compromettono la conservazione, limitandone sensibilmente il godimento o diminuendone in maniera rilevante il valore.

[114] Corte di Cassazione, sentenza 4-5-78, n. 2070, anche Corte di Cassazione, sentenza 10-1-95, n. 245

[115] Corte di Cassazione, sentenza 12-6-87, n. 5147

[116] Corte di Cassazione, sentenza 26-6-92, n. 7924

[117] Corte di Cassazione, sentenza 15-4-99, n. 3753

[118] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 6 giugno 2012, n. 9119. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 6 giugno 2012, n. 9119 La norma dell’art. 1669 c.c.legittima il committente all’esperimento della relativa azione di responsabilità nei confronti dell’appaltatore, può consistere in una qualsiasi alterazione, conseguente ad un’insoddisfacente realizzazione dell’opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e perciò non determinandone la rovina o il perìcolo di rovina ), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l’impiego duraturo cui è destinata, incida negativamente e in modo particolarmente considerevole sul godimento dell’immobile medesimo

[119] Tribunale Roma, Sezione X civile, sentenza 2 maggio 2013, n. 9262

[120] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 15 novembre 2012, n.20004. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 15 novembre 2012, n.20004

[121] Corte di Cassazione, sentenza 20-3-98, n. 297

[122] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 18 giugno 2014, n. 13882. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 18 giugno 2014, n. 13882; conforme Corte di Cassazione, sentenza 2460 del 1-2-2008; il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti nella costruzione di un immobile, previsto dall’art. 1669 c.c. a pena di decadenza dall’azione di responsabilità contro l’appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera, non essendo sufficienti, viceversa, manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti; tale conoscenza deve ritenersi, di regola, acquisita, in assenza di anteriori ed esaustivi elementi, solo all’atto dell’acquisizione di relazioni peritali effettuate; l’accertamento relativo, involgendo un apprezzamento di fatto, è riservato al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici o da errori di diritto. (Nella specie, è stata ritenuta correttamente motivata la decisione di merito che aveva fatto risalire la scoperta dei difetti dell’opera al momento del deposito della relazione della USL, che aveva indotto a negare il rilascio di licenza di abitabilità).

[123] Corte di Cassazione, sentenza n. 81 del 2000

[124] Corte di Cassazione, sentenza n. 11740 del 2003, Tribunale di Rovigo, Sezione distaccata di Adria, Sentenza 6 maggio 2009, per la consultazione della sentenza aprire il collegamento on-line Tribunale di Rovigo, Sezione distaccata di Adria, Sentenza 6 maggio 2009

[125] Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 8 maggio 2014, n. 9966. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 8 maggio 2014, n. 9966

[126] Corte di Cassazione, sentenza n. 1463 del 2008

[127] Corte di Cassazione, sentenza 17-12-99, n. 14218

[128] Corte di Cassazione, sentenza 20853 del 29-9-2009

[129] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 27 febbraio 2014, n. 4744. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 27 febbraio 2014, n. 4744, così anche Corte di Cassazione, sentenzae nn. 13/1993, 6682/00

[130] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 27 febbraio 2014, n. 4744. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 27 febbraio 2014, n. 4744, Corte di Cassazione, sentenze 2763/84; 1406/89; 5103/95, anche Corte di Cassazione, sentenze 10624/96; 8294/99 e amplius 3702/11

[131] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 27 febbraio 2014, n. 4744. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 27 febbraio 2014, n. 4744, così anche Corte di Cassazione, sentenza 2070/78,

[132] Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 10 dicembre 2013, n. 27500. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 10 dicembre 2013, n. 27500, in precedenza Corte di Cassazione, sentenza 3702 del 15-2-2011 secondo la quale non sussiste incompatibilità tra le norme di cui agli artt. 1667 e 1669 c.c., nel senso che il committente di un immobile che presenti gravi difetti ben può invocare, oltre al rimedio risarcitorio del danno (contemplato soltanto dall’art. 1669), anche quelli previsti dall’art. 1668 c.c. (eliminazione dei vizi, riduzione del prezzo, risoluzione del contratto) con riguardo ai vizi di cui all’art. 1667, purché non sia incorso nella decadenza stabilita dal secondo comma dello stesso art. 1667. Infatti, quanto a struttura — diversamente da ciò che riguarda la diversa natura giuridica della responsabilità rispettivamente disciplinata dalle anzidette norme (l’art. 1669, quella extracontrattuale; l’art. 1667, quella contrattuale) — le relative fattispecie si configurano l’una (l’art. 1669) come sottospecie dell’altra (art. 1667), perché i gravi difetti dell’opera si traducono inevitabilmente in vizi della medesima, sicché la presenza di elementi costitutivi della prima implica necessariamente la presenza di quelli della seconda, con la conseguenza — non smentita dal alcun dato testuale, logico e sistematico — che la norma generale continua ad applicarsi anche in presenza dei presupposti di operatività della norma speciale, così da determinare una concorrenza delle due garanzie, quale risultato conforme alla ratio di rafforzamento della tutela del committente sottesa allo stesso art. 1669 c.c. Ne consegue, altresì, che non è dato ravvisare un contrasto dell’art. 1669 c.c. con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento rispetto alla disciplina posta dall’art. 1667 c.c. in tema di prescrizione, non patendo il committente alcun deficit di protezione per il fatto che i difetti dell’opera presentino il carattere di particolare gravità indicato dall’art. 1669 citato.

[133] Corte di Cassazione, sentenza 15/2/2011 n. 3702

[134] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 6 febbraio 2013, n.2829. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 6 febbraio 2013, n.2829

[135] Corte di Cassazione, sentenza 18078 del 19-10-2012

[136] Corte di Cassazione, sentenza 23-12-87, n. 9635

[137] Corte di Cassazione, Sez. Un. 21-3-73, n. 800

[138] Corte di Cassazione, Sezione III, sentenza 19 settembre 2014, n. 19742, Inoltre in tema, Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 19 febbraio 2014, n. 3967, per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 19 febbraio 2014, n. 3967, in precedenza, Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 8 maggio 2013, n. 10893. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 8 maggio 2013, n. 10893. L’appaltatore è responsabile in via esclusiva dei danni cagionati a terzi nell’esecuzione dell’opera anche nel caso in cui il committente abbia esercitato un controllo sui relativi lavori, designando, nel proprio interesse, un sorvegliante privo di poteri di ingerenza (Corte di Cassazione, sentenza 15 novembre 2002 n. 16080). Così anche Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 19 luglio 2012, n.12476 per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 19 luglio 2012, n.12476, secondo la quale l’autonomia dell’appaltatore comporta che, di regola, questi deve ritenersi unico responsabile dei danni derivati a terzi dall’esecuzione dell’opera; una corresponsabilità del committente può configurarsi in caso di specifica violazione di regole di cautela nascenti ex art. 2043 c.c., ovvero in caso di riferibilità dell’evento al committente stesso per culpa in eligendo per essere stata affidata l’opera ad un’impresa assolutamente inidonea ovvero quando l’appaltatore i base a patti contrattuali sia stato un semplice esecutore degli ordini del committente ed abbia agito quale nudus minister attuando specifiche direttive direttamente impartite dal committente o da un suo rappresentante (v. ex multis Corte di Cassazione, sentenza 12/2/1997 n. 1284, Corte di Cassazione, sentenza 19/4/2006 n. 9065; Corte di Cassazione, sentenza 23/4/2008 n. 10588, Corte di Cassazione, sentenza 27/5/2011 n. 11757; Corte di Cassazione, sentenza 5/12/2011 n. 26002). In senso sostanzialmente conforme Corte di Cassazione, sentenza 23 luglio 2007 n. 16202 e Corte di Cassazione, sentenza 11 maggio 2007 n. 10860.

[139] Cassazione, sentenze 23 marzo 1999, n. 2745, e 2 marzo 2005, n. 4361

[140] Cassazione, sentenze 6 agosto 2004, n. 15185, e 27 maggio 2011, n. 11757

[141] Corte di Cassazione, 30-3-99, n. 3041

[142] Corte di Cassazione, III, sent. 10588 del 23-4-2008. Nella specie l’appaltatore, mentre eseguiva lavori di rifacimento di una conduttura idrica, aveva eseguito uno scavo invalicabile, dividendo così in due parti non comunicanti il fondo attraversato dalla conduttura. La S.C., confermando la decisione di merito, ha escluso nella specie una responsabilità del committente, sia perché il tracciato della conduttura era preesistente e non ascrivibile a scelta di quest’ultimo, sia perché la mancata adozione di accorgimenti per consentire lo scavalco dello scavo era frutto di una scelta organizzativa dell’appaltatore, e non di una direttiva del committente

[143] Cfr. par.fo G) Il Subappalto, pag. 142

[144] Corte di Cassazione, Sez. L., sent. 9065 del 19-4-2006. Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso proposto dalla subcommittente in ordine all’affermazione della sua corresponsabilità con riferimento ai danni subiti da un lavoratore dipendente della ditta subappaltatrice, alla stregua della corretta valutazione contenuta nella sentenza impugnata circa la sua ingerenza e l’assunzione dell’obbligo di attuazione delle misure di prevenzione relative all’esecuzione dei lavori oggetto del contratto di subappalto

[145] Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 10 aprile 2014, n. 8410. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 10 aprile 2014, n. 8410

[146] Tribunale Milano, Sezione XIII civile, sentenza 17 febbraio 2014, n. 2318

[147] Tribunale Milano, Sezione X, sentenza 7 gennaio 2014, n. 80

[148] Corte d’Appello Roma, Sezione III, sentenza 4 ottobre 2013, n. 5233. Nella specie merita conferma la gravata pronuncia in punto di responsabilità dell’appellante ditta appaltatrice.

[149] Corte di Cassazione, II, sent. 17386 del 30-8-2004

[150] Corte di Cassazione, 28-7-83, n. 5208

[151] Corte di Cassazione, Sez. Un. 14-7-83, n. 4814

[152] Corte di Cassazione, 14-7-80, n. 4514

[153] Per una maggiore consultazione sulla eccesiva onerosità sopravvenuta, aprire il seguente collegamento on-line La Risoluzione – Par.fo H)  L’ECCESSIVA ONEROSITÀ SOPRAVVENUTA

[154] Corte di Cassazione, Sez. Un. 9-11-92, n. 12076. In precedenza, Corte di Cassazione, 5-3-88, n. 2290, secondo la quale, il diritto dell’appaltatore alla revisione dei prezzi di cui all’art. 1664 c.c. è subordinato al duplice accertamento che vi sia stato un aumento del costo dei materiali e della manodopera impiegati nella specifica attività considerata in misura superiore al decimo del prezzo convenuto e che tali aumenti non siano prevedibili in relazione al precedente andamento di quei prezzi ed al vario atteggiamento della complessiva svalutazione monetaria non necessariamente legata nei suoi fattori causali ai valori di mercato

[155] Corte di Cassazione, 21-2-79, n. 1125

[156] Corte di Cassazione, 22-2-74, n. 529, anche Corte di Cassazione, sentenza 14-7-80, n. 4514. Applicazione del principio in tema di contratto di appalto di opere murarie, contenente una pattuizione forfettaria del prezzo che è stata ritenuta dai giudici del merito come rinunzia alla facoltà di revisione stabilita con la norma citata.

[157] Corte di Cassazione, 23-4-81, n. 2403.

[158] Per la Cassazione, in tema di appalto, stante la derogabilità della normativa della revisione del prezzo di cui all’art. 1664 c.c., è consentito alle parti nell’esercizio della loro autonomia negoziale di ampliare gli ordinari margini di rischio dell’appaltatore ponendo interamente a carico di quest’ultimo, con la pattuizione dell’invariabilità del corrispettivo, l’alea correlata alla sopravvenienza di una maggiorazione dei costi, anche con riferimento a situazioni sopravvenute, astrattamente riconducibili nell’ambito di operatività dell’art. 1467 c.c. e comportanti, quindi, l’eccessiva onerosità dell’esecuzione dell’opera per sopraggiunti eventi straordinari ed imprevedibili. Corte di Cassazione, 23-8-93, n. 8903.

[159] Tribunale Latina, Sezione II civile, sentenza 8 settembre 2014, n. 1912. Nella fattispcie il Tribunale di Latina ha revocato il decreto ingiuntivo avendo l’opponente provato i vizi delle opere e l’assenza della prova di lavori extracontratto non provati dall’appatatrice committente, non autorizzati per iscritto dalla committente ex art.1659 cod.civ. Principio ripreso da una massima della Cassazione, secondo la quale, appunto, nel contratto di appalto stipulato tra privati, quando il corrispettivo sia stato determinato a corpo e non a misura, l’appaltatore non può invocare la revisione dei prezzi, di cui all’art. 1664 c.c., per le variazioni di costo intervenute in corso di esecuzione e dipendenti da fattori che al momento della stipula del contratto potevano essere preveduti; quando, invece, gli aumenti siano dipesi da fattori del tutto imprevedibili al momento della stipula del contratto, la revisione dei prezzi è dovuta anche nell’appalto con corrispettivo a corpo, a meno che le parti, nell’esercizio della loro autonomia, non vi abbiano inequivocabilmente rinunciato. Corte di Cassazione, II, sent. 1494 del 21-1-2011.

[160] Corte di Cassazione, sentenza n. 1494/2011

[161] Corte di Cassazione, 15-7-96, n. 6393

[162] Corte di Cassazione, I, sent. 5951 del 5-3-2008

[163] Corte di Cassazione, II, sent. 380 del 13-1-2010

[164] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 22 novembre 2013, n. 26260

[165] Corte di Cassazione, 31-7-81, n. 4882

[166] Corte di Cassazione, 5-5-75, n. 1738

[167] Corte di Cassazione, 7-2-92, n. 1391

[168] Corte di Cassazione, II, sent. 470 del 14-1-2010

[169] Corte di Cassazione, 10-1-96, n. 169

[170] Cassazione, sentenze 23 marzo 1999, n. 2745, 20 aprile 2004, n. 7499, 2 marzo 2005, n. 4361, e 29 marzo 2007, n. 7755, Corte d’Appello Palermo, Sezione II civile, sentenza 22 novembre 2013, n. 1739; in materia di appalto, la circostanza per la quale l’appaltatore esegua l’opera su progetto del committente o fornito dal committente, non lo degrada al rango di nudus minister poiché la fase progettuale non interferisce nel contratto e non ne compone la struttura sinallagmatica, esulando dagli obblighi delle rispettive parti. Ne discende che l’appaltatore è tenuto non solo ad eseguire a regola d’arte il progetto ma anche a controllare, con la diligenza richiesta nel caso specifico e nei limiti delle cognizioni tecniche da lui esigibili, la congruità e la completezza del progetto e della direzione dei lavori, segnalando al committente gli eventuali errori riscontrati quando l’errore progettuale consiste nella mancata previsione di accorgimenti e componenti necessari per rendere il prodotto tecnicamente valido ed idoneo a soddisfare le esigenze del committente.

[171] Cassazione, sentenze 6 agosto 2004, n. 15185, e 27 maggio 2011, n. 11757, e 15 novembre 2013, n. 25758

[172] Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 30 settembre 2014, n. 20557. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 30 settembre 2014, n. 20557

[173] Corte di Cassazione, sentenza 16 ottobre 2008, n. 25251

[174] Normativa di riferimento: Codice civile: artt. 1655, 1662, 1669, 2222, 2229; Legge 11 febbraio 1994, n. 109; D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494; D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554; D.M. Lavori Pubblici n. 145/2000; D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81; D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.

[175] In altre parole, qualificata come obbligazione di mezzi la prestazione gravante sul direttore dei lavori, lo stesso risponderà a titolo contrattuale nei confronti del committente e a titolo extracontrattuale verso i terzi.

[176] Corte di Cassazione, sentenze 20 luglio 2005, n. 15255, e 24 aprile 2008, n. 10728

[177] Cfr. par.fo D) La responsabilità civile dell’appaltatore, punto 3) La reesponsabilità speciale per gli immobili di lunga durata, pag. 69

[178] Corte di Cassazione, sezione III, sentenza del 11 dicembre 2012, n. 22643. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione III, sentenza del 11 dicembre 2012, n. 22643. Sempre sulla responsabilità extracontrattuale, conforme Corte di Cassazione, III, sent. 15789 del 22-10-2003, secondo la quale la natura della responsabilità del direttore dei lavori nominato dal committente o dell’ appaltatore — da valutare alla stregua della diligentia quam in concreto in relazione alla competenza professionale dallo stesso esigibile — per un fatto dannoso cagionato ad un terzo dall’esecuzione di essi, è di natura extracontrattuale e perciò può concorrere con quella di costoro se le rispettive azioni o omissioni, costituenti autonomi fatti illeciti, hanno contribuito causalmente a produrlo. In relazione poi al direttore dei lavori dell’appaltatore egli risponde del danno derivato al terzo se ha omesso di impartire le opportune direttive per evitarlo e di assicurarsi della loro osservanza, ovvero di manifestare il proprio dissenso alla prosecuzione dei lavori stessi astenendosi dal continuare a dirigerli in mancanza di adozione delle cautele disposte. Accanto alle responsabilità extracontrattuale connessa all’ipotesi del crollo di edificio, sussiste responsabilità contrattuale tutte le volte che il direttore dei lavori non esegua correttamente le prestazioni cui è tenuto in virtù del conferimento dell’incarico. La Cassazione ha già avuto occasione di affermare (Corte di Cassazione, sentenza n. 10728 del 2008) che il direttore dei lavori per conto del committente presta un’opera professionale in esecuzione di un’obbligazione di mezzi ed, essendo chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l’impiego di peculiari competenze tecniche, deve utilizzare le proprie risorse intellettive e operative per assicurare, relativamente all’opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente – preponente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della diligentia quam in concreto; rientrano pertanto nelle obbligazioni del direttore dei lavori l’accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l’adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi; pertanto, non si sottrae a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e di riferirne al committente; in particolare l’attività del direttore dei lavori per conto del committente si concreta nell’alta sorveglianza delle opere, che, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere né il compimento di operazioni di natura elementare, comporta il controllo della realizzazione dell’opera nelle sua varie fasi e pertanto l’obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole dell’arte e la corrispondenza dei materiali impiegati (confronta anche la recente Corte di Cassazione, sentenza n. 8014 del 2012).

La responsabilità contrattuale del direttore dei lavori è, quindi, sussistente allorché il professionista non esegua correttamente le prestazioni contrattualmente assunte agendo con imprudenza, imperizia, negligenza o non rispettando le norme tecniche.

[179] Tribunale Firenze, Sezione II, sentenza 14 gennaio 2014, n. 85

[180] Corte di Cassazione, II, sent. 4454 del 20-3-2012

[181] Art. 29. Responsabilità del titolare del permesso di costruire, del committente, del costruttore e del direttore dei lavori nonché anche del progettista per le opere subordinate a denuncia di inizio attività (legge 28 febbraio 1985, n. 47 art. 6; decreto-legge 23 aprile 1985, n. 146, art. 5bis, convertito con modificazioni, in legge 21 giugno 1985, n. 298; decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, art. 4, comma 12, convertito con modificazioni dalla legge 4 dicembre 1993, n. 493; decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 art. 107 e 109). 1. Il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore sono responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel presente capo, della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo. Essi sono, altresì, tenuti al pagamento delle sanzioni pecuniarie e solidalmente alle spese per l’esecuzione in danno, in caso di demolizione delle opere abusivamente realizzate, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell’abuso.

[182] In tema la Cassazione ha avuto modo di affermare che il direttore dei lavori non risponde, invece, dell’inosservanza delle norme antinfortunistiche, ove non sia accertata una sua ingerenza nell’organizzazione del cantiere Corte di Cassazione, sentenza pen., 1 gennaio 1993. Di contro, il direttore dei lavori che sovrintende in concreto al cantiere, esercitando un potere direttivo sia nell’esecuzione dell’opera che nelle modalità di prestazione lavorativa, è ritenuto destinatario anche delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro edile Corte di Cassazione, sentenza pen., Sez. IV, 26 marzo 2003, n. 49462.

[183] Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza 19 novembre 2014, n. 47751. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza 19 novembre 2014, n. 47751.

[184] Corte di Cassazione, 23-5-92, n. 6218. Incorre nell’inadempimento legittimante la risoluzione del contratto, l’appaltatore che si oppone alla verifica dell’esecuzione dell’opera di costruzione di una imbarcazione (nella specie, da diporto) pretendendo che essa sia affidata a tecnici del registro navale, il cui potere di controllo tecnico delle costruzioni marittime per fini di tutela degli interessi pubblici connessi alla sicurezza della navigazione (ai sensi dell’art. 235 cod. nav.) non esclude o limita i poteri di controllo e verifica che, per altri fini, spettano al committente dell’opera.

[185] Corte di Cassazione, 6-8-83, n. 5279

[186] Corte di Cassazione, I, sent. 4544 del 27-3-2003

[187] Per una maggiore consultazione sulla diffida ad adempiere, aprire il seguente collegamento on-line La risoluzione – par.fo D) Risoluzione di diritto – 1) Diffida ad adempiere

[188] La norma generale di cui all’art. 1453 c.c. è derogata, per quanto concerne la risoluzione del contratto di appalto per inadempimento dell’appaltatore (mentre il contratto stesso è in corso di esecuzione) dalla disposizione particolare contenuta nel secondo comma dell’art. 1662 c.c., ispirata alla pratica esigenza di evitare lo scioglimento del rapporto per inadempienze non aventi carattere definitivo, in quanto sia possibile all’appaltatore di porvi riparo, durante lo svolgimento dei lavori, entro un congruo termine fissato dal committente. La speciale ipotesi di cui alla indicata norma ricorre allorché i vizi e difetti constatati nel corso dell’opera siano eliminabili da parte dell’appaltatore, e non quando essi abbiano carattere di irreparabilità, in modo da compromettere insanabilmente l’esecuzione del contratto nella quale ultima ipotesi si applica il generale rimedio previsto dall’art. 1453 c.c. Corte di Cassazione, 5-2-71, n. 275

[189] Corte di Cassazione, 9-1-80, n. 163

[190] Corte di Cassazione, 14-6-90, n. 5828

[191] Corte di Cassazione, 21-5-80, n. 3338

[192] Corte di Cassazione, 8-3-84, n. 1630

[193] Cfr. Par.fo D) La responsabilità civile dell’appaltatore, punto 2) Responsabilità contrattuale speciale verso il committente, lettera B) Contenuto della garanzia per difformità e vizi, pag. 48

[194] Corte di Cassazione, 30-11-78, n. 5666. Cfr. Par.fo D) La responsabilità civile dell’appaltatore, punto 2) Responsabilità contrattuale speciale verso il committente, lettera B) Contenuto della garanzia per difformità e vizi, pag. 48

[195] Corte di Cassazione, 5-3-79, n. 1364

[196] Cfr. Par.fo H) L’estinzione dell’appalto, punto 2) La risoluzione per inadempimento, pag. 155

[197] Corte di Cassazione, 27-2-95, n. 2290, anche Corte di Cassazione, sentenza 4-5-82, n. 2757

[198] Rubino – Iudica

[199] Corte di Cassazione, II, sent. 10201 del 20-6-2012. Nella specie, in base all’enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva escluso che le varianti eseguite, nell’ambito dei lavori di costruzione di sei appartamenti e altrettanti posti auto, integrassero notevoli modificazioni della natura delle opere sia in assoluto, sia in rapporto all’economia dell’appalto

[200] Corte di Cassazione, 16-7-83, n. 4911

[201] Corte di Cassazione, sentenze 3040/95; n. 7242/2001, e Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 8 gennaio 2014, n. 142, per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 8 gennaio 2014, n. 142; da ultimo cfr anche Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 4 febbraio 2015, n. 2037, per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 4 febbraio 2015, n. 2037, secondo quest’ultima pronuncia la giurisprudenza di legittimità ha statuito, da un lato, che le variazioni ordinate dal committente possono essere provate con ogni mezzo (vedi Corte di Cassazione, sentenza n. 7242/2001; Corte di Cassazione, sentenza n. 19099/2011) dall’altro che non vi sono ostacoli alla prova testimoniale – pur se essa riguardi variazioni poste in essere dall’appaltatore senza previo concerto con l’appaltante – le volte in cui essa sia diretta a dimostrare l’accettazione dell’opera fuori contratto (Corte di Cassazione, sentenza n. 6398/2003).

[202] Corte di Cassazione, 10-2-87, n. 1411. Nella specie, il committente, dopo aver affidato ad un editore la stampa di una rivista in diecimila copie settimanali per la durata di un anno, aveva disdetto il contratto nel corso di tale periodo. I giudici di appello, ritenendo ricorrere l’ipotesi dell’art. 1661 c.c., avevano respinto la domanda di risarcimento del danno proposta dall’editore, decisione che la Corte di cassazione ha annullato, enunciando il principio di cui alla massima

[203] Cfr. Par.fo H) L’estinzione dell’appalto, punto 1) Il recesso, pag. 145

[204] Corte di Cassazione, 27-6-92, n. 8068

[205] Gazzoni

[206] Rubino – Iudica

[207] Corte di Cassazione, II, sent. 106 del 4-1-2011

[208] Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 26 novembre 2013, n. 26365. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 26 novembre 2013, n. 26365, Corte di Cassazione, sentenza, n. 5231 del 1998; in senso conforme cfr. anche Corte di Cassazione, sentenza, n. 3005 del 1973

[209] Per una maggiore consultazione del principio inadimplenti non est adimplendum, aprire il seguente collegamento on-line La risoluzione – par.fo E) Eccezione di inadempimento

[210] Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 26 novembre 2013, n. 26365. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 26 novembre 2013, n. 26365, conforme Corte di Cassazione, sentenza n. 2026 del 1970

[211] Corte di Cassazione, II, sent. 13132 del 9-9-2003

[212] Capozzi

[213] Rubino e Iudica – Mirabelli – Stolfi

[214] Corte di Cassazione, 13-1-84, n. 283

[215] Corte di Cassazione, 26-5-76, n. 1906. A norma dell’art 1665, ultimo comma, cod civ, l’accettazione dell’opera, da parte del committente, rende esigibile il corrispettivo richiesto dall’appaltatore sulla cui entità non siano insorte contestazioni, ma non importa, di per sé l’approvazione del conto presentato dall’appaltatore medesimo.

[216] Corte di Cassazione, 21-5-99, n. 4955

[217] Ha natura ricettizia la dichiarazione del committente di accettare senza riserve l’opera appaltata. Pertanto essa non produce effetti se non venga comunicata all’appaltatore od a persona da lui incaricata a riceverla. Corte di Cassazione, 28-10-76, n. 3959

[218] Corte di Cassazione, II, sent. 3752 del 19-2-2007. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, dalla cui adeguata motivazione emergeva che non vi era stata in concreto accettazione dell’opera da parte del committente, non avendo assolto l’appaltatore il relativo onere probatorio, risultando, peraltro, da apposita clausola del capitolato, che l’avvenuto collaudo e la conseguente consegna dell’opera non avrebbero esonerato l’appaltatore dalla relativa responsabilità

[219] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 21 giugno 2013 n. 15711 Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 21 giugno 2013 n. 15711, conforme Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 22 novembre 2013, n. 26260; in tema di appalto, l’art. 1665 pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell’opera, indica i fatti ed i comportamenti dai quali deve presumersi la sussistenza dell’accettazione da parte del committente e, in particolare, al comma IV, prevede come presupposto dell’accettazione (da qualificare come tacita) la consegna dell’opera al committente (alla quale è parificabile l’immissione nel possesso) e come fatto concludente la ricezione senza riserve da parte di quest’ultimo anche se non si sia proceduto alla verifica, donde la configurazione del conseguente diritto dell’appaltatore al pagamento del prezzo

[220] Tribunale Bologna, Sezione 2 civile, sentenza 16 luglio 2013, n. 2220

[221] Gazzoni

[222] Cfr. Par.fo H) L’estinzione dell’appalto, punto 2) La risoluzione per inadempimento, pag. 155

[223] Cfr. Par.fo D) Responsabilità civile dell’appaltatore, punto 2) Responsabilità contrattuale speciale verso il committente, lettera A) Difformità e vizi dell’opera pag. 44

[224] Corte di Cassazione, 18-1-83, n. 466

[225] Tribunale Potenza, civile, sentenza 19 agosto 2013, n. 1062

[226] Tribunale Potenza, civile, sentenza 8 maggio 2013, n. 630

[227] da ultimo Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 18 giugno 2014, n. 13882. Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 18 giugno 2014, n. 13882; conf. Corte di Cassazione, sentenza 17 aprile 2013, n. 9361, Corte d’Appello Campobasso, civile, sentenza 6 giugno 2014, n. 145. In materia di appalto privato, la presa in consegna dell’opera non equivale necessariamente ad accettazione della medesima senza riserve, con conseguente rinunzia all’azione per difetti conosciuti o conoscibili. Costituendo, invero, la ricezione dell’opera senza riserve un caso di accettazione tacita o per facta concludentia (ex art. 1665, comma IV), è necessario stabilire se nel comportamento delle parti non siano ravvisabili elementi contrastanti con la presunta volontà di accettare l’opera. In tal senso, in particolare, qualora, come nel caso che occupa, vi siano state contestazioni precedenti e successive, non basta a far ritenere che il committente abbia implicitamente rinunziato a garantirsi per i vizi palesi dell’opera, il fatto di averla presa in consegna, effettuando la contabilità finale dei lavori, giacché, in presenza di siffatte contestazioni, la effettuazione della contabilità non equivale a consegna senza riserve e, dunque, non si concreta in una manifestazione di volontà di rinunzia alla garanzia per i difetti dell’opera.

[228] Corte di Cassazione, sentenza 4 febbraio 2014, n. 2436

[229] Cfr. Par.fo C) CAUSA ED OGGETTO, pag. 14

[230] Cfr. Par.fo I) FIGURE AFFINI, pag. 161

[231]Cfr. Par.fo E) La prestazione dell’appaltante, punto 1) Il corrispettivo in denaro, pag. 92

[232] Cfr. Par.fo F) L’esecuzione dell’appalto, punto 2) Verifica in corso d’opera, pag. 112

[233] Cfr. par.fo F) L’esecuzione dell’appalto, punto 1) Il controllo – il direttore dei lavori, pag. 105

[234] Cfr. Par.fo F) L’esecuzione dell’appalto, punto 3) Variazioni al progetto, pag. 116

[235] Cfr. Par.fo F) L’esecuzione dell’appalto, punto 4) La verifica, pag. 122

[236] Cfr. Par.fo F) L’esecuzione dell’appalto, punto 5) Il collaudo, pag. 126

[237] Cfr. Par.fo F) L’esecuzione dell’appalto, punto 6) L’accettazione, pag. 127

[238] Cfr. Par.fo F) L’esecuzione dell’appalto, punto 7) Pagamento del prezzo, pag. 130

[239] Cfr. Par.fo F) L’esecuzione dell’appalto, punto 8) La consegna, pag. 133

[240] Capozzi

[241] Per una maggiore consultazione sul collegamento negoziale aprire il seguente link on-line Il collegamento negoziale

[242] Corte di Cassazione, 18-6-75, n. 2429

[243] Cassazione civ., Sez. II, 23 maggio 1990, n. 4656

[244] Corte di Cassassazione 23-5-90, n. 4656

[245] Corte di Cassazione, II, sent. 16917 del 2-8-2011

[246] Per una maggiore consultazione sulla cessione del contratto aprire il seguente link on-line La cessione del contratto

[247] Rubino

[248] Cassazione civ., Sez. I, 30 novembre 2009, n. 23903

[249] Corte di Cassazione, Sez. II, 13 febbraio 2009, n. 3659. In materia di contratto di subappalto, poiché l’obbligazione assunta dal subappaltatore ha ugualmente natura di obbligazione di risultato e non di mezzi, anche nel caso di affidamento dell’incarico sulla base di un progetto già predisposto, la diligenza nell’adempimento deve essere valutata in base ai criteri dell’art. 1176, comma II; ne consegue che permane l’obbligo del subappaltatore di segnalare al subcommittente gli inconvenienti derivanti dalle direttive ricevute, riducendosi il ruolo del subappaltatore al rango di nudus minister, come tale esente da responsabilità, soltanto nell’estrema ipotesi di conferma delle precedenti disposizioni nonostante detta segnalazione.

[250] Cfr. par.fo D) La responsabilità civile dell’appaltatore, punto 4) La reesponsabilità per danni arrecati a terzi, pag. 88

[251] Corte di Cassazione, sentenza 23 marzo 1999, n. 2745; Corte di Cassazione, sentenza 12 giugno 1990, n. 5690

[252] Corte di Cassazione, III, sent. 15185 del 6-8-2004

[253] Corte di Cassazione, II, sent. 3659 del 13-2-2009

[254] Corte di Cassazione, 12-6-90, n. 5690

[255] Cfr. Par.fo F) L’esecuzione dell’appalto, punto 3) Variazioni al progetto, pag. 121

[256] Tribunale Milano, Sezione VII civile, sentenza 13 giugno 2014, n. 7908. Nel contratto di appalto il committente può sempre esercitare il diritto di recesso; l’art. 1671 disciplina, infatti, il recesso ad nutum, derogabile per volontà delle parti, che non presuppone necessariamente uno stato di regolare svolgimento del rapporto di appalto e al contrario prevede che il recesso possa essere esercitato per qualsiasi ragione che induca il committente a disfarsi del contratto, compresa la sopravvenuta sfiducia nell’appaltatore per fatti d’inadempimento. Poiché il contratto si scioglie esclusivamente per effetto dell’unilaterale iniziativa del recedente, non è necessaria alcuna indagine sull’importanza dell’inadempimento, dovuta solo se il committente richiede anche il risarcimento del danno derivante da esso. Conforme Tribunale Milano, Sezione VII civile, sentenza 12 aprile 2013, n. 5142; in seno al contratto di appalto è esercitabile, in qualsiasi momento, il recesso ad nutum del committente; esso non presuppone necessariamente uno stato di regolare svolgimento del rapporto ma, stante l’ampiezza della formulazione della norma di cui all’art. 1671 può essere esercitato per qualsiasi ragione idonea ad indurre il committente a porre fine al rapporto, non essendo configurabile un diritto dell’appaltatore a proseguire nell’esecuzione dell’opera e neppure rispondendo il compimento dell’opera esclusivamente all’interesse del committente. Ne deriva che l’esercizio del diritto di recesso può essere giustificato anche dalla sfiducia del committente nei confronti dell’appaltatore per fatti di inadempimento e, poiché il contratto di scioglie esclusivamente per effetto dell’unilaterale iniziativa del recedente, non è necessaria alcuna indagine sull’importanza dell’inadempimento

[257] Corte di Cassazione, sentenza 11642/03; Corte di Cassazione, sentenza 6814/98; Corte di Cassazione, sentenza 8565/93

[258] Corte di Cassazione, sentenza 6814/98; Corte di Cassazione, sentenza 1870/72

[259] Corte di Cassazione, sentenza 4987/81

[260] Corte di Cassazione, sentenza 2055/80

[261] Corte di Cassazione, sentenza 7649/94

[262] Corte di Cassazione, sentenza 11642/03; Corte di Cassazione, sentenza 6814/98

[263] Corte di Cassazione, sentenza 11642/03

[264] Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 20 marzo 2013 n. 6873, per la consultazione integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 20 marzo 2013 n. 6873

[265] A tale patto si ricollega di regola la previsione di una prestazione a titolo di corrispettivo per l’esercizio dello ius poenitendi al cui pagamento è condizionata l’efficacia del recesso. Anche le Corti di merito sottolineano efficacemente l’eccezionalità dello strumento del recesso del committente nell’ambito dei contratti a prestazioni corrispettive, il quale trova la sua giustificazione nella rilevanza dell’elemento subiettivo di tale tipologia contrattuale . Alla rilevanza dell’elemento fiduciario i giudici di merito ricollegano l’esclusione della possibilità per l’appaltatore di conseguire in via cautelare e di urgenza il diritto di proseguire i lavori, mentre, al contrario, si ritiene suscettibile di tutela cautelare il diritto del committente che abbia esercitato il recesso a vedersi riconsegnato il cantiere. Trattandosi di facoltà riconosciuta al committente senza condizioni, la tutela cautelare e quella di merito successiva non è esclusa anche nel caso in cui risulti che il recesso sia stato esercitato sul presupposto di un’erronea valutazione della condotta dell’appaltatore.

[266] De RenzisRubinoMoscatiGiannattasio

[267] Corte di Cassazione, sentenza 1411/87

[268] Corte di Cassazione, sentenza 1870/72

[269] CagnassoRubinoIudicaMoscati, 830

[270] Corte di Cassazione, sentenza 26-1-87, n. 729

[271] Corte di Cassazione, sentenza n. 12368/2002

[272] Corte di Cassazione, Sez. II, 29 gennaio 2003, n. 1295

[273] Corte di Cassazione, sentenza 29-4-91, n. 4750

[274] Cottino

[275] L’indennizzo di cui all’art. 1671 c.c., spettante all’appaltatore in caso di recesso unilaterale da parte del committente, anche se trae la sua base da un contratto dal quale quest’ultimo ha legittimamente receduto, ed al quale deve essere quindi collegato, non corrisponde ad un adempimento parziale del contratto stesso, ma ha natura risarcitoria di un danno e costituisce debito di valore e non di valuta, con la conseguenza che il riferimento al prezzo contrattuale vale solo ai fini della determinazione dell’indennizzo base, sul quale deve poi essere operata la rivalutazione, senza che sia lecito distinguere tra le varie componenti dell’indennizzo stesso. Corte di Cassazione, sentenza 17-11-80, n. 6132

[276] Corte di Cassazione, sentenza VI, ord. 9132 del 6-6-2012

[277] Per una maggiore consultazione sull’Azienda apreire il seguente collegamento on-line Lazienda

[278] Cfr. Par.fo D) La responsabilità civile dell’appaltatore, punto 2) Responsabilità contrattuale speciale verso il committente, lettera B) Contenuto della garanzia per difformità e vizi, pag. 48

[279] Per una maggiore consultazione sulla eccesiva onerosità sopravvenuta, aprire il seguente collegamento on-line La Risoluzione – Par.fo G)  L’IMPOSSIBILITÀ SOPRAVVENUTA

[280] Cfr. Par.fo F) L’esecuzione dell’appalto, punto 3) Variazioni al progetto, pag. 117

[281] Cfr. Par.fo F) L’esecuzione dell’appalto, punto 6) L’accettazione, pag. 130

[282] Corte di Cassazione, 25-11-9

[283] Per una maggiore consultazione ed approfondimento sulla compravendita si consiglia di aprire il seguente collegamento on-line La compravendita

[284] Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 15 maggio 2014, n. 10701

[285] Tribunale Trento, civile, sentenza 1 aprile 2014, n. 414

[286] Corte di Cassazione, 26-4-84, n. 2626 anche Corte di Cassazione, sentenza 13-1-95, n. 367

[287] Corte di Cassazione, 2-12-97, n. 12199

[288] Per una maggiore consultazione sulla vendita di cosa futura aprire il seguente collegamento on-line La vendita di cosa futura. Le differenze con il contratto d’appalto

[289] Per una maggiore consultazione sul collegamento negoziale aprire il seguente link on-line Il collegamento negoziale

[290] Per una maggiore consultazione sull’accessione aprire il seguente collegamento on-line L’Accessione

[291] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza del 30 ottobre 2012, n. 18656

[292] Corte di Cassazione, sentenza 21-6-2000, n. 8445 (conf. Corte di Cassazione, sentenza 17-12-99, n. 14209. Nella specie la sentenza impugnata, confermata dalla, aveva qualificato come appalto il contratto con il quale, oltre alla completa fornitura dell’arredamento necessario all’installazione di un bar pasticceria, si prevedeva anche e soprattutto un’attività di progettazione, di direzione nonché di esecuzione dei lavori da parte dell’obbligato, che si sarebbe potuto servire, a sua volta, anche di altre ditte, rimanendo, peraltro, sempre personalmente responsabile verso il committente

[293] Corte di Cassazione, sentenza 19-10-92, n. 11450

[294] Corte di Cassazione, 12-12-95. Per altra sentenza il contratto d’appalto ed il contratto d’opera si differenziano per il fatto che nel primo l’esecuzione dell’opera commissionata avviene mediante una organizzazione di media o grande impresa in cui l’obbligato è preposto e nel secondo con il prevalente lavoro di quest’ultimo, pur se coadiuvato da componenti della sua famiglia o da qualche collaboratore secondo il modulo organizzativo della piccola impresa desumibile dall’art. 2083 c.c.. Corte di Cassazione, II, sent. 7307 del 29-5-2001

[295] Tribunale Bologna, Sezione II civile, sentenza 24 maggio 2013, n. 1657

[296] Corte d’Appello Palermo, Sezione II, sentenza 15 aprile 2013, n. 667

[297] Corte di Cassazione, sentenza 18-6-75, n. 2429

[298] Per una maggiore consultazione sul contratto di mandato aprire il seguente collegamento on-line Il mandato

[299] Per una maggiore consultazione sul contratto di somministrazione aprire il seguente collegamento on-line Il contratto di somministrazione ex artt 1559 e ss c.c.

[300] Per una maggiore consultazione sul contratto di trasporto aprire il seguente collegamento on-line Il contratto di trasporto

[301] Corte di Cassazione, 24-7-2000, n. 9662. La S.C., alla stregua dei principi di cui in massima, ha confermato la decisione della Corte territoriale che, ritenuta prevalente la disciplina del contratto di appalto di servizi rispetto a quello di albergo, aveva riconosciuto il diritto alla riduzione del prezzo pattuito per il ritardo con il quale erano state messe a disposizione le sale per il congresso, rimedio previsto in relazione al contratto di appalto, ed estraneo, invece, alla disciplina del contratto di albergo)

Avv. Renato D’Isa

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