Appalto nel caso di intervento edilizio su un’opera preesistente

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|14 novembre 2022| n. 33465.

Appalto nel caso di intervento edilizio su un’opera preesistente

In tema di appalto, nel caso di intervento edilizio su un’opera preesistente, è richiesta al progettista e direttore dei lavori una diligenza particolarmente qualificata, in ragione della quale egli è tenuto, prima di procedere alla sopraelevazione, ad accertare l’idoneità statica delle strutture già esistenti.

Ordinanza|14 novembre 2022| n. 33465. Appalto nel caso di intervento edilizio su un’opera preesistente

Data udienza 6 luglio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Responsabilità architetto – Responsabilità del professionista intervenuto su strutture già esistenti – Progettazione e direzione dei lavori – Risarcimento danni

Ordinanza|14 novembre 2022| n. 33465
Data udienza 6 luglio 2022
Integrale
Responsabilità architetto – Responsabilità del professionista intervenuto su strutture già esistenti – Progettazione e direzione dei lavori – Risarcimento danni

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27741/2019 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. (OMISSIS) ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dagli avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), in (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Lecce – Sezione
Distaccata di Taranto – n. 314/2018 pubblicata in data 10 luglio 2018 udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6 luglio 2022 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina A. P. Condello

Appalto nel caso di intervento edilizio su un’opera preesistente

Fatti di causa

1. (OMISSIS) convenne in giudizio l’architetto (OMISSIS) chiedendo il risarcimento dei danni verificatisi all’immobile di sua proprieta’, sito in (OMISSIS), e deducendo che aveva affidato al professionista l’incarico di progettazione e direzione dei lavori di costruzione dell’edificio e che alcuni anni dopo la realizzazione degli stessi si erano manifestate delle crepe che avevano dapprima interessato il solaio della camera da letto e quello dello studio e, successivamente, anche le murature – interne ed esterne – del fabbricato, composto da due livelli fuori terra.
Acquisita la produzione documentale, espletata la prova orale e disposta la consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale di Taranto accolse la domanda di parte attrice, condannando il (OMISSIS) al pagamento in favore della (OMISSIS) della complessiva somma di Euro 50.528,00, oltre interessi legali dalla domanda. Rilevo’ il giudice di primo grado che la consulenza tecnica d’ufficio aveva accertato che i fenomeni fessurativi erano da ascrivere alla mancanza di fondazione sottostante il muro portante in conci di tufo sul confine o meglio alla inidoneita’ del piano di posa di tale muro, in quanto la struttura poggiava direttamente sul terreno vegetale, e che il professionista aveva errato nel non avere previamente verificato le fondamenta prima di sopraelevare il fabbricato.
2. Interposto appello da (OMISSIS), che ripropose anche l’eccezione di prescrizione del diritto, la Corte d’appello di Lecce – Sezione Distaccata di Taranto, riformando la sentenza impugnata, accolse l’impugnazione.

Appalto nel caso di intervento edilizio su un’opera preesistente

Osservo’, in particolare, che l’arch. (OMISSIS) aveva eccepito in primo grado la prescrizione con riferimento all’articolo 2226 c.c. e, in grado di appello, con riferimento all’articolo 2946 c.c. e che il termine decennale di prescrizione era gia’ venuto a scadenza nel 2003 quando l’architetto era stato formalmente interpellato dalla committente e, soprattutto, alla data del 23 settembre 2004 quando era stata avanzata formale richiesta di risarcimento dei danni, posto che le opere erano state collaudate il 26 novembre 1992 ed il fenomeno fessurativo si era manifestato nella sua consistenza nel 2003. La domanda, in ogni caso, era infondata nel merito, avendo il c.t.u. accertato che il (OMISSIS) aveva preliminarmente verificato la stabilita’ delle vecchie opere, non oggetto di demolizione e non interessate dalla nuova edificazione, e, quindi, l’idoneita’ statica alle sollecitazioni dei carichi derivanti dalla sopraelevazione, cosicche’ le cause dei fenomeni fessurativi erano da ascrivere all’errata esecuzione dei pregressi lavori di fondazione, per non essere stato realizzato un idoneo piano di posa. Nel sottolineare che la contestazione rivolta al progettista consisteva nell’omesso accertamento della consistenza del piano di posa del preesistente muro portante, la Corte territoriale evidenzio’ che una indagine di tale tipo richiedeva una diligenza professionale superiore a quella media esigibile, considerato che il muro portante era risultato ai calcoli staticamente idoneo.
3. Avverso la suddetta decisione (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, con cinque motivi.
(OMISSIS) ha resistito con controricorso.
4. La trattazione e’ stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 380-bis.1. cod. proc civ.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex articolo 380-bis.1. c.p.c.
Il controricorrente ha depositato nota spese.

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Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli articoli 1699 e 2946 c.c., sottolineando che il termine decennale previsto dall’articolo 1669 c.c. non e’ un termine di prescrizione, ne’ di decadenza e che la Corte d’appello, mal interpretando l’articolo 1669 c.c., aveva fatto riferimento al “manifestarsi del fenomeno fessurativo nella sua consistenza”, mentre il grave difetto, secondo la terminologia usata dal codice civile, doveva presentarsi nel decennio dal compimento dell’opera, indipendentemente dal suo manifestarsi in termini oggettivamente inequivoci.
2. Con il secondo motivo si deduce, sotto un diverso profilo, la violazione dell’articolo 1669 c.c.
La ricorrente precisa, in primo luogo, che in entrambi i gradi di merito l’arch. (OMISSIS) si era limitato ad eccepire che tra il completamento dell’opera e l’inizio dell’azione giudiziaria (2005), o quanto meno la formalizzazione della richiesta risarcitoria, era decorso il decennio di cui all’articolo 2946 c.c., ma non che i gravi difetti si fossero presentati per la prima volta solo nel 2003. Ribadisce che con l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado aveva fatto presente che gia’ alcuni anni dopo la realizzazione del fabbricato e, quindi, nel decennio, si erano manifestate delle crepe e che l’architetto, interpellato, aveva sostenuto che dette lesioni erano dovute all’assestamento dell’edificio; in seguito si erano verificare nuove crepe ed il (OMISSIS), nuovamente contattato, aveva continuato a sostenere che esse erano dovute all’assestamento statico dell’edificio; non essendosi il fenomeno fessurativo interrotto, aveva incaricato un tecnico di effettuare delle indagini dalle quali erano emersi gravi errori di progettazione, tra i quali l’inesistenza di adeguate strutture di fondazione perimetrale, soprattutto nella parte posteriore dell’edificio. Diversamente da quanto affermato dai giudici di merito, l’errore di progettazione non si era dunque manifestato per la prima volta nel 2003, ma molto tempo prima e, quindi, nel decennio di cui all’articolo 1669 c.c. e, peraltro, il (OMISSIS) aveva ammesso di avere posto in essere condotte che miravano a risolvere il problema, cosicche’ il decennio ex articolo 1669 c.c. doveva farsi decorrere dal momento in cui quegli interventi erano stati posti in essere.

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3. Con il terzo motivo, censurando, sotto altro profilo, la decisione gravata per violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli articoli 1669 e 2946 c.c., la ricorrente evidenzia che l’ing. (OMISSIS), sentito in qualita’ di teste, aveva riferito che l’arch. (OMISSIS) si era dichiarato disponibile a partecipare alle spese necessarie al recupero statico dell’immobile; tali dichiarazioni comportavano ammissione, da parte del controricorrente, degli errori di progettazione, con la conseguenza che il termine decennale ex articolo 1669 c.c. aveva cominciato a decorrere ex novo dal momento in cui era stato operato detto riconoscimento, ma tale questione non era stata preso in esame dalla Corte d’Appello.
4. Con il quarto motivo, deducendo l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, la ricorrente censura la sentenza laddove si afferma che “il fenomeno fessurativo si e’ manifestato nella sua consistenza nel 2003”; sostiene che si tratta di affermazione non corrispondente alla realta’ dei fatti per come emersi dalle acquisizioni probatorie, avendo lo stesso controricorrente, in sede di interrogatorio formale, ammesso che l’errore di progettazione si era manifestato ben prima del 2003.
5. Con il quinto motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli articoli 1669 e 1176 c.c., la ricorrente addebita alla Corte d’appello di avere erroneamente ritenuto infondata la domanda anche nel merito.
Rappresenta al riguardo che: a) era pacifico che il dissesto dell’edificio fosse stato determinato dalla mancanza di adeguata fondazione di un muro preesistente, pur utilizzato per la sopraelevazione del nuovo fabbricato; b) l’intervento progettato e diretto dal controricorrente era stato un intervento di realizzazione ex novo dell’intero fabbricato, a partire dal piano terra, tanto che quasi tutto l’edificio preesistente era stato demolito; c) l’errore commesso dall’arch. (OMISSIS) era consistito nell’avere sopraelevato di un piano la costruzione senza avere adeguatamente verificato se la vecchia struttura, realizzata su progetto del geom. (OMISSIS) ed avente la funzione di sorreggere il solo piano terra all’epoca costruito, fosse in grado di sostenere la sopraelevazione.
6. Il carattere alternativo delle due motivazioni rese dalla Corte d’appello, prescrizione dell’azione e infondatezza nel merito della domanda per difetto di imperizia o di diligenza professionale, implica che la sentenza qui impugnata potrebbe essere utilmente cassata solo se entrambe si rivelassero errate e, dunque, solo se fossero accolti sia i primi quattro motivi volti a censurare la prima ratio decidendi, sia il quinto motivo volto a censurare la seconda ratio decidendi.

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Alla stregua del criterio di decisione della questione piu’ liquida (Cass., sez. U, 08/05/2014, n. 9936), la lettura del quinto motivo palesa un’evidente sua inammissibilita’, sicche’, per effetto di essa, risulta consolidata la seconda motivazione enunciata dalla sentenza impugnata. Con la conseguenza che inutile diventa lo scrutinio dei primi quattro motivi, perche’, se anche essi fossero fondati, non potrebbe giustificarsi la cassazione della sentenza impugnata (Cass., sez. 3, 21/06/2017, n. 15350).
7. Il quinto motivo e’ inammissibile per le ragioni che di seguito si espongono.
7.1. Occorre, preliminarmente, osservare che questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare che “la ristrutturazione edilizia mediante ricostruzione di un edificio preesistente venuto meno per evento naturale o per volontaria demolizione si attua, nel rispetto dell’articolo 31, comma 1, lettera d), L. n. 457 del 1978, attraverso interventi che comportino modificazioni esclusivamente interne dell’edificio preesistente, senza aumenti di superficie o di volume, in presenza dei quali, invece, si configura una nuova costruzione, sottoposta alla disciplina in tema di distanze (vigente al momento della realizzazione dell’opera) e alla relativa tutela ripristinatoria, dovendosi escludere che i regolamenti locali possano incidere, anche solo indirettamente con la previsione di soglie massime di incremento edilizio, sulle nozioni normative di ristrutturazione e di nuova costruzione nonche’ sui rimedi esperibili nei rapporti tra privati” (Cass., sez. 2, 20/8/2015, n. 17043). Con la ulteriore precisazione che la ristrutturazione di un fabbricato che superi in altezza l’edificio preesistente equivale ad una sopraelevazione, la quale, a sua volta, anche se di dimensione ridotta, comporta pur sempre un aumento della volumetria e della superficie di ingombro e va pertanto considerata a tutti gli effetti come nuova costruzione (Cass., sez. 3, 15/06/2018, n. 15732; Cass., sez. 2, 20/08/2015, n. 17043; Cass., sez. 3, 1/10/2009, n. 21059; Cass., sez. 2, 7/12/2004, n. 22895; Cass., sez. 2, 27/11/2002, n. 16732; Cass., sez. 2, 26/01/2001, n. 1108; Cass., sez. 2, 05/07/2000, n. 8954; Cass., sez. 2, 22/02/1999, n. 1474).
Ebbene, risulta accertato dalla Corte d’appello che i lavori eseguiti nell’immobile di proprieta’ dell’odierna ricorrente hanno comportato una sopraelevazione del fabbricato preesistente (si veda pag. 5 della motivazione della sentenza impugnata), come peraltro emerge dallo stesso controricorso che a pag. 11 richiama la concessione edilizia rilasciata dal Comune di (OMISSIS) in data 16 dicembre 1991 alla odierna ricorrente per la realizzazione di lavori di “modifica a piano terra con la sopraelevazione al primo piano delle stabile posto in (OMISSIS) alla (OMISSIS)”. Ne deriva, pertanto, che si verte in ipotesi non di mera ristrutturazione, ma di nuova costruzione.

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7.2. Cio’ posto, con la doglianza in esame la ricorrente rimarca che al professionista, odierno controricorrente, e’ ascrivibile grave negligenza perche’, nell’attivita’ di progettazione e direzione dei lavori a lui affidata, lo stesso avrebbe omesso di verificare la staticita’ del preesistente muro portante a piano terra, destinato a svolgere una funzione statica dell’intero nuovo edificio. In particolare, addebita ai giudici di appello di non avere fatto buon governo dell’articolo 1176, comma 2, c.c., laddove hanno affermato che l’accertamento della consistenza del piano di posa del preesistente muro portante sarebbe indagine che “si coordina con un metro di diligenza estrema, sicuramente superiore alla media diligenza professionale, in considerazione del fatto che il muro risultava ai calcoli staticamente idoneo, che a suo carico non incombevano fessurazioni e che la struttura e’ rimasta indenne per almeno altri dieci anni dopo l’esecuzione dei lavori progettati dal (OMISSIS)”.
7.3. E’ ben vero, come sottolineato dalla ricorrente, che per il professionista che svolga l’attivita’ di progettista e di direttore dei lavori, l’obbligo di diligenza e’ ancora piu’ rigoroso, essendo egli tenuto, in presenza di situazioni rivelatrici di possibili fattori di rischio, ad eseguire gli opportuni interventi per accertarne la causa ed apprestare i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi (v. Cass., sez. 3, 31/5/2006, n. 12995; Cass., sez. 2, 18/4/2002, n. 5632). E cio’ perche’ le obbligazioni professionali sono caratterizzate dalla prestazione di attivita’ particolarmente qualificata da parte di soggetto dotato di specifica abilita’ tecnica, in cui il committente fa affidamento nel conferirgli l’incarico, al fine del raggiungimento del risultato perseguito o sperato.
7.4. Va, tuttavia, precisato che la responsabilita’ del professionista non puo’ essere invero desunta automaticamente dal mero inadempimento alla propria obbligazione e dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal creditore, ma deve essere valutata alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attivita’ professionale (Cass., sez. 3, 9/11/2006, n. 23918), sicche’ l’inadempimento consegue alla prestazione negligente, ovvero non improntata alla dovuta diligenza da parte del professionista, ai sensi dell’articolo 1176, comma 2, c.c., adeguata alla natura dell’attivita’ esercitata e alle circostanze concrete del caso (Cass., sez. 3, 13/4/2007, n. 8826), dovendo la misura della diligenza richiesta nelle obbligazioni professionali essere concretamente accertata sotto il profilo della responsabilita’.

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7.5. Proprio con riguardo ad opere edilizie da eseguirsi su strutture o basamenti preesistenti, questa Corte ha avuto modo di chiarire che “l’appaltatore viola il dovere di diligenza stabilito dall’articolo 1176 c.c. se non verifica, nei limiti delle comuni regole dell’arte, l’idoneita’ delle anzidette strutture a reggere l’ulteriore opera commessagli e ad assicurare la buona riuscita della medesima, ovvero se, accertata l’inidoneita’ di tali strutture, procede egualmente all’esecuzione dell’opera” (Cass., sez. 3, 31/05/2006, n. 12995). Tali principi, estensibili anche al progettista e direttore dei lavori, impongono di ritenere che, qualora l’intervento edilizio interessi un’opera preesistente, si richiede al professionista una diligenza particolarmente qualificata, essendo egli tenuto, prima di procedere alla sopraelevazione, ad accertarsi della idoneita’ statica delle strutture gia’ esistenti.
7.6. Nel caso in esame, la Corte d’appello non si e’ discostata dai superiori principi enunciati da Cass. n. 12295/2006 e ripresi da Cass. n. 15732 del 15 giugno 2018, invocati dalla ricorrente a supporto del mezzo in esame, in quanto, seppure con motivazione sintetica, con accertamento di fatto adeguato e scevro da vizi logici, ha rilevato, sulla base delle risultanze della disposta consulenza tecnica d’ufficio, che il (OMISSIS) “aveva preliminarmente verificato la stabilita’ delle vecchie opere, non oggetto di demolizione ed interessate dalla nuova edificazione, in ordine all’idoneita’ statica alle sollecitazioni dei carichi derivanti dalla sopraelevazione”, come emergeva dagli elaborati depositati presso il Genio Civile in data 15 maggio 1992, non riscontrando l’inidoneita’ delle vecchie strutture a reggere la sopraelevazione. Ha pure posto in rilievo, recependo le conclusioni a cui era pervenuto il consulente tecnico d’ufficio, che le cause dei fenomeni fessurativi determinatisi nel fabbricato di proprieta’ della ricorrente erano da ascrivere all’errata esecuzione dei lavori di fondazione, in particolare alla quota del piano di posa delle stesse, considerato che “il muro portante in conci di tufo posto sul confine poggiava direttamente sul terreno vegetale”.
Come emerge dagli stralci dell’elaborato peritale, riprodotti dalla stessa ricorrente a pag. 20 del ricorso, il c.t.u. ha, sul punto, evidenziato che il muro portante in conci di tufo, risalente alle opere originariamente progettate e dirette dal geom. (OMISSIS), non era “idoneo a trasmettere ed a ripartire i carichi della struttura sul terreno di fondazione”, con la conseguenza che le nuove strutture in cemento armato, progettate dal controricorrente, “anche se correttamente dimensionate ed eseguite”, erano state “influenzate dal dissesto statico del muro portante perimetrale, dovuto alla mancanza del piano di appoggio delle fondazioni”. Rispondendo ad uno specifico quesito, il c.t.u. ha, inoltre, affermato che l’arch. (OMISSIS) aveva redatto le strutture in cemento armato di sua competenza, previa verifica di stabilita’ delle opere preesistenti in funzione delle dimensioni e della distribuzione dei carichi, presumendo che le stesse fossero state al tempo realizzate a regola d’arte, in tal modo confermando che l’odierno controricorrente aveva in concreto espletato la dovuta verifica sulla stabilita’ delle opere preesistenti.
Alla stregua di tali considerazioni, correttamente, i giudici di appello hanno reputato non configurabile in capo al professionista incaricato della progettazione e della direzione dei lavori il contestato errore progettuale, considerato che il muro perimetrale posto sul confine era risultato, sulla base dei calcoli effettuati dal (OMISSIS), staticamente idoneo, e non potendo pretendersi dal professionista, in assenza di evidenti situazioni che potessero rivelare ulteriori possibili fattori di rischio, un grado di diligenza superiore alla diligenza qualificata richiesta in relazione al tipo di attivita’ che egli era stato chiamato ad espletare.
7.7. La ricorrente, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge, svolge, in realta’, una critica alla valutazione delle risultanze istruttorie, con la finalita’ di attribuire ai medesimi elementi un valore ed un significato difforme e piu’ consono alle proprie esigenze, in tal modo sollecitando una inammissibile pretesa di una lettura del corredo probatorio diversa da quella operata dai giudici di merito (cfr. Cass., sez. 3, 18/4/2006, n. 8932).
Per tale via in realta’, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimita’, la ricorrente tende ad ottenere un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimita’ non e’ un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto gia’ considerati dai giudici di merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (Cass., sez. 3, 14/03/2006, n. 5443).
8. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

 

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