Area edificabile ai fini ICI

Corte di Cassazione, civile, Sentenza 29 ottobre 2020, n. 23902.

Non è da considerare edificabile ai fini ICI un’area, prima edificabile e poi assoggettata ad un vincolo di inedificabilità assoluta se inserita in un programma che attribuisce un diritto edificatorio compensativo dal momento che quest’ultimo non ha natura reale, non inerisce al terreno, non costituisce una sua qualità intrinseca ed è trasferibile separatamente da esso.

Sentenza 29 ottobre 2020, n. 23902

Data udienza 22 settembre 2020

Tag/parola chiave: Imu – Ici – Accertamento – Area prima edificabile e poi assoggettata ad un vincolo di inedificabilità assoluta – Edificabilità ai fini Ici – Esclusione – Diritto non avente natura reale – Effetti

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f.

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez.

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 5010/2016 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A., (incorporante della (OMISSIS) S.R.L.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
ROMA CAPITALE, in persona della Sindaca pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’Avvocatura Capitolina di Roma Capitale, rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), e (OMISSIS);
– resistente –
avverso la sentenza n. 4323/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di ROMA, depositata il 21/07/2015.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/09/2020 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. SALZANO Francesco, che ha concluso per l’affermazione del principio per cui “un’area, prima edificabile e poi assoggettata ad un vincolo di inedificabilita’ assoluta, non sia da considerare edificabile ai fini ICI ove inserita in un programma di c.d. “compensazione urbanistica”, qualora il procedimento compensatorio non sia ancora concluso”, non essendo stata specificamente adottata ed assegnata al proprietario la cd. area di “atterraggio”, ovvero l’area sulla quale deve essere trasferita l’edificabilita’ gia’ cessata sull’area cd di “decollo”;
uditi gli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) per delega orale dell’avvocato (OMISSIS).

FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

§ 1. La (OMISSIS) spa (incorporante la (OMISSIS) srl) ha proposto due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 4323/14/15 del 21.7.2015, con la quale la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in riforma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento per Ici 2005 e sanzioni notificatole il 4 gennaio 2011 dal Comune di Roma – Roma Capitale; cio’ con riguardo ad un’area di sua proprieta’ inserita nel comprensorio ivi ubicato in localita’ (OMISSIS), dapprima edificabile, ma poi privata di questa caratteristica in quanto inclusa nel Parco Regionale (OMISSIS) in forza dell’ampliamento perimetrale di quest’ultimo da parte della Legge Regionale Lazio 31 maggio 2002, n. 14.
La Commissione Tributaria Regionale, in particolare, ha rilevato che:
– ancorche’ privata della edificabilita’, l’area in questione doveva purtuttavia assoggettarsi ad Ici, Decreto Legislativo n. 504 del 1992, ex articoli 1 e 2, come edificabile, poiche’ essa era stata fatta oggetto di un accordo di compensazione urbanistica ex articolo 19 delle Norme Tecniche di Attuazione del PRG, con procedura confermata, ai sensi del nuovo Piano Regolatore del 2003, da Delib. Consiglio Comunale 28 maggio 2003, n. 53;
– in forza di questo intervento di compensazione urbanistica, l’edificabilita’ dell’area in questione (c.d di “decollo”) poteva infatti essere esercitata su altro terreno nell’ambito delle gia’ individuate aree di assegnazione (c.d di “atterraggio”), con conseguente sua tassazione Ici secondo il criterio del valore venale.
§ 2. Con il primo motivo di ricorso la societa’ deduce – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articoli 1 e 3; per avere la Commissione Tributaria Regionale erroneamente affermato la sussistenza nella specie del presupposto oggettivo dell’Ici, nonostante che l’edificabilita’ compensativa costituisse oggetto non gia’ dell’avvenuta assegnazione di una diversa area, quanto soltanto di una promessa di futura ed incerta capacita’ edificatoria, su area ancora da individuarsi nell’ambito di quelle “di atterraggio”.
Con il secondo motivo di ricorso la societa’ lamenta – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 132 c.p.c.; per avere la Commissione Tributaria Regionale affermato la tassabilita’ Ici dell’area in questione come area “edificabile per compensazione”, salvo poi essa stessa riconoscere che l’assegnazione di quota di edificabilita’ compensativa non costituiva un diritto certo del proprietario, ma una mera legittima aspettativa, come tale non imponibile. Il che si risolveva in una motivazione a tal punto illogica e contraddittoria da risultare del tutto mancante.
§ 3. Con ordinanza interlocutoria n. 26016/19 la Sezione Tributaria di questa Corte di Cassazione ha rimesso agli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso, in quanto involgente questione di massima di particolare importanza, alle Sezioni Unite.
Osservano i giudici remittenti che:
– la Commissione Tributaria Regionale ha affermato l’imponibilita’ Ici dell’area in questione ancorche’ quest’ultima fosse stata privata della propria originaria edificabilita’, e nonostante che il programma di compensazione urbanistica adottato dal Comune non si fosse ancora completato mediante l’esatta individuazione dell’area di fruizione compensativa della volumetria; si verte, in sostanza, di imposizione Ici nel periodo (c.d. di “volo”), successivo all’imposizione del vincolo assoluto (parco pubblico) sull’area originaria, ma antecedente alla certa individuazione ed assegnazione dell’area di sfruttamento compensativo;
– pur in assenza di precedenti specifici di legittimita’ sull’imposizione Ici in caso di “compensazione urbanistica” sussistono taluni precedenti (Cass. n. 27575/18; 15693-15700/17) concernenti analogo problema in fattispecie di “perequazione urbanistica”, “per effetto della quale viene attribuito un valore edificatorio uniforme a tutte le proprieta’ destinate alla trasformazione di uno o piu’ ambiti del territorio comunale, a prescindere dall’effettiva localizzazione dei diritti edificatori, trasferibili e negoziabili separatamente dal suolo (…)” (Cass. n. 27575/18 cit.), i quali hanno concluso per l’effettivo assoggettamento ad Ici dell’area di partenza, in applicazione del principio per cui il presupposto oggettivo di questo tributo puo’ essere individuato anche soltanto nella “mera potenzialita’ edificatoria” dell’area, secondo quanto gia’ stabilito da Cass. SS.UU. n. 25506/06 ed altre conformi;
– secondo quanto affermato dalla Sezione Tributaria fino al 2015 (Cass. nn. 25672/08; 5992/15) l’apposizione sull’area di un vincolo di destinazione a servizio pubblico o di interesse pubblico, ovvero a verde pubblico attrezzato, idoneo ad impedire ai privati tutte quelle trasformazioni del suolo riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, esclude la fabbricabilita’ ai fini del Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 1, comma 2 (ad analoga conclusione e’ pervenuta Cass. Sez. I nn. 11408/12 e 13197/07 ai diversi fini della determinazione dell’indennita’ di espropriazione); ma, a partire dal 2015, e’ invece andato consolidandosi, all’interno della sezione, l’opposto orientamento, in base al quale l’apposizione di vincoli di destinazione, ancorche’ indubbiamente incidente sul valore venale dell’immobile, non e’ tuttavia tale da farne venir meno l’originaria natura edificabile (Cass. n. 17764/18, 23814/16; 14763/15);
– a diversa conclusione, cioe’ nel senso della inedificabilita’, si e’ pervenuti in presenza di strumenti di pianificazione paesaggistica ed ambientale regionale ostativi alla fabbricabilita’, pur a fronte di edificabilita’ secondo il PRG; cio’ in forza della affermata prevalenza, Decreto Legislativo n. 42 del 2004, ex articolo 145, delle prescrizioni del piano paesaggistico regionale, comunque denominato, sulla pianificazione urbanistica comunale (Cass. n. 15726/14; 11080/19);
– la soluzione della imponibilita’ Ici in ragione della mera potenzialita’ edificatoria susciterebbe purtuttavia qualche perplessita’, specie a fronte dei nuovi strumenti, variamente previsti dalle normative regionali, della perequazione, della compensazione e dell’incentivazione urbanistica, destinati a sostituire lo schema classico della c.d. “zonizzazione” ovviando alle discriminazioni tra proprietari di aree omologhe da quest’ultima spesso indotte, e ad ingenerare, in capo ai proprietari, dei “diritti edificatori” non disciplinati espressamente dalla legge statale (se non nei ristretti limiti della trascrivibilita’ di cui all’articolo 2643 c.c., n. 2 bis, come introdotto dal Decreto Legge n. 70 del 2011, conv. in L. n. 106 del 2011), e di qualificazione giuridica ancora incerta: se diritti reali di godimento, tipici o atipici; se diritti obbligatori riconducibili ad un rapporto di credito tra il privato e l’amministrazione comunale; se meri “frutti” del bene;
– qualora si attribuisse ai diritti edificatori in questione natura obbligatoria, ben difficilmente se ne potrebbe ammettere l’imponibilita’ Ici, essendo quest’ultimo un tipico tributo di natura reale che presuppone l’edificabilita’ in quanto qualita’ intrinseca del terreno; la’ dove, in fattispecie come quella dedotta nel presente giudizio: “il credito edificatorio compensativo fara’ eventualmente nascere, come una sorta di indennizzo o corrispettivo aggiuntivo, una capacita’ edificatoria (in altra sede) solo in forza della conclusione del procedimento compensatorio, sicche’ fino a tale momento non esistera’ l’edificabilita’ di alcuna area, ma soltanto una mera possibilita’ futura di edificabilita’, neppure certa nell’an e nel quando”; sicche’ “mancando i requisiti, richiesti dalla norma tributaria, dell’attualita’, realita’ e localizzazione della capacita’ edificatoria, le aree di compensazione non sembrano poter essere assimilate a quelle fabbricabili indicate dalla normativa Ici, neppure sotto il profilo di una loro “potenzialita’” (ord. rim. pag. 13);
un indirizzo interpretativo chiarificatore si imporrebbe anche in ragione delle diversita’ esistenti tra gli interventi di tipo “perequativo” e quelli di tipo “compensativo”, posto che nel primo caso viene pur sempre riconosciuta al fondo, quale strumento alternativo all’imposizione di un vincolo, una determinata frazione della cubatura complessiva fruibile su altre aree (contigue oppure no), mentre nel secondo caso si verifica l’attribuzione di un “credito” compensativo di natura indennitaria suscettibile di essere fruito su un’altra area (di “atterraggio”) la cui identificazione puo’ tuttavia avvenire anche molto tempo dopo l’imposizione del vincolo sull’area di origine, con le conseguenti problematiche circa la configurabilita’ non soltanto del presupposto oggettivo dell’Ici, ma anche di quello soggettivo (Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articoli 1 e 3).
§ 4. Il ricorso e’ stato quindi dal Primo Presidente assegnato a queste Sezioni Unite, ex articolo 374 c.p.c., comma 2, sulla questione “se un’area, prima edificabile e poi assoggettata con legge regionale ad un vincolo di inedificabilita’ assoluta, sia da considerare edificabile ai fini Ici ove inserita in un programma di cd. compensazione urbanistica adottato dal Comune, ancorche’ il procedimento compensatorio non si sia ancora concluso, non essendo stata specificamente individuata ed assegnata al proprietario la cd. area di atterraggio, ossia l’area sulla quale deve essere trasferita l’edificabilita’ gia’ cessata sull’area cd. di decollo.
Il Comune di Roma si e’ costituito al fine di partecipare alla discussione, nel corso della quale ha eccepito vizio di notificazione del ricorso per cassazione.
Il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.
§ 5. Come eccepito dal Comune di Roma, la notificazione nei suoi confronti del ricorso per cassazione deve ritenersi invalida, siccome eseguita presso la sede dell’Avvocatura Capitolina, in (OMISSIS), invece che presso l’Ufficio Tributi dove il Comune aveva dichiarato domicilio nell’atto di appello (presso il funzionario Dott.sa (OMISSIS), Via (OMISSIS)).
E tuttavia si verte di ipotesi non di inesistenza ma di nullita’, non essendo in discussione che la notificazione in questione sia stata eseguita da soggetto a cio’ qualificato (ufficiale giudiziario UNEP – Corte di Appello di Roma) e presso una ripartizione interna, quella avente competenza legale, dell’amministrazione comunale.
Ricorre quindi quanto gia’ stabilito da Cass. SSUU n. 14916/16, secondo cui: “L’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione e’ configurabile, in base ai principi di strumentalita’ delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attivita’ priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformita’ dal modello legale nella categoria della nullita’. Tali elementi consistono: a) nell’attivita’ di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilita’ giuridica di compiere detta attivita’, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtu’ dei quali, cioe’, la stessa debba comunque considerarsi, “ex lege”, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, cosi’ da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioe’, in definitiva, omessa”; e, inoltre: “il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto, sicche’ i vizi relativi alla sua individuazione, anche quando esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullita’ dell’atto, come tale sanabile, con efficacia “ex tunc”, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullita’), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ex articolo 291 c.p.c..”
In applicazione di questo indirizzo, ha osservato Cass. n. ord. 7703/18 che l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione e’ configurabile nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attivita’ priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a renderla riconoscibile come tale, che, per la fase di consegna, consistono nel raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento, in virtu’ dei quali la stessa debba comunque considerarsi eseguita; sicche’ la notificazione in un luogo diverso dal domicilio eletto, ove l’atto risulti consegnato al destinatario e non restituito al mittente, non e’ pertanto inesistente, ma nulla ed e’ suscettibile di sanatoria per effetto della costituzione in giudizio dell’intimato, ancorche’ effettuata al solo fine di eccepire la nullita’.
Nel caso di specie, la rilevata nullita’ risulta pertanto sanata dalla costituzione in giudizio del Comune di Roma, il quale ha partecipato alla discussione in udienza, senza neppure chiedere termini a difesa.
§ 6.1 La questione di fondo si pone in un punto di sovrapposizione fra tre distinti ambiti giuridici.
Se l’individuazione dei presupposti impositivi Ici tanto soggettivo (proprietario o titolare di diritto reale su area fabbricabile) quanto oggettivo (possesso di area fabbricabile) deriva dalla interpretazione delle norme tributarie di riferimento e delle relative definizioni legali (Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articoli 1-3), la nozione di fabbricabilita’ o edificabilita’ di un’area, seppure applicata ad esclusivi fini tributari, pone invece un problema, se non di obbligata uniformita’, quantomeno di raffronto e raccordo sistematico con i principi propri della disciplina amministrativa ed urbanistica che regolano la sorte dei suoli. Ma neppure il diritto civile puo’ dirsi estraneo al tema, la’ dove la capacita’ contributiva sulla quale la patrimonialita’ dell’imposizione si regge debba soppesarsi, ex articolo 53 Cost., anche nella considerazione della natura giuridica di diritto privato delle posizioni soggettive coinvolte nella edificabilita’ o non-edificabilita’ dell’area, specialmente se si tratti – come nel caso degli interventi edilizi di natura compensativa di una soppressa edificabilita’ originaria – di posizioni che pur costituendo, tutte, forme di manifestazione e sfruttamento economico dello jus aedificandi, sono tuttavia suscettibili di separata cessione negoziale tra privati, e di piu’ o meno libera circolazione sul mercato mobiliare dei c.d. “diritti edificatori”, per ora indistintamente intesi.
Un altro motivo di interferenza riguarda poi specificamente questi ultimi, ed attiene alla fonte normativa della loro disciplina.
Si tratta infatti di istituti che trovano una regolamentazione estremamente variegata, sul piano strettamente urbanistico, nella legislazione regionale (a solo titolo di esempio: Legge Regionale Lombardia n. 12 del 2005, articolo 11, sulla compensazione, perequazione ed incentivazione urbanistica quali strumenti di governo del territorio; Legge Regionale Veneto n. 11 del 2004, articoli 35-37, sulla perequazione e compensazione urbanistica nonche’ sull’attribuzione di credito edilizio in ipotesi di riqualificazione ambientale; Legge Regionale Toscana n. 65 del 2014, articoli 100 e 101, sulla perequazione urbanistica; Legge Regionale Emilia Romagna n. 24 del 2017, articolo 26, sull’attribuzione dei diritti edificatori ed il principio di perequazione urbanistica; Legge Regionale Campania n. 16 del 2004, articolo 32, sulla equa distribuzione di diritti edificatori ed obblighi in funzione di perequazione urbanistica tra i proprietari interessati dalla trasformazione; Legge Regionale Calabria n. 19 del 2002, articolo 31, sui comparti edificatori con finalita’ di perequazione, e cosi’ via); talvolta essi sono previsti, senza neppure una specifica copertura da parte della Legge regionale, direttamente dagli strumenti regolatori generali, cosi’ come accade nella presente fattispecie, caratterizzata da una compensazione urbanistica introdotta nel Piano Regolatore Generale del Comune di Roma (adottato nel 2003 ed approvato con Delib. Consiliare 12 febbraio 2008, n. 18), a sua volta inscrivibile tra i procedimenti di perequazione urbanistica di natura consensuale e concordata, come definiti dalle Delib. Consiglio Comunale di Roma n. 176 del 2000 e Delib. Giunta Capitolina n. 811 del 2000, e gia’ ritenuti legittimi dal giudice amministrativo (Cons. Stato Sez.IV 13 luglio 2010 n. 4545). E tuttavia, la disciplina di fonte regionale, limitata al governo del territorio ed alle relative prescrizioni conformative, non potrebbe in alcun modo spingersi a riempire di contenuto civilistico o dominicale gli istituti in questione, cosi’ da sovrapporsi alla potesta’ legislativa esclusiva ed unitaria dello Stato in materia di ordinamento civile e di diritto di proprieta’; cio’ secondo quanto dettato dall’articolo 117 Cost., come piu’ volte inteso dal giudice delle leggi, nel senso che la limitazione conformativa del diritto di proprieta’ volta ad assicurarne la funzione sociale ben puo’ essere esercitata, nelle materie di competenza, dalla legge regionale, ferma pero’ restando la preclusione per il legislatore regionale di interferire sulla disciplina dei diritti soggettivi per quanto riguarda “i profili civilistici dei rapporti da cui derivano, cioe’ i modi di acquisto e di estinzione, i modi di accertamento, le regole sull’adempimento delle obbligazioni e sulla responsabilita’ per inadempimento, la disciplina della responsabilita’ extracontrattuale, i limiti dei diritti di proprieta’ connessi ai rapporti di vicinato, e via esemplificando” (C.Cost. sent. n. 391/89 ed altre).
Sennonche’, la disciplina statuale su tali contenuti e’, in materia, del tutto carente e di mero richiamo.
A parte talune disposizioni di settore che prevedono la possibilita’ di attribuzione di “diritti edificatori” in funzione premiale ed incentivante di interventi edilizi di rilevanza sociale e di riqualificazione (L. n. 308 del 2004, articolo 1, commi 21-22, di delega ambientale; L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 259, di bilancio 2008; L. n. 133 del 2008, articolo 11, comma 5, sul “Piano Casa”), la norma di piu’ generale portata e’ costituita dall’articolo 2643 c.c., n. 2 bis (introdotto dal Decreto Legge n. 70 del 2011, conv. L. n. 106 del 2011, c.d. “decreto sviluppo”), secondo cui si devono rendere pubblici col mezzo della trascrizione anche “i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale”. Disposizione, questa, che certamente riconosce meritevolezza e diritto di cittadinanza ai “diritti edificatori” (con cio’ rivendicando all’ordinamento statuale la legiferazione privatistica in materia), senza pero’ definirli ne’ tipizzarli, ed al solo dichiarato fine di garantirne “certezza nella circolazione” (articolo 5, comma 3 Decreto Legge cit.).
La natura al contempo multilivello e polimorfa della fattispecie e’ poi resa evidente – una volta di piu’ – anche sul piano linguistico, stante la frequente adozione, da parte non solo della dottrina e della giurisprudenza, ma anche della stessa normativa, di terminologie diverse (da qui l’avvertita esigenza del “comunque denominati” di cui all’articolo 2643 cit.), discutendosi ora di “diritti edificatori”, ora di “crediti edilizi”, ora di “crediti compensativi”, ora di “titoli volumetrici” o altre simili locuzioni. E cio’ in maniera non casuale e fungibile, ma a seconda della sostanza giuridica che in tali istituti si voglia vedere: se di diritto soggettivo o di interesse legittimo; se di natura reale di godimento ovvero obbligatoria; se meramente identificativi di una “cosa” oggetto di diritti ovvero di una “utilita’” o “chance” ingenerante un’aspettativa giuridicamente tutelata. Il tutto, sempre con riguardo al bene della vita costituito dalla pratica possibilita’, riconosciuta dalla PA, di sfruttare altrove una determinata volumetria (o cubatura che dir si voglia) a vario titolo riconducibile ad un suolo-sorgente.
§ 6.2 I diritti edificatori, di progressiva diffusione nelle procedure e nelle prassi di pianificazione urbanistica a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, si pongono – come anche evidenziato dall’ordinanza di rimessione – quale strumento di evoluzione e superamento della metodica della c.d. “zonizzazione”.
Per quanto anche quest’ultima (associata al regime degli standard edilizi di cui all’articolo 17 della “L. Ponte” n. 765 del 1967, modificativa della L. urbanistica fondamentale del 1942) costituisse una tappa evolutiva di modernizzazione e razionalizzazione della pianificazione urbanistica – mediante la suddivisione del territorio comunale in varie zone di qualificazione, intervento e destinazione d’uso – rispondente ad un governo territoriale il piu’ possibile ordinato, oggettivo e satisfattivo di tutte le complesse esigenze facenti capo alle comunita’ locali, se ne sono di essa al contempo riconosciuti i limiti. Rappresentati, da un lato, dalla disparita’ di trattamento riservata ai proprietari di fondi del tutto omogenei a seconda della casualita’ della loro ubicazione (tanto da determinare, in condizioni analoghe di partenza, ora effetti sostanzialmente ablativi ed ora vere e proprie rendite di posizione correlate alla edificabilita’ della zona di assegnazione ed alla sua misura) e, dall’altro, dai costi e dai tempi gravanti sugli enti pubblici attuatori per l’acquisizione espropriativa di determinate aree e la loro trasformazione a destinazione pubblica.
Si tratta di controindicazioni che la c.d. urbanistica consensuale e postvincolistica – a sua volta espressione d’ambito della piu’ ampia nozione definita di amministrazione per accordi – intende evitare o attenuare proprio attraverso il riconoscimento ai proprietari chiamati a concorrere alla pianificazione generale di una posizione giuridica qualificata a fronte della cessione pattizia dei suoli, ovvero della imposizione su di essi di restrizioni o anche di vincoli assoluti di inedificabilita’.
E’ appunto l’insieme indistinto di queste posizioni giuridiche qualificate che viene riassuntivamente indicato con il sintagma “diritti edificatori”.
I quali, va detto fin d’ora, non negano, ma anzi presuppongono – consentendone variamente l’esercizio delocalizzato – che lo jus aedificandi costituisca una naturale estrinsecazione del diritto di proprieta’ del suolo, sebbene sottoposto alle condizioni conformative e di utilita’ sociale previste dalla legge e dagli strumenti urbanistici, secondo quanto gia’ affermato, ai fini della determinazione dell’indennita’ di esproprio, dalla Corte Costituzionale con la fondamentale sentenza n. 5/1980, ed ancora recentemente ribadito da queste stesse Sezioni Unite con la sentenza n. 7454/20.
Il comune denominatore dei diritti edificatori in questione e’ dato – al di la’ dei menzionati obiettivi di politica generale nel governo del territorio – dalla loro riconosciuta scorporabilita’ dal terreno che li ha originati, e dalla conseguente loro autonoma cedibilita’ negoziale; intendendosi per tale la possibilita’ – oggi sancita dall’articolo 2643, n. 2 bis cit. del loro trasferimento oneroso tra privati indipendentemente dal trasferimento del terreno. E questa autonomia, in assenza di previsioni normative ostative, viene talora concepita ed attuata in termini estremamente ampi, perche’ estesi fino alla possibilita’ di cartolarizzazione del diritto edificatorio (con circolazione assimilabile a quella dei titoli di credito), ovvero anche di sua dematerializzazione (con circolazione attestata dalle annotazioni sui “registri dei diritti edificatori” tenuti dai Comuni cosi’ come previsto da talune leggi regionali).
§ 6.3 Nel caso dell’urbanistica perequativa, si ha distribuzione paritetica e proporzionale – tra tutti i proprietari di un determinato ambito territoriale o lotto tanto del vantaggio costituito dalla edificabilita’, quanto dell’onere di contribuzione ai costi di riqualificazione, urbanizzazione e realizzazione di aree a servizi di pubblica utilita’ o verde. In questo modo, a tutti i suoli dell’ambito territoriale di intervento viene riconosciuto un valore edificatorio costante, indipendentemente dalla effettiva e specifica collocazione, all’interno di esso, dei fabbricati assentiti; collocazione che, stante appunto l’effetto distributivo-perequativo, risulta in definitiva indifferente per i singoli proprietari, i cui terreni saranno comunque destinatari di una quota uguale di edificabilita’.
Ha osservato Cass. n. 27575/18 (che si e’ pronunciata proprio sulla tassabilita’ Ici dei diritti edificatori rinvenienti dalla perequazione, come tra breve si dira’) che: “il meccanismo consiste nell’assegnazione all’insieme delle aree, pur con diverse destinazioni, pubbliche e private costituenti un comparto, di un indice perequativo, inferiore all’indice fondiario attribuito alle aree destinate all’edificazione. Nella sostanza il privato non subisce un vincolo e non e’ gravato dall’obbligo di soggiacere all’esproprio, ma sara’ titolare dell’onere previsto dal piano perequativo il cui assolvimento gli permettera’ di partecipare ai vantaggi del piano stesso”.
La perequazione limitata ad un ambito territoriale omogeneo e composto da terreni contigui trova radice in un istituto – quello del comparto edilizio – non nuovo, perche’ gia’ previsto nell’articolo 870 c.c. e nell’articolo 23 della L. urbanistica del 1942.
Accanto a questa modalita’ di perequazione, c.d. “ristretta”, le legislazioni regionali conoscono tuttavia anche una tecnica di perequazione estesa, in forza della quale l’effetto distributivo, sia della edificabilita’ sia degli oneri di trasformazione, puo’ coinvolgere anche ambiti territoriali non contigui (dunque non di comparto in senso stretto), eventualmente riferiti all’intero territorio comunale (o anche, come pure talvolta previsto, intercomunale) interessato dalla trasformazione stessa.
I diritti edificatori provenienti da interventi perequativi sono assegnati direttamente dal piano urbanistico e sono negoziabili a seguito dell’approvazione di quest’ultimo, ferma restando la possibilita’ della PA di procedere ad una successiva revisione del potere di pianificazione.
§ 6.4 Nel caso della compensazione urbanistica (ovvero, come talvolta anche si legge, della perequazione compensativa) la PA attribuisce al proprietario un indice di capacita’ edificatoria (credito edilizio o volumetrico) fruibile su altra area di proprieta’ pubblica o privata, non necessariamente contigua e di anche successiva individuazione; cio’ a fronte della cessione gratuita dell’area oggetto di trasformazione pubblica, ovvero di imposizione su di essa di un vincolo assoluto di inedificabilita’ o preordinato all’esproprio.
La compensazione urbanistica – che puo’ prevedere anche diverse forme attuative, ad esempio di permuta tra aree, ovvero di mantenimento in capo al privato della proprieta’ dell’area destinata alla realizzazione di servizi pubblici, dati al medesimo in gestione convenzionata – puo’ fungere da strumento della pianificazione generale tradizionale (compensazione infrastrutturale), ovvero dipendere dall’esigenza di tenere indenne un proprietario al quale venga imposto un vincolo di facere o non facere per ragioni ambientali-paesaggistiche (compensazione ambientale), come nel caso qui dedotto, segnato da imposizione di vincolo assoluto di inedificabilita’ ai sensi della Legge Regionale Lazio n. 14 del 2002, concernente l’ampliamento della perimetrazione del parco regionale (OMISSIS).
Il diritto edificatorio proveniente da interventi compensativi puo’ trovare fondamento, ad esempio in ordine alla sua quantificazione, nel piano regolatore generale, ma viene assegnato (ed e’ dunque trasferibile tra privati) solo all’esito della cessione dell’area o dell’imposizione del vincolo; trattandosi di un istituto con funzione corrispettiva o indennitaria di un’edificabilita’ soppressa, esso risulta indifferente alle successive variazioni di piano.
Inoltre, mentre il diritto edificatorio di origine perequativa viene riconosciuto al proprietario del fondo come una qualita’ intrinseca del suolo (che partecipa fin dall’inizio di un indice di edificabilita’ suo proprio, cosi’ come prestabilito e “spalmato” all’interno di un determinato ambito territoriale di trasformazione), il diritto edificatorio di origine compensativa deriva dall’adempimento di un rapporto sinallagmatico in senso lato, avente ad oggetto un terreno urbanisticamente non edificabile, ristorato con l’assegnazione al proprietario di un quid volumetrico da spendere su altra area.
Nel caso del diritto edificatorio di origine compensativa, particolarmente evidente e’ la progressivita’ dell’iter perfezionativo della fattispecie, dal momento che quest’ultima si articola – seguendo la metafora aviatoria utilizzata in materia dagli urbanisti – in una fase (o area) di “decollo”, costituita dall’assegnazione del titolo volumetrico indennitario al proprietario che ha subito il vincolo; di una fase (o area) di “atterraggio”, data dalla individuazione ed assegnazione del terreno sul quale il diritto edificatorio puo’ essere concretamente esercitato; di una fase di “volo” rappresentata dall’arco temporale intermedio durante il quale l’area di atterraggio ancora non e’ stata individuata, e pur tuttavia il diritto edificatorio e’ suscettibile di circolare da se’.
§ 6.5 Va detto che entro il frastagliatissimo contorno dei diritti edificatori rientra anche la fattispecie (del resto, l’unica ad essere specificamente prevista da legge dello Stato: L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 259, che espressamente parla di “aumento di volumetria premiale” da parte dei Comuni) nella quale al privato viene dalla PA attribuito – a titolo straordinario ed aggiuntivo rispetto a quanto gia’ previsto dagli strumenti di pianificazione – un indice edificatorio con scopo di premio, ovvero di incentivo, a fronte dell’esecuzione di interventi di riqualificazione ambientale, architettonica, urbanistica o residenziale reputati virtuosi, perche’ eccedenti gli standard minimi e di interesse generale. Nel qual caso si evidenzia la creazione di nuova volumetria, cioe’ di una volumetria ulteriore e del tutto slegata da quella previgente, invece essenziale alla vicenda compensativa.
Esterna al perimetro dei diritti edificatori propriamente detti deve invece ritenersi la fattispecie, di piu’ risalente vaglio dottrinale e giurisprudenziale, della cessione di cubatura.
In tal caso il trasferimento (totale o parziale) della capacita’ edificatoria del fondo avviene – tra privati – a favore di un’area fin dall’inizio ben determinata, se non necessariamente contigua quantomeno prossima, e di destinazione urbanistica omogenea.
Non vi e’ incidenza sulla pianificazione generale, attesa l’invarianza della cubatura complessiva, l’omogeneita’ delle aree coinvolte e l’estraneita’ alla cessione in se’ della PA (per questo la si ritrova talvolta definita come intervento di “micropianificazione urbanistica ad iniziativa privata”), alla quale sara’ tuttavia demandato di assentire il rilascio, a favore del cessionario, del permesso di costruire maggiorato della quota di cubatura trasferita.
Dibattuta e’ la natura giuridica dell’istituto – rilevante per varie imposte, dirette ed indirette – tra realita’ ed obbligatorieta’; ma si tratta di questione sulla quale queste SSUU dovranno prossimamente tornare ex professo a seguito dell’ordinanza di rimessione recentemente emessa dalla Sezione Tributaria (n. 19152 del 15 settembre 2020), alla cui ampia ricostruzione interamente qui si rinvia.
§ 7.1 Venendo allo specifico quesito posto dall’ordinanza di rimessione, deve escludersi la imponibilita’ Ici, come area edificabile, del terreno dal quale origina il diritto edificatorio compensativo.
Premesso che la disciplina Ici funge, nell’ambito della fiscalita’ locale, da matrice di riferimento anche per i tributi che si sono ad essa succeduti (Decreto Legislativo n. 23 del 2011, Imu; L. n. 147 del 2013, Iuc-Tasi; L. n. 160 del 2019, nuova Imu) e che hanno accolto la medesima nozione di area fabbricabile, la fattispecie impositiva e’ incentrata, da un lato, sulla tassativa ed esaustiva elencazione dei beni immobili colpiti (fabbricati, aree fabbricabili, terreni agricoli) e, dall’altro, su una relazione di realita’ con tali immobili.
E’ vero che la disciplina dell’Ici conosce anche sconfinamenti tanto in senso personalistico (come nel regime delle esenzioni di cui al Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 7, talvolta facente richiamo non alle caratteristiche oggettive del bene immobile ma alla qualita’ soggettiva del suo possessore), quanto in senso obbligatorio (come nell’imposizione a carico dell’utilizzatore in leasing, ex articolo 3, comma 2 L. cit.), e tuttavia si tratta di previsioni di natura eccezionale e derogatoria rispetto agli elementi costitutivi generali del tributo che, dal punto di vista tanto della legittimazione soggettiva passiva (proprietario o titolare di diritto reale su l’immobile), quanto del presupposto obiettivo (possesso di fabbricati, aree fabbricabili, terreni agricoli) fanno inequivoco riferimento al sostrato reale dell’imposta (Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articoli 1, 2, 3).
E questo sostrato reale fa certamente difetto nel caso del diritto edificatorio compensativo.
Si sono gia’ posti in evidenza (§ 6.1) gli ostacoli di “decentramento” normativo alla individuazione di un diritto assoluto di natura reale – i cui elementi identificativi andrebbero poi riferiti ad uno dei diritti reali gia’ disciplinati dal codice civile, salvo che ci si voglia avventurare, ma senza alcuna sicura guida legislativa, nel definirne uno nuovo, in deroga al numero chiuso che impronta la materia – sulla base di una normazione di fonte non statuale che sfugge a qualsiasi pratica possibilita’ di riconduzione ad unitaria definizione e compattezza caratteristica. E cio’, va notato, con riguardo non solo alla legge di circolazione dei diritti in esame, rispetto alla quale l’eterogeneita’ di discipline e’ spinta al massimo grado, ma anche al loro nucleo contenutistico.
Del resto, evidente e’ la distanza dei diritti in esame dai diritti reali tipici che piu’ potrebbero ad essi teoricamente avvicinarsi, quali la servitu’ o la superficie.
Quanto alla prima, non si riscontra nella fattispecie in esame alcun rapporto di dominanza-asservimento, quanto di scambiabilita’, tra i fondi correlati; ne’ le nozioni qualificanti di utilita’ e vicinitas (sebbene valutate nella massima ampiezza di accezione, funzionale e non topografica, tradizionalmente accolta dalla giurisprudenza) potrebbero riferirsi ad un’area, quella di arrivo, ancora da individuarsi.
Quanto alla seconda, difetta l’elemento essenziale dell’esercizio del diritto reale su cosa altrui mediante superamento del vincolo dell’accessione, venendo qui in discussione l’alterita’ oggettiva dei luoghi di produzione e di esercizio dello jus aedificandi in capo ad un medesimo titolare, e non l’alterita’ soggettiva tra proprietario del fondo e proprietario dell’edificio che ad esso acceda.
Cio’ che tuttavia sembra rappresentare un ostacolo davvero invalicabile nell’affermare la natura reale del diritto edificatorio in questione, e’ il suo totale distacco dal fondo di origine e la sua conseguente perfetta ed autonoma ambulatorieta’.
Caratteri, questi, che ben si accordano con la funzione da esso assolta, costituita appunto – come si e’ detto – dall’attribuzione al proprietario del fondo, alternativa all’esproprio, di un’utilita’ giuridica ed economica che lo tenga indenne dalla decurtazione subita per effetto dell’imposizione del vincolo su un terreno originariamente edificabile. Sicche’, da questo necessitato punto di vista, il diritto edificatorio compensativo non costituisce nulla di diverso da una indennita’ ripristinatoria – in moneta urbanistica – di un patrimonio inciso, che il proprietario puo’ valorizzare sul mercato indipendentemente dal suolo generatore; il quale, del resto, potrebbe risultare ormai privo di qualsivoglia appetibilita’ commerciale e, anzi, nemmeno piu’ appartenergli, come nel caso in cui il diritto gli fosse attribuito a fronte della cessione spontanea dell’area.
Non puo’ negarsi che la fattispecie presenti una necessaria duplice connessione fondiaria nel richiedere che il diritto edificatorio scaturisca da un terreno (di decollo) per poi essere esercitato su un altro terreno (di atterraggio); ma si tratta di una connessione funzionale estrinseca e non ricostruibile in termini di realita’, dal momento che il diritto, o credito, edificatorio che dir si voglia – proprio per lo scopo compensativo e l’autonomia che gli sono coessenziali – non e’ inerente ne’ immediatamente pertinente al fondo di partenza, di cui neppure costituisce una qualita’ intrinseca atta ad essere economicamente valorizzata solo nel trasferimento congiunto con esso.
Il difetto di inerenza in senso giuridico (tanto civilistico quanto tributario) si evidenzia in maniera addirittura eclatante in quello che e’ il segmento piu’ critico, e rivelatore, della fattispecie, appunto quello del “volo”; allorquando il diritto di costruire non puo’ piu’ essere esercitato sul fondo di origine, e non puo’ ancora essere esercitato sul fondo di destinazione perche’ non ancora assegnato ne’, forse, individuato.
Un sostrato di natura reale non puo’ essere recuperato nemmeno facendo ricorso alla figura della obbligazione “propter rem”. A tacere delle incertezze dogmatiche che ancora gravano sull’istituto, bastera’ osservare come faccia anche in tal caso difetto una adeguata ed univoca descrizione normativa, sul presupposto che: “le obbligazioni “propter rem”, al pari dei diritti reali, dei quali sono estrinsecazione, non sono una categoria di rapporti innominati, ma sono caratterizzate dal requisito della tipicita’, con la conseguenza che possono sorgere per contratto solo nei casi e col contenuto espressamente previsti dalla legge” (Cass. n. 25673/18, cosi’ Cass. n. 4572/14 ed altre).
Ma poi, non sfugge come nel caso del diritto edificatorio sia escluso, potremmo dire “per definizione”, il diritto di seguito con il terreno, a sua volta basato su una nozione di inerenza obbligatoria con esso qui non concepibile; inoltre l’obbligazione propter rem costituisce pur sempre un vincolo debitorio per il proprietario il quale nel caso del diritto edificatorio e’, all’esatto contrario, non debitore ma creditore verso l’amministrazione comunale che gli ha promesso l’edificazione compensativa da un’altra parte.
Resta da valutare l’incidenza dell’inserimento dei contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori nel regime generale di trascrivibilita’ degli atti relativi ai beni immobili, ex articolo 2643 cit..
Il dato normativo in esame, pur ideologicamente assai significativo per le gia’ evidenziate ragioni di recepimento e valutazione di meritevolezza da parte dell’ordinamento statuale, non e’ tuttavia dirimente nel senso della realita’ dell’istituto, ove si consideri che da esso, eccezion fatta per l’ampia dizione di diritti suscettibili di divenire oggetto di contratti, non si trae alcun utile elemento definitorio di contenuto ed effetti in tal senso (si limita la norma a semplicemente rinviare a quanto previsto dalle corrispondenti discipline statali o regionali, ovvero dagli strumenti di pianificazione territoriale), e che, per altro verso, lo stesso regime in questione ben conosce la trascrivibilita’ anche di atti ad effetto meramente obbligatorio, quali la locazione ultranovennale o il contratto preliminare (articolo 2645 bis c.c.).
Con la disposizione in questione, in definitiva, i diritti edificatori vengono si’ enunciati quali istituti dell’ordinamento giuridico, ma non riempiti di sostanza reale.
§ 7.2 Come ricordato, le sezioni unite della Corte di Cassazione si sono gia’ occupate della nozione di edificabilita’ ai fini Ici, affermando il seguente principio di diritto (Cass. SSUU n. 25506/06): “in tema di ICI, a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legge 30 settembre 2005, n. 203, articolo 11 quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, e del Decreto Legge 4 luglio 2006, n. 223, articolo 36, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, che hanno fornito l’interpretazione autentica del Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, articolo 2, comma 1, lettera b), l’edificabilita’ di un’area, ai fini dell’applicabilita’ del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi. L’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica e’ infatti sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile, le cui eventuali oscillazioni, in dipendenza dell’andamento del mercato, dello stato di attuazione delle procedure incidenti sullo “ius aedificandi” o di modifiche del piano regolatore che si traducano in una diversa classificazione del suolo, possono giustificare soltanto una variazione del prelievo nel periodo d’imposta, conformemente alla natura periodica del tributo in questione, senza che cio’ comporti il diritto al rimborso per gli anni pregressi, a meno che il Comune non ritenga di riconoscerlo, ai sensi del Decreto Legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, articolo 59, comma 1, lettera f). L’inapplicabilita’ del criterio fondato sul valore catastale dell’immobile impone peraltro di tener conto, nella determinazione della base imponibile, della maggiore o minore attualita’ delle sue potenzialita’ edificatorie, nonche’ della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione sul valore dello stesso in comune commercio”.
In primo luogo, la pronuncia in questione rende nitida l’autonomia della nozione di edificabilita’ in senso tributario da quella in senso urbanistico: “diverse, infatti, sono le finalita’ della legislazione urbanistica rispetto a quelle della legislazione fiscale. La prima tende a garantire il corretto uso del territorio urbano, e, quindi, lo jus aedificandi non puo’ essere esercitato se non quando gli strumenti urbanistici siano perfezionati (garantendo la compatibilita’ degli interessi individuali con quelli collettivi); la seconda, invece, mira ad adeguare il prelievo fiscale alle variazioni dei valori economici dei suoli, che si registrano e progrediscono, in parallelo, dal sorgere della mera aspettativa dello jus aedificandi, fino al perfezionamento dello stesso. Ne consegue, che le chiavi di lettura dei due comparti normativi possono essere legittimamente differenti”.
In secondo luogo, essa svolge, proprio in nome di quell’autonomia e della referenzialita’ economica sempre sottesa al diritto tributario ex articolo 53 Cost., un’analisi appunto economica del diritto di edificare, attribuendo rilevanza impositiva anche al solo avvio della procedura amministrativa finalizzata alla edificabilita’, posto che questo solo avvio costituisce, da un lato, motivo di interesse ed apprezzamento da parte del mercato (dunque fattore di incremento patrimoniale) e, dall’altro, manifestazione di ricchezza e capacita’ contributiva: “non bisogna confondere lo jus aedificandi con lo jus valutandi, che poggiano su differenti presupposti. Il primo sul perfezionamento delle relative procedure, il secondo sull’avvio di tali procedure. Non si puo’ costruire se prima non sono definite tutte le norme di riferimento. Invece, si puo’ valutare un suolo considerato a vocazione edificatoria, anche prima del completamento delle relative procedure. Anche perche’ i tempi ancora necessari per il perfezionamento delle procedure, con tutte le incertezze riferite anche a quelli che potranno essere i futuri contenuti prescrittivi, entrano in gioco come elementi di valutazione al ribasso. In definitiva, la equiparazione legislativa di tutte le aree che non possono considerarsi “non inedificabili”, non significa che queste abbiano tutte lo stesso valore. Con la perdita della inedificabilita’ di un suolo (cui normalmente, ma non necessariamente, si accompagna un incremento di valore) si apre soltanto la porta alla valutabilita’ in concreto dello stesso”.
Certo rimane il nodo di misurare l’incremento patrimoniale cosi’ determinato dall’avvio della procedura amministrativa di edificazione, ma questo non e’ un problema giuridico, bensi’ economico di mera determinazione della base imponibile secondo il valore venale; esso va risolto con una formula (ripresa anche da C.Cost. ord. 41/2008) che e’ solo in apparenza un ossimoro, la’ dove implica che si prenda in considerazione, in una con l’incidenza degli oneri di urbanizzazione, la “minore o maggiore attualita’” della “potenzialita’ edificatoria” espressa dal terreno.
Orbene, ferma restando la rilevanza concettuale della distinzione tra edificabilita’ in senso tributario ed edificabilita’ in senso urbanistico, quanto stabilito dalle sezioni unite nel 2006 (innumerevoli volte ribadito dalla giurisprudenza successiva) non fornisce, a ben vedere, elementi interpretativi utili a risolvere il quesito che ci interessa.
Cio’ perche’ in quel caso le sezioni unite si occuparono di una problematica del tutto diversa dalla presente perche’ segnata, per un verso, dal dubbio sul momento (anche prima dell’approvazione regionale e degli strumenti urbanistici attuativi) nel quale un’area interessata da un intervento di pianificazione urbanistica debba considerarsi edificabile (in senso tributario) e, per altro, dalla pacifica esercitabilita’ in situ della edificabilita’ cosi’ individuata (costituente senz’altro, in quel caso, una qualita’ caratteristica ed intrinseca del bene); dunque, si era di fronte ad un fenomeno di ordinaria fruizione della edificabilita’ sullo stesso suolo oggetto di tassazione, mentre la peculiarita’ del caso qui in esame e’ proprio data dallo scorporo di questa fruizione, altrove rivolta.
E’ ben vero che quanto allora stabilito dalle sezioni unite in ordine alla rilevanza tributaria della mera “potenzialita’ edificatoria” ed anche al metro della sua quantificazione, paiono poter esercitare qualche suggestione anche sul problema di oggi. Cio’ perche’ anche la sola attribuzione di un diritto edificatorio compensativo incrementa (alla stessa maniera del solo avvio della procedura amministrativa di edificabilita’) il patrimonio del proprietario del suolo con l’obiettivo di reintegrarlo in tutto o in parte al livello antecedente alla inedificabilita’, e puo’ risultare essa stessa dotata di minore o maggiore appetibilita’ di mercato. In ottica di imposizione, anche in tal caso il problema dovrebbe risolversi con la misurazione di questo incremento patrimoniale.
Si tratta di un profilo messo in evidenza anche dall’ordinanza di rimessione la quale osserva che, specialmente nella fase del “volo”, questa misurazione puo’ pero’ risultare addirittura impossibile, essendo il piu’ delle volte ignota l’area di destinazione, ed imprevedibili i tempi (spesso notoriamente assai lunghi) della sua effettiva assegnazione da parte della PA.
E tuttavia, cio’ che osta alla tassazione Ici non e’ la difficolta’ di stima – e neppure la non irragionevole eventualita’ che, in considerazione dell’alto grado di indeterminatezza della fattispecie di assegnazione sostitutiva dell’edificabilita’, il valore economico del diritto edificatorio possa risultare per molte annualita’ di fatto pari o prossimo allo zero – quanto, ed a differenza del tema gia’ affrontato dalle sezioni unite, proprio l’ontologica autonomia giuridica ed economica del diritto edificatorio rispetto al suolo dal quale emana.
In altre parole, mentre la’ il problema era di base imponibile, qui e’ di presupposto dell’imposizione.
Tanto che nella fattispecie oggi in esame non si giungerebbe ad una soluzione diversa dalla non tassabilita’ neppure in quei casi nei quali (come pure e’ ipotizzabile) il controvalore economico del diritto edificatorio risultasse invece di fatto facilmente accertabile ed anche di significativa consistenza perche’, al contrario, intercettato in una annualita’ di avvenuta o imminente individuazione di tutti gli elementi satisfattivi della compensazione edificatoria (area di atterraggio; volumetria edificabile; tempi di edificazione, oneri di urbanizzazione ecc…).
Si dira’ che l’effetto compensativo o indennitario e’ tale proprio perche’ in grado di sostitutivamente reintegrare il patrimonio del proprietario del terreno, privato della edificabilita’; il che, per un’imposta di tipo patrimoniale qual e’ l’Ici, non puo’ risultare del tutto ininfluente (sempre che, ovviamente, permanga la legittimazione passiva al tributo perche’ il diritto edificatorio non e’ stato ceduto a terzi ma si rinviene ancora, abbinato al terreno, all’interno di quel patrimonio).
Questa obiezione non convince. Cio’ non perche’ si dubiti che il diritto di edificare altrove, proprio in quanto utilita’ patrimoniale economicamente apprezzabile, costituisca in effetti un indice di ricchezza e, in definitiva, una manifestazione di capacita’ contributiva che puo’ tenere luogo della edificabilita’ soppressa, ma perche’ la sola espressione di ricchezza e la sola capacita’ contributiva – colte in natura non possono bastare, evidentemente, a legittimare il prelievo senza il filtro di una fattispecie normativa che lo contempli e lo regoli; per giunta, con i caratteri di legalita’, certezza, determinatezza, tassativita’, prevedibilita’ propri della norma tributaria di tipo impositivo. La’ dove, altrimenti ragionando, si verrebbe a creare in via interpretativa – e con riguardo ad un’imposta patrimoniale speciale, in quanto strutturata sul possesso di certi beni soltanto – una fattispecie impositiva altra rispetto a quella concepita dal legislatore del Decreto Legislativo n. 504 del 1992, perche’ estesa ad un bene (il diritto edificatorio) diverso da quelli espressamente li’ considerati (fabbricati, terreni edificabili, terreni agricoli).
Si tratterebbe di soluzione certo portatrice di seri dubbi di compatibilita’ anche ex articolo 23 Cost..
Come si e’ detto, alcuni recenti precedenti di legittimita’ (Cass.nn. 15693/17, 15700/17, 27575/18 cit.) hanno affermato – con riguardo ad una fattispecie oggettivamente piu’ vicina a quella qui in esame – la tassabilita’ Ici di terreni fatti oggetto di perequazione urbanistica, cio’ proprio con richiamo al criterio della rilevanza tributaria della mera potenzialita’ edificatoria di cui alle sezioni unite del 2006; potenzialita’ edificatoria ravvisata nell’attribuzione di un indice perequativo costante di edificabilita’ ai suoli ricompresi nel comparto o, comunque, nell’area interessata dal piano di intervento.
Si osserva nella gia’ citata Cass. n. 27575/18 che: “la perequazione e’ una tecnica urbanistica volta ad attribuire un valore edificatorio uniforme a tutte le proprieta’ che possono concorrere alla trasformazione urbanistica di uno o piu’ ambiti del territorio comunale. La caratteristica di tale tecnica risiede nel fatto che si prescinde dall’effettiva localizzazione della capacita’ edificatoria sulle singole proprieta’ e dalla imposizione di vincoli di inedificabilita’ apposti, al fine di garantire all’amministrazione la disponibilita’ di spazi da destinare ad opere collettive. Ne deriva che i proprietari partecipano in misura uguale alla distribuzione dei valori e degli oneri correlati alla trasformazione urbanistica”; e, inoltre, che “(…) il meccanismo della perequazione urbanistica deve essere coniugato con il presupposto di applicazione del tributo. Va, infatti, condivisa la consolidata giurisprudenza per la quale, ai fini Ici, cio’ che rileva e’ l’edificabilita’ in astratto del suolo, ovvero la sua potenzialita’ edificatoria, anche non immediatamente attuabile, purche’ il suolo sia incluso in un PRG anche semplicemente adottato”.
Ancora, si legge in Cass. n. 15693/17 cit. che: “lo strumento attuativo comunale del piano di comparto, con indice di fabbricabilita’ omogeneo, consente al proprietario di una specifica porzione di suolo, compreso nel perimetro del medesimo comparto, di concorrere alla formazione di volume edificabile, indipendentemente dalla destinazione d’uso prevista sull’area specifica, cosi’ come dei vincoli su quest’ultima esistenti, (…)”; e che “quanto sopra esposto appare del tutto coerente con l’istituto del comparto che, nell’ambito della c.d. urbanistica perequativa (cfr. L. n. 662 del 1996), mira a soddisfare l’insopprimibile esigenza di legare tra loro i singoli proprietari entro un ambito spaziale piu’ ampio di quello dei singoli lotti, al fine di consentire la realizzazione di quanto previsto nel piano urbanistico, permettendo cosi’ ai proprietari di territori di accordarsi tra di loro riguardo alla concentrazione di volumetrie all’interno di una determinata area, in modo tale da non creare svantaggi per alcuno”.
Neppure quanto osservato in questi precedenti di legittimita’ sembra attagliarsi appieno al tema in esame, essendosi gia’ anticipati (§ 6.4) – assieme alla impraticabilita’, a fronte di una cosi’ marcata diversificazione fenomenica, di una soluzione unitaria del problema sia della natura giuridica sia della imponibilita’ dei diritti edificatori globalmente considerati – i fattori di distinzione ed autonomia, posti in luce anche dalla dottrina, tra urbanistica perequativa ed urbanistica compensativa.
La prima e’ avulsa da qualsiasi obiettivo restitutorio di una originaria edificabilita’, si produce direttamente e preventivamente dal piano urbanistico (e non in contropartita della specifica assegnazione o cessione volontaria dell’area al Comune come nel caso di compensazione) e comporta la generalizzata, preordinata e diffusa attribuzione di un indice perequativo con effetto diretto sul terreno interessato in quanto facente parte del comparto di intervento. Ancorche’ si verta, in entrambi i casi, di volumetria non esercitabile direttamente sul fondo, resta che solo nella perequazione l’indice di edificabilita’ viene attribuito “al fondo” divenendo una qualita’ intrinseca di questo, e solo nella perequazione la fattispecie di edificabilita’ puo’ dirsi perfetta fin dall’origine, non necessitando di successiva individuazione ed effettiva assegnazione di aree surrogatorie di atterraggio.
E’ dunque nella compensazione – e non nella perequazione – urbanistica che si assiste alla massima volatilita’ dello jus aedificandi rispetto alla proprieta’ del suolo.
Ed e’ su questi presupposti, ed in forza di una nozione di inerenza reale e non virtuale, che il ricordato indirizzo di legittimita’ giunge a qualificare come edificabile ai fini Ici il terreno assegnatario dell’indice perequativo, cosi’ da sussumere la fattispecie ancora all’interno della previsione impositiva tipica.
§ 7.3 In definitiva, va stabilito che “un’area, prima edificabile e poi assoggettata ad un vincolo di inedificabilita’ assoluta, non e’ da considerare edificabile ai fini ICI ove inserita in un programma attributivo di un diritto edificatorio compensativo, dal momento che quest’ultimo non ha natura reale, non inerisce al terreno, non costituisce una sua qualita’ intrinseca ed e’ trasferibile separatamente da esso”.
In applicazione di questo principio di diritto risulta fondato il primo motivo di ricorso, con conseguente cassazione della sentenza con la quale la Commissione Tributaria Regionale si e’ da esso discostata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito, ex articolo 384 c.p.c., mediante accoglimento del ricorso originario della societa’ contribuente ed annullamento dell’atto impositivo. La controvertibilita’ della questione depone per la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte:
accoglie il ricorso;
cassa la sentenza impugnata e decide nel merito mediante accoglimento del ricorso originario della societa’ contribuente ed annullamento dell’atto impositivo; compensa le spese dell’intero giudizio.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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