Art. 23, co 7, D.Lgs. n. 285 del 1992 e l’installazione di insegne di esercizio

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 30 ottobre 2018, n. 3974.

La massima estrapolata:

Ai sensi dell’art. 23, comma 7, D.Lgs. n. 285 del 1992, lungo le autostrade, le strade extraurbane principali ed i relativi accessi è ammessa l’installazione, oltre che di cartelli indicatori di servizi, soltanto di insegne di esercizio, necessarie ai fini della normale attività aziendale in quanto atte a consentire alla clientela di individuare agevolmente il punto di accesso ai locali dell’impresa.

Sentenza 30 ottobre 2018, n. 3974

Data udienza 10 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10488 del 2010, proposto da:
Anas s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, via (…);
contro
Ed. s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Bo., con domicilio eletto presso lo studio del difensore in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Veneto, sez. III, n. 2755 del 2009.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ed. s.p.a.;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del giorno 10 maggio 2018 il Cons. Silvia Martino;
Uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, gli avvocati Gi. Bo. e l’avvocato dello Stato Vi. Ce.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La società odierna appellata impugnava innanzi al T.a.r. per il Veneto il provvedimento con cui era stata revocata l’autorizzazione all’installazione di un’insegna di esercizio rilasciata nel 1982.
La revoca era stata motivata dall’Anas in considerazione del fatto che l’insegna non avrebbe rispettato la distanza di 250 metri da un’intersezione in violazione del divieto previsto dall’art. 51, comma 2, lett. h), del regolamento di attuazione del codice della strada approvato con d.P.R, 16 dicembre 1992, n. 495.
La società deduceva:
I) la non corretta instaurazione del contraddittorio procedimentale per l’omessa esatta indicazione, nella comunicazione di avvio del procedimento, delle norme violate, dell’oggetto del procedimento e della data della sua definizione;
II) l’omessa espressa considerazione delle osservazioni presentate;
III) la violazione dell’art. 51, comma 5, del d.P.R. 16.12.1992, n. 495 il quale ammette una deroga alle distanze invocate dall’Anas di cui nella fattispecie ricorrevano i presupposti.
2. Dopo aver disposto l’acquisizione di una relazione di chiarimenti da parte dell’Anas, il T.a.r., nella resistenza dell’amministrazione, accoglieva il ricorso, ritenendo fondato ed assorbente il terzo motivo.
In particolare, riteneva che i requisiti previsti dall’art. 51, comma 5, del regolamento di esecuzione del codice della strada, per la deroga al limite della distanza di 250 metri dalle intersezioni, abbiano carattere disgiuntivo e non cumulativo, con la conseguenza che, fuori dai centri abitati, la deroga opera anche se l’insegna di esercizio non è parallela al senso di marcia, a condizione che sia assicurata una distanza dalla carreggiata di almeno 3 metri.
La sentenza è stata impugnata dall’Anas, il quale affida l’appello al seguente mezzo di gravame:
I) i due requisiti, del parallelismo e della distanza, devono intendersi non già alternativi, bensì complementari. Ragionando diversamente si neutralizzerebbe l’obiettivo di garantire la sicurezza stradale evitando che insegne commerciali, rispondenti ad interessi meramente privati, possano ingenerare distrazione o confusione in coloro che si trovino alla guida. Inoltre, sul piano logico-sistematico, il requisito del parallelismo non avrebbe alcuna autonomia poiché le insegne possono essere collocate o al di fuori o all’interno di un centro abitato, sicché la seconda parte del comma 5 dell’art. 51 del d.P.R. n. 495 del 1992 sarebbe sufficiente a disciplinare qualsiasi ipotesi.
L’assunto troverebbe poi conferma nelle altre deroghe previste, come ad esempio quella disciplinata dal sesto comma dell’art. 51, che richiede tanto il parallelismo quanto l’aderenza; ovvero ancora dall’art. 48 del medesimo regolamento che, in tema di dimensioni, consente una deroga purché sussista il presupposto del parallelismo.
4. Si è costituita, per resistere, Ed. s.p.a..
Premesso che, nel caso in esame, si discute di una insegna di esercizio, così come definita ai sensi dell’art. 47, comma 1, del regolamento di attuazione del codice della Strada, posizionata fuori del centro abitato a mt. 8,25 dal limite della carreggiata di una strada statale, la società evidenzia che le argomentazioni recate dalla sentenza impugnata, oltre a trovare riscontro nella formulazione dell’art. 51 del d.P.R. n. 495 del 1992, sono coerenti con l’art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 285 del 1992, il quale vieta di collocare lungo le strade insegne che possano creare distrazione o disturbo agli utenti. Questa condizione, in linea di principio, viene rispettata se l’insegna è collocata in posizione parallela e aderente ad un edificio o altra struttura già esistente oppure quando è posizionata ad una distanza minima fissata per legge, tale da sottrarla alla visuale dell’utente della strada.
Nel caso di specie, le fotografie in atti consentono di verificare che, in prossimità dell’insegna, non vi sono segnali stradali e che la stessa non è fonte di disturbo o distrazione per utenti della strada.
La società ha poi riproposto i motivi di carattere procedimentale assorbiti dal TAR.
5. L’appello è passato in decisione alla pubblica udienza del 10 maggio 2018.
6. In via preliminare, occorre ricordare che ai sensi dell’art. 23, comma 7, del d.lgs. n. 285 del 1992, lungo le autostrade, le strade extraurbane principali ed i relativi accessi è ammessa l’installazione (oltre che di cartelli indicatori di servizi), soltanto di insegne di esercizio, necessarie ai fini della normale attività aziendale in quanto atte a consentire alla clientela di individuare agevolmente il punto di accesso ai locali dell’impresa (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 28 giugno 2007, n. 3782).
Per insegna di esercizio va intesa l’insegna che risulti installata sulla sede dell’attività per individuare l’azienda nella sua dislocazione fisica, e che non contenga alcun elemento teso a pubblicizzare l’attività produttiva dell’impresa, limitandosi soltanto a segnalare la denominazione dell’impresa medesima, nel rispetto del dettato dell’art. 47 del d.P.R. n. 495 del 1992, quanto a dimensioni e luminosità .
Per quanto riguarda l’ubicazione lungo le strade, e relative fasce di pertinenza, secondo la disposizione recata dall’art. 51, comma 5, del più volte citato d.P.R. n. 495 del 1992 “Le norme di cui ai commi 2 e 4, e quella di cui al comma 3, lettera c), non si applicano per le insegne di esercizio, a condizione che le stesse siano collocate parallelamente al senso di marcia dei veicoli in aderenza ai fabbricati esistenti o, fuori dai centri abitati, ad una distanza dal limite della carreggiata, non inferiore a 3 m, ed entro i centri abitati alla distanza fissata dal regolamento comunale, sempreché siano rispettate le disposizioni dell’articolo 23, comma 1, del codice”.
6.1. Tenuto conto del regime di deroga di cui usufruiscono le insegne di esercizio, ed anche a non voler considerare il tenore letterale della disposizione che si è testé riportata, la tesi che l’Anas ha riproposto in appello, relativa alla necessaria complementarità tra il requisito del parallelismo e quello della distanza, non ha chiaro riscontro né sul piano logico né quello sistematico.
Sul piano logico, non è in particolare condivisibile l’affermazione secondo cui l’interpretazione letterale renderebbe inutile il requisito del parallelismo, previsto dalla prima parte della disposizione in esame, risultando idonea a regolare ogni possibile ipotesi esclusivamente la seconda parte del comma 5.
E’ infatti evidente che le insegne di esercizio collocate parallelamente al senso di marcia, in aderenza ai fabbricati esistenti, non pongono alcun particolare problema di sicurezza (non diversamente, almeno, da quanto possano fare le facciate degli edifici cui aderiscono) in quanto la loro peculiare posizione, almeno in astratto, non interferisce con la visuale degli utenti della strada.
La prima parte del comma 5 ha quindi una evidente, autonoma e specifica applicazione.
Il requisito della distanza minima è invece richiesto per le insegne di esercizio che non presentino tali caratteristiche ed ha l’evidente fine di assicurare una fascia di rispetto idonea ad evitare intralcio o disturbo alla circolazione.
In ogni caso, la disposizione richiama anche, quale formula di chiusura, il rispetto delle prescrizioni recate dall’art. 23, comma 1, del codice della strada, secondo cui compete comunque all’ente gestore della strada di valutare, in concreto, se, pur in presenza delle condizioni che in astratto consentono la deroga, le insegne di esercizio non presentino eventualmente “dimensioni, forma, colori, disegno e ubicazione” tali da ingenerare confusione con la segnaletica stradale, ovvero arrecare disturbo visivo agli utenti della strada o distrarne l’attenzione con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione.
Tuttavia, nel caso di specie, il provvedimento impugnato non si fonda su una valutazione, in concreto, dell’ubicazione dell’insegna di esercizio, bensì soltanto su una interpretazione del regolamento di attuazione del codice della strada la quale, come già accennato, non ha riscontro nemmeno sul piano sistematico.
Va infatti soggiunto che propria la presenza delle altre disposizioni richiamate dall’Anas – in cui il requisito del parallelismo si aggiunge a quello della distanza – è indice del fatto che il legislatore ha consapevolmente disciplinato la specifica e distinta fattispecie qui in esame, al chiaro scopo di contemperare l’esercizio dell’attività aziendale con le esigenze della circolazione, fatta in ogni caso salva la concreta verifica dello stato dei luoghi a tutela degli utenti della strada.
7. In definitiva, per quanto testé argomentato, l’appello deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, di cui in premessa, lo respinge.
Condanna Anas s.p.a. alla rifusione delle spese del grado in favore della parte appellata, che liquida, complessivamente, in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre gli accessori, se dovuti, come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere, Estensore

Avv. Renato D’Isa