Nella compravendita immobiliare, la mancata consegna del certificato di agibilità non determina in via automatica la risoluzione del contratto per inadempimento del venditore

Corte di Cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 18 maggio 2018, n.12226.

Nella compravendita immobiliare, la mancata consegna del certificato di agibilità non determina in via automatica la risoluzione del contratto per inadempimento del venditore, dovendo comunque essere verificata in concreto l’importanza e la gravità dell’omissione in relazione al godimento e alla commerciabilità dell’immobile stesso.

CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
ORDINANZA 18 maggio 2018, n.12226

Presidente Manna – Relatore Orilia
Ritenuto in fatto

La Corte d’Appello di Lecce sez. dist. Taranto, con sentenza 25.10.2016 ha respinto il gravame proposto da F.G. contro la sentenza del locale Tribunale n. 1144/2012 che aveva a sua volta respinto la domanda di risoluzione per inadempimento dei venditori e, in subordine, di nullità del contratto di compravendita di un immobile sito a (OMISSIS).
Per giungere a tale soluzione, e per quanto ancora interessa, la Corte d’Appello ha rilevato:
– che la mancata consegna del certificato di abitabilità da parte del venditore non determina in via automatica la risoluzione del contratto dovendo essere verificata in concreto la gravità ddl’inadempimento in relazione al godimento e alla commerciabilità del bene;
– che nel caso in esame, non constava l’esistenza di irregolarità urbanistiche, come pacifico tra le parti e attestato nel rogito;
– che l’utilizzabilità del bene, non viziato da irregolarità, faceva venir meno anche la pretesa risarcitoria.
2 Contro tale sentenza la F. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Resistono con controricorso i venditori L.P., L.A., S.G., L.C. e L.V..
Il relatore ha proposto il rigetto del ricorso per manifesta infondatezza.
Le parti hanno depositato memorie.

Ritenuto in diritto

1 Con il primo motivo si denunzia ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc la violazione ed errata applicazione degli artt. 1477, 1453 e 1455 cc per avere la Corte d’Appello ritenuto che la mancata consegna del certificato di abilità costituisse un inadempimento di scarsa importanza, discostandosi in tal modo dal prevalente orientamento giurisprudenziale.

2 Con il secondo motivo la ricorrente deduce ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc la violazione ed errata applicazione degli artt. 1218, 1453, 1455 e 2697 cc rimproverando alla Corte di Appello di avere invertito l’onere probatorio violando la tradizionale regola secondo cui spettava al convenuto di fornire la prova dell’esatto adempimento oppure che l’inadempimento era stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Ad avviso della ricorrente spettava ai venditori di provare perché non erano stati in grado di adempiere alla loro obbligazione oppure che il certificato potesse essere rilasciato, restando assolutamente irrilevante, rispetto alla inesistenza della agibilità, l’eventuale perfezionamento di procedimenti urbanistici di sanatoria. Richiama il principio della presunzione di colpa dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1218 cc.

Queste due censure, da esaminarsi congiuntamente perché collegate al problema dell’incidenza del certificato di abitabilità nel sinallagma contrattuale, sono manifestamente infondate.

Secondo la prevalente e più recente giurisprudenza di questa Corte, in tema di compravendita immobiliare, la mancata consegna al compratore del certificato di abitabilità non determina, in via automatica, la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del venditore, dovendo essere verificata in concreto l’importanza e la gravità dell’omissione in relazione al godimento e alla commerciabilità del bene, sicché, ove in corso di causa si accerti che l’immobile promesso in vendita presentava tutte le caratteristiche necessarie per l’uso suo proprio e che le difformità edilizie rispetto al progetto originario erano state sanate a seguito della presentazione della domanda di concessione in sanatoria, del pagamento di quanto dovuto e del formarsi del silenzio-assenso sulla relativa domanda, la risoluzione non può essere pronunciata (v. tra le varie, sez. 2, Ordinanza n. 29090 del 05/12/2017 Rv. 646535; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 22561 del 2014; Sez. 2, Sentenza n. 13231 del 31/05/2010 Rv. 613156).

Il principio, affermato in tema di risoluzione del contratto preliminare, vale logicamente anche per il contratto definitivo.

Ebbene, nel caso di specie, il giudice di merito ha accertato che la mancanza di agibilità non incide sulla funzione economico-sociale del bene e ha tratto tale convincimento dal fatto, pacifico tra le parti e attestato anche nel rogito notarile, ‘che non constano irregolarità sul piano edilizio-urbanistico (la costruzione risale a data anteriore al 1 settembre 1967 ed è subentrata concessione in sanatoria in data 3.4.1998 con cambio di destinazione, ora commerciale)’.

Come si vede, l’apprezzamento in fatto sulla assenza di elementi ostativi al rilascio del certificato di abitabilità, si rivela conforme ai principi di diritto affermati da questa Corte sugli effetti della mancata consegna del certificato di abitabilità e non si pone neppure in contrasto col precedente citato dalla ricorrente (Ordinanza n. 2438/2016): in quel caso, infatti, il rifiuto dei promissari acquirenti di procedere alla stipula del definitivo era stato ritenuto giustificato in quanto il dato oggettivo della mancata consegna del certificato di destinazione urbanistica – il cui obbligo grava ex lege sul venditore, in base all’art. 1477, terzo comma, cod. civ. – non risultava suffragato da alcun elemento che potesse in qualche modo far ritenere sussistente l’idoneità del bene ad assolvere la funzione economico-sociale e a soddisfare i bisogni che inducono all’acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene.

3 Con il terzo motivo, infine, la ricorrente, dolendosi del rigetto della domanda risarcitoria, denunzia ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc la violazione ed errata applicazione degli artt. 1218 e 1453 cc, rilevando che il danno era comunque da commisurarsi all’importo dei canoni di locazione perduti dalla data del rogito alla data della emananda sentenza perché la licenza di agibilità incide sulla attitudine del bene a svolgere la sua naturale funzione economico-sociale e nel caso di specie non era stato possibile reperire né acquirenti né conduttori dell’immobile.

Anche tale motivo è manifestamente infondato perché i giudici di merito hanno accertato l’utilizzabilità del bene nella sua consistenza e la sua idoneità ad essere concesso in locazione in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il mancato rilascio di concessioni, autorizzazioni o licenze amministrative relative alla destinazione d’uso dei beni immobili – ovvero alla abitabilità dei medesimi – non è di ostacolo alla valida costituzione di un rapporto locatizio, sempre che vi sia stata, da parte del conduttore, concreta utilizzazione del bene, mentre, nella ipotesi in cui il provvedimento amministrativo necessario per la destinazione d’uso convenuta sia stato definitivamente negato, al conduttore è riconosciuta la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto (Sez. 3, Sentenza n. 12708 del 25/05/2010 Rv. 613112).

In definitiva, la critica contenuta nel ricorso, lungi dall’evidenziare vizi della sentenza deducibili in cassazione, sollecita in definitiva il giudice di legittimità a compiere una rivisitazione dei fatti in senso favorevole alla tesi difensiva della ricorrente.

Il ricorso va pertanto respinto con addebito di spese alla parte soccombente.

Considerato che trattasi di ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1 – quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13

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