Il diritto di prelazione e di riscatto, disciplinato dall’art. 732 c.c.

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, ordinanza 21 maggio 2018, n.12504.

Il diritto di prelazione e di riscatto, disciplinato dall’art. 732 c.c. ha come finalità quella di impedire l’ingresso dell’estraneo alla comunione ereditaria e, a tal fine, prevede che il coerede, che vuole alienare a un estraneo la sua quota o parte di essa, deve notificare la proposta di alienazione, indicandone il prezzo, agli altri coeredi, per l’eventuale esercizio del diritto di prelazione. La legge prevede il termine di giorni sessanta per l’esercizio della prelazione e aggiunge che, in caso di mancanza della notificazione, i coeredi hanno diritto di riscattare la quota dall’acquirente e da ogni successivo avente causa.

Il riscatto, secondo l’art. 732 c.c., può essere esercitato solo finché dura lo stato di comunione ereditaria e cessa con la divisione, attraverso la quale si verifica la trasformazione dei diritti dei singoli partecipanti su quote ideali dell’eredità in diritti di proprietà individuali su singoli beni. A seguito della divisione, la comunione ereditaria si trasforma in comunione ordinaria, alla quale non è applicabile l’art. 732 c.c..

La disposizione dell’art. 732 c.c. opera, quindi, solo tra coeredi comproprietari in virtù di un’unica successione, attesa la manifesta deroga al principio della libera disponibilità del diritto di proprietà, che non può trovare applicazione fuori dei casi espressamente previsti.

In applicazione di tale principio la giurisprudenza di questa Corte ha escluso l’applicabilità del retratto successorio anche nell’ipotesi di comunione ordinaria fra alcuni condividendi creatosi a seguito della divisione per la congiunta attribuzione ad essi di un bene. Si è argomentato nel senso che, in materia di comunione ordinaria, vige il principio secondo cui, ai sensi dell’art. 1103 c.c., ciascun partecipante può disporre del suo diritto e cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota. Ha, conseguentemente, ritenuto non d’applicabile l’art. 732 c.c. in virtù del rinvio di cui all’art. 1116 c.c., che estende alla divisione ordinaria le norme sulla divisione ereditaria, essendo escluse dall’estensione le norme incompatibili con quelle tipiche della comunione ordinaria

CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
ORDINANZA 21 maggio 2018, n.12504

Presidente Manna – Relatore Giannaccari

Con l’unico motivo di ricorso, la ricorrente si duole della violazione dell’art. 732 c.c. e dell’art. 345 c.c. per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto inammissibile la domanda di retratto successorio relativa all’eredità paterna in quanto in primo grado la domanda aveva per oggetto l’eredità materna. Deduce la ricorrente che il padre era deceduto nel corso del giudizio innanzi al Tribunale di Milano e la quota di eredità della madre era stata a lui devoluta; conseguentemente la domanda di retratto successorio in relazione all’eredità paterna, proposta in appello, non doveva essere considerata domanda nuova, quanto meno in relazione alle quote trasferite riconducibili all’eredità paterna. Viene, inoltre, censurato il contrasto tra la motivazione della sentenza, con cui viene dichiarato inammissibile il ricorso, ed il dispositivo di rigetto.

Il motivo è infondato.

Il diritto di prelazione e di riscatto, disciplinato dall’art. 732 c.c. ha come finalità quella di impedire l’ingresso dell’estraneo alla comunione ereditaria e, a tal fine, prevede che il coerede, che vuole alienare a un estraneo la sua quota o parte di essa, deve notificare la proposta di alienazione, indicandone il prezzo, agli altri coeredi, per l’eventuale esercizio del diritto di prelazione. La legge prevede il termine di giorni sessanta per l’esercizio della prelazione e aggiunge che, in caso di mancanza della notificazione, i coeredi hanno diritto di riscattare la quota dall’acquirente e da ogni successivo avente causa.

Il riscatto, secondo l’art. 732 c.c., può essere esercitato solo finché dura lo stato di comunione ereditaria e cessa con la divisione, attraverso la quale si verifica la trasformazione dei diritti dei singoli partecipanti su quote ideali dell’eredità in diritti di proprietà individuali su singoli beni. A seguito della divisione, la comunione ereditaria si trasforma in comunione ordinaria, alla quale non è applicabile l’art. 732 c.c..

La disposizione dell’art. 732 c.c. opera, quindi, solo tra coeredi comproprietari in virtù di un’unica successione, attesa la manifesta deroga al principio della libera disponibilità del diritto di proprietà, che non può trovare applicazione fuori dei casi espressamente previsti. In applicazione di tale principio la giurisprudenza di questa Corte ha escluso l’applicabilità del retratto successorio anche nell’ipotesi di comunione ordinaria fra alcuni condividendi creatosi a seguito della divisione per la congiunta attribuzione ad essi di un bene. Si è argomentato nel senso che, in materia di comunione ordinaria, vige il principio secondo cui, ai sensi dell’art. 1103 c.c., ciascun partecipante può disporre del suo diritto e cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota. Ha, conseguentemente, ritenuto non d’applicabile l’art. 732 c.c. in virtù del rinvio di cui all’art. 1116 c.c., che estende alla divisione ordinaria le norme sulla divisione ereditaria, essendo escluse dall’estensione le norme incompatibili con quelle tipiche della comunione ordinaria.(Cassazione civile, sez. II, 23/02/2007, n. 4224, e conformemente, Cass. n. 4224/2007 e n. 8599/2004).

La corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi, ritenendo che la sentenza del Tribunale di Milano N. 13812/96 abbia posto fine alla comunione ereditaria sui beni relitti della madre, con ciò determinando il venir meno del presupposto previsto dall’art. 732 c.c. È del tutto irrilevante che il padre sia deceduto nel corso del giudizio di primo grado innanzi al Tribunale di Milano e che abbia acquisito una quota dell’eredità della moglie, poiché, una volta definito il giudizio di divisione dell’asse ereditario materno, l’azione di riscatto non poteva più essere esercitata. Quanto all’eredità paterna, è agevole rilevare che si tratta di altra successione, e, correttamente, la corte territoriale ha ritenuto inammissibile la domanda perché tardivamente proposta in sede d’appello.

Si tratta, infatti, di domanda nuova poiché l’azione di riscatto proposta in primo grado trovava il presupposto nella vendita di beni costituenti quota dell’eredità materna mentre l’azione proposta in appello trovava il diverso presupposto nel fatto che detti beni fossero parte dell’eredità paterna. Veniva, pertanto, introdotto un nuovo tema di indagine che implicava un diverso accertamento di fatto. Pur trattandosi di domanda connessa a quella originaria, per essere la quota di eredità materna confluita nell’asse ereditario del padre, erano certamente maturate le preclusioni di cui all’art. 345 c.p.c..

Questa Corte, con la sentenza a Sezioni Unite del 15/06/2015 n. 12310, pur ammettendo l’introduzione della domanda nuova all’udienza ex art. 183 c.p.c., sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, ha esclusoria mutatio libelli possa avvenire in appello, a causa dell’esplicito divieto normativo: ‘nel giudizio d’appello non possono proporsi domande nuove e se proposte devono essere dichiarate inammissibili d’ufficio’. L’introduzione di nuove domande in appello sarebbe contraria, infatti, a ragioni di economia processuale non ravvisabili invece nell’ambito del giudizio di primo grado, laddove, in caso di domanda nuova, è previsto un termine di trenta giorni per replicare alle domande ed eccezioni nuove o modificate, proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni suddette ed indicare i mezzi di prova e le produzioni documentali, nonché ancora un termine di ulteriori venti giorni per le indicazioni di prova contraria.

Inoltre, mentre la modificazione della domanda all’udienza di comparizione, risulta logicamente comprensibile, poiché si tratta di una udienza in cui non è ancora sostanzialmente iniziata la trattazione della causa e non è intervenuta l’ammissione di mezzi di prova, la mutatio libelli in grado d’appello arrecherebbe pregiudizio all’ordinato svolgimento del processo ed alla sua ragionevole durata.

È, infine, inammissibile la censura relativa al contrasto tra la motivazione della sentenza, con cui viene dichiarato inammissibile il ricorso, ed il dispositivo di rigetto, per carenza di interesse in quanto, in entrambi i casi, la parte risulta soccombente.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del DPR 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di lite che liquida in Euro 4200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge, iva e cap come per legge.

Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13

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