Il dolo generico del reato che punisce l’omesso versamento da parte del datore di lavoro delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 10 maggio 2018, n. 20725

Il dolo generico del reato di cui all’articolo 2, comma 1-bis, del decreto legge 12 settembre 1983 n. 463, convertito dalla legge 11 novembre 1983 n. 638, che punisce l’omesso versamento da parte del datore di lavoro delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, può essere escluso dal giudice in considerazione del modesto importo delle somme non versate o della discontinuità ed episodicità delle inadempienze riscontrate. Inoltre, l’imputato può fondatamente invocare l’assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della responsabilità penale, ove provveda ad assolvere specifici oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l’azienda, sia l’aspetto dell’impossibilità di fronteggiare la crisi economica tramite il ricorso a misure idonee, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, da valutarsi in concreto.

Sentenza 10 maggio 2018, n. 20725

Data udienza 27 marzo 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni Filippo – Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – rel. Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 27/4/2017 della Corte di appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Dott. Enrico Mengoni;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. MARINELLI Felicetta, che ha concluso chiedendo dichiarare inammissibile il ricorso;
udite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. (OMISSIS) in sostituzione dell’Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 27/4/2017, la Corte di appello di Bologna confermava la pronuncia emessa il 23/3/2016 dal Tribunale di Piacenza, con la quale (OMISSIS) era stato giudicato colpevole del reato di cui al Decreto Legge 12 settembre 1983, n. 463, articolo 2, comma 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 novembre 1983, n. 638, e condannato alla pena di venti giorni di reclusione e 100,00 Euro di multa; allo stesso, nella qualita’ di legale rappresentante della ” (OMISSIS) s.a.s.”, era contestato di aver omesso il versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali effettuate sulle retribuzioni dei dipendenti nell’anno 2013 (per il precedente, l’imputato era stato assolto in primo grado), per l’ammontare di circa 15.600,00 Euro.
2. Propone ricorso per cassazione il (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo – con unico motivo – il vizio motivazionale in ordine alle cause che lo avrebbero costretto all’omissione contributiva riscontrata. Diversamente da quanto indicato in sentenza, la societa’ del ricorrente non sarebbe stata investita da una mera carenza di liquidita’, ma da una gravissima crisi economica e finanziaria, dovuta, per un verso, ad una drastica riduzione del fatturato e, per altro verso, agli importanti oneri finanziari che la stessa avrebbe dovuto comunque fronteggiare, relativi ad investimenti effettuati prima della crisi sorta nel 2007-2008 (in particolare, per l’acquisto di macchinari e relativi finanziamenti). Crisi che, peraltro, il ricorrente avrebbe ampiamente documentato, producendo bilanci, conti economici e stati patrimoniali, senza pero’ avere di cio’ alcun riscontro in sentenza; nella quale, peraltro, nessun accenno si scorgerebbe neppure quanto ai mutui ed alle ipoteche accesi dai due soci sui propri beni personali, pur di garantire l’andamento della societa’. Ne deriverebbe, pertanto, la palese assenza del dolo del reato contestato, ulteriormente confermata, peraltro, dal versamento – comunque avvenuto delle retribuzioni ai dipendenti, con presentazione tempestiva dei modelli DM10 e conseguente – di fatto – autodenuncia dell’imprenditore.
Si chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso risulta fondato.
Al riguardo, occorre innanzitutto premettere che il debito verso il fisco e’ collegato all’obbligo di erogazione degli emolumenti ai dipendenti; ogni qualvolta il sostituto d’imposta effettua tali erogazioni, quindi, sorge a suo carico il dovere di accantonare le somme dovute all’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria.
4. Cio’ premesso, osserva la Corte che, per costante e condiviso indirizzo di legittimita’, per l’integrazione della fattispecie quanto alla sussistenza dell’elemento soggettivo risulta sufficiente il dolo generico, ossia la coscienza e volonta’ di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato (per tutte, Sez. U, n. 37425 del 28/3/21013, Favellato, Rv. 255759); dolo generico che, peraltro, puo’ essere escluso dal giudice in considerazione del modesto importo delle somme non versate o della discontinuita’ ed episodicita’ delle inadempienze riscontrate (per tutte, Sez. 3, n. 3663 dell’8/1/2014, De Michele, Rv. 259097). Dolo generico che, ancora, e’ ravvisabile nella consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, non rilevando la circostanza che il datore di lavoro attraversi una fase di criticita’ e destini risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti piu’ urgenti (tra le molte, Sez. 3, n. 3705 del 19/12/2013, Casella, Rv. 258056; Sez. 3, n. 13100 del 19/1/2011, Biglia, Rv. 249917); proprio a questo riguardo, infatti, si e’ sovente sostenuto che il reato sussiste anche quando il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficolta’ economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attivita’ di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all’erario, essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se cio’ comporta l’impossibilita’ di pagare i compensi nel loro intero ammontare (tra le molte, Sez. 3, n. 43811 del 10/4/2017, Agozzino, Rv. 271189; Sez. 3, n. 38269 del 25/9/2007, Tafuro, Rv. 237827).
5. Tutto quanto ribadito, costituisce costante indirizzo di legittimita’ anche quello per cui, nel reato in esame, l’imputato puo’ invocare la assoluta impossibilita’ di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della responsabilita’ penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilita’ a lui medesimo della crisi economica che ha investito l’azienda, sia l’aspetto della impossibilita’ di fronteggiare la crisi di liquidita’ tramite il ricorso a misure idonee, da valutarsi in concreto (Sez. 3, n. 20266 dell’8/4/2014, Zanchi, Rv. 259190); occorre, cioe’, la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidita’, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volonta’ e ad egli non imputabili (Sez. 3, n. 8352 del 24/6/2014, Schirosi, Rv. 263128; Sez. 3, n. 20266 dell’8/4/2014, Zanchi, Rv. 259190; Sez. 3, n. 5467 del 5/12/2013, Mercutello, Rv. 258055).
6. Orbene, cosi’ richiamati i fondamentali approdi ermeneutici che disciplinano la materia, ritiene la Corte che il Collegio di appello non ne abbia fatto buon governo, redigendo al riguardo una motivazione del tutto insufficiente e, come tale, censurabile in questa sede. In particolare, e pacifica la contestata omissione contributiva, la sentenza si e’ limitata a sottolineare – in termini del tutto generici – che “dalla documentazione prodotta dall’imputato (la cui societa’ non e’ mai fallita) emerge con evidenza AL MASSIMO una crisi di liquidita’, risolta con la consapevole commissione del reato de quo e non con altre possibili soluzioni”; da tale sintetico argomento, tuttavia, emerge che il Collegio non ha neppure valutato – ne’, tantomeno smentito – le numerose produzioni offerte dalla difesa, ed ampiamente richiamate nel gravame di merito, volte ad evidenziare elementi che avrebbero potuto incidere quantomeno sul profilo psicologico della condotta, nei termini sopra richiamati (ad esempio, con riguardo ai mutui che il ricorrente avrebbe acceso, con garanzia su propri immobili, per reperire liquidita’, quel che potrebbe rappresentare una “possibile soluzione” al reato invece negata dalla Corte di merito).
La pronuncia, pertanto, deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna, per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna.

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