In tema di documentazione degli atti, non determina la nullita’, ex articolo 142 c.p.p., la mancata sottoscrizione del verbale di udienza in ogni foglio, in quanto tale sanzione e’ prevista solo per il caso in cui manchi del tutto la sottoscrizione da parte del pubblico ufficiale redigente

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 2 maggio 2018, n. 18657.

In tema di documentazione degli atti, non determina la nullita’, ex articolo 142 c.p.p., la mancata sottoscrizione del verbale di udienza in ogni foglio, in quanto tale sanzione e’ prevista solo per il caso in cui manchi del tutto la sottoscrizione da parte del pubblico ufficiale redigente, determinando incertezza assoluta sulle persone intervenute nella formazione dell’atto, ma non riguarda ogni inosservanza delle formalita’ indicate dall’articolo 137 c.p.p.
La mancata assunzione di una prova decisiva – quale motivo di impugnazione per cassazione – puo’ essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione a norma dell’articolo 495 c.p.p., comma 2, sicche’ il motivo non potra’ essere validamente invocato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l’invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’articolo 507 c.p.p., e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione. Ne’ il giudice dell’appello e’ tenuto a spiegare espressamente le ragioni del mancato accoglimento di un’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, potendo in tal senso provvedere – come avvenuto nel caso di specie – motivando sulla completezza della piattaforma probatoria acquisita a fornire l’evidenza della responsabilita’ dell’imputato. Ed in questo senso e’ onere della difesa dimostrare la lacunosita’ dell’apparato giustificativo fondato sulle prove gia’ acquisite.

Sentenza 2 maggio 2018, n. 18657
Data udienza 27 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOVERE Salvatore – Presidente

Dott. MENICHETTI Carla – Consigliere

Dott. RANALDI Alessand – Rel. Consigliere

Dott. MICCICHE’ Loredana – Consigliere

Dott. BRUNO Mariarosaria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 25/11/2014 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ranaldi Alessandro;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. Fimiani Pasquale che conclude per l’inamrnissibilita’ del ricorso;
e’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di RAVENNA in difesa di (OMISSIS) che chiede l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 17.1.2017 la Corte di appello di Bologna, giudicando in sede di rinvio, in riforma della sentenza del Tribunale di Reggio Emilia del 4.6.2007, appellata dal PM di Reggio Emilia e dal Procuratore generale di Bologna, ha dichiarato (OMISSIS) responsabile del reato di violenza sessuale (commesso il (OMISSIS)) in danno di (OMISSIS), costituitasi parte civile, e lo ha condannato alla pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni civili.
La Corte bolognese ha ricostruito la vicenda mediante la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale imposta dalla Suprema Corte nella sentenza rescindente, a seguito del ribaltamento in condanna, in sede di appello, del primo giudizio assolutorio. Ha cosi’ escusso i testi (OMISSIS) e (OMISSIS) in aula e la persona offesa (OMISSIS) a domicilio ai sensi dell’articolo 502 c.p.p..
All’esito ha ritenuto la piena attendibilita’ delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, ritenendo provata la violenza sessuale operata dal prevenuto all’interno della sua autovettura, mediante costrizione della (OMISSIS) a subire ed attuare pratiche sessuali (toccamenti al seno ed alle reciproche parti intime sfociate, da ultimo, in un rapporto sessuale completo).
2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo dei difensori, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1) quanto segue.
1. Mancanza dei presupposti per l’applicazione della norma di cui all’articolo 502 c.p.p..
Ritiene erronea l’ordinanza 10.1.2017 con cui la Corte di appello ha disposto l’audizione a domicilio della persona offesa per il suo stato di gravidanza a rischio attestato da un certificato medico. Rileva che l’eccezione alla regola della pubblicita’ dell’udienza puo’ essere disposta solo laddove ne ricorrano i presupposti oggettivi, nel caso fondati solo su un certificato medico che non forniva prova di una assoluta impossibilita’ della teste a comparire in udienza.
2. Mancanza di motivazione in ordine alle ragioni per le quali la Corte ha ritenuto di procedere ad una audizione “protetta” della persona offesa.
Censura che la teste e’ stata sentita in stanza separata dell’abitazione, alla sola presenza del consigliere relatore e del cancelliere, con l’ausilio di un microfono collegato ad un altoparlante posizionato in una stanza adiacente dove erano presenti le altre parti, senza che siano state esplicitate le ragioni di tali modalita’ di audizione.
3. Violazione dell’articolo 525 c.p.p., comma 2, in quanto la deposizione della persona offesa e’ stata assunta unicamente dal giudice relatore della Corte di appello, e non dal Collegio, per cui la sentenza e’ stata emessa da giudici che non hanno partecipato al dibattimento.
4. Mancata sottoscrizione, alla fine di ogni foglio, del verbale di udienza relativo alla deposizione della persona offesa.
5. Vizio di motivazione in punto di affermazione di penale responsabilita’.
Deduce che la Corte di merito ha omesso di riascoltare la madre dell’imputato e la prova riassunta non ha soddisfatto il principio dell’al di la’ di ogni ragionevole dubbio, non avendo la Corte disposto neanche l’acquisizione dei tabulati del numero telefonico della persona offesa all’epoca dei fatti, come a suo tempo richiesto dal PM in primo grado ai sensi dell’articolo 507 c.p.p.; ne’ avendo rilevato le forti discrasie emerse dalle testimonianze.
Contesta la ritenuta attendibilita’ della deposizione della persona offesa, ripercorrendo le sue dichiarazioni, ritenute per nulla dettagliate ne’ lineari ed in contrasto con altre circostanze processualmente emerse.
6. Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di applicazione della norma di cui all’articolo 609-bis c.p..
Deduce che il giudice di appello ha omesso di indagare sulla sussistenza del dolo in capo all’imputato nel momento in cui compiva gli atti che gli vengono contestati, in presenza di indici chiari ed univo.ci volti a dimostrare l’esistenza di un tacito consenso della ragazza.
7. Mancata assunzione di un prova decisiva, in relazione alla richiesta del PM di acquisizione dei tabulati telefonici della persona offesa all’epoca dei fatti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo, con il quale ci si duole della mancanza dei presupposti per l’applicazione, nella vicenda processuale che occupa, della norma di cui all’articolo 502 c.p.p., e’ infondato.
Infatti, contrariamente a quanto prospettato dal ricorrente, l’ordinanza del 10.1.2017 con la quale la Corte di appello ha disposto l’audizione a domicilio della persona offesa non incorre in alcuna violazione di carattere giuridico-motivazionale che la renda censurabile in questa sede.
L’articolo 502 c.p.p., consente, a richiesta di parte, l’esame a domicilio dei testimoni (nonche’ dei periti e consulenti tecnici) “in caso di assoluta impossibilita’ (…) a comparire per legittimo impedimento”, anche determinata da ragioni contingenti e occasionali, che configurino una situazione di impossibilita’ per il teste di partecipare al pubblico dibattimento. Si tratta, all’evidenza, di una disciplina che rappresenta un compromesso per conciliare opposte esigenze: quella del testimone che viene a trovarsi nell’impossibilita’ di comparire in udienza pubblica e di assolvere, quindi, nella maniera fisiologica, il suo dovere e quella di garantire comunque il diritto di difesa dell’imputato (o delle altre parti private) e il soddisfacimento dell’esigenza di acquisire il materiale probatorio necessario, nell’ambito del processo penale, all’accertamento della verita’ (cfr. Sez. 6, n. 6589 del 02/03/2000, Ischia T e altro, Rv. 21707301).
Nella specie, l’ordinanza impugnata ha correttamente riscontrato la ricorrenza dei presupposti applicativi dell’articolo 502 c.p.p., tenuto conto del certificato medico prodotto dal difensore della parte civile, da cui risultava che la (OMISSIS) era in stato di gravidanza a rischio fino alla data del presunto parto, ed era quindi impossibilitata a muoversi dal domicilio per essere sottoposta in aula ad esame dibattimentale, a fronte di un reato che era di prossima prescrizione.
D’altro conto, e’ stato giustamente osservato dalla Corte regolatrice, in un caso analogo (cfr. in motivazione la sent. n. 6589/2000 dianzi citata), che, anche a voler ammettere, in tesi, la sussistenza di un’impropria dilatazione del campo operativo della norma in esame, da cio’ non puo’ inferirsi l’inutilizzabilita’ della testimonianza assunta, considerato che tale sanzione, in quanto non espressamente prevista, non puo’ conseguire all’inosservanza dei presupposti di operativita’ della norma, il che determinerebbe una mera irregolarita’, ma piuttosto alla concreta violazione del diritto di difesa, che, invece, nella specie, fu ampiamente garantito: la prova, infatti, fu assunta (all’udienza del 16.1.2017) alla presenza dell’imputato e del suo difensore di fiducia avv. (OMISSIS) del foro di Ravenna (che nell’occasione sostituiva anche il codifensore avv. (OMISSIS) del foro di Benevento).
2. Anche il secondo motivo e’ infondato.
E’ lo stesso ricorrente a riconoscere che l’esame della persona offesa nel suo domicilio fu condotto in stanza separata dell’abitazione, alla sola presenza del consigliere relatore e del cancelliere, con l’ausilio di un microfono collegato ad un altoparlante posizionato in una stanza adiacente dove erano presenti, tuttavia, le altre parti che, pertanto, avevano modo di assistere e di partecipare, sia pure in assenza di contatto visivo con la teste, all’incombente istruttorio, nel pieno rispetto del contraddittorio e dei diritti di difesa.
Le ragioni di tali particolari modalita’ di audizione della teste (OMISSIS) risultano chiaramente e congruamente esplicitate nell’ordinanza adottata dalla Corte territoriale, che – richiamandosi proprio alle delicate condizioni di salute in cui versava, in quel momento, la donna (incinta e con gravidanza a rischio), e quindi riconosciuta la sua condizione di particolare vulnerabilita’ – stabiliva che l’esame della stessa avvenisse con modalita’ “protette”, mediante esclusione del contatto visivo con l’imputato e le altre parti, consentendo comunque la partecipazione “in diretta” dei difensori all’esame, con possibilita’ di interloquire in contraddittorio attraverso i mezzi tecnici appositamente predisposti.
Si tratta di un provvedimento che ha esaurientemente e motivatamente riscontrato le condizioni per procedere con audizione protetta all’esame della teste, secondo quanto previsto dall’articolo 498 c.p.p., comma 4-quater, sulla base di una ponderata valutazione che ha adeguatamente contemperato le opposte esigenze processuali delle parti coinvolte. Ne discende che l’ordinanza in disamina va esente dalle censure prospettate dal ricorrente.
Peraltro, anche in questo caso va sottolineato che il mancato rispetto della disciplina che regola l’esame testimoniale, in particolare della norma di cui all’articolo 498 c.p.p., in tema di audizioni protette, determina una mera irregolarita’ e non una nullita’ o inutilizzabilita’, non risolvendosi, di per se’, nella violazione del diritto di difesa, purche’ sia assicurato – come avvenuto nel caso di specie – il diritto della difesa di porre domande al teste, con la conseguenza che, in tal caso, non e’ violato il principio del contraddittorio (Sez. 5, n. 36061 del 19/06/2007, Poulain Didier, Rv. 23772101, in un caso in cui la deposizione della teste, persona offesa, era stata assunta con l’uso di una tenda al fine di separarla dall’imputato, suo coniuge, chiamato a rispondere di reati di violenza sessuale, maltrattamenti e riduzione in schiavitu’ della stessa e dei figli).
3. Il precedente richiamo alla categoria della irregolarita’, con esclusione di quella della nullita’ o inutilizzabilita’ per il mancato rispetto delle regole di assunzione della testimonianza, vale anche per ritenere infondato il terzo motivo di doglianza.
Ed infatti, la circostanza che la deposizione della persona offesa sia stata assunta dal giudice relatore della Corte di appello, e non dall’intero Collegio giudicante, e’ scevra di conseguenze sul piano della validita’ ed utilizzabilita’ della stessa testimonianza, potendo al piu’ configurare una irregolarita’ nelle modalita’ di assunzione della prova, in assenza di violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio.
Sotto diverso profilo va certamente esclusa la dedotta violazione dell’articolo 525 c.p.p., comma 2, risultando dagli atti processuali che i restanti giudici del Collegio hanno partecipato all’udienza di audizione “protetta” della teste (OMISSIS) in una stanza attigua, dove era possibile ascoltare “in diretta” le risposte fornite dalla stessa tramite l’altoparlante collegato col microfono utilizzato per l’esame, secondo le modalita’ gia’ descritte in precedenza. Si puo’ dunque affermare che tutti i giudici della Corte territoriale hanno direttamente partecipato all’incombente istruttorio, sia pure con modalita’ particolari per due di essi, giustificate dalle preordinate modalita’ di audizione protetta, da cui comunque non e’ derivata alcuna nullita’ o inutilizzabilita’ della ripetuta deposizione della persona offesa.
4. Il quarto motivo e’ manifestamente infondato, poiche’ pretende di rinvenire una nullita’ assoluta nella mancata sottoscrizione, alla fine di ogni foglio, del verbale di udienza relativo alla deposizione domiciliare della persona offesa.
Al riguardo, comunque, va qui ribadito il costante orientamento di questa Corte secondo cui, in tema di documentazione degli atti, non determina la nullita’, ex articolo 142 c.p.p., la mancata sottoscrizione del verbale di udienza in ogni foglio, in quanto tale sanzione e’ prevista solo per il caso in cui manchi del tutto la sottoscrizione da parte del pubblico ufficiale redigente, determinando incertezza assoluta sulle persone intervenute nella formazione dell’atto, ma non riguarda ogni inosservanza delle formalita’ indicate dall’articolo 137 c.p.p. (Sez. 5, n. 1740 del 07/10/2010 – dep. 2011, Visentin, Rv. 24950601; Sez. 6, n. 38047 del 07/10/2002, Lucarelli V, Rv. 22301601; Sez. 1, n. 15546 del 16/02/2001, D’Onofrio P e altri, Rv. 21883501).
Nella specie, il verbale risulta pacificamente sottoscritto, in calce all’ultimo foglio, dal Presidente della Corte e dal Cancelliere, sicche’ e’ da escludere la ricorrenza di una nullita’ assoluta, ne’ tantomeno relativa, peraltro neanche tempestivamente dedotta dalla parte che assisteva (con le modalita’ indicate) all’incombente istruttorio oggetto di verbalizzazione – secondo quanto previsto dall’articolo 182 c.p.p., comma 2 – trattandosi di verbale liberamente consultabile dai difensori dell’imputato.
5. I motivi quinto e sesto, trattabili congiuntamente in quanto entrambi attinenti ai profili oggettivi e soggettivi di affermazione della penale responsabilita’ dell’imputato in relazione all’imputazione di cui all’articolo 609-bis c.p., sono manifestamente infondati e comunque non consentiti in sede di legittimita’, in quanto essenzialmente attinenti alla ricostruzione del fatto, sulla scorta di una diversa lettura ed interpretazione delle risultanze istruttorie, operazione notoriamente preclusa alla Corte di cassazione.
Si tratta, in sostanza, di censure che investono profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimita’ non e’ quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilita’ delle fonti di prova, bensi’ di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995 – dep. 1996, Clarke, Rv. 20342801).
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha scrupolosamente sottoposto a vaglio di attendibilita’ le dichiarazioni rese dalla persona offesa, nella consapevolezza della loro fondamentale valenza ai fini dell’accertamento dei fatti, ritenendole pienamente convincenti, precise e conformi nel tempo, sottolineando che la giovane donna, sin dall’inizio, non ha mai smentito il tenore delle sue dichiarazioni, a dimostrazione della genuinita’ e veridicita’ del racconto, che per altro verso non ha mai evidenziato rancore o accanimento nei confronti dell’imputato.
Le argomentazioni della sentenza impugnata non sono certamente incongrue ne’ manifestamente illogiche laddove evidenziano come la circostanza che la donna non abbia insistito una seconda volta, dopo l’iniziale vano tentativo di aprire lo sportello della vettura per sottrarsi all’aggressione sessuale, possa trovare spiegazione nel fatto che il funzionamento del sistema di bloccaggio delle portiere nell’autovettura del prevenuto non era oggetto di comune conoscenza, riscontrando comunque la versione ribadita in tutte le occasioni dalla persona offesa di un unico tentativo di apertura delle portiere, inidoneo allo scopo.
Parimenti prive di evidenti aporie logiche le considerazioni in merito all’interpretazione dell’espressione pronunciata dal (OMISSIS) alla donna, di non toccarsi nelle parti intime con le mani sporche di sperma se non voleva diventare mamma in anticipo, ritenute coerenti con quanto riferito dalla (OMISSIS), secondo cui durante la penetrazione non vi era stato coito completo, avendo l’uomo eiaculato sulla pancia della donna, sporcandole anche la gonna: la frase era stata pronunciata nel momento in cui lei si stava riabbassando e sistemando la gonna, per cui con tale manovra si era imbrattata le mani con lo sperma.
La Corte di merito ha anche valorizzato adeguatamente ed in maniera razionale i riscontri esterni al racconto della vittima, costituiti dalle testimonianze del (OMISSIS) e della (OMISSIS), nonche’ dalle stesse dichiarazioni rese dall’imputato in sede processuale, su cui non vale la pena soffermarsi in questa sede, attenendo appunto alla lettura delle risultanze probatorie in funzione della ricostruzione fattuale della vicenda.
Infatti, nel momento del controllo di legittimita’, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, ne’ deve condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilita’ di apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Rv. 215745; Sez. 2, n. 2436 del 21/12/1993, dep. 1994, Rv. 196955).
Sotto il profilo della indagine sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato, la Corte territoriale, contrariamente a quanto denunciato dal ricorrente, ha ben spiegato – con motivazione congrua e logica, come tale insindacabile in cassazione – che durante le avances sessuali dell’imputato la ragazza aveva sempre manifestato verbalmente il proprio dissenso, senza riuscire a dissuaderlo, e di aver infine pensato “basta che tutto finisce” con una sorta di dolorosa rassegnazione nel subire anche la penetrazione. Conseguentemente la condotta del prevenuto e’ stata considerata comunque consapevole, violenta e costrittiva (ha afferrato la mano della ragazza per farsi masturbare, l’ha penetrata contro la sua volonta’), tanto che nel corso del processo, come esplicitato in sentenza, egli ha cercato di difendersi dicendo che era stata la ragazza a fare le avances e a dimostrarsi disponibile ad un rapporto carnale occasionale con lui, circostanze da questa nettamente smentite, ed in contrasto anche con quanto riferito dal teste (OMISSIS) in merito al racconto della ragazza di precedenti avances sessuali dell’imputato nei confronti della stessa.
6. Il settimo motivo e’ inammissibile, sia perche’ non spiega le ragioni di decisivita’ della prova che, si assume, avrebbe dovuto essere espletata (in relazione alla richiesta del PM di acquisizione ex articolo 507 c.p.p., dei tabulati telefonici della persona offesa all’epoca dei fatti), sia perche’ riferito a doglianza comunque non deducibile in cassazione.
Al riguardo, bastera’ richiamare il costante orientamento della Corte regolatrice, in base al quale la mancata assunzione di una prova decisiva – quale motivo di impugnazione per cassazione – puo’ essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione a norma dell’articolo 495 c.p.p., comma 2, sicche’ il motivo non potra’ essere validamente invocato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l’invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’articolo 507 c.p.p., e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione (Sez. 5, n. 4672 del 24/11/2016 – dep. 2017, Fiaschetti e altro, Rv. 26927001; Sez. 1, n. 16772 del 15/04/2010, Z., Rv. 246932; Sez. 3, n. 24259 del 27 maggio 2010, C., Rv. 24729001). Ne’ il giudice dell’appello e’ tenuto a spiegare espressamente le ragioni del mancato accoglimento di un’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, potendo in tal senso provvedere – come avvenuto nel caso di specie – motivando sulla completezza della piattaforma probatoria acquisita a fornire l’evidenza della responsabilita’ dell’imputato. Ed in questo senso e’ onere della difesa dimostrare la lacunosita’ dell’apparato giustificativo fondato sulle prove gia’ acquisite. Onere questo non assolto dal ricorrente.
7. A questo punto della trattazione va considerato che il reato di violenza sessuale oggetto di imputazione e’ estinto per intervenuta prescrizione. Il fatto-reato risale, infatti, al (OMISSIS), ed il termine massimo di prescrizione applicabile ratione temporis (secondo la normativa piu’ favorevole introdotta con la L. n. 251 del 2005), e’ pari – in assenza di sospensioni – a 12 anni e 6 mesi (equivalente alla pena massima di 10 anni, aumentata di un quarto per gli atti interruttivi nelle more intervenuti), cosicche’ la prescrizione risulta maturata il (OMISSIS), in data successiva a quella di emissione della sentenza impugnata (17.1.2017).
Da cio’ discende, trattandosi di ricorso i cui motivi di censura non sono integralmente inammissibili, che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, agli effetti penali, perche’ il reato e’ estinto per prescrizione, non emergendo dagli atti elementi evidenti e palmari di irresponsabilita’ del condannato, per una pronuncia nel merito piu’ favorevole ai sensi dell’articolo 129 c.p.p., comma 2.
Il ricorso va, invece, rigettato, ex articolo 578 c.p.p., ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, stante l’infondatezza dei motivi addotti dal ricorrente.
Va disposto per legge l’oscuramento dei dati personali.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perche’ il reato e’ estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili.
Oscuramento dati.

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