Il criterio fondamentale cui il giudice deve attenersi nel fissare le modalita’ dell’affidamento dei figli minori in caso di conflitto genitoriale e’ quello del superiore interesse della prole

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Sentenza 24 maggio 2018, n. 12954.

La massima estrapolata:

Il criterio fondamentale cui il giudice deve attenersi nel fissare le modalita’ dell’affidamento dei figli minori in caso di conflitto genitoriale e’ quello del superiore interesse della prole, stante il preminente diritto del minore ad una crescita sana ed equilibrata. Il perseguimento di tale obiettivo puo’ percio’ comportare anche l’adozione di provvedimenti contenitivi o restrittivi di diritti di liberta’ individuali dei genitori, ove la loro esteriorizzazione determini conseguenze pregiudizievoli per il figlio che vi presenzi, compromettendone la salute psico-fisica e lo sviluppo.
Nel caso di specie il decreto impugnato e’ stato assunto in adesione a tali principi, posto che la corte del merito – dopo aver precisato che la sintetica statuizione del primo giudice, che aveva inibito al genitore “il coinvolgimento allo stato della figlia nelle propria scelta religiosa”, doveva essere intesa nel senso del mero divieto per il genitore di condurre la bambina alle manifestazioni della fede dei Testimoni di Geova – l’ha ritenuta, in tali termini, pienamente condivisibile, in quanto ha accertato, sulla scorta dell’espletata ctu, che il coinvolgimento nella pratica di tale religione era pregiudizievole per la minore.

Sentenza 24 maggio 2018, n. 12954

Data udienza 30 novembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 10201/2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositato il 23/02/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/11/2017 dal cons. CRISTIANO MAGDA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per la rimessione alle Sezioni Unite sulla questione pregiudiziale, in subordine per il rigetto del ricorso;
udito, per il ricorrente, l’avvocato (OMISSIS), con delega avv. (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
uditi, per la controricorrente, gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’appello di Firenze, con decreto del 23.2.016, ha respinto il reclamo proposto da (OMISSIS) avverso il provvedimento del Tribunale di Livorno che, in sede di determinazione delle condizioni dell’affido condiviso della figlia minore (OMISSIS), nata il (OMISSIS) dalla sua relazione more uxorio con (OMISSIS), gli aveva inibito di condurre con se’ la bambina agli incontri ed alle manifestazioni dei Testimoni di Geova, fede religiosa da lui abbracciata e praticata dopo la fine della convivenza.
2. La corte del merito ha rilevato che la minore, ascoltata dal primo giudice, aveva manifestato il proprio disagio a partecipare a tali incontri, che si tengono il sabato sera presso il Tempio dei Testimoni di Geova, e che anche l’espletata ctu psicologica aveva ritenuto che l’equilibrata crescita emotiva di (OMISSIS) fosse pregiudicata dalle modalita’ attraverso le quali il padre intendeva portarla a conoscenza del proprio credo e sollecitarla a seguirlo, nel contempo inibendole di partecipare alle manifestazioni della religione cattolica nella quale e’ stata educata e che condivide con le sue amiche.
3. (OMISSIS) ha impugnato il decreto con ricorso straordinario per cassazione, affidato a tre motivi.
(OMISSIS) ha resistito con controricorso, con il quale ha preliminarmente eccepito l’inammissibilita’ del ricorso, in quanto proposto contro un provvedimento privo dei caratteri della decisorieta’ e della definitivita’.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. E’ infondata, e deve essere respinta, l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso svolta in via preliminare dalla controricorrente: il decreto, che ha risolto contrapposte pretese di diritto soggettivo inerenti l’affidamento della figlia minore delle parti, e che ha efficacia assimilabile, rebus sic stantibus, a quella del giudicato, presenta i requisiti della decisorieta’ e della definitivita’ ed e’ pertanto impugnabile per cassazione (Cass. nn. 18194/015, 6132/015, 7041/013, 15341/012).
2. Con il primo motivo, che denuncia violazione degli artt.. 3, 19 e 30 Cost., articoli 8 e 9 CEDU, articoli 147, 315 bis, 316, 337 bis e ter c.c., il ricorrente – premesso che la carta costituzionale delinea una societa’ pluralista in tema di scelte religiose e che tra i diritti/doveri che discendono dal diritto di liberta’ di religione vi e’ anche quello di educare i figli nella propria fede, purche’ cio’ avvenga nel rispetto delle loro inclinazioni, lasciandoli liberi di scegliere se e in cosa credere – lamenta che la corte territoriale abbia limitato il suo diritto a far conoscere ed apprezzare alla figlia minore la sua nuova religione, nonostante la mancanza di prove convincenti che la bambina potesse rimanere pregiudicata dall’apprendere e dal seguire i precetti di un’altra dottrina, oltre a quella cattolica.
Nel prosieguo del motivo (OMISSIS) sostiene: a) che la consulente d’ufficio avrebbe “raccomandato” di evitare la partecipazione della figlia alle riunioni del culto dei Testimoni di Geova solo perche’ in tali occasioni, a causa esclusiva dell’intolleranza della madre, la piccola avvertiva le tensioni che sorgevano fra i genitori; b) che il fatto che egli non avesse avvertito la (OMISSIS) che alle riunioni (OMISSIS) era accompagnata anche dalla sua attuale moglie non poteva costituire un base giuridica per le restrizioni imposte dal giudice; c) che sarebbe errato il criterio, assunto dalla corte del merito a fondamento della decisione, della mancanza di “gradimento” della bambina a praticare la nuova religione, atteso che il giudice puo’ porre limitazioni alla relazione fra genitore e figlio minore solo se c’e’ evidenza di un danno concreto per quest’ultimo, non evincibile da sue manifestazioni di mero disagio od imbarazzo o dai suoi capricci; d) che il procedimento di primo grado e’ stato “a senso unico” e lo ha privato del diritto di coinvolgere la minore nella sua pratica religiosa senza una giustificazione oggettiva e ragionevole; e) che la consulente, cui il giudice aveva demandato di accertare quali fossero le conseguenze comportamentali e psicologiche derivate alla bambina dal praticare la confessione religiosa sia del padre sia della madre, avrebbe erroneamente limitato l’indagine alla sola religione paterna, esprimendo poi giudizi generalizzati e discriminatori contro la stessa ed a favore del credo cattolico; f) che, contrariamente a quanto affermato nella ctu, egli non ha mai mosso obiezioni al fatto che la figlia partecipasse alle iniziative scolastiche legate alle ricorrenze religiose del cattolicesimo; g) che, in ogni caso, le conclusioni della consulente, secondo cui (OMISSIS) non potrebbe frequentare l’ambiente religioso del padre senza l’accordo della madre e non dovrebbe subire divieti o restrizioni a partecipare a feste e cerimonie cattoliche, per non sentirsi diversa dalle proprie coetanee, sono prive di fondamento; h) che la corte d’appello ha aderito acriticamente a tali conclusioni e dimostrato il proprio pregiudizio verso la religione dei Testimoni di Geova, laddove ha stabilito che la bambina deve continuare a prendere parte “alle manifestazioni della tradizione cattolica che fanno parte della sua esperienza fin dalla nascita”, peraltro senza considerare che egli condivide il nuovo credo con la figlia sin da quando questa aveva tre anni e che la (OMISSIS) non e’ una cattolica praticante.
3. Col secondo motivo, che denuncia violazione dell’articolo 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, (OMISSIS) deduce che la statuizione della corte del merito e’ vaga, inattuabile ed incoercibile – atteso che non si comprende come egli possa far conoscere le sue credenze alla figlia senza farla partecipare attivamente alle manifestazioni della sua fede – e sostiene che l’obiettivo delle restrizioni impostegli dal provvedimento impugnato e’ stato quello di attenuare le tensioni derivanti dall’atteggiamento intollerante della (OMISSIS) verso la religione dei Testimoni di Geova, esso si’ contrario al miglior interesse di (OMISSIS).
4. Con il terzo motivo, che denuncia, sotto i profili di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 “violazione del principio di imparzialita’ del consulente e mancanza della diligenza richiesta; omesso rispetto per violazione dei principi internazionali e costituzionali nelle relazioni familiari; violazione dell’articolo 111 Cost., articolo 1176 c.c., comma 2 anche in relazione al codice di deontologia professionale degli psicologi; violazione degli articoli 61, 62, 64, 115, 116 e 193 c.p.c., articolo 195 c.p.c., comma 3 in comb. disp. con gli articoli 8, 9, 14 CEDU, 2 del Prot. n. 1, 5 del Prot. 7, 1 del Prot. 12”, il ricorrente assume che il provvedimento impugnato, fondato esclusivamente sulle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, non ha fatto alcun riferimento alle critiche da lui mosse all’elaborato, infarcito di errori procedurali e sostanziali cosi’ gravi da renderlo totalmente inattendibile e da privarlo del diritto ad un giusto processo.
In particolare, il ricorrente si duole che il giudice non abbia dato risposta ai rilievi – volti ad evidenziare la mancanza di obiettivita’ e di imparzialita’ della psicologa nominata – concernenti, da un lato, la scarsa professionalita’ della stessa (dimostrata dalla sua stretta collaborazione con la consulente di parte della (OMISSIS) e dalla mancanza di interazione con (OMISSIS)) e, dall’altro, l’incompletezza dell’indagine (arbitrariamente limitata alle sole ricadute negative derivate alla minore dalla frequentazione della religione paterna, e non anche da quelle eventualmente derivanti dalla religione materna, e gravemente deficitaria anche per l’omessa effettuazione di una serie di test psicologici, atti a fornire informazioni obiettive circa le relazioni fra genitori e figli, che avrebbero consentito di verificare se la (OMISSIS) avesse esercitato pressioni sulla bambina).
5. Il ricorso non merita accoglimento.
5.1 Come gia’ affermato da questa Corte e come, del resto, riconosciuto dallo stesso ricorrente, il criterio fondamentale cui il giudice deve attenersi nel fissare le modalita’ dell’affidamento dei figli minori in caso di conflitto genitoriale e’ quello del superiore interesse della prole, stante il preminente diritto del minore ad una crescita sana ed equilibrata. Il perseguimento di tale obiettivo puo’ percio’ comportare anche l’adozione di provvedimenti contenitivi o restrittivi di diritti di liberta’ individuali dei genitori, ove la loro esteriorizzazione determini conseguenze pregiudizievoli per il figlio che vi presenzi, compromettendone la salute psico-fisica e lo sviluppo(cfr., in particolare, in fattispecie analoghe alla presente, Cass. nn. 24683/013, 9546/012).
Il decreto impugnato e’ stato assunto in adesione a tali principi, posto che la corte del merito – dopo aver precisato che la sintetica statuizione del primo giudice, che aveva inibito al (OMISSIS) “il coinvolgimento allo stato della figlia nelle propria scelta religiosa”, doveva essere intesa nel senso del mero divieto per il genitore di condurre la bambina alle manifestazioni della fede dei Testimoni di Geova – l’ha ritenuta, in tali termini, pienamente condivisibile, in quanto ha accertato, sulla scorta dell’espletata ctu, che il coinvolgimento nella pratica di tale religione e’ pregiudizievole per la minore.
5.2 I primo motivo del ricorso, pur lamentando la violazione da parte del giudice del reclamo dei principi fondamentali dettati dalla Costituzione e dalla CEDU in materia di liberta’ di religione, e’ in realta’ unicamente rivolto a contestare il predetto accertamento – e dunque il giudizio di fatto sul quale si fonda la decisione- sul presupposto della mancanza di prova che la partecipazione di (OMISSIS) alle adunanze della Sala del Regno possa cagionarle un effettivo danno psicologico, non identificabile con manifestazioni di disagio della bambina.
Il motivo si risolve, pertanto, nella denuncia di un vizio di motivazione ed, esaminato sotto questo profilo, va dichiarato inammissibile.
Le doglianze illustrate nel mezzo sono infatti o meramente assertive (quelle sopra sintetizzate sub. d), e), g), f) ed h) o prive di attinenza alla decisione (quella sub b) od, ancora, (quelle sub a) e sub c) smentite dalla piana lettura del provvedimento impugnato (che non si fonda sulla considerazione del disagio manifestato da (OMISSIS), ma sull’affermazione che lo sviluppo emotivo della bambina risulta pregiudicato dalle modalita’ con cui viene sollecitata a seguire la religione paterna): in buona sostanza, il ricorrente si e’ limitato a sostenere che la corte del merito avrebbe errato nell’aderire alle conclusioni della ctu, ma ha omesso di indicare, secondo quanto richiesto dall’attuale testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quale sia, e quando sia stato da lui dedotto e dimostrato, il fatto decisivo, non esaminato dal giudice, che, ove considerato, sarebbe valso a smentire le risultanze dell’indagine ed a determinare un diverso esito della controversia.
6. Ad analoghe conclusioni conduce l’esame del secondo motivo che, anziche’ chiarire in qual modo il decreto impugnato violerebbe il disposto dell’articolo 6 della CEDU, si sostanzia in una serie di astratte considerazioni (circa la pretesa impossibilita’ di dare esecuzione al provvedimento od in ordine alle effettive ragioni sottese alla sua emanazione) non riconducibili ad alcuno dei vizi denunciabili ai sensi dell’articolo 360 c.p.c..
7. Inammissibile, infine, e’ anche il terzo motivo di ricorso.
7.1 Una delle tre distinte censure prospettate nel motivo e’ meramente ripetitiva di quella sopra riassunta sub. e), gia’ dichiarata inammissibile in sede di esame del primo motivo per mancanza di decisivita’.
7.2 Le ulteriori due censure hanno invece, ancora una volta, carattere meramente assertivo; inoltre, a prescindere da tale rilievo, il motivo non investe la statuizione con la quale la corte merito ha ritenuto, in via generale, non condivisibili le critiche rivolte dal reclamante alla ctu, ne’ chiarisce in quali precisi termini le qui invocate ragioni di nullita’ dell’elaborato (mancanza di professionalita’ della psicologa incaricata; omessa effettuazione di test, necessari a verificare se la (OMISSIS) avesse esercitato pressioni sulla figlia) siano state dedotte in sede di reclamo.
Il ricorso, in conclusione, va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 3.200, di cui e 200 per esborsi, oltre rimborso forfetario e accessori di legge.
Dispone che, in caso di diffusione della presente sentenza, siano omessi i nominativi delle parti e degli -altri soggetti in essa menzionati.

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