Comunione e mutamento di destinazione rilevante ex art. 1102 c.c.

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 16 maggio 2019, n. 13213.

La massima estrapolata:

Configura mutamento di destinazione, rilevante ex art. 1102 c.c., nel senso di rendere illegittimo l’uso particolare di un comunista o condomino, la direzione della funzione della cosa comune – pur lasciata immutata nella sua natura (il passaggio, la presa di aria o luce, ecc.) – a vantaggio di beni esclusivi di un comunista o un condomino, rispetto ai quali i comproprietari non avevano inteso “destinare” il bene comune. (Nel caso di specie, la S.C. ha confermato la pronuncia della corte d’appello ritenendo che si fosse attenuta al principio di diritto nell’affermare che il passaggio su strada comune che venga effettuato da un comunista per accedere ad altro fondo a lui appartenente, non incluso tra quelli cui la collettività dei compartecipi aveva destinato la strada, configuri un godimento vietato, risolvendosi nella modifica della destinazione della strada comune e nell’esercizio di una illegittima servitù a danno del bene collettivo).

Ordinanza 16 maggio 2019, n. 13213

Data udienza 16 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 20914-2014 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2340/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 07/06/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/05/2018 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO.

RILEVATO

che:
1. Con sentenza depositata il 30/04/2009 il tribunale di Nola ha rigettato la domanda proposta da (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
2. Adita dagli eredi di (OMISSIS) e da (OMISSIS), la corte d’appello di Napoli con sentenza depositata il 07/06/2013 ha, riformando la decisione di prime cure, accolto la domanda in negatoria, dichiarando il fondo degli appellanti esente da servitu’ nei confronti di quello di cui alla p.lla (OMISSIS); ha rigettato la domanda risarcitoria.
3. Per quanto rileva, la corte d’appello ha considerato:
– che l’atto di donazione e divisione per notar (OMISSIS) del 28/04/1973 prevedesse “quale patto espresso” la costituzione di una stradina a servizio specifico delle particelle “costituenti le quote di divisione”, con un “collegamento funzionale solo con le unita’ immobiliari… indicate”; ha conseguentemente ritenuto irrilevante la “qualificazione astratta della stradina come mero bene in comunione o (…) bene condominiale” (pp. 4 e 5);
– che, stante la genesi contrattuale della situazione ex articolo 1102 c.c. sulla stradina, a vantaggio di alcuni fondi tra i quali alcuni degli odierni ricorrenti, valesse il principio per cui il diritto del partecipante di servirsi della cosa comune non puo’ estendersi a vantaggio di entita’ immobiliari estranee alla comunione o al condominio;
– che quindi il regime giuridico applicabile fosse quello di cui agli articoli 1108 e 1102 c.c., per cui nessuna forma di servitu’ potesse essere posta in essere a carico della cosa comune se non con il consenso dei compartecipi e non potesse farsi alcun uso piu’ intenso idoneo a mutare la destinazione.
La corte d’appello ha quindi statuito che l’apertura del varco mutasse la destinazione della cosa, con fondatezza dell’azione negatoria; essendo invece infondata la domanda accessoria di risarcimento, per mancata prova di un concreto danno.
4. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso (OMISSIS) ed (OMISSIS), sulla base di cinque motivi successivamente illustrati da memoria, cui hanno resistito con controricorso (E ALTRI OMISSIS)

CONSIDERATO

che:
1. E’ inammissibile il primo motivo, con cui si deduce violazione dell’articolo 112 c.p.c., assumendosi che la corte d’appello, travalicando rispetto al contenuto dell’azione negatoria esercitata dalle controparti in ordine all’esistenza di diritti di comunione sulla stradina, abbia fondato l’accoglimento della domanda irritualmente su un divieto pattizio non dedotto in giudizio.
1.1. Si deve rilevare come il motivo non attinga la ratio decidendi della sentenza impugnata.
1.2. Quest’ultima, dopo un’ampia disamina della genesi contrattuale della situazione ex articolo 1102 c.c. sulla stradina, destinata a passaggio con vantaggio dei fondi oggetto della divisione per notar (OMISSIS) del 28/04/1973, tra i quali alcuni degli odierni ricorrenti, ha esposto il consolidato principio per cui il diritto del partecipante di servirsi della cosa comune non puo’ estendersi a vantaggio di entita’ immobiliari estranee alla comunione o al condominio. E’ ben vero che, in esordio di tale disamina, la sentenza impugnata ha svolto considerazioni (pp. 4 e 5) circa il contenuto dell’atto di donazione e divisione per notar (OMISSIS) del 28/04/1973, prevedente “quale patto espresso” la costituzione di una stradina a servizio specifico delle particelle “costituenti le quote di divisione”, con un “collegamento funzionale solo con le unita’ immobiliari… indicate”, con conseguente ritenuta irrilevanza della “qualificazione astratta della stradina come mero bene in comunione o (…) bene condominiale”; ma e’ evidente anche alla stregua di quanto appena riportato – che la disamina del titolo negoziale in base al quale si e’ stabilito il vincolo tra la stradina comune e le particelle in proprieta’ esclusiva e’ valso solo, nell’economia della decisione impugnata, a determinare il regime giuridico applicabile (alla p. 6 individuato in quello di cui agli articoli 1108 e 1102 c.c., comune agli istituti della comunione e del condominio); cio’ senza che in alcun modo – nel momento in cui semplicemente si dava atto della situazione di vincolo – fosse predicata l’esistenza di un divieto pattizio relativamente a uno o piu’ usi della stradina, come il motivo invece erroneamente presuppone (sostenendosi nel mezzo l’inesistenza del divieto pattizio).
2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia falsa applicazione degli articoli 949, 1102, 1108, 1117, 1059, 817 ss. e 1362 ss. c.c., nonche’ omessa e insufficiente motivazione. Anche con tale doglianza i ricorrenti lamentano, sotto angoli visuali diversi rispetto al precedente motivo, che la corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto sussistere “un quid pluris nell’accordo divisorio che impedirebbe al comunista un uso piu’ intenso del bene in comunione”. Secondo i ricorrenti la clausola negoziale non avrebbe imposto alcuna specifica destinazione alla strada, la quale comunque non sarebbe stata opponibile in quanto non trascritta.
Con il terzo motivo di ricorso, poi, si denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 2643 e 2697 c.c. nonche’ omessa e insufficiente motivazione. Contrastando la sentenza impugnata, si deduce che le controparti avrebbero dovuto provare, mediante esibizione della nota di trascrizione, l’avvenuta pubblicita’ del “vincolo di destinazione”, altrimenti inopponibile ai ricorrenti, acquirenti dai primitivi condividenti.
2.1. I due motivi sono strettamente connessi e vanno esaminati congiuntamente. Anche tali motivi sono inammissibili, al pari del precedente, per difetto di pertinenza rispetto alla ratio decidendi.
2.2. Come sopra enunciato, infatti, la sentenza impugnata ha esaminato il titolo che ha costituito la stradina come bene comune ai proprietari esclusivi di altre particelle al solo fine di fare applicazione alla situazione degli articoli 1102 e 1108 c.c., senza in alcun modo presupporre l’esistenza di “un quid pluris nell’accordo divisorio che impedirebbe al comunista un uso piu’ intenso del bene in comunione”, e anzi affermando essere la fattispecie estranea alla categoria giuridica dell’uso piu’ intenso della cosa comune. La statuizione in ordine a una destinazione della cosa comune al servizio delle particelle fondiarie oggetto di divisione e’ stata operata non gia’ al fine di dimostrare l’esistenza di un vincolo contrattuale limitativo dell’uso della cosa comune a vantaggio di dette entita’ fondiarie, bensi’ al fine di evocare quale fosse la destinazione rilevante ex articolo 1102 c.c.; norma che, come noto, vieta gli usi che comportano un mutamento di destinazione della cosa comune, mutamento che sarebbe sussistito ammettendo l’apertura di un varco al servizio di una particella estranea al compendio.
2.3. In ordine, poi, alla trascrizione del vincolo solo per completezza puo’ rilevarsi come i controricorrenti (p. 10 del controricorso) puntualmente richiamino che con la comparsa di risposta di primo grado furono le controparti a dichiararsi edotte del contenuto della nota di trascrizione, riportandone il tenore da cui emergeva la comunione della stradetta e la sua destinazione al servizio dei rispettivi fondi.
3. Con il quinto motivo – il cui esame per ragioni di conseguenzialita’ logica rispetto ai temi appena trattati puo’ precedere la disamina del quarto – si deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 840, 841, 880, 881, 949 e 2729 c.c. nonche’ omessa e insufficiente motivazione. Secondo i ricorrenti la sentenza impugnata incorrerebbe in dette censure nella parte in cui ha disposto il ripristino della palizzata di confine abbattuta per realizzare l’accesso alla stradina; non separando la palizzata stessa entita’ fondiarie omogenee, bensi’ la strada dai fondi, non sussisterebbe la presunzione di comunione ex articolo 880 c.c., ne’ la comunione sarebbe stata altrimenti provata, essendo quindi la palizzata di proprieta’ della signora (OMISSIS), che potrebbe disporne.
3.1. Il motivo e’ infondato per quanto attiene alla censura per violazione e falsa applicazione di legge.
3.2. Va infatti chiarito che l’actio negatoria servitutis e’ domanda diretta non necessariamente solo all’accertamento dell’inesistenza della pretesa servitu’, ma anche all’eliminazione della situazione antigiuridica posta in essere dal terzo, mediante la rimozione delle opere lesive del diritto di proprieta’ dal medesimo realizzate, allo scopo di ottenere la effettiva liberta’ del fondo, cosi’ da impedire che il potere di fatto del terzo stesso corrispondente all’esercizio di un diritto, protraendosi per il tempo prescritto dalla legge, possa comportare l’acquisto per usucapione di un diritto reale su cosa altrui (cfr. ad es. Cass. n. 16495 del 05/08/2005).
3.3. Nel caso di specie l’originaria domanda e’ stata rivolta non solo all’accertamento del diritto di comproprieta’ degli attori libero da servitu’ vantate dai signori (OMISSIS) e (OMISSIS) a favore di fondi estranei all’originario compendio divisionale, bensi’ anche a respingere l’imposizione, mediante la creazione di varco in corrispondenza di parte della preesistente palizzata, di un’opera visibile e destinata inequivocamente all’esercizio del passaggio a carico della strada, suscettibile di dar luogo, con il passare del tempo, all’acquisto di servitu’ per usucapione. In tale situazione, e’ irrilevante che l’imposizione della limitazione provenga dall’abbattimento parziale di cosa propria del convenuto in negatoria (nel caso di specie, di tratto di palizzata che si assume in proprieta’ esclusiva della signora (OMISSIS)), attivita’ che – in se’ considerata – sarebbe legittima in base allo ius utendi et abutendi del proprietario. Cio’ che conta, nel caso di specie, e’ che detto abbattimento, in quanto accompagnato dalla pretesa di diritti, realizza un varco dante accesso illegittimamente alla proprieta’ altrui. Diversamente, a un abbattimento di parte di preesistente recinzione non accompagnato dalla pretesa di diritti il confinante avrebbe potuto comunque reagire esercitando il generale diritto dell’articolo 841 c.c. che recita: “Il proprietario puo’ chiudere in qualunque tempo il fondo”, salvo – sussistendone i presupposti costringere il vicino a contribuire.
3.4. Resta assorbita ogni altra considerazione in merito alla natura comune o esclusiva della palizzata, nonche’ in ordine alle conseguenze giuridiche della circostanza che il tema non sia stato dibattuto innanzi ai giudici di merito.
4. Il quinto motivo, al pari di un profilo del quarto che – per il resto – si va a esaminare di seguito, e’ inammissibile, poi, nella parte in cui contiene doglianza formulata per omessa e insufficiente motivazione (e analogo rilievo sarebbe valso per il secondo e terzo mezzo, se non dichiarati, come innanzi, inammissibili per altra via, concernente la non pertinenza con la ratio decidendi). A fronte di sentenza impugnata depositata il 07/06/2013 i motivi avrebbero dovuto essere formulati come di “omesso esame circa un fatto decisivo”, secondo l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nel testo applicabile ratione temporis nella riscrittura della norma disposta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134. Tale vizio, dopo la novellazione, presuppone la totale pretermissione nell’ambito della motivazione di uno specifico fatto storico, principale o secondario; in tale quadro l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Nel caso di specie, a prescindere dalla formulazione delle doglianze, i fatti storici di cui sarebbe omesso l’esame non sono neppure indicati; cio’ che consente di prescindere da ulteriori rilievi.
5. Resta da esaminare il quarto motivo con cui, oltre a dedursi inammissibilmente – alla luce di quanto innanzi – vizio di motivazione per sua omissione o insufficienza, si denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1027, 1059, 1102 e 1108 c.c. La sentenza impugnata, secondo i ricorrenti, incorrerebbe nel vizio in iudicando per aver affermato il principio di diritto secondo cui la facolta’ del comunista o del condominio di far un uso piu’ intenso della cosa comune, ex articolo 1102 c.c., comma 1, non si estenderebbe fino a rivolgere detto uso a vantaggio di entita’ immobiliari estranee, pur se di proprieta’ o in possesso del coutente stesso; secondo i ricorrenti, infatti, che all’uopo riportano dei precedenti di questa corte, il passaggio su strada comune che venga effettuato da comunista per accedere ad altro fondo a lui appartenente non configurerebbe un godimento vietato, non risolvendosi nella modifica della destinazione della strada comune (affermata invece dalla corte locale), non costituendo impedimento all’altrui diritto ne’ costituendo servitu’ concessa da uno solo dei comproprietari ex articolo 1059 c.c., comma 1.
5.1. Il motivo e’ infondato.
5.2. Le norme invocate dai ricorrenti, infatti, non esprimono il principio asserito secondo cui sarebbe lecito al proprietario esclusivo di un fondo, comunista di altra entita’ fondiaria destinata dai compartecipi al solo servizio di plurimi fondi esclusivi dei comunisti stessi incluso il primo, estendere il godimento della cosa comune a vantaggio di un ulteriore fondo non incluso tra quelli avuti presenti al momento dell’atto di destinazione.
5.2.1. L’articolo 1102 c.c., invero, dispone che ciascun partecipante puo’ servirsi della cosa comune, purche’ non ne alteri la “destinazione” e non impedisca il pari “uso” degli altri partecipanti “secondo il loro diritto”. L’articolo 1108 c.c., comma 3 prevede come necessario il consenso di tutti i partecipanti per la costituzione di diritti reali sul fondo comune, salva l’applicazione dell’articolo 1350 c.c. quanto alla forma che deve rivestire detto consenso. Ulteriore disciplina si rinviene in alcune altre norme invocate dai ricorrenti, tra le quali l’articolo 1059 c.c., comma 1 che prevede che la servitu’ concessa da uno solo dei comproprietari “non e’ costituita se non quando” l’abbiano concessa anche gli altri, salvo il divieto per il concedente singolo di porre impedimenti all’esercizio (articolo 1059, comma 2). Per quanto non e’ espressamente previsto per il condominio negli edifici 1 dette norme sono anche applicabili in tale ambito giusta il rinvio dell’articolo 1139 c.c.
5.2.2. L’immediato antecedente dell’articolo 1102 c.c., costituito dall’articolo 675 c.c. del 1865, prevedeva analogamente che “ciascun partecipante puo’ servirsi delle cose comuni purche’ le impieghi secondo la loro destinazione fissata dall’uso e non se ne serva contro interesse della comunione o in modo che impedisca agli altri partecipanti di servirsene secondo il loro diritto”. Invero, oltre al limite costituito – come rileva la dottrina – dal dovere di godimento civiliter della cosa (secondo cioe’ l'”interesse della comunione”, nozione che pero’ vale anche a sorreggere l’esigenza di conservazione della destinazione), ritenuto implicito dal legislatore del 1942, si nota nel previgente testo che l'”uso” e’ modalita’ di “fissazione” della “destinazione”, piu’ che a espressione del godimento paritario altrui da rispettarsi. La relazione del guardasigilli al c.c. del 1942, poi, al n. 518, si pronuncia nel senso che “nel regolare l’uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante, l’articolo 1102 c.c. prevede l’ipotesi che questi intenda eseguire opere per il miglior godimento di essa e gli da’ facolta’ di eseguirle a proprie spese, purche’ non ne alterino la destinazione e non ne pregiudichino l’uso, da parte degli altri partecipanti. In tal modo, seguendo il largo indirizzo tracciato dalla giurisprudenza, si consente al singolo partecipante di trarre dalla cosa la migliore utilizzazione possibile, entro i limiti inderogabilmente fissati dalla legge”. In certo qual modo, la relazione legge il primo periodo del comma 1 dell’articolo 1102 esclusivamente alla luce del secondo periodo (“a tal fine puo’ apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa”); riferendosi, dunque, alla sola modificazione della cosa in senso migliorativo (l’esempio piu’ frequente in letteratura e’ quello della copertura in marmo di gradini), si comprende come “uso” o “servirsi” della cosa comune il solo godimento intrinseco, prescindendosi dai rapporti tra la cosa comune e altre cose individuali dei partecipanti, pure ipotizzabili. Non cosi’ avveniva nella disciplina del condominio ove, stante l’inerente rapporto tra parti individuali e comuni, il legislatore del 1942 interveniva con l’articolo 1122 c.c., norma attinta da una nota “svista” redazionale della rubrica (“opere sulle parti… di proprieta’ comune”) rispetto al testo (disciplinante le opere su parti individuali con danno per quelle comuni), rettificata con la novellazione del 2012.
5.2.3. La ricognizione va completata con la considerazione della disciplina delle innovazioni (quali modificazioni che, a differenza di quelle per il miglior godimento del singolo di cui all’articolo 1102 c.c., comma 1, incidano sull’utilita’ collettiva con mutamenti strutturali) le quali – rispetto all’articolo 677 c.c. del 1865 che semplicemente vietava le innovazioni di “uno dei partecipanti… ancorche’ le pretenda vantaggiose a tutti… se gli altri non vi acconsentano” – trovava nell’articolo 1108 c.c. una piu’ sofisticata regolamentazione, introduttiva della possibilita’ di delibera a maggioranza dei due terzi, con limiti ricomprendenti anche l’assenza di pregiudizio per il godimento dei compartecipi (e v. articolo 1120, comma 2 per quanto attiene al condominio). L’articolo 1108, comma 3, come detto, manteneva pero’ la necessita’ del consenso unanime (e in forma scritta ad substantiam ex articolo 1350 c.c.) per la costituzione di diritti reali.
5.3. La giurisprudenza, anche sotto l’influenza di quella formatasi sul codice previgente, ha dato interpretazioni diverse, talvolta promiscue, dei due limiti cui l’articolo 1102 c.c. sottopone l’uso della cosa comune, costituiti dal divieto di alterazione della destinazione e dal divieto di impedire il pari uso. In particolare, si e’ continuato talora a far riferimento all’uso attuale per desumere la destinazione; si e’ considerato conforme all’articolo 1102 c.c. un uso particolare, diverso rispetto alla normale destinazione, per il solo fatto che non escludesse il pari uso altrui.
5.3.1. A prescindere da ogni considerazione di tali temi, nell’assenza di inequivoci riferimenti legislativi la giurisprudenza ha dovuto rinvenire nelle disposizioni indicate la disciplina anche del fenomeno per cui una cosa comune (ad es. una strada, un piazzale, un cortile, un comodo rurale o un’entita’ fondiaria urbana destinata a deposito, parcheggio o altro) sia, anche al di fuori del condominio, “destinata” al servizio di cose individuali dei comunisti; caso questo in cui rileva la destinazione non solo quale “uso”, ma anche come “relazione” tra piu’ fondi. Tra le varie modalita’ di destinazione e i vari riferimenti di essa, la giurisprudenza si e’ occupata tra l’altro di destinazioni impresse in sede di compravendita di lotti con adibizione di parte di ciascun lotto a passaggio a favore degli altri (strada vicinale iure proprietatis), di destinazioni impresse con il mero conferimento di porzioni di terreno da parte dei proprietari latistanti (strada vicinale ex collatione privatorum agrorum, anche in questo caso iure proprietatis in comunione incidentale per volonta’ coincidente e non necessariamente concorde dei proprietari manifestata anche in forma materiale e senza necessita’ – in via eccezionale per l’antichita’ dell’istituto in deroga all’articolo 1350 c.c. – di atto scritto, dubitandosi della natura negoziale della costituzione); in rapporto al passaggio, ma anche al di fuori di esso (come rapporti di destinazione funzionali alla presa d’aria, alla veduta, all’appoggio di costruzioni, fino al parcheggio ecc.), si ammette anche la destinazione della cosa comune al servizio delle proprieta’ individuali mediante deliberazione ex articolo 1105 c.c. In tali ambiti, riconducendosi il fenomeno, seppur sotto diversi punti di vista, alla comunione, si esclude la possibilita’ di un riferimento alla disciplina delle servitu’ (quale si avrebbe se, in luogo di una mera destinazione ai servizio, si imponessero pesi sulla cosa comune a favore delle proprieta’ individuali).
5.3.2. Cosi’ delimitato l’esame della censura al portato delle norme in materia di comunione, va richiamato che – come ricordano i ricorrenti (p. 7 del ricorso) – la giurisprudenza ha talora ricondotto la destinazione della cosa comune al servizio di piu’ fondi in proprieta’ esclusiva al vincolo pertinenziale ex articoli 817 e 818 c.c., ritenendo in particolare ammissibile una pertinenza in comunione al servizio di piu’ immobili in proprieta’ esclusiva di ciascuno dei comunisti (v., anche per un caso applicativo, Cass. n. 6001 del 10/05/2000, nonche’ n. 14528 del 08/11/2000 e n. 8962 del 29/08/1990).
5.3.3. Quale che sia, comunque, la categoria giuridica acconcia a descrivere il fenomeno, resta comunque chiarito che e’ la nozione di “destinazione” contenuta nell’articolo 1102 c.c. (oltre che nell’articolo 817 c.c.) a doversi scrutinare, al fine di verificare se la (ulteriore) realizzazione di un passaggio (o altro simile uso) a vantaggio di un (diverso) fondo del comunista sulla cosa comune, dapprima destinata al solo beneficio di un solo fondo del medesimo, configuri mutamento della destinazione stessa (cio’ avendo presente che, da un lato, il fenomeno puo’ verificarsi anche mettendo in comunicazione l’ulteriore fondo esclusivo non direttamente con il fondo comune, ma con il primo fondo esclusivo avente accesso da quello; nonche’ che, d’altro lato, il fenomeno medesimo presenta forti affinita’, dal punto di vista esteriore, con il c.d. “aggravamento”, vietato nel pur differente ambito delle servitu’ dall’articolo 1067 c.c.).
5.3.4. I ricorrenti fondano il proprio argomentare sulle affermazioni contenute in alcuni precedenti di questa corte, cui possono aggiungersi altri; tra tutti in particolare possono essere richiamati:
– Cass. n. 476 del 20/01/1994 (poi testualmente ripresa, in parte, da Cass. n. 10453 del 1/8/2001 e Cass. n. 7762 del 17/05/2012, questa non massimata; a sua volta, la sentenza del 2001 richiama anche Cass. n. 3419 del 23/3/1993, concernente pero’ apertura di varco a vantaggio di fondo a cui favore era destinata la cosa comune); la sentenza del 1994 – senza richiamare precedenti specifici (e v. in senso contrario ad es. gia’ la non recente Cass. n. 1058 del 18/05/1967; v. per altre infra) – statuisce che:
Destinazione della cosa e’ il modo in cui la cosa stessa viene usata. Mentre il codice civile del 1865 precisava la destinazione fissata dall’uso, la disposizione vigente non ripete la formula e contempla la funzione inerente alla cosa. Poiche’ destinazione di una strada e’ il passaggio, la destinazione non viene modificata quando la strada viene utilizzata per un passaggio piu’ intenso e frequente, sempre che il precedente transito non venga a soffrirne fino a determinare l’impedimento dell’altrui pari uso. D’altra parte, non configura mutamento di destinazione il fatto che la strada comune venga adibita a vantaggio di altri fondi propri di uno dei compartecipanti. Una volta che la cosa comune viene usata iure proprietatis, la utilizzazione piu’ intensa a vantaggio di un altro bene in proprieta’ esclusiva non suppone l’animus possidendi iure servitutis e, quindi, la possibilita’ di acquisto della servitu’. (…) Il fatto che il passaggio su una strada comune, in origine destinata a servire alcuni, determinati fondi in proprieta’ esclusiva, venga effettuato da un comunista a vantaggio di altro fondo, a lui appartenente in proprieta’ esclusiva, di per se’ non raffigura un godimento vietato, perche’ non si risolve nella modifica della destinazione, ne’ nell’impedimento dell’altrui pari diritto. D’altra parte, essendo il transito effettuato iure proprietatis, il comunista non potrebbe mai accampare l’usucapione della servitu’ di passaggio”;
– Cass. n. 8591 del 11/08/1999 (rispetto alla quale viene indicata come conforme Cass. n. 42 del 5/1/2000, che pero’ concerne fattispecie di varco tra parte comune e proprieta’ esclusiva condominiale); secondo la sentenza del 1999, in tema di condominio di edifici, l’apertura di un varco su un muro comune che metta in comunicazione un terreno di proprieta’ esclusiva di un singolo condomino, estraneo al condominio, con il cortile comune all’interno del condominio (ove il singolo e’ proprietario di un appartamento) non da’ luogo alla costituzione di una servitu’ (che richiederebbe il consenso di tutti i condomini) quando la parte comune viene gia’ usata come passaggio pedonale e carrabile, sempre che l’opera realizzata non pregiudichi l’eguale godimento della cosa comune da parte degli altri condomini, vertendosi in una ipotesi di uso della cosa comune a vantaggio della cosa propria che rientra nei poteri di godimento inerenti al dominio.
5.4. Ad avviso di questo collegio l’esegesi delle disposizioni codicistiche sopra ripercorse induce a non condividere i precedenti giurisprudenziali anzidetti, dovendo invece darsi continuita’ in argomento alla giurisprudenza consolidata, rafforzata anche da significative posizioni dottrinarie, che, occupandosi soprattutto di condominio (ma i medesimi principi valgono per la comunione non condominiale, essendo il referente normativo l’articolo 1102 c.c.), ha considerato da alcuni decenni, limitando il richiamo alle pronunce meno remote e, in linea generale, note in massima:
– che il condomino il quale utilizza una parte comune, modificandola, per dar accesso (o dare veduta, o aria, o luce – cfr. per la configurabilita’ di servitu’ di mera luce nella comunione o nel condominio ad es. Cass. n. 11343 del 17/06/2004) a un fabbricato contiguo, estraneo al condominio, anche se di sua esclusiva proprieta’, altera la destinazione della parte comune ex articolo 1102 c.c., comportandone (per la possibilita’ di far usucapire al proprietario del fabbricato contiguo una servitu’) lo scadimento ad una condizione deteriore rispetto a quella originaria (cosi’ ad es. Cass. n. 76 del 15/01/1970, sulla base di piu’ remoti precedenti; per le successive, ad es. Cass. n. 2960 del 09/10/1972, n. 939 del 15/03/1976, n. 939 del 15/03/1976, n. 3963 del 24/06/1980, n. 2175 del 08/04/1982, n. 5628 del 16/11/1985, n. 2973 del 27/03/1987, n. 5780 del 25/10/1988, n. 2773 del 07/03/1992, n. 360 del 13/01/1995, n. 24243 del 26/09/2008; v. anche la fattispecie particolare di Cass. n. 23608 del 06/11/2006);
– che, in relazione a cio’, trattasi di uso indebito della cosa comune, non consentito, quindi, dalla norma dell’articolo 1102 c.c., in quanto per la creazione di una servitu’ a carico del condominio e’ richiesto il consenso di tutti i partecipanti alla comunione risultante da atto scritto a pena di nullita’ (Cass. n. 3867 del 11/06/1986);
– che l’uso della parte comune per creare un accesso a favore di parte esclusiva e’ legittimo, ai sensi dell’articolo 1102 c.c., se l’unita’ del condomino avvantaggiata e’ inserita nel condominio, fermi gli altri limiti, in quanto, pur realizzandosi un utilizzo piu’ intenso del bene comune da parte di quel condomino, non si esclude il diritto degli altri di farne parimenti uso e non si altera la destinazione, restando esclusa la costituzione di una servitu’ per effetto del decorso del tempo (Cass. n. 24295 del 14/11/2014);
– che il giudice del merito puo’ ritenere uso normale del muro comune l’apertura di un varco che consenta la comunicazione tra il proprio appartamento e altra unita’ immobiliare attigua, sempre di sua proprieta’, solo se ricompresa nel medesimo edificio condominiale, dovendo il giudice stesso adeguatamente motivare circa la sussistenza o l’insussistenza di un unico condominio (cosi’ Cass. n. 1708 del 18/02/1998, nel testo esteso);
– che, al di la’ della costituzione di varchi e aperture, i medesimi principi si applicano in caso di ritrazione di altre utilita’ a vantaggio di proprieta’ esclusive estranee e a carico di parti comuni (cfr. ad es. Cass. n. 17868 del 24/11/2003in tema di appoggio di tettoia a perimetrale condominiale, la quale fungeva da copertura a zona di terreno estranea al condominio; v. anche Cass. n. 15024 del 14/06/2013).
5.5. Deriva dalla giurisprudenza ora ripercorsa (concernente prevalentemente il condominio e l’apertura di varchi, ma estensibile alla comunione su cosa posta a servizio di altri fondi esclusivi) che, rispetto alle nozioni poi accolte dalle non condivise pronunce degli anni , successivamente riecheggiate da altre, deve affermarsi che configura mutamento di destinazione, rilevante ex articolo 1102 c.c. nel senso di rendere illegittimo l’uso particolare di un comunista o condomino, la direzione della funzione della cosa comune – pur lasciata immutata nella sua natura (il passaggio, la presa di aria o luce, ecc.) – a vantaggio pero’ di beni esclusivi di un comunista o condomino, rispetto ai quali i comproprietari non avevano inteso “destinare” il bene comune; viceversa, l’orientamento qui non condiviso non tiene conto della direzione dell’uso, considerando quest’ultimo astrattamente nel solo profilo pratico-oggettivo e non nel concreto quadro dei rapporti giuridici tra i soggetti. Cio’ vale, a maggior ragione, nel condominio, ove i rapporti tra parti comuni e parti esclusive sono disciplinati anche dalla legge (v. articolo 1117 c.c.), derivando invece quelli della comunione da atti negoziali e non negoziali sopra riepilogati (v. n. 5.3.1).
5.6. Parimenti va confermato il rilievo operato dalla giurisprudenza tradizionale per cui, ove si consenta per il tempus necessario l’uso vietato, laddove sussista l’apparenza delle opere obiettivamente destinate a vantaggio di un fondo estraneo alla comunione o al condominio, puo’ costituirsi servitu’ per usucapione a danno del bene comune; cio’ veniva escluso nel quadro dell’approccio qui non accolto sulla mera considerazione soggettiva, quale comunista o condomino, del soggetto fruitore, per farne discendere l’uso iure proprietatis, dovendo invece considerarsi che il soggetto fruitore, pur se comunista o condomino, dirige l’uso del bene comune a favore di bene esclusivo estraneo alla destinazione e, quindi, lo instaura illegittimamente iure servitutis, non essendo dissociabile, in materia di diritti reali, il profilo soggettivo da quello oggettivo concernente i rapporti tra le cose.
5.7. In conclusione il motivo va disatteso per infondatezza, essendosi la corte d’appello attenuta ai principi di diritto anzidetti nell’affermare che il passaggio su strada comune che venga effettuato da comunista per accedere ad altro fondo a lui appartenente, non incluso tra quelli cui la collettivita’ dei compartecipi aveva destinato la strada, configura un godimento vietato, risolvendosi nella modifica della destinazione della strada comune e nell’esercizio di una illegittima servitu’ a danno del bene collettivo.
6. In definitiva, il ricorso va rigettato, con condanna dei ricorrenti in solido alle spese come in dispositivo. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 13 cit., comma 1 bis.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione a favore delle parti controricorrenti delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 3.000 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da’ atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 13 cit., comma 1 bis.

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