Concorrenza sleale la tutela risarcitoria va riconosciuta anche con riferimento alla realizzazione di atti preparatori

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|8 marzo 2023| n. 6876.

Concorrenza sleale la tutela risarcitoria va riconosciuta anche con riferimento alla realizzazione di atti preparatori

In tema concorrenza sleale, la tutela risarcitoria va riconosciuta anche con riferimento alla realizzazione di atti preparatori rispetto a quelli presi in considerazione dall’art. 2598 c.c., qualora sia dimostrata l’esistenza di un danno eziologicamente collegato a questi ultimi; ove il pregiudizio riguardi l’immagine e l’apprezzamento che i consumatori nutrono per i prodotti commercializzati con un determinato segno distintivo, il risarcimento è parametrato, oltre che sul danno emergente e sul danno non patrimoniale, anche sul danno da lucro cessante, sempreché la condotta lesiva abbia determinato una contrazione dei ricavi del danneggiato o abbia avuto, comunque, un’incidenza sul relativo importo. (Nella specie, la S.C. ha affermato il principio anzidetto a fronte di una preordinata commercializzazione di prodotti con marchi contraffatti di un noto stilista, di fatto non concretizzatasi per l’intervenuto sequestro penale dei medesimi).

Ordinanza|8 marzo 2023| n. 6876. Concorrenza sleale la tutela risarcitoria va riconosciuta anche con riferimento alla realizzazione di atti preparatori

Data udienza 9 gennaio 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Concorrenza (diritto civile) – Sleale – Azione per la repressione della concorrenza – Risarcimento del danno – Liquidazione concorrenza sleale – Commercializzazione di prodotti con marchi contraffatti – Tutela risarcitoria – Atti prodromici – Sussistenza – Lucro cessante – Computabilità – Limiti – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30430/2019 R.G. proposto da:
(OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Maurizio Oliva, con domicilio eletto presso il suo studio, sito in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Luca Masotti, Carlo Piatti, e Barbara Cassol, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima, sito in (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 4665/2019, depositata il 9 luglio 2019.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 9 gennaio 2023 dal Consigliere Dott. Paolo Catallozzi.

Concorrenza sleale la tutela risarcitoria va riconosciuta anche con riferimento alla realizzazione di atti preparatori

RILEVATO

che:
– la (OMISSIS) s.r.l. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, depositata il 9 luglio 2019, che, in accoglimento solo parziale del suo appello, ha rideterminato in Euro 150.000,00 l’importo del risarcimento dei danni da versare in favore della (OMISSIS) s.p.a., confermando, nel resto, la sentenza di primo grado;
– il giudice del gravame ha riferito che il Tribunale aveva accolto le domande di contraffazione dei marchi di titolarita’ della (OMISSIS) s.p.a. e di concorrenza sleale da quest’ultima avanzate nei confronti della (OMISSIS) s.r.l., inibendo la prosecuzione delle attivita’ di uso, produzione, importazione e detenzione dei prodotti recanti tali segni, e condannato la predetta (OMISSIS) s.r.l. al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 444.855,79, oltre interessi, con ordine di pubblicazione della sentenza e fissazione di una penale per l’ipotesi di violazione dell’inibitoria disposta, mentre aveva respinto analoghe domande proposte nei confronti di (OMISSIS);
– ha, quindi, disatteso i motivi di appello vertenti sulla non riferibilita’ alla odierna ricorrente della condotta illecita accertata, per essere i beni appartenenti ad altro soggetto (la predetta (OMISSIS)), e non confondibilita’ dei segni distintivi in comparazione, mentre ha accolto quello vertente sulla liquidazione del lucro cessante, ritenendo che dovesse procedersi, in difetto dei presupposti per il ricorso al criterio del mancato guadagno, utilizzato dal Tribunale, o a quello residuale della royalty ragionevole, a una liquidazione equitativa dello stesso;
– il ricorso e’ affidato a quattro motivi;
– resiste con controricorso la (OMISSIS) s.p.a.;
– le parti depositano memoria ai sensi dell’articolo 380-bis.1 c.p.c..

CONSIDERATO

che:
– con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 125 cod. prop. ind., articoli 1223 e segg. e articoli 2697 c.c. e segg. e articoli 112 e 115 c.p.c., per aver la sentenza impugnata riconosciuto il danno da lucro cessante pur in assenza della relativa prova, avuto riguardo alla mancata effettiva commercializzazione dei prodotti contraffatti da lei detenuti, sequestrati dalla Guardia di Finanza;
– con il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’articoli 125 cod. prop. ind., articoli 1225, 1226, 1227 e 2697 c.c. e articoli 112 e 115 c.p.c., per aver la Corte di appello determinato equitativamente il danno da lucro cessante asseritamente subito dalla (OMISSIS) s.p.a. pur in assenza della prova dell’esistenza di un danno risarcibile;
– il primo e il secondo motivo, esaminabili congiuntamente, sono infondati;
– la Corte territoriale ha ritenuto che la circostanza della mancata effettiva commercializzazione dei prodotti contraffatti a causa del loro sequestro operato dalla Guardia di Finanza presso il magazzino condotto in locazione dalla (OMISSIS) s.r.l., in cui tali prodotti erano custoditi in attesa della messa in vendita, non faceva venir meno la configurabilita’ di un danno da concorrenza sleale per lucro cessante, avuto riguardo al “danno all’immagine, da valutarsi soprattutto riguardo all’apprezzamento dei consumatori”;
– cio’ posto, si osserva che il danno risarcibile per atto di concorrenza sleale comprende, in applicazione dei criteri generali di cui agli articoli 1223 e 2056 c.c., sia il danno emergente, sia il lucro cessante;
– il primo puo’ consistere nelle spese vanificate dall’illecito (per esempio, le spese pubblicitarie il cui ritorno e’ stato compromesso dall’attivita’ illecita del concorrente), nelle spese affrontate per ovviare all’illecito (per esempio, le spese sostenute per la scoperta dell’altrui condotta pregiudizievole e per acquisirne la prova; quelle per informare il pubblico dell’altrui illecito) e in quelle imposte dall’esigenza di ovviare al pregiudizio subito dagli asset aziendali per la perdita di valore e/o, della capacita’ produttivita’ e di penetrazione nel mercato;
– il secondo si risolve essenzialmente nel mancato guadagno del titolare eziologicamente legato alla concorrenza dell’autore della violazione, in relazione alla compressione dei ricavi dovuta alla diminuzione delle vendite – eventualmente anche di prodotti gemellati – o alla erosione del prezzo di mercato del prodotto;
– tali voci di danno vanno tenute distinte dal danno non patrimoniale, consistente nella lesione alla reputazione di un soggetto – ivi incluso una persona giuridica – derivante dalla diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali l’ente interagisca, allorquando l’atto lesivo che determina la proiezione negativa sulla reputazione dell’ente sia immediatamente percepibile dalla collettivita’ o da terzi (cfr. Cass. 26 gennaio 2018, n. 2039; Cass. 25 luglio 2013, n. 18082; sulla risarcibilita’ del danno non patrimoniale, cfr. Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972);
– la distinzione delle diverse voci risarcitorie si impone non solo per esigenze di una loro corretta qualificazione, ma anche per evitare il rischio di duplicazione delle poste risarcitorie;
– va, infatti, scongiurato il pericolo che la generica allegazione della lesione dell’immagine e del prestigio imprenditoriale dia luogo al riconoscimento di poste risarcitorie distinte, seppur relative al medesimo pregiudizio;
– tale pericolo appare particolarmente concreto in ragione della sottile linea di demarcazione tra danno morale da lesione alla reputazione e danno patrimoniale da discredito, da individuarsi, il primo, nel pregiudizio alla corretta identificazione del soggetto che ne e’ titolare nella sua comunita’ di riferimento e, il secondo, nel pregiudizio alla produttivita’ e al posizionamento sul mercato;
– la tutela risarcitoria per atti di concorrenza sleale va accordata anche con riferimento alla realizzazione di atti preparatori rispetto a quelli presi in considerazione dall’articolo 2598 c.c., avuto riguardo all’esigenza di prevenzione dell’illecito evidenziata dalla previsione del rimedio inibitorio, qualora sia dimostrata l’esistenza di un danno ad essa eziologicamente collegata;
– l’esecuzione di un’attivita’ prodromica – soprattutto se inequivocabilmente orientata alla realizzazione di condotte concorrenziali sleali – puo’, dunque, di per se’, assumere rilevanza ai fini risarcitori pur in assenza dell’effettivo compimento dell’atto ritenuto illecito, nei limiti in cui la stessa arrechi pregiudizio al concorrente;
– qualora, poi, come nel caso in esame, il pregiudizio riguardi l’immagine e l’apprezzamento che i consumatori nutrono per i prodotti commercializzati con un determinato segno distintivo, la vittima ha diritto al risarcimento non solo del danno emergente e del danno non patrimoniale, in presenza dei presupposti indicati in precedenza, ma anche del danno da lucro cessante, laddove la condotta illecita abbia determinato una contrazione dei suoi ricavi o, comunque, una incidenza sul relativo importo;
– da cio’ consegue che la decisione della Corte di appello, nella parte in cui ha ritenuto compatibile l’esistenza di un danno da lucro cessante con una condotta illecita confusoria realizzata mediante il compimento di soli atti prodromici (e in assenza, dunque, della commercializzazione dei relativi prodotti), non si pone in contrasto con le regole di diritto che presiedono alla liquidazione dei danni da concorrenza sleale;
– con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’articolo 125 cod. prop. ind., articoli 1226 e 2697 c.c. e articoli 115 e 116 c.p.c., nella parte in cui la sentenza di appello, nel liquidare il lucro cessante secondo il criterio della royalty ragionevole, ha affermato che l’applicazione di tale criterio presupponeva la conoscenza del fatturato del contraffattore, ha attribuito rilevanza alla mancata esibizione da parte di quest’ultimo della documentazione oggetto dell’ordine di esibizione e all’intensita’ dell’elemento soggettivo e ha liquidato il danno in Euro 150.000,00 senza indicare le modalita’ di calcolo o, comunque, gli elementi posti a fondamento della liquidazione;
– il motivo e’ inammissibile;
– la censura muove da un’erronea interpretazione della sentenza, la quale, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente e come gia’ rilevato in questa sede, ha proceduto alla liquidazione del danno da lucro cessante non gia’ in applicazione del criterio del giusto prezzo del consenso, ma in via equitativa, ai sensi dell’articolo 2056 c.c.;
– la doglianza, dunque, si presenta priva della necessaria concludenza; – con l’ultimo motivo lamenta la violazione degli articoli 91 e segg. e articolo 112 c.p.c., per aver la sentenza impugnata omesso di compensare le spese processuali relative al primo grado di giudizio;
– anche questo motivo e’ inammissibile;
– in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e’ limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunita’ di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (cfr. Cass. 17 ottobre 2017, n. 24502; Cass. 31 marzo 2017, n. 8421; Cass. 19 giugno 2013, n. 15317);
– per le indicate considerazioni, pertanto, il ricorso non puo’ essere accolto;
– le spese processuali secondo il criterio della soccombenza che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimita’, che si liquidano in complessivi Euro 8.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, Euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

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