Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 26 febbraio 2016, n. 802

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8534 del 2015, proposto da:

So. Co. So. On., rappresentata e difesa dagli Avv. Ce. Ma., St. Ca., con domicilio eletto presso Ce. Ma. in Roma, piazza (…);

contro

Azienda Sanitaria Locale del Verbano Cusio Ossola, rappresentata e difesa dagli Avv. Pa. Sc., Ci. Pi., Ci. Me., con domicilio eletto presso Lu. Di Ra. in Roma, Via (…);

nei confronti di

Xe. Coop Soc. di (omissis), On. No. Co. So. On., Nu. As. So. Co. On., Co. So. El. Scs, Pu. Se. So. Co.;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. PIEMONTE – TORINO: SEZIONE I n. 01175/2015, resa tra le parti, concernente affidamento servizio per assistenza e supporto ad assistiti ricoverati presso Ho. Sa. Ro. – ris. danni

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Azienda Sanitaria Locale del Verbano Cusio Ossola;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2016 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti gli Avvocati Ce. Ma. e Lu. Di Ra. su delega di Pa. Sc.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

L’appellante ha partecipato alla procedura negoziata indetta dall’Azienda Sanitaria Locale del Verbano Cusio Ossola – ASL VCO – per l’affidamento del servizio di assistenza e supporto nei confronti degli assistiti ricoverati presso l’Ho. di Sa. Ro. in (omissis), riservata alle cooperative sociali, con durata annuale dal 1.12.2014 al 30.11.2015.

Ha quindi inviato alla stazione appaltante una dichiarazione del 20.3.2014 in cui, tra l’altro, ha affermato “di non trovarsi in alcuna delle situazioni per le quali è prevista l’esclusione dalla partecipazione ad appalti dall’art. 38 del D.Lgs. 163/2006 (…)”.

La cooperativa sociale è stata ammessa alla gara ed è risultata aggiudicataria avendo presentato l’offerta economicamente più vantaggiosa.

Con determinazione del 30.10.2014 n. 1300 la stazione appaltante le ha affidato il servizio. La cooperativa So. ha quindi iniziato a svolgerlo.

Nel febbraio del 2015 la stazione appaltante è venuta a conoscenza di un provvedimento di risoluzione contrattuale per gravi inadempienze, adottato nei confronti della cooperativa So. nel dicembre 2013 da parte del Comune di (omissis): l’Azienda Sanitaria ha chiesto quindi chiarimenti alla aggiudicataria che, con nota del 24 febbraio 2015, ha dichiarato l’insussistenza di qualsiasi errore professionale nello svolgimento dell’attività sociale, confermando l’intervenuta risoluzione contrattuale da parte del Comune di (omissis) disposta con determinazione n. 204 del 18 dicembre 2013 con riferimento all’appalto di gestione del Ce. Di. In. L’A.. La cooperativa sociale So. ha precisato, nella stessa nota, che detta determinazione, essendo del tutto disancorata dalla realtà, era stata impugnata presso il T.A.R. Lombardia e presso il Tribunale di Monza, e che i relativi giudizi erano ancora pendenti.

Ha dunque dichiarato che non vi sarebbe stata alcuna omessa informativa né si sarebbe verificato alcun errore professionale nello svolgimento del servizio.

Ciò nonostante l’Azienda Sanitaria – con provvedimento n. 358 del 19 marzo 2015 – ha disposto la risoluzione contrattuale a decorrere dal 1° maggio 2015, rilevando che “la risoluzione è stata disposta in relazione alla mancata segnalazione da parte di codesta spett. ditta, nell’ambito della procedura che aveva condotto all’aggiudicazione e così come richiesto dall’art. 38, comma 1 lett. f) D.Lgs. 163/06, di precedente e recente risoluzione contrattuale per inadempimento da parte di altro ente pubblico (Comune di (omissis)), pregiudicando la scrivente ASL di importantissimo elemento di valutazione circa il possesso dei requisiti di ammissibilità alla partecipazione alla gara”.

A detto atto ha fatto seguito l’aggiudicazione della gara e l’affidamento del servizio alla Cooperativa Sociale Xe. disposta con la medesima determinazione n. 358 del 19 marzo 2015.

Con due separati ricorsi la Cooperativa So. ha impugnato la risoluzione contrattuale e l’aggiudicazione del servizio a favore della controinteressata Cooperativa Xe..

A sostegno della propria impugnazione ha dedotto, in estrema sintesi, nel primo ricorso R.G. 470/15, le censure di violazione ed errata applicazione dell’art. 38 comma 1 lett. f) del D.Lgs. 163/06, di violazione del suo affidamento incolpevole, di eccesso di potere per carenza e contraddittorietà della motivazione e per difetto di istruttoria.

Nel secondo ricorso giurisdizionale, R.G. 497/2015, ha invece dedotto le censure di violazione dell’art. 79 comma 5 del D.Lgs. n. 163/06, di violazione di errata applicazione dell’art. 38 sopra citato, reiterando anche la censura di violazione dell’affidamento incolpevole e di carenza di istruttoria e di motivazione, deducendo inoltre le censure di eccesso di potere in relazione all’art. 7, art. 21 quinquies, octies e novies della L. 241/90, in riferimento all’atto presupposto di risoluzione contrattuale, di violazione dell’art. 11 del D.Lgs. 163/06 e di violazione dell’art. 140 dello stesso decreto.

Con la sentenza appellata il T.A.R. Piemonte ha riunito i ricorsi respingendo il primo di essi (RG 470/2015) e parte del secondo (RG. 497/2015) che per il resto è stato dichiarato inammissibile.

La stazione appaltante ha quindi comunicato alla So. che, in esecuzione della pronuncia del T.A.R. Piemonte, il contratto sarebbe cessato alla data del 31 luglio 2015.

Con il ricorso in appello la Cooperativa So. ha censurato la sentenza di primo grado sotto diversi profili, chiedendone la riforma.

Si sono costituite nel giudizio di appello sia l’Azienda Sanitaria Locale – ASL VCO che la Cooperativa sociale Xe. che è subentrata nello svolgimento del servizio.

Entrambe hanno depositato scritti difensivi nei quali hanno chiesto il rigetto dell’impugnazione.

Anche l’appellante ha depositato in data 31 dicembre 2015 una memoria nella quale ha insistito nelle proprie tesi difensive.

All’udienza pubblica del 14 gennaio 2016 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Come già rilevato in punto di fatto, la sentenza impugnata – dopo aver riunito i ricorsi R.G. 470/2014 relativo alla risoluzione contrattuale, e R.G. 497/2015 relativo all’affidamento del servizio alla controinteressata – ha respinto il primo ed ha in parte respinto ed in parte dichiarato inammissibile il secondo ricorso.

Il primo giudice ha ritenuta legittima la “risoluzione” del contratto (da qualificarsi più correttamente come annullamento dell’aggiudicazione e conseguente caducazione del contratto) a causa dell’omessa segnalazione da parte dell’impresa aggiudicataria di una precedente risoluzione contrattuale (avvenuta solo tre mesi prima) con il Comune di (omissis). Ha ritenuto il primo giudice che: “La suddetta determinazione della Stazione appaltante appare corretta e legittima alla luce della più recente giurisprudenza amministrativa per cui l’art. 38 comma 1 lett. f) del d.lgs. n. 163 del 2006 impone, a pena di esclusione, la dichiarazione di pregresse risoluzioni contrattuali, anche se relative ad appalti affidati da altre stazioni appaltanti e richiede che a detta dichiarazione in ogni caso l’offerente provveda per spettare all’Amministrazione la valutazione caso per caso della gravità dell’errore professionale, con esclusione di qualsiasi filtro del concorrente in sede di domanda di partecipazione. E ciò senza che sia necessario, peraltro, che le pregresse infrazioni siano state oggetto di accertamento in sede giurisdizionale, essendo sufficiente il verificarsi del fatto storico della risoluzione del contratto per essere richiesta una simile condizione (…) e senza che rilevi neppure “l’insussistente annotazione del fatto nel casellario informatico di cui all’art. 7 comma 10 del d.lgs. n. 163 del 2006” (…).Ha poi aggiunto il primo giudice che: “l’art. 38 comma 1 lettera f) prescrive ai concorrenti un adempimento doveroso, quello di comunicare alla Stazione appaltante tutte le risoluzioni per errore grave nell’esercizio dell’attività professionale intervenute nei rapporti con la p.a., comprese quelle con Amministrazioni diverse da quella che ha bandito la gara (…). La violazione di tale preciso obbligo stabilito direttamente dalla legge, consistendo non in una semplice omissione, ma in una dichiarazione non veritiera (quella di non trovarsi nelle situazioni previste dall’art. 38 comma 1 lettera f), ricorrenti, invece, nel caso di specie) non risulta emendabile con il soccorso istruttorio, né riconducibile ad un errore scusabile determinato dall’ambiguità del bando o del modulo allegato e non può che condurre, per diretta applicazione dell’art. 46 comma 1 bis del d.lgs. n. 163/2006, all’esclusione dalla gara (o come nell’ipotesi de qua, alla risoluzione del rapporto contrattuale per annullamento in autotutela, in realtà, dell’aggiudicazione)”.

Avverso detto capo di sentenza l’appellante ha dedotto con il primo motivo di impugnazione la seguente censura:

1. Violazione ed erronea interpretazione dell’art. 38, comma 1 lett. f) del D.Lgs. n. 163/06, violazione dell’art. 45 della Direttiva n. 2004/18/CE, violazione degli artt. 49 e 56 TFUE. Illogicità, violazione del principio di proporzionalità, libera concorrenza, imparzialità, disparità di trattamento, contraddittorietà, travisamento dei fatti.

Lamenta l’appellante l’erronea applicazione dell’art. 38 comma 1 lett. f) del D.Lgs. 163/06, rilevando che l’orientamento giurisprudenziale seguito dal T.A.R. si sarebbe affermato successivamente all’indizione della gara (marzo 2014): a quell’epoca, quando fu resa la dichiarazione, la giurisprudenza del T.A.R. Piemonte era ferma nel prevedere che la causa di esclusione in questione potesse trovare applicazione solo in caso di negligenza, malafede o gravi errori commessi nell’esecuzione di prestazioni affidate dalla medesima stazione appaltante.

Pertanto, la sua erronea dichiarazione dovrebbe ritenersi incolpevole in considerazione del contrasto giurisprudenziale e della poca chiarezza della disposizione normativa: l’errore sarebbe dunque scusabile, trattandosi di una risoluzione contrattuale intervenuta quasi due anni prima.

Ha poi sostenuto la correttezza del precedente orientamento giurisprudenziale, secondo cui l’esclusione potrebbe disporsi solo in caso di negligenza, mala fede o gravi errori commessi nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla medesima stazione appaltante: in questo modo sarebbero rispettati i principi comunitari e nazionali della massima partecipazione alle procedure di gara e di tutela della libera concorrenza, evitando il rischio che le imprese possano essere escluse dalle gare sulla base della sola deliberazione unilaterale di una qualsiasi stazione appaltante, in mancanza di una tipizzazione dei parametri ai quali ancorare il giudizio di “gravità” che comporta l’incapacità a contrarre con la P.A.; ha rilevato, infine, che – nel caso di specie – non vi sarebbe stato neppure “un grave errore” non ricorrendo quindi il presupposto previsto dalla legge.

Ha poi dedotto che l’interpretazione seguita dal primo giudice si porrebbe in contrasto con i principi comunitari, in quanto violerebbe i principi della libera concorrenza ostacolando la libera prestazione dei servizi.

Con il successivo motivo ha invece dedotto la seguente censura:

2. Erroneità della sentenza per erronea e/o illogica motivazione e travisamento dei fatti.

Deduce l’appellante che il primo giudice avrebbe respinto le censure di difetto di motivazione e di carenza di istruttoria senza una specifica motivazione laddove, invece, il provvedimento impugnato sarebbe stato affetto dai suddetti vizi, in quanto la stazione appaltante avrebbe illegittimamente adottato un’esclusione automatica senza giudicare – in concreto – se sussisteva la gravità dell’inadempimento ai fini della valutazione dell’affidabilità dell’impresa.

Le censure possono essere esaminate congiuntamente.

Con riferimento al primo motivo, la difesa della ASL VCO, ha rilevato l’inammissibilità del profilo di censura diretto a sostenere la scusabilità dell’errore per l’affidamento ingenerato dalla giurisprudenza del giudice territoriale, in quanto proposto per la prima volta in appello.

L’eccezione è fondata.

Correttamente la difesa dell’appellata ha rilevato che con i ricorsi di primo grado la scusabilità dell’errore è stata ancorata a parametri diversi, quali le previsioni contenute nel capitolato o l’omessa segnalazione nel casellario informatico (profili sui quali il T.A.R. si è espressamente pronunciato e che non sono stati riproposti in appello, censurando il relativo capo di sentenza), mentre la censura proposta in sede di appello si appalesa diversa, e dunque nuova e come tale inammissibile, stante il divieto dello ius novorum in appello, perché si riferisce alla scusabilità dell’errore a causa del contrasto giurisprudenziale.

Per le stesse ragioni deve ritenersi inammissibile la censura di violazione dei principi comunitari a tutela del principio del favor partecipationis, non dedotta in primo grado, come correttamente rilevato dalla difesa dell’appellata.

Sgombrato il campo dalle eccezioni preliminari, è possibile procedere alla disamina del primo motivo.

Occorre partire dalla corretta interpretazione dell’art. 38 comma 1 lett. f) del D.Lgs. n. 163/06 come delineata dalla giurisprudenza più recente.

L’art. 38, co. 1, lett. f), D.Lgs. n. 163/2006 impone l’esclusione dei partecipanti alle procedure di evidenza pubblica, oltre che il divieto di stipula contrattuale, a carico delle ditte “che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante”.

La più recente giurisprudenza impone ai concorrenti di “dichiarare ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. f), del D.Lgs. n. 163 del 2006 la sussistenza di pregresse risoluzioni contrattuali anche a prescindere dalla stazione appaltante, “la stessa” presso la quale si svolge il procedimento di scelta del contraente, “o altra”, posto che ciò “attiene ai princípi di lealtà e affidabilità contrattuale e professionale che presiedono agli appalti e ai rapporti con la stazione stessa, né si rilevano validi motivi per non effettuare tale dichiarazione, posto che spetta comunque all’amministrazione la valutazione dell’errore grave che può essere accertato con qualunque mezzo di prova” (così, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 5 maggio 2014 n. 2289; Sez. III, 7 giugno 2013 n. 3123; Cons. Stato Sez. V, Sent., 11/12/2014, n. 6105)

Detti principi sono stati affermati anche da questa Sezione che ha rilevato, inoltre, che “la funzione della disposizione in esame è quella di garantire la possibilità per l’Amministrazione di scegliere l’aggiudicataria tra le ditte concorrenti che forniscono le maggiori garanzie di affidabilità e correttezza. È allora ragionevole che il legislatore imponga – si ribadisce, a pena di esclusione e con divieto di stipulazione del contratto d’appalto – quantomeno di dichiarare alla stazione appaltante l’avvenuta risoluzione per grave inadempienza di precedenti rapporti contrattuali con altri enti pubblici, così da consentirle di svolgere le opportune verifiche”(cfr. Cons. Stato Sez. III 5/5/2014 n. 2289; cfr., inoltre, Cons. St., Sez. V, n. 5763/2014; Sez. V, 21.11.2014, n. 5763).

La norma quindi prevede l’obbligo di dichiarazione – in sede di presentazione della domanda di partecipazione alla gara – della pregressa risoluzione contrattuale, anche se adottata da un’altra stazione appaltante, al fine di consentire alla nuova stazione appaltante di svolgere le necessarie verifiche sull’affidabilità della concorrente.

Nel caso di specie, invece, l’appellante, pur essendo pienamente consapevole dell’intervenuta risoluzione di un precedente contratto stipulato con il Comune di (omissis) per gravi inadempienze nell’esecuzione, ha omesso di dichiararlo, giungendo ad attestare l’assoluta assenza di errori professionali commessi nell’espletamento di altri servizi. Detta condotta – a prescindere dagli effetti connessi alla falsità della dichiarazione – rileva come sintomo di inaffidabilità dell’impresa, che ha tenuto nascosto alla stazione appaltante un elemento essenziale che avrebbe dovuto essere sottoposto alla sua valutazione, avendola privata “di un importantissimo elemento di valutazione circa il possesso dei requisiti di ammissibilità alla partecipazione alla gara”, come dichiarato dalla stazione appaltante nel provvedimento impugnato.

Né può ritenersi – al di là dei profili di inammissibilità già rilevati – che potesse sussistere l’affidamento della cooperativa So. fondatosi sulla giurisprudenza del giudice territoriale, perché ciò che rileva è la norma e non la sua erronea interpretazione in sede giurisdizionale, tanto più che già nel 2013 e nel 2014 la giurisprudenza di appello si era ripetutamente espressa in senso contrario alla tesi sostenuta dal T.A.R. Piemonte, e nell’incertezza interpretativa l’onere di diligenza e di prudenza gravante sulla concorrente in sede di partecipazione alla gara, avrebbe dovuto indurla a rendere edotta la stazione appaltante della precedente risoluzione, al fine di evitare possibili esclusioni.

In altre parole, se la concorrente avesse improntato la propria condotta a buona fede e diligenza, non avrebbe omesso di rendere la dovuta dichiarazione: ciò comporta l’impossibilità di riconoscere la scusabilità dell’errore che presuppone – per l’appunto – la non imputabilità a colpa dell’erronea dichiarazione.

Quanto alla tesi sostenuta dall’appellante – che richiama la giurisprudenza più risalente – nella quale si lamentano gli effetti “perversi” della “nuova” interpretazione della norma (indeterminatezza dei parametri di valutazione della gravità dell’errore, esclusione conseguente a decisioni di una diversa stazione appaltante, lesione dei principi della libera concorrenza di derivazione comunitaria), è sufficiente rilevare quanto al profilo comunitario (la cui censura già dichiarata inammissibile, viene comunque esaminata per compiutezza espositiva) che “il vigente d.lgs. n. 163 del 2006 si presenta come fonte di recepimento della disciplina comunitaria e si propone di armonizzare la disciplina dei lavori pubblici con quella degli altri settori. L’art. 38, comma 1, lett. f), di esso d.lgs. deve essere quindi interpretato in modo coerente con le indicazioni desumibili dall’art. 45, par. 2, lett. d), della Direttiva 31 marzo 2004 n. 2004/18/CE, che consente l’esclusione di ogni operatore economico “che, nell’esercizio della propria attività professionale, abbia commesso un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova dall’amministrazione aggiudicatrice”. Poiché tale formula corrisponde a quella della seconda parte del citato art. 38, comma lett. f), d.lgs., deve ritenersi che in via generale la normativa comunitaria consenta di qualificare come ostativo qualsiasi episodio di errore che caratterizzi la storia professionale degli aspiranti concorrenti, purché sia abbastanza grave da metterne in dubbio l’affidabilità. La norma nazionale vigente riproduce quella comunitaria e di conseguenza rende rilevanti tutti gli errori professionali commessi. Tanto esclude la condivisibilità della tesi della appellante che non sarebbero compatibili con detta Direttiva l’ampiezza ed indeterminatezza della previsione di cui a detto art. 38, nonché le modalità di esplicazione della stessa ed il potere discrezionale riconosciuto alla s.a. al riguardo, essendo la norma comunitaria di eguale ampiezza rispetto a quella attuativa ed atteso che tale ampiezza appare inidonea a comportare alcuna violazione dei principi comunitari e nazionali posti a presidio del favor partecipationis, nonché del diritto alla iniziativa economica costituzionalmente garantito (…)” (Cons. St., Sez. V, 20.11.2015, n. 5299).

Sotto gli ulteriori profili occorre considerare che la norma consente la valutazione in merito alla gravità dell’errore professionale da parte della stazione appaltante (e dunque non comporta automaticamente il recepimento di quanto ritenuto da una diversa stazione appaltante): nel caso di specie, però, l’appellante non solo non ha reso edotta la ASL VCO della precedente risoluzione per gravi inadempienze nell’esecuzione delle prestazioni, ma non le ha consentito nemmeno successivamente – in sede di chiarimenti – di valutare le circostanze di fatto che avevano indotto il Comune di (omissis) a decretare la risoluzione contrattuale, essendosi limitata a rilevare – nella nota del 24 febbraio 2015 – che detta determinazione unilaterale sarebbe stata “totalmente disancorata dalla realtà” e sarebbe stata impugnata, senza fornire giustificazioni sulla propria condotta, non consentendo quindi alla stazione appaltante di poter svolgere quelle valutazioni delle quali lamenta in giudizio la mancanza.

Pertanto – alla stregua di detti principi – le dedotte censure di difetto di motivazione e di istruttoria perdono di consistenza.

Infine non può non convenirsi con il primo giudice che la violazione dell’obbligo di dichiarazione discendente dalla legge non risulta emendabile con il soccorso istruttorio, ma conduce per diretta applicazione dell’art. 46 comma 1 bis del D.Lgs. n. 163/06 all’esclusione dalla gara e dunque alla risoluzione del rapporto contrattuale per annullamento in autotutela dell’aggiudicazione, come avvenuto nel caso di specie.

Ne consegue l’infondatezza anche del secondo motivo di impugnazione e la conseguente reiezione dell’appello avverso il capo di sentenza che ha respinto il ricorso R.G. n. 470/2015.

Con il terzo motivo di appello l’appellante ha dedotto la seguente censura:

3) Violazione e/o errata applicazione delle norme e dei principi in tema di interesse alla proposizione del ricorso giurisdizionale, travisamento, falso supposto, illogicità.

Ha censurato l’appellante il capo di sentenza con il quale il primo giudice ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso l’affidamento del servizio alla cooperativa Xe. (RG. 497/15), sostenendo che la risoluzione contrattuale è stata disposta con determinazione n. 358 del 19 marzo 2015 a far data dal maggio 2015 (poi prorogato al 31 luglio 2015) e che con la stessa determinazione il servizio è stato affidato alla seconda classificata cooperativa Xe.: il soggetto illegittimamente estromesso dall’appalto durante l’espletamento del servizio avrebbe interesse a contrastare l’atto che ha formalizzato la sua estromissione affidando il servizio ad altri.

Nella memoria difensiva la Cooperativa So. ha rilevato, inoltre, che l’interesse può sussistere anche solo sotto l’aspetto morale, strumentale o potenziale.

Sebbene possa convenirsi con l’appellante che al momento della proposizione del ricorso di primo grado sussistesse l’interesse all’impugnativa del provvedimento di affidamento del servizio alla controinteressata, nondimeno – una volta accertata la legittimità dell’annullamento dell’aggiudicazione (e dunque della risoluzione contrattuale) -, l’appellante non vanta alcun interesse a contestare detta aggiudicazione, non potendo più conseguire lo svolgimento del servizio a causa della pregressa legittima esclusione, e non potendo vantare un interesse strumentale alla ripetizione della gara tenuto conto della pluralità dei partecipanti, come risulta dagli atti di gara.

L’annullamento dell’aggiudicazione a favore della controinteressata, infatti, non comporterebbe la riedizione della gara, ma lo scorrimento della graduatoria a vantaggio di terzi. Inoltre l’oggetto dell’impugnazione rende improponibile la tutela di un interesse morale.

Ne consegue che il ricorso avverso l’affidamento del servizio alla controinteressata deve essere dichiarato improcedibile.

Infine, per compiutezza espositiva deve essere dichiarata inammissibile anche la domanda risarcitoria, in quanto proposta per la prima volta in appello.

In conclusione, per i suesposti motivi l’appello deve essere respinto.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,

lo respinge.

Condanna l’appellante a rifondere alle appellate le spese di lite che liquida in complessivi € 2.000,00 (duemila/00) ciascuna, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Marco Lipari – Presidente

Carlo Deodato – Consigliere

Salvatore Cacace – Consigliere

Pierfrancesco Ungari – Consigliere

Stefania Santoleri – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 26 febbraio 2016.

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