Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 5 luglio 2016, n. 2999

In relazione all’esercizio dei relativi poteri discrezionali, l’art. 39 del DPR 773/1931 attribuisce alla Prefettura il potere di vietare la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti a chi chieda il rilascio di una autorizzazione di polizia o ne sia titolare, quando sia riscontrabile una capacità “di abusarne”, mentre l’art. 43 consente alla competente autorità – in sede di rilascio o di ritiro dei titoli abilitativi – di valutare non solo tale capacità di abuso, ma anche – in alternativa – l’assenza di una buona condotta, per la commissione di fatti, pure se estranei alla gestione delle armi, munizioni e materie esplodenti, ma che comunque non rendano meritevoli di ottenere o di mantenere la licenza di polizia

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 5 luglio 2016, n. 2999

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1199 del 2015, proposto dal Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, alla via (…);
contro
Il signor Sa. Na., non costituitosi nel secondo grado del giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, Sez. I, n. 2677/2014, resa tra le parti, concernente un diniego di rinnovo del porto di fucile per uso caccia;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 giugno 2016 il pres. Luigi Maruotti e udito l’avvocato dello Stato At. Ba.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con l’atto del 13 maggio 2009, il Questore di Lecce ha respinto l’istanza dell’appellato, volto ad ottenere il rinnovo di una licenza di porto di fucile per uso caccia.
Con il successivo atto del 23 maggio 2009, il Prefetto di Lecce ha disposto nei suoi confronti il divieto di detenzione di armi e munizioni, ai sensi dell’art. 39 del testo unico approvato con il regio decreto n. 773 del 1931.
A fondamento dei loro atti, il Questore ed il Prefetto hanno rilevato che:
– nel Comune di Squinzano, in distinte abitazioni, risiedono l’appellato e suo padre, il quale è stato condannato alla pena di 3 anni di reclusione per detenzione illegale di armi (anche da guerra), aggravata ai sensi dell’art. 7 del decreto legge n. 152 del 1991, come convertito nella legge n. 203 del 1001, ed è stato denunciato per il delitto di partecipazione ad una associazione a delinquere di stampo mafioso;
– l’appellato ha “stretti legami di lavoro con la famiglia di origine, collaborando nell’azienda agricola di famiglia, e quindi col padre”;
– vi è il concreto rischio che possa esservi un abuso nell’utilizzo dell’arma.
2. Col ricorso di primo grado n. 1266 del 2009 (proposto al TAR per la Puglia, Sezione staccata di Lecce), l’interessato ha impugnato i provvedimenti emessi dal Questore e dal Prefetto, lamentandone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere.
3. Il TAR, con la sentenza n. 2677 del 2014, ha accolto il ricorso ed ha annullato gli atti impugnati, ritenendo inadeguata la loro motivazione.
3. Con l’appello in esame, il Ministero dell’Interno ha chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, il ricorso di primo grado sia respinto.
L’Amministrazione appellante ha ricostruito i fatti emersi in sede amministrativa, ha richiamato i consolidati principi affermati dalla giurisprudenza in ordine all’ambito di applicazione degli articoli 39 e 43 del testo unico n. 773 del 1931 ed ha dedotto che il Questore ed il Prefetto hanno ragionevolmente ritenuto come i fatti riscontrati siano da considerare tali da giustificare una valutazione di mancato affidamento di non abusare delle armi.
4. Ritiene la Sezione che l’appello sia fondato e vada accolto.
4.1. Per comodità di lettura, va riportato il contenuto degli articoli 11, 39 e 43 del testo unico n. 773 del 1931.
L’art. 11 dispone che “Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate:
1) a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione;
2) a chi è sottoposto all’ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.
Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all’autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta.
Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione”.
L’art. 39 dispone che “Il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell’articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne”.
L’art. 43 dispone che “oltre a quanto è stabilito dall’art. 11 non può essere conceduta la licenza di portare armi:
a) a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione;
b) a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all’autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico;
c) a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi.
La licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi”.
Da tale quadro normativo, emerge che il legislatore ha individuato i casi in cui l’Autorità amministrativa è titolare di poteri strettamente vincolati (ai sensi dell’art. 11, primo comma e terzo comma, prima parte, e dell’art. 43, primo comma, che impongono il divieto di rilascio di autorizzazioni di polizia ovvero il loro ritiro) e quelli in cui, invece, è titolare di poteri discrezionali (ai sensi dell’art. 11, secondo comma e terzo comma, seconda parte, e dell’art. 39 e 43, secondo comma).
In relazione all’esercizio dei relativi poteri discrezionali, l’art. 39 attribuisce alla Prefettura il potere di vietare la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti a chi chieda il rilascio di una autorizzazione di polizia o ne sia titolare, quando sia riscontrabile una capacità “di abusarne”, mentre l’art. 43 consente alla competente autorità – in sede di rilascio o di ritiro dei titoli abilitativi – di valutare non solo tale capacità di abuso, ma anche – in alternativa – l’assenza di una buona condotta, per la commissione di fatti, pure se estranei alla gestione delle armi, munizioni e materie esplodenti, ma che comunque non rendano meritevoli di ottenere o di mantenere la licenza di polizia (non occorrendo al riguardo un giudizio di pericolosità sociale dell’interessato: Cons. Stato, Sez. III, 1° agosto 2014, n. 4121; Sez. III, 12 giugno 2014, n. 2987).
4.2. Nella specie, ritiene la Sezione che, come ha dedotto l’atto di appello, i provvedimenti impugnati in primo grado non siano affetti dal vizio rilevato dal TAR.
Il Questore ed il Prefetto hanno emesso il proprio provvedimento, in applicazione degli articoli 43 e 39 del testo unico, sulla base delle risultanze istruttorie, da cui è emerso che:
– l’appellato svolge la propria attività lavorativa presso l’azienda agricola di famiglia, unitamente al padre (condannato alla pena di 3 anni di reclusione per detenzione illegale di armi, anche da guerra, aggravata ai sensi dell’art. 7 del decreto legge n. 152 del 1991, come convertito nella legge n. 203 del 1001, ed è stato denunciato per il delitto di partecipazione ad una associazione a delinquere di stampo mafioso);
– l’appellato e suo padre vivono nello stesso Comune, sia pure in abitazioni diverse.
Al riguardo, la Sezione ritiene di ribadire il proprio orientamento (cfr., Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1693) secondo il quale l’Autorità di polizia può ragionevolmente disporre il divieto di detenere armi, ovvero la revoca di una licenza o il diniego del suo rinnovo, quando il suo titolare sia un congiunto di un appartenente alla criminalità organizzata (ovvero comunque abbia collegamenti con essa) e abbia consueti rapporti con questi, ovvero ne sia anche saltuariamente convivente.
Si può senz’altro ritenere sussistente un pericolo di abuso, quando il titolare di una licenza abbia frequenti contatti con un appartenente alla criminalità organizzata (ovvero comunque abbia collegamenti con essa), poiché il legame familiare e la frequentazione abituale comportano reciproci condizionamenti o tolleranze.
Non occorre al riguardo uno specifico giudizio di pericolosità sociale del destinatario del provvedimento, poiché ciò che conta – in tali circostanze – è il pericolo in sé che vi siano occasioni per l’utilizzo indebito dell’arma.
5. Per le ragioni che precedono, l’appello va accolto e, in riforma della sentenza appellata, va respinto il ricorso di primo grado n. 1266 del 2009, perché manifestamente infondato.
La condanna al pagamento delle spese e degli onorari dei due gradi segue la soccombenza. Di essa è fatta liquidazione nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Terza) accoglie l’appello n. 1199 del 2015 e, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso n. 1266 del 2009.
Condanna l’appellato al pagamento di euro 6.000 (seimila) in favore del Ministero dell’Interno, per le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio, di cui euro 2.000 per il primo grado ed euro 4.000 per il secondo grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, nella camera di consiglio del giorno 23 giugno 2016, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente, Estensore
Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere
Giulio Veltri – Consigliere
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere
Depositata in Segreteria il 05 luglio 2016.

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