Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 7 luglio 2017, n. 3356

La misura dell’interdittiva antimafia deve essere emessa dall’Amministrazione in una logica di anticipazione della soglia di difesa dell’ordine pubblico economico e non postula, come tale, l’accertamento in sede penale di uno o più reati che attestino il collegamento o la contiguità dell’impresa con associazioni di tipo mafioso, potendo basarsi anche sul solo rilievo di elementi sintomatici che dimostrino il concreto pericolo di infiltrazioni della criminalità organizzata

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 7 luglio 2017, n. 3356

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 87 del 2017, proposto da:

Ufficio Territoriale del Governo Foggia, Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (…);

contro

Società Cooperativa Sociale Sa. Se., in persona del legale rappresentante p.t., Pa. Be., Da. To., rappresentati e difesi dagli avvocati An. Mo., Vi. Tr., con domicilio eletto presso lo studio Al. Pl. in Roma, via (…);

Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Vi., con domicilio eletto presso lo studio Al. Pl. in Roma, via (…);

per la riforma della sentenza in forma semplificata, del T.A.R. per la PUGLIA – sede di BARI: SEZIONE II, n. 00702/2016, resa tra le parti, concernente informativa antimafia.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Società Cooperativa Sociale Sa. Se. ed altri;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 giugno 2017 il Cons. Sergio Fina e uditi per le parti gli avvocati An. Mo., Gi. Vi. e l’avvocato dello Stato At. Ba.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

E’ impugnata dal Ministero dell’Interno, la sentenza del Tar Puglia – n. 702/2016, con la quale era stato accolto, per asserito difetto di istruttoria e carenza di motivazione, il ricorso, proposto dall’interessata, avverso provvedimento d’informativa antimafia ex art. 91 D.lgs. n. 159/2011, emesso dall’UTG – Prefettura di Foggia e il conseguente provvedimento di revoca dell’autorizzazione comunale all’esercizio della Residenza Socio – assistenziale per anziani “Vi. Sa. Ma. di Pu.”, gestita dalla Cooperativa appellata.

Con l’appello in esame, si lamenta, mediante un unico – articolato – profilo d’impugnazione, l’erronea valutazione, da parte del TAR, delle convergenti risultanze istruttorie, in ordine al concreto rischio di condizionamento della cooperativa, da parte della criminalità organizzata.

Espone l’Avvocatura dello Stato, dopo aver richiamato i noti e consolidati orientamenti giurisprudenziali generali in materia di informative antimafia, che, anzitutto, il Tar ha considerato, quale elemento del tutto irrilevante, lo scioglimento del Consiglio Comunale di Monte Sant’Angelo per infiltrazione mafiosa, mentre tale aspetto risultava di assoluta rilevanza ai fini della esatta comprensione del contesto ambientale, gravemente compromesso, in cui operavano i soggetti coinvolti nella vicenda di cui si discute, anche alla luce dello stretto rapporto tra l’amministrazione comunale e l’area di attività della cooperativa ricorrente in primo grado.

L’appellante aggiunge che, all’epoca delle indagini poste a base della contestata informativa prefettizia, esistevano legami certi tra la Cooperativa appellata e il clan “Li Bergolis”, notoriamente implicato nell’attività tipica della criminalità organizzata operante in quell’ambito socio-economico. Tali legami emergevano da molteplici indici, ma andavano desunti soprattutto dalla circostanza dell’assunzione di alcune dipendenti, collegate, sia pure indirettamente, al predetto sodalizio criminale. Queste ultime circostanze, pure di evidente risalto, non erano state adeguatamente apprezzate dal Tar, sulla base di un’asserita mancanza di precedenti penali, relativi a tali persone. Ma l’incensuratezza di tali soggetti non avrebbe potuto elidere l’evidenza del collegamento con il menzionato sodalizio criminale.

Rileva, inoltre, l’amministrazione appellante, come la formale regolarità della gestione economica della Residenza per Anziani, condotta dalla Cooperativa non costituisca, diversamente da quanto evidenziato dal Tar, un indice di trasparenza o di assenza di infiltrazioni mafiose e così anche, come l’assenza di anomalie nelle predette assunzioni e nei flussi finanziari della struttura assistenziale, non sia significativa ai fini della decisione sulle questioni, oggetto della controversia.

A dire dell’Avvocatura Generale, infatti, il presupposto del provvedimento prefettizio non è costituito dalla ipotizzata irregolarità della gestione finanziaria del soggetto destinatario del provvedimento prefettizio, bensì dal riscontro oggettivo del pericolo concreto di infiltrazioni di tipo mafioso. Questo rischio è presente, talvolta in modo ancora più significativo, in imprese che, dal punto di vista meramente contabile ed economico, possono apparire “in regola”.

Conclude affermando la sostanziale sovrapponibilità delle situazioni accertate, anche alla società “Ma. Se.”, di cui sono soci al 50%, il Da. To. e il Pa. Be..

Resiste in giudizio l’appellata Cooperativa, contestando analiticamente tutte le argomentazioni avversarie, anche attraverso il richiamo alle difese spiegate in primo grado, e concludendo per il rigetto dell’impugnazione.

Il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio, aderendo alle tesi dell’amministrazione appellante.

L’appello è fondato, per le ragioni di seguito esposte.

Ritiene preliminarmente il Collegio, di dover richiamare, in primo luogo, l’indirizzo più volte affermato anche da questa Sezione, secondo il quale la misura dell’interdittiva antimafia deve essere emessa dall’Amministrazione in una logica di anticipazione della soglia di difesa dell’ordine pubblico economico e non postula, come tale, l’accertamento in sede penale di uno o più reati che attestino il collegamento o la contiguità dell’impresa con associazioni di tipo mafioso, potendo basarsi anche sul solo rilievo di elementi sintomatici che dimostrino il concreto pericolo di infiltrazioni della criminalità organizzata (Si veda, per tutte: CdS sez III n. 4441/2014, seguita da numerose pronunce conformi).

Ciò posto, rileva il Collegio, che il contestato provvedimento d’informativa, appare emanato in conformità ai parametri valutativi sopra indicati ed è incentrato su una esauriente attività istruttoria, correttamente esposta nella motivazione dell’atto, che attribuisce un preciso significato ai singoli dati di fatto accertati.

Infatti, dall’insieme degli elementi raccolti dalla Prefettura, a cui si riporta l’Avvocatura dello Stato, emerge sia lo stretto collegamento tra il vicepresidente della Cooperativa appellata Da. To. (già vicepresidente del Consiglio Comunale di omissis) e Ma. Pe., persona contigua al clan dei “(omissis)”, riconducibile, a sua volta, alla cosca “Li Bergolis”, notoriamente riconducibile alla organizzazione malavitosa (omissis)”, sia il collegamento tra questi due soggetti e il Presidente della cooperativa Pa. Be..

Gli accertati vincoli non sono riconducibili a semplici incontri tra i soggetti, quanto, piuttosto, alla circostanza dell’assunzione nella cooperativa, delle compagne del “Pe.” (Fa. Sa.) e del Mi. En. (Ma. Sc.), quest’ultimo, esponente di spicco e di sicuro spessore criminale dello stesso clan (omissis)”.

Nella specie, entrambi i soggetti (Pe. e Me.) risultano essere stati tratti in arresto e sottoposti ad indagine di polizia giudiziaria, nell’ambito di varie importanti operazioni investigative. Il Meucci è stato poi condannato dalla Corte d’Appello di Bari, con sentenza del 25.01.2015, in quanto coinvolto nella latitanza del noto pregiudicato Gi. Pa..

Anche la Sc. (compagna del Mi. e dipendente dell’appellata cooperativa) è risultata a sua volta coinvolta nel procedimento penale n. 3243/011R.G. del Tribunale di Foggia, per il reato di favoreggiamento della latitanza del pregiudicato Li Be. Fr. e, inoltre, compare, insieme al predetto Me., nella richiesta di misure cautelari avanzata dalla D.D.A. di Bari.

Infine, non possono essere ritenuti irrilevanti, contrariamente a quanto affermato nella sentenza appellata, alcuni episodi di intimidazione subiti dalla cooperativa: episodi consistenti nella esplosione di vari colpi di arma da fuoco contro la saracinesca dei relativi locali adibiti ad uffici.

Si tratta di un fatto non episodico, indice anch’esso delle interferenze tra l’attività della Cooperativa e le vicende legate all’operato delle organizzazioni malavitose della zona.

Quanto, poi, ai riscontrati legami esistenti tra la cooperativa “Sa. Se.” e la società “Ma. Se.” S.R.L., va condiviso il rilievo dell’Avvocatura dello Stato, circa la correttezza del provvedimento prefettizio, il quale ha accuratamente evidenziato la sostanziale sovrapponibilità dei due soggetti e quindi della diretta comunicazione a quest’ultima di tutti gli elementi gravemente indiziari accertati, con precisione, nei confronti della prima.

In definitiva, il quadro indiziario valutato dall’Autorità prefettizia al momento dell’adozione dell’informativa di che trattasi si rivela, per l’effetto, sufficientemente analitico e puntuale.

I molteplici elementi indiziari raccolti dall’amministrazione dell’interno sono stati accuratamente ponderati e posti logicamente a supporto della determinazione prefettizia impugnata in primo grado.

Ne deriva che il motivo d’impugnazione deve ritenersi fondato e che pertanto l’appello deve essere accolto e per l’effetto in riforma della sentenza impugnata deve essere respinto il ricorso in primo grado.

Le spese dei due gradi, tenuto conto dell’andamento complessivo del giudizio, possono interamente compensarsi tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, respinge il ricorso in primo grado

Spese dei due gradi compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2017 con l’intervento dei magistrati:

Marco Lipari – Presidente

Francesco Bellomo – Consigliere

Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere

Sergio Fina – Consigliere, Estensore

Oswald Leitner – Consigliere

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