Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 11 luglio 2016, n. 3068

L’art. 1 comma 4 del d.m. 5 luglio 2012 (relativo al c.d. quinto conto energia) ha delimitato in modo chiaro l’ambito soggettivo degli incentivi in relazione a impianti fotovoltaici realizzati da “soggetti pubblici” (tale era la più generica indicazione contenuta nell’art. 11 lettera c) del d.m. 5 maggio 2011), precisando che essi si riferiscono “…c) agli impianti realizzati su edifici pubblici e su aree delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001…”. Orbene, la nozione di edifici pubblici non può essere intesa se non come riferita a edifici appartenenti ad amministrazioni pubbliche, sia in regime demaniale sia in regime patrimoniale (indisponibile o disponibile) e lo stesso dicasi per le aree pubbliche. Ne consegue che interventi realizzati su edifici che -ancorché qualificati come opere pubbliche ai fini della loro realizzazione e delle relative procedure espropriative- non rientrano in uno statuto proprietario pubblico non sono ammissibili al regime di incentivazione, a nulla rilevando che essi appartengano a società per azioni a prevalente capitale pubblico

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 11 luglio 2016, n. 3068

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6702 del 2015, proposto da:
L. So. On. S.r.l., con sede in (omissis), in persona dell’amministratore unico pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Ma. Re., Fr. Pe. Al.e Fr. Ve., e presso lo studio di quest’ultimo elettivamente domiciliata in Roma, alla via (…), per mandato a margine dell’appello;
contro
Gestore dei Servizi Energetici S.p.A., con sede in Roma, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Er. St. e Fa. Ga., e presso il loro studio elettivamente domiciliata in Roma, alla via (…), per mandato in calce all’atto di costituzione in giudizio;
nei confronti di
– In. Ce. de. Fr. S.p.A., con sede in (omissis), in persona del legale rappresentante pro-tempore, non costituita nel giudizio di primo grado;
– Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, in persona del Presidente pro-tempore della Giunta Regionale, già costituita nel giudizio di primo grado
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione III ter n. 13248 del 30 dicembre 2014, resa tra le parti, con cui è stato rigettato, con compensazione delle spese del giudizio, il ricorso in primo grado n. r. 12454/2013, proposto per l’annullamento del diniego di riconoscimento della tariffa incentivante per impianto fotovoltaico di potenza pari a 827,20 kW, identificato con il n. 810728, realizzato su lastrico solare dell’edificio denominato “magazzino nord” dell’Interporto di (omissis)
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di GSE – Gestore dei Servizi Energetici S.p.A.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 gennaio 2016 il Cons. Leonardo Spagnoletti e uditi l’avv. Di. Ma., per delega dell’avv. Re., per l’appellante e l’avv. Ga. per l’appellata;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

L. So. On. S.r.l., con sede in (omissis), con distinte istanze ha chiesto l’ammissione alla tariffa incentivante per tre impianti fotovoltaici, realizzati sul lastrico solare di altrettanti edifici del complesso dell’Interporto di (omissis), gestito da In. Ce. de. Fr. S.p.A., società a partecipazione pubblica maggioritaria della Regione Friuli Venezia Giulia, concessionaria della costruzione e gestione dell’infrastruttura (scambio intermodale trasporto merci da strada a ferrovia).
Con distinti provvedimenti le istanze sono state rigettate, in relazione alla circostanza che non si tratterebbe di impianti installati su “edifici pubblici”, secondo quanto richiesto e previsto dall’art. 1 comma 4 lettera c) del d.m. 5 luglio 2012 (quinto conto energia).
La società interessata ha impugnato ciascun diniego con il ricorso in primo grado, che è stato rigettato con la sentenza in epigrafe, per le ragioni di seguito sintetizzate:
a) gli impianti sono realizzati su edifici che non possono qualificarsi come pubblici, in quanto appartenenti a società a partecipazione pubblica, sia pure maggioritaria, non rientrante però tra i soggetti contemplati dall’art. 1 comma 2 d.lgs. n. 165/2001 (richiamato dall’art. 1 comma 4 lettera c) del d.m.);
b) non risulta, comunque, che le strutture dell’Interporto e le relative aree siano di proprietà regionale, o quantomeno diventino di proprietà regionale alla scadenza della concessione, nulla essendo previsto in tal senso dalla convenzione del 19 marzo 2008 stipulata tra In. Ce. de. Fr. S.p.A. e Regione Friuli Venezia Giulia;
2.) Con appello notificato il 2 luglio 1015 e depositato il 28 luglio 2015, L. So. On. S.r.l. -dichiarando di prestare acquiescenza al capo della sentenza relativo alla reiezione del quarto motivo del ricorso (incentrato sul rilievo che gli impianti in quanto c.d. piccoli erano comunque ammissibili all’incentivo a prescindere dalla condizione dell’installazione su edifici pubblici)-, censura la sentenza con tre distinti motivi, di seguito sintetizzati:
1) Sulla natura pubblica dell’edificio e sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 4 lettera c) del d.m. 5 luglio 2012 e dell’allegato 2 al d.m. 5 maggio 2011 e dell’art. 1 comma 1 lettera a) del d.P.R. n. 412/1993. Erroneità sotto vari profili.
Il riferimento ai soggetti ex art. 1 comma 2 d.lgs. n. 165/2001 riguarda i soli impianti su aree appartenenti ai medesimi, e non quelli realizzati su “edifici pubblici”; nella specie non potrebbe dubitarsi che si tratti di edifici pubblici stante la loro finalità pubblicistica, e la specifica indicazione quali opere pubbliche da parte di leggi regionali che hanno previsto la realizzazione dell’Interporto, il finanziamento dei relativi costi, mediante contributi in conto capitale e interessi sui mutui a contrarsi per la realizzazione, l’affidamento della costruzione e gestione a società a capitale pubblico regionale maggioritario.
Sulla titolarità regionale delle aree e violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 4 lettera c) del d.m. 5 luglio 2012. Erroneità sotto vari profili.
Ancorché la gestione sia affidata alla società e non sia espressamente previsto il trasferimento dell’infrastruttura alla Regione alla scadenza della concessione di gestione, deve ritenersi comunque che alla società sia affidata la sola utilizzazione delle infrastrutture, da considerare quindi sostanzialmente già regionali, e comunque è implicito che esse siano rimesse nella disponibilità della Regione alla scadenza della concessione.
Sulla natura giuridica della società Interporto e violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 4 lettera c) del d.m. 5 luglio 2012. Erroneità sotto vari profili.
In ogni caso la società Interporto è organismo di diritto pubblico e comunque ente pubblico non economico, perché non svolge attività a fini di lucro e in concorrenza con soggetti privati.
Con la memoria di costituzione in giudizio, depositata il 24 agosto 2015, G.S.E. ha dedotto l’inammissibilità dell’appello, perché meramente ripropositivo delle censure dedotte in primo grado, e, diffusamente, la sua infondatezza.
Con memoria difensiva depositata il 19 dicembre 2015 L. So. On. S.r.l. ha controdedotto ai rilievi svolti dall’appellata.
Con memorie difensiva e di replica, depositate rispettivamente il 21 dicembre e 31 dicembre 2015 G.S.E. S.p.A. ha a sua volta ribadito i propri assunti e controdedotto a quelli avversi.
All’udienza pubblica del 21 gennaio 2016 l’appello è stato discusso e riservato per la decisione.
L’appello in epigrafe è destituito di fondamento giuridico e deve essere rigettato, con la conferma della sentenza gravata.
L’art. 1 comma 4 del d.m. 5 luglio 2012 (relativo al c.d. quinto conto energia) ha delimitato in modo chiaro l’ambito soggettivo degli incentivi in relazione a impianti fotovoltaici realizzati da “soggetti pubblici” (tale era la più generica indicazione contenuta nell’art. 11 lettera c) del d.m. 5 maggio 2011), precisando che essi si riferiscono “…c) agli impianti realizzati su edifici pubblici e su aree delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001…”.
Orbene, la nozione di edifici pubblici non può essere intesa se non come riferita a edifici appartenenti ad amministrazioni pubbliche, sia in regime demaniale sia in regime patrimoniale (indisponibile o disponibile) e lo stesso dicasi per le aree pubbliche.
Ne consegue che interventi realizzati su edifici che -ancorché qualificati come opere pubbliche ai fini della loro realizzazione e delle relative procedure espropriative- non rientrano in uno statuto proprietario pubblico non sono ammissibili al regime di incentivazione, a nulla rilevando che essi appartengano a società per azioni a prevalente capitale pubblico (nella specie, in massima parte regionale).
E in effetti l’art. 1.1. delle regole applicative del 5° conto energia, dettate dal G.S.E., chiariscono con riferimento alla suddetta lettera c) che “…. gli edifici e le aree dove sono ubicati gli impianti devono essere di proprietà delle Amministrazioni pubbliche”.
Né in senso contrario può argomentarsi dalla successiva previsione secondo la quale, per gli impianti realizzati mediante procedure di evidenza pubblica si intendono quelli per i quali il soggetto responsabile dell’impianto deve essere un’amministrazione pubblica, per esse intendendosi “…tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli enti pubblici proprietari o gestori di patrimonio di edilizia residenziale pubblica, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, ai sensi dell’articolo 1, comma 2 del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165…”, con la indicazione che “gli enti pubblici economici e le società a regime privatistico, in qualsiasi misura partecipate o controllate da pubbliche amministrazioni, non rientrano nella definizione di amministrazioni pubbliche”.
Non può, infatti, immaginarsi, né sostenersi logicamente, che a fronte dell’unica e chiara indicazione del d.m. 5 luglio 2012, ossia di fonte normativa sovraordinata, le regole applicative abbiano potuto ampliare l’ambito soggettivo degli incentivi, assumendo una nozione di amministrazioni pubbliche singolarmente più ristretta nel caso in cui gli impianti siano realizzati attraverso procedure di evidenza pubblica e al contrario più ampia qualora siano oggetto di esecuzione diretta.
In altri termini, e pur non brillando per tecnica normativa, il complesso delle disposizioni richiamate delinea un ambito soggettivo univoco, nel senso che il regime d’incentivazione attiene esclusivamente agli impianti realizzati su edifici e aree pubbliche, e quindi appartenenti ad amministrazioni pubbliche (secondo dei casi al loro demanio o patrimonio), e non anche su edifici che, pur costituendo opere infrastrutturali, non abbiano tale connotazione.
Ne consegue che i rilievi svolti dal giudice amministrativo friulano sono corretti e condivisibili.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.
In conclusione, l’appello in epigrafe deve essere rigettato, con la conferma della sentenza gravata.
La novità della questione esegetica affrontata giustifica l’integrale compensazione tra le parti anche delle spese del giudizio d’appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) rigetta l’appello in epigrafe n. r. 6702 del 2015.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 gennaio 2016 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Sandro Aureli – Consigliere
Fabio Taormina – Consigliere
Leonardo Spagnoletti – Consigliere, Estensore
Alessandro Maggio – Consigliere
Depositata in Segreteria il 11 luglio 2016.

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