Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 21 dicembre 2015, n. 5800

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUARTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3853 del 2008, proposto da:

Comune di Civitanova Marche;

contro

Sa. Spa ed altri (…);

per la riforma;

della sentenza del T.A.R. MARCHE – ANCONA: SEZIONE I n. 00154/2008, resa tra le parti, concernente variante al prg e regolamento di urbanistica commerciale

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Sa. Spa e di Sa. Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2015 il Cons. Andrea Migliozzi e uditi per le parti gli avvocati Bo., Me., Be. e Ge.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Le Società Sa. s.p.a. e la Sa. s.a.s. srl, comproprietarie di un appezzamento di terreno sito in Comune di Civitanova Marche alla via Einaudi angolo strada provinciale Maceratese, della superficie di complessiva di 49.790 mq, denominata comparto 4.3.1, proponevano innanzi al Tar delle Marche due ricorsi rivolti ad ottenere rispettivamente l’annullamento:

quanto al ricorso n.727/2004:

della deliberazione del Consiglio comunale di Civitanova Marche n. 9 del 373/2004 con cui è stata definitivamente approvata la variante parziale al PRG, zona tecnico-distributiva;

della deliberazione consiliare del 29/11/2002 n.133 recante l’adozione del regolamento di urbanistica commerciale per medie e grandi strutture di vendita;

dell’accordo di programma stipulato fra il Comune di Civitanova Marche e la srl Fa. per la realizzazione di una grande struttura commerciale di vendita in zona mostre sud e per l’attuazione della variante tecnico-distributiva;

quanto al ricorso n. 96872005:

delle deliberazioni del Consiglio comunale di Civitanova Marche n. 23 dell’8/3/2005 e n. 43 dell’11/7/2005 concernenti rispettivamente l’adozione e l’approvazione del piano direttore della zona tecnico distributiva.

Le società ricorrenti chiedevano altresì la condanna del suindicato Comune al risarcimento del danno arrecato dagli atti impugnati.

Con sentenza n.154/2008 l’adito Tribunale amministrativo accoglieva i proposti ricorsi mentre respingeva la pretesa risarcitoria ivi fatta valere.

Con riferimento al profilo impugnatorio, in accoglimento delle relative censure il Tar annullava gli atti gravati e sanciva, in particolare, la illegittimità:

della previsione di opere fuori comparto a carico dei lottizzanti;

della subordinazione del diritto di edificazione alla esecuzione di opere infrastrutturali in assenza di qualsiasi rapporto convenzionale tra le parti;

della scelta di localizzare la strada di raccordo sull’area delle ricorrenti;

della scelta del comparto 4.3.2 (posto vicino a quello delle ricorrenti) come idoneo ad ospitare una grande struttura di vendita senza la previa fissazione di criteri e parametri di urbanistica commerciale;

dell’accordo di programma per la mancata partecipazione della Provincia;

dell’accordo stipulato con Fa. s.r.l.

Il Comune di Civitanova Marche ha impugnato tale decisum deducendo in via preliminare la improcedibilità dei ricorsi di primo grado per sopravvenuta carenza di interesse.

Quindi parte appellante ha denunciato la erroneità delle statuizioni assunte dal Tar in ordine ai vari motivi di accoglimento e precisamente:

il Tar ha stigmatizzato il fatto che il Comune ha previsto per il privato oneri al di fuori del comparto rispetto ai normali oneri connessi all’urbanizzazione primaria, senza tener conto che in realtà le opere infrastrutturali previste interessano l’area delle ricorrenti con conseguente obbligo di sopportare i relativi oneri;

il primo giudice ha affermato la computabilità degli oneri di urbanizzazione secondaria, ma tale eccezione non è stata avanzata in sede di osservazioni al piano urbanistico;

la localizzazione della strada di collegamento alla grande viabilità non si rivela illogica, come erroneamente stabilito dal Tar, per essere tale scelta rispondente a ragioni di ordine tecnico giustificative della allocazione sull’area di proprietà delle Società appellate;

la variante urbanistica, nella parte in cui prevede la localizzazione di una grande struttura di vendita sul comparto 4.3.2, contrariamente a quanto rilevato dal giudice di prime cure, non può considerarsi illegittima, atteso che detta previsione appare sorretta da sufficiente motivazione;

il TAR ha erroneamente qualificato come accordo di programma quello che in realtà costituisce manifestazione di attività negoziale intercorsa tra l’Amministrazione comunale e la Società Fa., avente ad oggetto contestualmente una transazione e l’assunzione di correlativi impegni;

il piano direttore non può considerasi illegittimo in toto per derivazione dalla affermata illegittimità della variante parziale, dovendosi in particolare ritenere non inficiate le previsioni riguardanti la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e degli impianti tecnologici.

Le Società Sa. e La Sa. si sono costituite in giudizio con atto difensivo e di contestuale appello incidentale.

Con tale ultima impugnativa la sentenza n. 154/08 viene gravata nella parte in cui il Tar ha respinto al punto 6.2 la censura relativa alla illegittimità della previsione della vendita alimentare mediante una sola grande struttura sull’intero territorio comunale, nonché laddove ha respinto la domanda di risarcimento del danno avanzata dalle ricorrenti.

In particolare a sostegno di detto gravame è stato dedotto il seguente motivo:

illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere; violazione e palese applicazione ex art.41 Cost. – Dlgv. n.114/98, l.r. 26/99 e l.r. n.34792; eccesso di potere per sviamento; travisamento; illogicità ed ingiustizia, irrazionalità; difetto di motivazione; contraddittorietà.

Si è costituita in giudizio la Provincia di Macerata cha ha affermato di avere interesse ad ottenere la declaratoria di infondatezza della domanda risarcitoria avanzata dalle ricorrenti di primo grado e riproposta con l’appello incidentale, con richiesta di conferma della impugnata sentenza anche in relazione alla eccepita improcedibilità dei ricorsi di prime cure.

Le parti hanno poi prodotto apposite memorie, anche di replica a sostegno delle rispettive tesi difensive.

All’udienza pubblica del 27 ottobre 2015 la causa è stata introitata per la decisione.

DIRITTO

L’appello all’esame si rivela fondato limitatamente al motivo indicato sub 3 del proposto gravame (come parimenti rubricato in ” fatto”), mentre va respinto per la restante parte, meritando l’impugnata sentenza relativa conferma.

Va altresì respinto, perché infondato, l’appello incidentale proposto dalla originarie ricorrenti di primo grado.

Occorre procedere in primo luogo, per ragioni di logica scansione dell’ordine delle questioni, ad esaminare il motivo di appello principale con cui si eccepisce la erroneità della sentenza n.154/08 laddove non sarebbe stata rilevata la improcedibilità dei ricorsi di primo grado.

Specificatamente, l’appellante Comune osserva che con delibera della Giunta provinciale n..280 del 5 luglio 2007 è stata approvata la variante generale del Comune di Civitanova Marche che avrebbe recepito con valenza non meramente confermativa le prescrizioni dettate dalle varianti parziali impugnate in primo grado e il predetto atto di approvazione non è stato fatto oggetto di gravame da parte delle Società appellate (e appellanti incidentali) con conseguente improcedibilità delle impugnative originariamente proposte, per sopravvenuta carenza di interesse.

Il motivo di carattere processuale sopra illustrato va disatteso in quanto inammissibile e comunque infondato nel merito sotto vari profili.

Innanzitutto una siffatta eccezione è stata sollevata per la prima volta in appello, mentre ben avrebbe potuto essere dedotta in prime cure.

Invero, l’atto di approvazione della variante generale non impugnato dalle appellate Società è del 5 luglio 2014, pubblicato sul BUR del 19 luglio 2014 e tale intervenuta circostanza, ai fini della verifica di un eventuale sopravvenuto mutamento del rapporto giuridico oggetto di causa non è stata rappresentata dall’allora resistente Comune nel giudizio di primo grado, il quale ben avrebbe potuto farlo tenuto conto che l’udienza di discussione dei due ricorsi è avvenuta il 3 ottobre 2014.

Al primo giudice quindi era precluso delibare sulla qui asserita improcedibilità dell’azione originariamente attivata per la semplice ragione che un siffatto elemento di giudizio non è stato posto nella disponibilità del giudicante, sicché l’eccezione è del tutto estranea a quel giudizio e non può adesso essere scrutinata dal giudice di appello.

Non è configurabile quindi una sopravvenuta carenza di interesse, posto che le Società suindicate erano titolari di una posizione giuridica differenziata incisa dagli atti urbanistici all’epoca assunti dall’Amministrazione comunale e tale interesse risulta essere rimasto integro fino alla decisione di merito del gravame di prime cure, ai sensi e per gli effetti dell’art.100 c.p.c..

Infine, vale ricordare che Sa. e La Sa. hanno proposto con i ricorsi introduttivi domanda di risarcimento dei danni fatti derivare dall’adozione degli atti impugnati, sicché anche sotto tale profilo non può negarsi la sussistenza di un interesse attuale e concreto alla decisione di primo grado (cfr Cons. Stato Sez. IV 12/3/2009 n. 1431).

Ciò preliminarmente rilevato, l’appello, come accennato in apertura del ” diritto”, si appalesa fondato limitatamente alla questione relativa alla prevista realizzazione dell’asse stradale di raccordo della viabilità principale che l’Amministrazione ha deciso di localizzare sull’area di proprietà delle ricorrenti di primo grado (comparto 4.3.1).

La previsione di detta opera di urbanizzazione, che pure fu fatta oggetto di osservazioni da parte Società interessate, è stata ritenuta dal primo giudice illogica ed immotivata in quanto prevista in modo da dividere a metà il comparto 4.1.3..

Ebbene, la statuizione del Tar non appare condivisibile.

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale la scelta del tracciato e delle caratteristiche di un’opera pubblica rientra nell’ambito demandato alla discrezionalità tecnica e amministrativa dell’amministrazione procedente (ex multis, Cons. Stato sentenza n. 8786/2009) ed è sindacabile solo quanto alla sua intrinseca irragionevolezza, contraddittorietà e vessatorietà.

Sotto tali profili la previsione di attraversare l’area di proprietà delle Società qui appellate non appare sindacabile, trattandosi di opera che appare congrua con la progettazione generale delle opere infrastrutturali volte alla urbanizzazione di una considerevole area del territorio comunale, interessante più comparti; e la dedotta invasità è stata imposta proprio da ragioni di ordine tecnico di soddisfacimento dell’interesse collettivo, finalità rispetto alle quali l’interesse del privato appare senz’altro recessivo.

In accoglimento dunque della doglianza di cui al motivo sub 3) dell’appello, la statuizione del Tar che ha annullato la scelta localizzativa dell’asse stradale di collegamento con la viabilità stradale appare erronea e sul punto la sentenza stessa va riformata.

Quanto agli altri mezzi d’impugnazione del decisum qui in rassegna, gli stessi sono destituiti di giuridico fondamento.

Con il primo motivo di appello il Comune propugna la tesi secondo cui le opere infrastrutturali aggiuntive previste dalle varianti parziali arrecherebbero un notevole beneficio di valorizzazione fondiaria per le suindicate Società, che non hanno mai contestato la necessità di tali opere; ed in ogni caso ogni contestazione avrebbe dovuta essere fatta valere in sede presentazione di osservazioni; e per tali ragioni, sostiene parte appellante, la statuizione di illegittimità delle relative previsioni urbanistiche resa dal Tar sarebbe errata.

Le descritte critiche non meritano positivo apprezzamento.

Invero, la variante parziale ha di fatto subordinato l’edificazione nel comprato 4.3.1., oltre che alla esecuzione delle ordinarie opere di urbanizzazione, alla realizzazione di opere di interesse generale (costituite da una rotatoria per la strada di innesto con la ss 485; un sottopasso carrabile su via Einaudi; la compartecipazione alle spese di costruzione di un ponte sul fiume Ch.).

Ora quelle previste a carico delle Società ricorrenti sono opere aggiuntive, aventi finalità proprie e diverse dalle opere di ordinaria urbanizzazione del comparto, di guisa che l’imposizione di un onere finanziario a carico del privato può giustificarsi solo se dette opere siano state previste ed accettate a mezzo di uno specifico accordo intercorso tra la parte pubblica e il privato, proprio perché poste al di fuori del perimetro di doverosa spettanza.

Anche a voler annettere alla realizzazione di dette infrastrutture un vantaggio per le Società suindicate in termini di migliore fruizione della loro proprietà, oltreché di valorizzazione della stessa, ciò non basta a far prevedere e a imporre l’onere di finanziamento a carico dei predetti soggetti, i quali possono e devono considerasi obbligati solo se si sono impegnati con un atto formale (di convenzionamento) ad assumersi i relativi oneri, la qual cosa nella specie non risulta sia intervenuta.

L’obiezione poi di parte appellante secondo cui le appellate avrebbero dovuto eccepire la non necessità di tali opere in sede di osservazioni al piano è priva di fondamento.

La presentazione di osservazioni nella fase endoprocedimentale di formazione dello strumento urbanistico costituisce, per pacifico orientamento giurisprudenziale, solo una facoltà del privato, quale mezzo collaborativo e di partecipazione al procedimento di che trattasi, senza che a dette osservazioni si possa assegnare il ruolo di contestazione formale; e neppure si può ritenere, in ipotesi di non produzione delle stesse, che tale omissione si atteggi a prova di acquiescenza e/o accettazione delle scelte urbanistiche formulate dall’Amministrazione.

Con il secondo mezzo d’impugnazione parte appellante sostiene la tesi per cui ben può accadere, come poi in concreto avvenuto nel caso di specie, che le opere interne al comparto, per il loro valore, giustifichino un onere di pagamento a carico dei soggetti attuatori in una misura eccedente l’importo del contributo di urbanizzazione.

L’assunto difensivo non ha pregio.

Invero, l’onerosità dei titoli edilizi necessari è costituita dal pagamento di una quota degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria commisurata all’incidenza dei progettati interventi sul carico urbanistico. Tale incidenza è stabilita con deliberazione comunale in base alle tabelle parametriche che la Regione definisce per classi dei Comuni, sicché questi ultimi, per la determinazione degli oneri de quibus, non possono non provvedere sulla base dei criteri stabiliti dall’Ente Regione.

Al di fuori di tale schema di formale regolamentazione, ogni eventuale sforamento della misura degli oneri prevista in relazione al valore delle opere, da addossarsi al privato, deve avvenire in base ad un accordo pattizio stipulato tra le parti interessate (Amministrazione pubblica e privato); e, come già detto, alcuna formale convenzione avente ad oggetto detto accordo risulta nella specie essere intervenuta

Ne deriva che l’imposizione di opere di urbanizzazione primaria di tipo aggiuntivo, il cui costo sia superiore all’importo del contributo di urbanizzazione, deve ritenersi illegittima.

Inoltre, quanto alla statuizione assunta dal Tar di rinvenire a carico del Piano un vizio di legittimità, nella parte in cui non è stata prevista la possibilità di scomputare gli importi relativi alle eccedenze delle opere di urbanizzazione, pure fatta oggetto di censura dalla parte appellante, essa è condivisa dal Collegio, mentre non persuasiva si rivela la doglianza comunale..

La legge, infatti, non consente alcuna distinzione tra opere di urbanizzarne primaria e secondaria, di guisa che il concessionario ha diritto a che le eccedenze delle opere realizzate per un tipo di urbanizzazione rispetto all’importo del contributo dovuto per quel tipo di opere siano portate in detrazione anche dall’ammontare del contributo dovuto per le opere dell’altro tipo (cfr Cons. Stato Sez. V 21/1/2015 n. 251).

Il quarto motivo di appello si rivela inammissibile per la genericità delle censure ivi formulate.

Con esso si critica la sentenza del Tar nella parte in cui ha statuito che lo strumento urbanistico e quello di pianificazione commerciale sono illegittimi per aver previsto l’insediamento di una sola grande struttura commerciale in tutto il territorio comunale, localizzandola, dapprima, nel comparto 4.3.2 e, successivamente, a seguito della stipula dell’accordo di programma con Società Fa., nella zona mostre.

Il primo giudice ha, in particolare rilevato la illegittimità della scelta di localizzare la vendita alimentare nel comparto 4.3.2., perché sprovvista di adeguata motivazione e di relativa previa istruttoria.

Ebbene, in ordine alle osservazioni e prese conclusioni del primo giudice l’Amministrazione appellante oppone solo generiche critiche, facendo rilevare la sussistenza di ragioni di opportunità dettate dalla situazione viaria della zona, ma tali motivi, solo genericamente esposti, non sono sufficienti a intaccare la logicità e l’esattezza dei rilievi mossi dal Tar, come deducibili dalla disamina degli atti relativi ai procedimenti amministrativi di definizione di tale rapporto.

L’esattezza della statuizione di carenza di istruttoria è rilevabile de plano, ove si consideri che la previsione di detta localizzazione non è stata preceduta da una necessaria programmazione urbanistico-commerciale, come invece previsto dalla normativa recata in subiecta materia dal d.lgs. n.112/98 e dalla legge Regione Marche n. 26/99, prescrizioni che nella specie non risultano essere state osservate.

Privo di pregio è pure il quinto mezzo di gravame.

Parte appellante stigmatizza la statuizione con cui il Tar ha ritenuto illegittima l’approvazione dell’Accordo di programma intercorso con la Faber srl, in virtù del quale la grande struttura di vendita è stata poi allocata in ‘zona mostre’, sostenendo che in realtà ci si trovi di fronte ad una attività negoziale in cui le parti hanno assunto impegni reciproci, secondo le regole dei contratti privati.

L’impostazione concettuale data dal Comune alla questione si rivela errata.

Invero la finalità dell’Amministrazione, come emerse dall’Accordo in questione, sono quelle di porre fine ad un contenzioso instaurato dalla Società Fa. e di ottenere contestualmente dalla medesima Società la realizzazione di opere infrastrutturali a fronte della localizzazione della grande struttura di vendita su area di proprietà della medesima; sennonché, come acutamente messo in evidenza dal Tar, tali scopi, ancorché legittimi, non potevano essere perseguiti con lo strumento dell’Accordo di programma.

Quest’ultimo invero costituisce, secondo lo schema normativo ad esso conferito dal d.lgs. n.267/2000, un modulo di esercizio della potestà amministrativa per definizione volta al perseguimento dell’ottimale funzionamento dell’interesse pubblico; e, se così è, le finalità di tipo privatistico fatte valere dall’Amministrazione comunale e da Fa. srl mal si conciliano con la natura dell’atto amministrativo posto in essere.

Piuttosto pare di capire che con esso si è andato ad incidere sulla destinazione urbanistica di una zona del territorio, laddove una siffatta variazione non poteva essere oggetto di un accordo compatibile con lo schema dell’accordo di programma, che è tipologia di atto assistita da altre finalità.

Infine, col sesto ed ultimo motivo parte appellante sostiene che non si può parlare di invalidità derivata per il c.d. piano direttore, posto che dovrebbero ritenersi salve le previsioni di “organizzazione della realizzazione delle opere di urbanizzazione e degli impianti tecnologici”.

Ebbene quelle prospettate dall’appellante Comune si rivelano apodittiche asserzioni che appaiono difficili da comprendere e comunque sono prive di qualsiasi fondamento giuridico.

Invero il piano direttore della zona tecnico-distributiva è uno strumento avente natura e valenza del tutto attuative, sottordinato a quello generale, di talché l’affermata illegittimità della variante parziale, come correttamente posto in evidenza dal Tar, non può non comportare in via derivata la invalidità del sottostante strumento di attuazione costituito appunto dal piano direttore.

D’altra parte è la stessa parte appellante ad ammettere che nella specie una caducazione in via derivata delle previsioni urbanistiche di detto piano si è inverata, per cui non si comprende in che modo e a quale titolo non dovrebbero considerasi travolte le previsioni dettate in tema di opere di urbanizzazione e di impianti tecnologici, strutture non meglio identificate e in ogni caso consustanziali agli interventi edilizi previsti dal predetto piano direttore.

In forza delle suestese considerazioni, l’appello principale proposto dal Comune di Civitanova Marche va in parte accolto (limitatamente al motivo sub 3 del gravame), mentre va respinto in relazione a tutti gli altri mezzi d’impugnazione.

Occorre ora procedere alla disamina dell’appello incidentale proposto dalle ricorrenti di primo grado.

Detto gravame è infondato.

Dunque Sa. spa e La Sa. sas hanno impugnato la sentenza n. 154/08 in parte qua e precisamente nella parte in cui il primo giudice:

ha affermato la legittimità del regolamento di urbanistica commerciale, laddove ha previsto che la vendita alimentare venga effettuata da una sola grande struttura su tutto il territorio comunale;

ha rigettato, ritenendola infondata, la domanda di risarcimento del danno avanzata dalle ricorrenti.

Le statuizioni rese sui predetti punti dal giudice di prime cure appaiono esenti dalle censure mosse dalle appellanti incidentali.

Quanto alla prima delle suindicate due questioni, parte appellante specifica che la richiesta di annullamento attiene al regolamento di urbanistica commerciale in toto, non essendo sufficiente che il TAR abbia escluso la realizzabilità di una sola grande struttura sul comparto 4.3.2 e deduce al riguardo la violazione dei principi costituzionali della concorrenza e libera iniziativa economica, oltreché il principio della ragionevolezza ed illogicità.

I denunciati vizi di legittimità sono insussistenti.

Il Collegio ritiene invero di aderire pienamente alle congrue ed esaustive osservazioni formulate sul punto dal primo giudice.

Invero la scelta di consentire la vendita alimentare effettuata da una sola grande struttura su tutto il territorio comunale non si rivela illogica, né contraria ai principi della libera iniziativa economica, di cui all’art.41 Cost., posto che risponde all’esigenza di assicurare un equilibrio di localizzazione sul territorio dell’offerta economica, che ben può avvenire con la presenza di esercizi commerciali di medie dimensioni.

E questo a tacer del fatto che una proliferazione di strutture di vendita di grandi dimensioni comporta l’insorgenza di altre problematiche legate al traffico e alla viabilità.

Va pure disatteso il motivo dell’appello incidentale con cui si contesta la decisione del Tar di rigettare la domanda risarcitoria.

Invero, il disposto annullamento delle previsioni degli strumenti urbanistici appare esattamente conformativo delle statuizioni di illegittimità di cui risultano affette le previsioni impugnate e costituisce di per sé forma specifica di risarcimento.

La rimozione dal mondo giuridico degli atti gravati produce un effetto integralmente ripristinatorio delle posizioni giuridiche soggettive fatte valere dai soggetti negativamente incisi, nel senso che la proprietà delle suindicate Società viene “svincolata” dalle limitative prescrizioni recate dalla variante parziale PRG, giudicate illegittime; e ciò è pienaente satisfattivo delle avanzate pretese.

Neppure può accedersi al riconoscimento del ristoro patrimoniale per deprezzamento dell’area, non essendo stata fornita adeguata dimostrazione di sussistenza di pregiudizio per tale voce di asserito danno.

Conclusivamente, l’appello principale va accolto in parte e per altra parte respinto e l’appello incidentale va dichiarato infondato.

Avuto riguardo agli esiti della controversia in sede di appello le spese di questo grado del giudizio possono essere compensate (restando confermate quelle di primo grado).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – definitivamente pronunciando, così dispone:

a) accoglie in parte l’appello principale proposto dal Comune di Civitanova Marche (limitatamente al motivo sub 3 del gravame), con conseguente riforma in parte qua della impugnata sentenza, e per la restante parte lo rigetta;

b) rigetta l’appello incidentale proposto da Sa. spa e Sa. s.a.s..

Compensa tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Numerico – Presidente

Raffaele Greco – Consigliere

Raffaele Potenza – Consigliere

Andrea Migliozzi – Consigliere, Estensore

Alessandro Maggio – Consigliere

Depositata in Segreteria il 21 dicembre 2015.

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