Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 22 febbraio 2016, n. 722

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10716 del 2014, proposto da:

It. No. On. ed altri con domicilio eletto presso Gi. Fi. in Roma, viale (…);

contro

Cipe Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Anas Spa, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via (…);

Sa. So. Au. Ti. P.A., rappresentato e difeso dagli avv. Lu. To., Cl. Ca., Gi. Fo., con domicilio eletto presso Lu. To. in Roma, viale (…);

Comune di (omissis);

e con l’intervento di

ad adiuvandum:

Codacons, rappresentato e difeso dagli avv. Gino Giuliano, Carlo Rienzi, con domicilio eletto presso Ufficio Legale Nazionale Codacons in Roma, viale Giuseppe Mazzini N.73;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE I n. 09900/2014, resa tra le parti, concernente programma delle infrastrutture strategiche autostrada A12 Livorno-Civitavecchia, tratta Tarquina-San Pietro in Palazzi (Cecina) – approvazione progetto definitivo – ris.danni

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Cipe Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica e di Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e di Anas Spa e di Sa. So. Au. Ti. P.A.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2015 il Cons. Nicola Russo e uditi per le parti gli avvocati Fi., Fe., per l’Avvocatura Generale dello Stato, To. e Ta., per delega di Ri.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

It. No. On., e i sig.ri Ma. Ma., Ma. To., Ad. Fa., Ri. Di Sa., Ad. Li., Ba. De Pa. propongono appello avverso la sentenza del T.A.R. per il Lazio n. 9900 del 22 settembre 2014, meglio specificata in epigrafe, con la quale veniva dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto avverso:

– la delibera CIPE n. 7 del 5 maggio 2011 avente ad oggetto l’approvazione del progetto definitivo del lotto 6A dell’Autostrada A/12 Livorno – Civitavecchia;

– il decreto di occupazione di urgenza della SAT del 29 agosto 2011.

La complessa vicenda contenziosa inerisce al completamento dell’Autostrada A/12 Livorno – Civitavecchia, inserita nel primo programma delle opere strategiche, mediante la deliberazione del CIPE n. 121 del 21 dicembre 2001, in quanto costituisce uno snodo fondamentale nella facilitazione dei collegamenti interni ed internazionali.

L’Anas, in qualità di concedente, incaricava la SAT di realizzare e gestire l’opera e, a tal fine, veniva stipulata la Convenzione unica sottoscritta l’11 marzo 2009. Nelle more, la SAT aveva presentato il progetto preliminare dell’opera per ottenere, mediante l’approvazione del CIPE, l’attestazione di compatibilità ambientale dell’opera, la sua localizzazione e l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio per le aree interessate: il CIPE, con delibera n. 116 del 18 dicembre 2008, pubblicata su G.U.R.I. in data 14 maggio 2009, approvava il progetto preliminare, dando atto delle prescrizioni dettate dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, afferenti ad alcune modificazioni da inserire in determinati punti del tracciato.

Nel passaggio alla redazione del progetto definitivo, la SAT prevedeva l’articolazione dell’opera in due segmenti: il c.d. “tronco nord” che interessava il tratto compreso fra Rosignano e Grosseto, per un totale di 110 chilometri, il quale, a sua volta, era suddiviso nei lotti nn. 1 (Rosignano – San Pietro in Palazzi), 2 (San Pietro in Palazzi – Scarlino) e 3 (Scarlino – Grosseto sud); il c.d. “tronco sud” che, invece, insisteva sul tratto autostradale da Grosseto a Civitavecchia, per complessivi 95,5 chilometri, suddivisi nei lotti nn. 4 (Grosseto sud – Fonteblanda), 5B (Fonteblanda – Ansedonia), 5A (Ansedonia – Pescia Romana), 6B (Pescia Romana – (omissis)), 6A ((omissis) – Civitavecchia) e 7 (compreso nella bretella di Piombino).

Con le deliberazioni n. 118 del 2009 e 89 del 2010 il CIPE approvava il progetto definitivo relativo, rispettivamente, al lotto n. 1 ed alla viabilità secondaria; con deliberazione n. 7 del 2011 veniva, altresì, approvato il progetto definitivo relativo al lotto n. 6A.

In relazione al lotto n. 6A, l’unico interamente rientrante nel territorio di competenza della Regione Lazio, quest’ultima, con deliberazione n. 36 del 26 gennaio 2012, esprimeva il proprio consenso alla localizzazione dell’opera e rilasciava il proprio parere favorevole di compatibilità ambientale.

Con la sentenza, meglio specificata in epigrafe, oggetto dell’odierna impugnazione, il giudice di primo grado, in accoglimento della relativa eccezione sollevata dalle parti resistenti, dichiarava inammissibile il ricorso introduttivo del giudizio: al riguardo il T.A.R. motivava con riferimento alla carenza di interesse dei ricorrenti, stante la indimostrata sussistenza di uno specifico pregiudizio che l’esecuzione dei provvedimenti impugnati avrebbe cagionato.

Con ricorso n. r.g. 10716 del 2014 gli appellanti impugnano la decisione di primo grado, ritenendo, in primo luogo, errato il percorso logico-argomentativo sotteso alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso ed, in secondo luogo, riproponendo quattro motivi di censura non esaminati dal T.A.R. avverso i provvedimenti gravati ed aventi ad oggetto:

a) Violazione della libertà fondamentale della circolazione delle persone e del loro diritto alla mobilità. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 16 della Costituzione e dell’art. II-105 della Carta dei diritti dell’Unione Europea. Violazione della riserva di legge. Eccesso di potere per insufficienza e contraddittorietà della motivazione. Violazione e/o falsa applicazione dei principi di proporzionalità e di minimo sacrificio per il soggetto privato;

b) Inesistenza di una VIA complessiva. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 165, 166, 167 e 182, 183, 184, 185 del D.Lgs. n. 163/2006. Violazione e/o falsa applicazione della normativa comunitaria, della direttiva n. 85/337/CEE del Consiglio del 27/6/1985 come modificata dalla direttiva 97/11/CE del Consiglio del 373/1997. Eccesso di potere per difetto di istruttoria. Mancata valutazione dell’opzione zero;

c) Illegittimità della divisione per la progettazione definitiva del lotto 6A e dei restanti lotti. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 93 del d.lgs. 163/2006. Violazione e/o falsa applicazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa. Violazione e/o falsa applicazione dei principi di economicità e efficacia di cui all’art. 1 della l. 241/1990. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 166 comma 5 ter d.lgs. 163/2006. Mancanza di funzionalità del Lotto 6A rispetto ai Lotti successivi. Difetto di motivazione sui presupposti per la divisione del lotto in questione;

d) Violazione delle prescrizioni del PEF. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 143 comma 8 del d.lgs. 163/2006. Eccesso di potere per manifesta irragionevolezza e errore sul fatto. Mancata rielaborazione del PEF a seguito del mutamento del tracciato. Contraddittorietà tra il PEF del lotto 6A e il PEF dell’intera opera.

Si è costituita in giudizio la SAT che, innanzitutto, ha eccepito la inammissibilità dell’atto di appello per carenza di interesse degli appellanti e, in secondo luogo, ha evidenziato l’infondatezza nel merito delle pretese avversarie.

Si sono costituiti, altresì, in giudizio, il CIPE, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il Ministero dell’Ambiente e tutela del territorio e del mare e l’Anas s.p.a. che, per il tramite dell’Avvocatura dello Stato, hanno eccepito l’inammissibilità del gravame, oltre che la sua infondatezza nel merito.

Con atto di intervento ad adiuvandum si è costituito in giudizio il Codacons, chiedendo l’accoglimento dell’appello.

Non si è costituito in giudizio il Comune di (omissis).

In vista dell’udienza di discussione, le parti costituite hanno depositato ulteriori memorie scritte ed allegazioni documentali a sostegno delle rispettive argomentazioni.

Chiamata all’udienza pubblica dell’8 ottobre 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’oggetto del presente giudizio inerisce alla esatta individuazione dei procedimenti preordinati alla approvazione ed alla eventuale modifica in corso d’opera, dei progetti relativi alla realizzazione delle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale di cui agli artt. 161 e ss. d.lgs. n. 163 del 2006. In particolare occorre verificare se la SAT, nel passaggio dalla progettazione preliminare a quella definitiva della rete autostradale A/12 Livorno – Civitavecchia, abbia violato i principi di unitarietà della VIA ed abbia ottenuto l’approvazione di un progetto definitivo sostanzialmente difforme da quello preliminare; il Collegio è chiamato, altresì, a verificare se dalla fattispecie in esame emergano elementi idonei a ritenere fondata la violazione del piano economico finanziario previsto per la realizzazione dell’opera.

2. Preliminarmente, è necessario, tuttavia, esaminare il primo motivo di gravame con il quale gli appellanti censurano la decisione del giudice di primo grado: essi, infatti, ritengono che il T.A.R. abbia errato nel considerare la loro posizione carente di interesse rispetto alla vicenda di cui trattasi. In effetti, per quanto concerne It. No. On., la legittimazione sarebbe ricavabile dalla legge n. 349 del 1986 che legittima le associazioni ambientaliste di livello nazionale ad impugnare atti amministrativi in materia ambientale: la finalità di salvaguardia e valorizzazione del bene ambiente rientra tra quelle espressamente sancite nello statuto della medesima Onlus e ciò dovrebbe consentire di radicare la sua legittimazione ad agire. Per quanto concerne il profilo dell’interesse, It. No. specifica che la realizzazione dell’autostrada comprometterebbe gli equilibri paesaggistici, turistici ed ambientali della zona interessata.

Rispetto agli altri odierni appellanti, viene rilevata la sufficienza del presupposto della vicinitas al fine di radicarne la legittimazione al ricorso.

Sul punto il Collegio ritiene di dover chiarire preliminarmente che, come è noto, il rinvio esterno al codice di procedura civile, operato dall’art. 39 c.p.a., consente di attribuire rilievo alla categoria delle condizioni dell’azione anche al processo amministrativo. Rispetto ad esse opera, tradizionalmente, la differenziazione tra la c.d. legitimatio ad causam, ovvero l’affermazione circa l’appartenenza della situazione giuridica che si assume lesa in capo a colui che chiede tutela, ed il c.d. interesse a ricorrere, cioè l’esistenza di una lesione della situazione che si afferma dinanzi all’autorità giurisdizionale.

Nell’ambito oggetto della presente controversia, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ritiene pacificamente che qualora il ricorrente impugni dinanzi al Giudice uno strumento urbanistico, anche particolareggiato, od una variante e, in generale, un atto preordinato alla definizione di un corretto assetto del territorio, la dimostrazione circa i danni patrimoniali subiti e, in generale, circa il deterioramento delle condizioni di vita risulta necessaria. L’obbligatoria allegazione dei pregiudizi subiti, in tal caso, è giustificata dalla necessità di evitare che il ricorso si fondi sulla generica lesione all’ordinato assetto del territorio da parte di uno qualunque dei residenti o di enti esponenziali: infatti, la pianificazione territoriale rientra nell’alveo della discrezionalità amministrativa e non può incontrare limiti in situazioni di mero fatto non tutelate specificamente dall’ordinamento (cfr. Cons. di Stato, Sez. IV, 23 giugno 2015 n. 3180). In altri termini la mera vicinitas non è sufficiente a radicare un interesse al ricorso, in assenza della dimostrazione del concreto pregiudizio patito dall’esecuzione del provvedimento impugnato. Diversa, ed estranea a questo giudizio, è l’ipotesi in cui viene contestata la legittimità di un titolo edilizio, nel qual caso, a differenza del precedente, “è consolidato l’indirizzo per cui il rapporto di vicinitas, ossia di stabile collegamento con l’area interessata dall’intervento contestato, è idoneo e sufficiente a fondare tanto la legittimazione (ossia la titolarità di una posizione giuridica qualificata e differenziata rispetto a quella di quisque de populo) quanto l’interesse a ricorrere (ossia la sussistenza di una lesione concreta e attuale alla detta situazione giuridica per effetto del provvedimento amministrativo impugnato)” (Cons. Stato, Sez. IV, 15 maggio 2014 n. 2403). Nella specifica materia della tutela ambientale, inoltre, va condiviso l’orientamento, secondo cui “il concetto giuridico di “ambiente” non abbraccia ogni bene che abbia valenza “naturalistica” o “sociale”, ovvero che abbia come unico riferimento definizioni extragiuridiche facenti leva sull’idea di “habitat”, in cui vivono gli uomini e gli animali (Cons. Stato, Sez. IV, 12.3.01, n. 1382 e 28.2.92, n. 223), potendo altrimenti individuarsi la legittimazione e l’interesse al ricorso avverso ogni opera pubblica realizzata sul territorio per il semplice fatto che la stessa va ad incidere, appunto, sul “territorio” e quindi indirettamente sull’“ambiente” e sul “paesaggio””

In altre parole, seppur astrattamente legittimata al ricorso, ogni associazione ambientalista riconosciuta deve comunque richiamare in concreto e nell’attualità, sotto il profilo dell’interesse, le conseguenze sicuramente (o con alta probabilità) negative per l’ambiente e per il territorio degli atti concernenti la specifica opera pubblica contestata.

Nel caso in esame, rispetto ad It. No. On., pur in presenza di una astratta legittimazione all’azione, non sembrano essere stati specificati i profili relativi all’interesse al ricorso stesso: al riguardo, non sono state specificamente dimostrate la modalità con cui questo possa subire un pregiudizio tramite il provvedimento impugnato. Le singole motivazioni inerenti alla lesione degli interessi tutelati dalla Onlus sembrerebbero, come chiarito dal TAR, connesse ad esigenze di mobilità dei singoli cittadini e, comunque, genericamente formulate.

Per quanto concerne, invece, gli altri singoli appellanti, seppur è indiscutibile il collegamento stabile con il territorio, non sarebbe, tuttavia, stato soddisfatto l’onere di allegazione del pregiudizio concreto ed attuale subito a causa della realizzazione dell’opera.

In sostanza, il richiamo alla generica lesività, sotto diversi profili, dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati in primo grado, non dovrebbe ritenersi sufficiente a fondare un adeguato interesse al ricorso in capo agli appellanti.

Ciononostante, il coinvolgimento, degli interessi tutelati dalla It. No. On. e degli altri appellanti, nonché ragioni di giustizia sostanziale, inducono il Collegio ad approfondire nel merito la fattispecie contenziosa.

3. Con la riproposizione del primo motivo del ricorso introduttivo, parte appellante afferma la violazione dell’art. 16 Cost. e cioè del diritto di circolare liberamente su tutto il territorio nazionale, nonché della riserva di legge in esso prevista: questo diritto sarebbe stato leso dalla mancata previsione di una adeguata viabilità alternativa da parte della concessionaria SAT. Quest’ultima, secondo gli appellanti, alla base del proprio equilibrio economico – finanziario avrebbe posto proprio l’inadeguatezza di viabilità alternativa, al fine di indurre tutti i vettori della zona a transitare sull’autostrada, pagandone il relativo pedaggio.

3.1 Il motivo è infondato e va respinto.

Il Collegio ritiene che, dalla lettura della documentazione prodotta ed in particolare dalla lettura del provvedimento impugnato in primo grado, risulta smentito l’assunto per cui, in relazione al lotto n. 6A non sia stata prevista alcuna viabilità secondaria, alternativa alla realizzanda autostrada.

Destituito di fondamento risulta anche la pretesa violazione dell’art. 16 Cost.: per quanto concerne la violazione della riserva di legge in essa prevista, occorre, infatti specificare che il CIPE, tramite la delibera n. 121 del 2001 ha dato esecuzione alla l. n. 443 del 2001 che attribuiva ad esso il potere di individuare le infrastrutture e gli insediamenti strategici di preminente interesse nazionale. Poiché la riserva di legge prevista dall’art. 16 Cost. non costituisce una riserva di legge parlamentare assoluta (cfr. Corte Cost. n. 68 del 1964), si ritiene pienamente conforme al testo costituzionale la delibera di approvazione del progetto definitivo previsto per il lotto n. 6A, oggetto della presente controversia.

Inoltre, giova aggiungere che il diritto di circolare liberamente su tutto il territorio nazionale non implica di per sé la gratuità nella circolazione. A ben vedere, invece, la previsione di un pedaggio oltre a non essere limitativa del diritto in questione (cfr. Corte Cost. n. 264 del 1996), risulta suggerita dalla natura concessoria del rapporto giuridico instaurato fra Anas e SAT: in altri termini la previsione di un pedaggio consente alla società concessionaria di gestire l’opera anche al fine di tutelare l’interesse pubblico sotteso alla stessa; altrimenti argomentando, l’investimento sostenuto dalla concessionaria sarebbe insostenibile sotto il profilo finanziario, rendendo di fatto impossibile la realizzazione ed il mantenimento dell’autostrada.

4. Con il secondo motivo del ricorso introduttivo, gli appellanti censurano nel complesso, la scorrettezza dell’operato del CIPE il quale, approvando il progetto definitivo per il lotto n. 6A, avrebbe violato il principio di unitarietà della procedura di VIA, nonché la localizzazione delle opere individuata nel progetto preliminare: in tal modo, inoltre, si sarebbe consentita la possibilità di sanare ex post, mediante uno studio di impatto ambientale successivo alla definizione del tracciato per i lotti ancora sospesi, la frammentazione degli stadi progettuali dell’opera.

Sotto un diverso profilo, la delibera del CIPE si pone in violazione con la previsione di cui all’art. 183 d.lgs. n. 163 del 2006, nonché con la normativa europea in materia (in particolare con la dir. 2011/92/UE): la procedura di VIA prevista per il singolo lotto e non per l’intera opera, non consentirebbe l’individuazione della soluzione di minor impatto né la presa in considerazione della c.d. “opzione zero”. Proprio in virtù di tali considerazioni, si ritiene vietato il frazionamento in vista della valutazione concreta e globale dell’impatto ambientale delle infrastrutture sull’ambiente. In ipotesi di opere complesse sia nella progettazione che nella realizzazione, ai fini della VIA, occorrerebbe una valutazione unitaria del progetto, non considerando i vari elementi in cui si scompone, come autonomi ed indipendenti fra di loro.

4.1 Il motivo non è fondato e va respinto.

Al riguardo è necessario richiamare, preliminarmente, le disposizioni rilevanti in materia: in primo luogo, ai sensi dell’art. 167 comma 7 d.lgs. n. 163 del 2006 “ove il CIPE disponga una variazione di localizzazione dell’opera in ordine alla quale non siano state acquisite le valutazioni della competente commissione VIA o della regione competente in materia di VIA, e il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio o il Presidente della regione competente in materia di VIA ritenga la variante stessa di rilevante impatto ambientale, il CIPE, […] dispone l’aggiornamento dello studio di impatto ambientale e la rinnovazione della procedura di VIA sulla parte di opera la cui localizzazione sia variata e per le implicazioni progettuali conseguenti anche relative all’intera opera”.

Inoltre, lo stesso d.lgs. n. 163 del 2006, all’art. 185 comma 5, prevede che “qualora il progetto definitivo sia diverso da quello preliminare, la commissione riferisce al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio il quale, ove ritenga, previa valutazione della commissione stessa, che la differenza tra il progetto preliminare e quello definitivo comporti una significativa modificazione dell’impatto globale del progetto sull’ambiente, dispone, nei trenta giorni dalla comunicazione fatta dal soggetto aggiudicatore, concessionario o contraente generale, l’aggiornamento dello studio di impatto ambientale e la nuova pubblicazione dello stesso, anche ai fini dell’eventuale invio di osservazioni da parte dei soggetti pubblici e privati interessati. L’aggiornamento dello studio di impatto ambientale può riguardare la sola parte di progetto interessato alla variazione”.

Le disposizioni richiamate evidenziano la possibilità per cui, anche in relazione alle opere di preminente interesse nazionale divise in parti o lotti, come nel caso di specie, è possibile procedere alla rinnovazione parziale della procedura di VIA: ciò anche senza incorrere nella violazione delle disposizioni poste a tutela dell’ambiente.

A ben vedere, la rinnovazione della VIA per il lotto n. 6A si è resa necessaria alla luce delle modifiche intercorse nel passaggio dal progetto preliminare al progetto definitivo; a riprova di ciò risiede la circostanza per cui nessuna procedura di rinnovazione della VIA è stata iniziata con riferimento ai lotti nn. 2 e 3, rispetto ai quali non si sono registrate modifiche nel progetto definitivo.

Il richiamato principio di unitarietà della VIA, che certamente assurge a valore imprescindibile nella realizzazione di infrastrutture strategiche, è stato rispettato già in sede di approvazione del progetto preliminare, avvenuta con la delibera CIPE n. 116 del 2008.

La rinnovazione parziale della procedura, in ultima analisi, è coerente con il principio di unitarietà ed, anzi, è suggerito dalla ratio delle disposizioni prima richiamate: con esse si vuole evitare che un positivo riscontro relativo all’impatto ambientale possa essere ottenuto una sola volta in sede di approvazione del progetto preliminare, senza considerare le eventuali modifiche in corso d’opera. Pertanto, la rinnovazione parziale della procedura è finalizzata a sottoporre l’opera, nella sua struttura definitiva, alla valutazione d’impatto ambientale, evitando che modifiche parziali nel progetto possano artificiosamente eludere la normativa posta a tutela dell’interesse ambientale.

4.2 Da quanto appena esposto discende altresì la coerenza con i principi di diritto europeo previsti nella direttiva menzionata da parte appellante: a ben vedere, nemmeno nella normativa citata vi sarebbero espressi divieti della rinnovazione parziale della VIA; piuttosto, ciò cui tende il legislatore europeo è di evitare che l’artificiosa frammentazione del progetto possa determinare la sottrazione dell’opera all’obbligo di valutazione di impatto ambientale. Ma non sembra essere questa l’ipotesi, in quanto l’opera nel suo complesso già aveva formato l’oggetto di una specifica procedura di VIA e solo le parti di essa che hanno subito trasformazioni nel passaggio dal progetto preliminare a quello definitivo sono state oggetto di una rinnovata procedura di VIA.

4.3 In relazione alla violazione dell’art. 183 comma 2 d.lgs. n. 163 del 2006 e cioè alla omessa individuazione della soluzione di minor impatto o dell’esame della “soluzione zero”, il Collegio ritiene di dover aderire alla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato secondo cui “in presenza di una norma legislativa che dichiara un’opera di “preminente interesse nazionale”, non è contestabile in via di principio all’Amministrazione di avere omesso di ponderare l’utilità dell’opera stessa, e cioè la c.d. opzione zero, in quanto quest’ultima richiederebbe una disapplicazione del dato legislativo, che per converso già accerta e comporta la rispondenza dell’infrastruttura agli interessi della collettività, vincola tanto l’Amministrazione quanto il Giudice, ed esige, finché vige, di essere rispettato ed attuato al pari di ogni altra manifestazione di volontà legislativa” (Cons. Stato, Sez. VI, 13 aprile 2010 n. 2047).

In ogni caso, il profilo di doglianza risulta priva di fondamento, data la sussistenza di un’analisi accurata sul punto svolta sul punto dalla Commissione VIA.

5. Con il terzo motivo di primo grado, parte appellante ritiene illegittima l’approvazione del progetto definitivo del lotto n. 6A in quanto il CIPE non avrebbe validamente considerato il legame funzionale intercorrente con gli altri lotti che compongono l’intera opera autostradale: gli esiti della localizzazione del tracciato relativo agli altri lotti avranno necessariamente ripercussioni sul tracciato insistente nel lotto n. 6A e, dunque, l’approvazione disposta per quest’ultimo dovrebbe essere annullata, anche alla luce del’inapplicabilità, al caso di specie dell’art. 166 comma 5-ter d.lgs. n. 163 del 2006.

5.1 Il motivo è privo di pregio e va respinto.

In disparte l’applicabilità, alla fattispecie dell’art. 166 comma 5-ter d.lgs. n. 163 del 2006, che in ogni caso sembra doversi ammettere, stante l’entrata in vigore del d.l. n. 70 del 2011 in epoca anteriore rispetto alla pubblicazione della delibera del CIPE, il Collegio ritiene non condivisibile la ricostruzione fornita dagli appellanti circa la connessione intrinseca fra i diversi lotti dell’autostrada.

Diversamente da quanto affermato da parte appellante, si ritiene che il lotto n. 6A risulta accessibile indipendentemente dalla realizzazione dei lotti successivi, proprio in virtù della sovrapposizione alla via Aurelia; ad ulteriore conferma di quanto affermato, è opportuno evidenziare che, all’esecuzione dei lavori nel tratto compreso fra Civitavecchia e (omissis) è stata data espressa priorità dalla delibera della Giunta Regionale del Lazio n. 843 del 28 novembre 2008. A ciò si aggiunga che anche il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, nella relazione istruttoria al progetto definitivo, ha effettuato la valutazione della soluzione progettuale prescelta, in termini di funzionalità del lotto n. 6A rispetto agli altri.

6. Parte appellante ripropone in appello il quarto motivo del ricorso introduttivo, tramite il quale solleva l’illegittimità del progetto approvato per contrasto con il piano economico-finanziario: ai sensi dell’art. 143 comma 8 d.lgs. n. 163 del 2006, ciò dovrebbe determinare un suo annullamento. Il disequilibrio economico-finanziario deriverebbe dal radicale mutamento del percorso dell’autostrada previsto in seguito alla approvazione del progetto definitivo del lotto n. 6A.

6.1 Il motivo non ha pregio e va respinto.

In disparte i profili di inammissibilità del motivo di gravame, già evidenziati anche dal giudice di primo grado, il Collegio ritiene necessario il richiamo all’art. 143 comma 8 del d.lgs. n. 163 del 2006, ai sensi del quale “ la stazione appaltante, al fine di assicurare il perseguimento dell’equilibrio economico-finanziario degli investimenti del concessionario, può stabilire che la concessione abbia una durata superiore a trenta anni, tenendo conto del rendimento della concessione, della percentuale del prezzo di cui ai commi 4 e 5 rispetto all’importo totale dei lavori, e dei rischi connessi alle modifiche delle condizioni di mercato. I presupposti e le condizioni di base che determinano l’equilibrio economico-finanziario degli investimenti e della connessa gestione, da richiamare nelle premesse del contratto, ne costituiscono parte integrante. Le variazioni apportate dalla stazione appaltante a detti presupposti o condizioni di base, nonché le norme legislative e regolamentari che stabiliscano nuovi meccanismi tariffari o nuove condizioni per l’esercizio delle attività previste nella concessione, quando determinano una modifica dell’equilibrio del piano, comportano la sua necessaria revisione, da attuare mediante rideterminazione delle nuove condizioni di equilibrio, anche tramite la proroga del termine di scadenza delle concessioni. In mancanza della predetta revisione il concessionario può recedere dal contratto. Nel caso in cui le variazioni apportate o le nuove condizioni introdotte risultino più favorevoli delle precedenti per il concessionario, la revisione del piano dovrà essere effettuata a favore del concedente”.

Dal testo della disposizione emergono le condizioni di revisione del piano economico-finanziario, che si attuano al modificarsi di determinate circostanze: ciò non implica dunque, che ogni previsione effettuata ex ante, se non effettivamente realizzata, determini l’invalidità di tutti i provvedimenti relativi alla concessione. Inoltre, la previsione relativa alla proroga del termine della concessione ed, in generale, la ratio della disposizione richiamata, evidenzia come la lunga durata delle concessioni sia strumentale all’ammortamento degli investimenti iniziali effettuati dalle imprese concessionarie.

7. Le suesposte argomentazioni consentono di ritenere infondato anche l’atto di intervento del Codacons.

8. Alla luce delle suesposte argomentazioni, l’appello va respinto e, conseguentemente, va confermata la sentenza impugnata. Le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate fra le parti, sussistendone giustificati motivi dovuti alla complessità della controversia.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 ottobre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi – Presidente

Nicola Russo – Consigliere, Estensore

Fabio Taormina – Consigliere

Andrea Migliozzi – Consigliere

Silvestro Maria Russo – Consigliere

Depositata in Segreteria il 22 febbraio 2016.

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