Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 24 marzo 2017, n. 1332

Il diritto di accesso, come interesse ad un bene della vita autonomo, deve essere accordato anche se l’interessato non può più (oltre che se non può ancora) agire in sede giurisdizionale. Con la conseguenza che non funziona come delimitazione temporale a monte il termine per l’impugnazione dell’atto lesivo cui il documento richiesto possa riferirsi, collegato al momento di acquisto di efficacia dello stesso

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 24 marzo 2017, n. 1332

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.

sul ricorso numero di registro generale 9987 del 2016, proposto da: Ministero della Difesa – Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Gen. Stato, domiciliata in Roma, via (…);

contro

Da. Pa., rappresentato e difeso dall’avvocato An. Sa., domiciliato ex art. 25 cpa presso Cons. di Stato, Segreteria in Roma, p.za (…);

nei confronti di

Po. En. non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE I BIS n. 09875/2016, resa tra le parti, concernente diniego parziale di accesso ai documenti relativi alla prova di accertamento del livello di conoscenza della lingua albanese

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Da. Pa.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 marzo 2017 il Cons. Giuseppa Carluccio e uditi per le parti gli avvocati Avvocato dello Stato D’E. e Sa.;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

1.Con l’appello in esame, il Ministero della difesa e il Comando Generale dell’Arma dei carabinieri impugnano la sentenza, meglio specificata in epigrafe, con la quale il TAR, in accoglimento del ricorso presentato dal Maresciallo Capo dell’Arma dei Carabinieri Da. Pa., ha ordinato all’Amministrazione di esibire quei documenti chiesti dallo stesso e negati con provvedimento del febbraio 2016.

2.Il Pa. aveva partecipato alla prova di certificazione del livello di conoscenza della lingua albanese (nel dicembre del 2015), apprendendone l’esito mediante lo “specchio di presa visione” l’ultimo giorno della prova (11 dicembre 2015). Del risultato veniva anche informato mediante trasmissione al Nucleo investigativo di appartenenza del riepilogo dei risultati conseguiti dai partecipanti (il 15 gennaio del 2016).

Presentò istanza di accesso agli atti (il 20/22 gennaio successivo).

L’Amministrazione la accolse parzialmente: consentendola per la richiesta di accertamento linguistico fatta dal Maresciallo Po. e per la lettera di convocazione alla prova dello stesso – lett. a) e b) della richiesta – ed inviò lo schema riepilogativo dei risultati firmato all’esito del concorso, cd. “specchio di presa visione” (lett. e) della richiesta).

Quanto alle altre richieste – lett. c) e d) – concernenti i moduli di risposta multipla compilati da tutti i partecipanti inerenti le prove di listening e reading, con i relativi correttori, nonché le prove di writing di tutti i partecipanti, l’Amministrazione comunicò che non era possibile concedere la documentazione poiché la stessa era trattenuta agli atti per un periodo massimo di 30 giorni, decorrenti dalla data di notifica dei risultati ai candidati (quindi dall’11 dicembre 2015, data della presa visione dello schema riepilogativo da parte dei candidati), secondo quanto stabilito dalla direttiva del 2015 (punto 2, lett. f), che i candidati erano stati invitati a visionare con la lettera di convocazione.

3.La sentenza impugnata, dopo aver richiamato i principi generali in materia di diritto di accesso, ha escluso il carattere meramente esplorativo dell’istanza, concernendo atti determinati; ha riconosciuto la ricorrenza delle esigenze di difesa, in riferimento ad una procedura “selettiva” cui il richiedente ha partecipato; ha escluso profili di riservatezza a tutela di terzi, nonché la sussistenza dei casi di esclusione ai sensi dell’art. 24 della l. n. 241 del 1990.

Ha ritenuto non opponibili al cittadino le circostanze addotte a giustificazione da parte dell’Amministrazione. Secondo il giudice di primo grado, la previsione contenuta nella direttiva circa il trattenimento della documentazione solo per 30 giorni dalla notifica del risultato, con conseguente successiva distruzione, come dedotto dal Ministero, nonché le conseguenze dell’ostensione dei correttori che comporterebbero la necessità di predisporre un nuovo test, sono soccombenti. Prevarrebbe l’obbligo dell’Amministrazione di detenere i documenti a garanzia del diritto di accesso riconosciuto dalla legge come posizione strumentale alla partecipazione procedimentale ed alla imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa; i costi necessari per l’acquisto di nuovi test avrebbero rilievo solo fattuale.

Il giudice di primo grado ha aggiunto di non condividere la tesi dell’Amministrazione la quale, nel dare applicazione alla direttiva interna che tiene conto dell’esigenza di estrarre copie, fa decorrere il termine di 30 giorni di trattenimento, prima della distruzione, dalla data della presa visione dello schema riepilogativo (11 dicembre 2015) e non dalla data in cui i risultati sono notificati (per l’istante il 15 gennaio 2016), dopo che il Comando li ha adottati e fatto propri. A tal fine il giudice ha rilevato che la prima sarebbe una mera comunicazione senza la consegna di alcun documento, mentre la conoscenza legale dello stesso deve riferirsi alla notificazione del documento dopo l’approvazione ufficiale da parte del Comando.

4.Avverso la decisione impugnata l’Amministrazione propone due censure.

4.1 La seconda è logicamente preliminare perché appare mettere in discussione l’interesse alla actio ad exibendum. A partire dalla circostanza che il giudice ha qualificato la procedura come selettiva, si mette in evidenza la differenza con la procedura di stampo idoneativo, quale è quella cui ha partecipato l’istante per l’accertamento della conoscenza di una determinata lingua; con conseguente valutazione tendenzialmente assoluta e non comparativa, mancanza di posti banditi, mancanza di ogni correlazione diretta tra l’esito del test linguistico e il comando all’estero, in quanto, oltre alla conoscenza di quella determinata lingua, rilevano molti altri profili curriculari; la mancanza, quindi, di controinteressati.

4.1.1. La censura non ha pregio.

Preliminarmente deve rilevarsi che, come si deduce dalla richiesta di accesso nella parte direttamente assentita dall’Amministrazione, la richiesta conoscitiva che coinvolgeva solo il Maresciallo Po. si comprende con la circostanza che il suddetto nominativo non compariva nell’elenco originario dei convocati ed inoltre, tra i partecipanti alla prova, era tra quelli che avevano conseguito un punteggio maggiore. Con la conseguente ipotizzabilità della posizione processuale di controinteressato.

Premesso, ancora, che il termine di procedura “selettiva”, utilizzato dal giudice non è determinante nella logica argomentativa della decisione, è innegabile che, ai limitati fini della configurabilità del diritto di accesso, la distinzione non assume rilievo.

Invero, anche rispetto ad una prova solo idoneativa, sono individuabili i dati caratterizzanti del diritto di accesso tutelato dall’ordinamento e ben enucleati dal primo giudice. Secondo opinione oramai pacifica, è sufficiente che l’istante sia titolare di una situazione giuridicamente tutelata, senza che debba assumere necessariamente la consistenza di diritto soggettivo o di interesse legittimo, collegata ad un documento che sia idoneo a produrre anche effetti indiretti nei suoi confronti e che tale interesse sia concreto ed attuale. Nella specie, la finalizzazione della prova all’accertamento del livello di conoscenza di una lingua non esclude, in primo luogo, l’interesse del partecipante ad assicurarsi che si sia svolta secondo imparzialità e trasparenza, derivando dal punteggio finale la possibilità di partecipare a bandi per la selezione di personale avente, tra i requisiti, proprio quello della conoscenza della lingua. Sussiste, pertanto, l’interesse concreto ed attuale alla verifica se le prove si sono svolte in modo corretto e imparziale.

4.2. Con la prima censura si critica la decisione gravata sotto due profili strettamente collegati.

4.2.1.A fronte della tesi centrale della sentenza, secondo cui l’Amministrazione non poteva frustare il diritto di accesso con direttive interne e per esigenze organizzative, posto l’obbligo di legge di detenere i documenti per l’Amministrazione cui il procedimento sia riconducibile, l’appellante mette in relazione l’art. 22 della legge n. 241 del 1999, che prevede l’obbligo di detenere i documenti, con l’art. 2 del d.P.R. n. 184 del 2006 (Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi), secondo il quale il diritto di accesso si esercita rispetto a documenti materialmente esistenti al momento della richiesta. Ne deduce la legittimità della direttiva per la valutazione e certificazione delle conoscenze linguistiche, la quale, nel disciplinare il diritto di accesso rispetto alla documentazione inerente i candidati, ne regolamenta la conservazione per un tempo determinato e la comunicazione dei risultati.

4.2.2. A fronte dell’argomentazione che la sentenza qualifica come “residuale” – perché fondata sul presupposto (prima escluso) che si potesse ammettere la possibilità per l’Amministrazione di stabilire un termine per tenere a disposizione i documenti – secondo la quale il termine avrebbe comunque dovuto decorrere dalla notificazione dei risultati approvati e non dalla presa visione, con la conseguenza (non tratta esplicitamente dal giudice di primo grado) che in tal caso l’istanza di accesso sarebbe intervenuta tempestivamente e l’amministrazione non avrebbe potuto negare l’accesso per mancanza di disponibilità dei documenti, l’appellante oppone una serie di considerazioni.

A sostegno della decorrenza del termine dalla presa visione, mette in evidenza: – l’identità dell’atto (contenente lo schema delle valutazioni in punteggi per ciascuno degli esaminati), poi comunicato ai comandi di corpo per conoscenza, senza la previsione della specifica consegna al destinatario, oltre che al Comando Generale per le variazioni matricolari (con conseguente mancanza di atti da consegnare); la riconducibilità degli effetti del test alla notificazione avvenuta mediante presa visione, posto che da quel momento i partecipanti potevano essere destinatari di interpello per impieghi specifici dove rileva la conoscenza della lingua. Aggiunge che i candidati hanno avuto la possibilità della piena conoscenza dei propri diritti, essendo stati informati delle procedure al momento della convocazione, mediante invito alla lettura dei relativi documenti.

5.Entrambe le censure meritano accoglimento.

5.1. A favore della prima censura vi è innanzitutto la considerazione che il diritto di accesso va contemperato con le esigenze di buon andamento ed efficienza della stessa azione amministrativa. E’ vero che il diritto di accesso costituisce il precipitato del principio di trasparenza, oramai entrato a far parte dei principi generali che regolano l’azione amministrativa accanto a quelli di legalità e imparzialità. E’ vero che il diritto di accesso attua quello di trasparenza e che, a garanzia di questo, per evitarne la frustrazione, è posto l’obbligo dell’Amministrazione, cui i documenti richiesti ineriscono per via delle proprie competenze, di detenere i documenti o di costituire la detenzione della relativa documentazione o, comunque, di svolgere ogni azione idonea a reperirla (salva la motivata esplicitazione dell’impossibilità di utilmente provvedere). Ma, non può negarsi che tutti i principi che regolano l’azione amministrativa siano finalizzati all’obiettivo del buon andamento e dell’efficienza dell’amministrazione per garantirne l’efficacia.

Ritiene il Collegio che, in nome di tale contemperamento, sia configurabile un potere dell’Amministrazione di disciplinare il tempo massimo di detenzione dei documenti a condizione che di tali disposizioni siano informati gli interessati e che la decorrenza del tempo massimo sia ancorata a data certa.

5.1.1.Il dato letterale da cui prendere le mosse si rinviene proprio nell’art. 2, comma 2 del regolamento, che disciplina le modalità di esercizio del diritto di accesso ai documenti (d.P.R. n. 184 del 2006, emanato in attuazione dell’art. 23 della l. n. 15 del 2005), secondo il quale, “Il diritto di accesso si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e detenuti alla stessa data da una pubblica amministrazione…”. La disposizione regolamentare trova la propria base legislativa nella previsione (art. 22, comma 6, della legge n. 241 del 1990) che “il diritto di accesso è esercitabile fino a quando la pubblica amministrazione ha l’obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali si chiede di accedere”. Allora, è la stessa legge che prevede astrattamente un termine all’obbligo di detenere i documenti.

Inoltre, diversi elementi inducono a ritenere sostenibile, al di là del mero dato letterale, una interpretazione che consenta la distruzione del documento dopo un certo periodo.

5.1.2. L’esigenza esiste, atteso che – nonostante il progredire delle potenzialità tecnologiche – non è immaginabile una generale conservazione tendente all’infinito di ogni documento amministrativo. Una conservazione, quindi, che prescinda dalle tematiche collegate, e qui non rilevanti, dei documenti a valenza storica e dai documenti segreti. E’ sufficiente considerare che i termini decadenziali per l’accesso alla tutela giurisdizionale avverso le determinazioni e il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti (art. 116 c.p.a.) pongono una limitazione temporale a valle, mentre resta completamente libero il termine a monte, affidato unicamente alla perdita fattuale dell’interesse per le vicende naturali del corso della vita. Tanto più che, secondo la giurisprudenza consolidata (CdS, VI n. 3147 del 2009), il diritto di accesso, come interesse ad un bene della vita autonomo, deve essere accordato anche se l’interessato non può più (oltre che se non può ancora) agire in sede giurisdizionale. Con la conseguenza che non funziona come delimitazione temporale a monte il termine per l’impugnazione dell’atto lesivo cui il documento richiesto possa riferirsi, collegato al momento di acquisto di efficacia dello stesso (art. 29 c.p.a., art. 21-bis, della legge n. 241 del 1990).

L’esigenza suddetta si coniuga con l’interesse dell’Amministrazione ad efficientare l’utilizzo delle risorse materiali ed umane che ha a disposizione, il quale non è cosa diversa dall’interesse generale alla celerità dell’azione amministrativa, comune al privato e all’amministrazione, atteso che il miglior utilizzo delle prime quantomeno concorre ad assicurare la realizzazione della seconda.

5.1.3.Il legislatore si è dimostrato non insensibile a tali tematiche laddove: a) ha considerato il potere di differire l’accesso se l’immediata ostensione possa turbare il regolare svolgimento dell’azione amministrativa, oppure, quale extrema ratio, di rifiutarlo espressamente; fermo restando che rifiuto, differimento e limitazione devono essere specificamente motivati (art. 25, comma 3, l. n. 241 del 1990); b) ha previsto che la pubblica amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso (lo stesso articolo 2 del regolamento in argomento).

5.1.4. Peraltro, la stessa previsione del termine decadenziale per l’esercizio dell’azione giurisdizionale è stata ritenuta compatibile con la posizione soggettiva tutelata – strumentale e funzionale al bene della vita finale che l’istante intende tutelare – anche in nome della esigenza di stabilità e certezza, caratterizzante i rapporti amministrativi (CdS A.P. nn. 6 e 7 del 2006). Queste stesse esigenze possono concorrere a fondare una interpretazione che consenta la delimitazione temporale della disponibilità dei documenti per l’accesso.

5.1.5. L’interpretazione sostenuta non trova ostacolo nello stesso art. 2, comma 2 cit., laddove, a proposito dell’autorità competente cui indirizzare la richiesta, si dice “… nei confronti dell’autorità competente a formare l’atto conclusivo o a detenerlo stabilmente.”. La suddetta norma, in linea con l’art. 22 della legge n. 241 del 1990, indica i soggetti in direzione dei quali può essere esercitato il diritto di accesso, specificando che può trattarsi ” dell’autorità competente a formare l’atto conclusivo”, ossia deputata a concludere il procedimento amministrativo con l’adozione del relativo provvedimento, ovvero dell’autorità competente a ” detenerlo stabilmente”, ossia non in via provvisoria, e che può coincidere con la prima. All’evidenza, il termine “stabilmente” è contrapposto a “in via provvisoria” e si riferisce alla detenzione con riferimento al corso del procedimento e alle diverse amministrazioni che possono essere coinvolte, ai fini della individuazione dell’amministrazione cui le richieste possono essere indirizzate.

5.1.6. La temporalizzazione della detenzione dei documenti, una volta che il procedimento si sia concluso, non trova ostacolo neanche nell’esigenza, posta dall’art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990, di garantire comunque l’accesso ai documenti la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Infatti, per assicurare l’effettività della garanzia non vi è bisogno di una disponibilità a tempo indeterminato, prestandosi ad essere idonea la concreta possibilità di accesso per un tempo ragionevolmente determinato.

5.1.7. Infine, ostacoli non derivano neanche dalla pregressa giurisprudenza di questo Consiglio. In alcune rilevanti pronunce (CdS, sez. IV, n. 1312 del 2013; sez. VI n. 3743 del 2015) l’affermazione dell’obbligo di detenzione per evitare la frustrazione del diritto di accesso mediante il diniego fondato sul mancato possesso dei documenti, anche quando si utilizzano espressioni generalizzanti, quali “assenza per qualsivoglia ragione” (CdS, sez. IV, n. 2379 del 2014), si collega sempre alla riconducibilità della detenzione ad una determinata amministrazione e alla individuazione della amministrazione su cui grava l’obbligo di detenere, nell’ambito del procedimento. Mai alla regolazione temporale del tempo di detenzione dei documenti dopo la conclusione del procedimento.

5.2. Come prima accennato, la ritenuta legittimità della regolamentazione temporale della disponibilità dei documenti per consentirne l’accesso deve completarsi, proprio per evitare la frustrazione del diritto, con l’ancoraggio del tempo stabilito a termini di decorrenza certi e con la preventiva informazione in ordine agli stessi.

Requisiti che, nella specie, risultano soddisfatti.

5.2.1. Con riferimento al primo profilo, non può condividersi la tesi del giudice di primo grado (cfr. §.3), il quale, richiamando le categorie generali del processo rispetto a comunicazione e notificazione, ha ritenuto di poter qualificare la presa visione del documento riepilogativo come mera comunicazione priva di effetti, per via della mancata consegna del documento, ed ha ricondotto la conoscenza legale per il partecipante alla selezione al momento in cui il documento, dopo l’approvazione ufficiale, era stato trasmesso al Comando di appartenenza.

A diversa conclusione si perviene se si contestualizzano al caso concreto le categorie astratte di comunicazione e notificazione proprie del diritto processuale.

Se è vero che la comunicazione, di norma, serve a render succintamente noti fatti, ovvero l’avvenuta emissione di provvedimenti, mentre la notificazione svolge la funzione di portare a conoscenza atti, nella loro integrità, è altrettanto vero che, nella specie, è identico il documento, dapprima visionato e firmato dal partecipante al concorso e poi inviato, oltre che a diverse articolazioni del Comando Generale, anche al comando di appartenenza del partecipante. Si devono considerare, poi una serie di elementi: -la trasmissione del documento al comando di appartenenza non si accompagna con la formale richiesta di consegna all’interessato, anche se questi risulta aver firmato “per ricevuta”; – il documento non è mai destinato ad essere consegnato all’interessato; soprattutto, non risultano diversità tra il documento visionato e quello trasmesso al Comando, se non l’apposizione della firma del Capo Sezione accertamenti interni; – non risulta qualunque attività di verifica degli esami svolti tra il momento della visione del documento da parte dell’interessato e la firma dello stesso da parte del Capo Sezione; – la naturale esigenza di informare il Comando Generale, le varie articolazioni dell’Arma, compreso il comando di corpo, dell’esito dell’accertamento del livello della lingua ai vari fini cd. “matricolari”.

Allora, tutto considerato, si deve concludere che correttamente la direttiva distingue la notificazione ai fini dell’accesso agli atti (punto 2, lett. f), secondo periodo), dalla comunicazione del risultato da parte dell’Autorità Certificatrice alle Autorità competenti per gli adempimenti di competenza (punto 2, lett. f), primo periodo). E che, correttamente, l’Amministrazione ha fatto decorrere il termine per la conservazione della documentazione dalla notificazione, coincidente con la conoscenza dello schema riepilogativo – destinato a non subire più variazioni, ma solo ad essere firmato dal responsabile dell’avvenuto accertamento – mediante la presa visione dello stesso.

5.2.2. Resta da dire che, nella specie, la regolamentazione prevista ha garantito anche la preventiva conoscenza della stessa da parte degli interessati. Infatti, come dedotto dall’appellante, i candidati al momento della convocazione erano stati invitati a prendere conoscenza della direttiva che disciplinava lo svolgimento dell’accertamento linguistico, ivi compresi i termini in cui gli atti sarebbero stati a disposizione per l’accesso.

6. In conclusione, l’appello è accolto e, in riforma della sentenza impugnata, è rigettato il ricorso di primo grado.

Le spese processuali sono integralmente compensate in ragione della novità della questione affrontata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso di primo grado.

Le spese processuali di entrambi i gradi di giudizio sono interamente compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

Antonino Anastasi – Presidente

Oberdan Forlenza – Consigliere

Leonardo Spagnoletti – Consigliere

Luca Lamberti – Consigliere

Giuseppa Carluccio – Consigliere, Estensore

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