Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 7 settembre 2016, n. 3823

In caso di pluralità di proprietari del medesimo immobile, di conseguenza, la domanda di rilascio di titolo edilizio – sia esso o meno titolo in sanatoria di interventi già realizzati – dovrà necessariamente provenire congiuntamente da tutti i soggetti vantanti un diritto di proprietà sull’immobile, potendosi ritenere d’altra parte legittimato alla presentazione della domanda il singolo comproprietario solo ed esclusivamente nel caso in cui la situazione di fatto esistente sul bene consenta di supporre l’esistenza di una sorta di cd. pactum fiduciae intercorrente tra i vari comproprietari

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 7 settembre 2016, n. 3823

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2247 del 2007, proposto dalla signora Va. Pa. Gr., rappresentata e difesa dagli avvocati Da. Gr. e Fe. Te., con domicilio eletto presso Fe. Te. in Roma, largo (…);
contro
Comune di (omissis) non costituito in giudizio;
nei confronti di
Ministero per i beni e le attività culturali, As. It. No., non costituiti in giudizio;
So. Mi. s.a.s., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Fe. So. e Lu. Co., con domicilio eletto presso Fe. So. in Roma, (…);
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Liguria – Sezione I – n. 1166 del 9 ottobre 2006, resa tra le parti, concernente concessione edilizia in sanatoria per recupero edificio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della società MI.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 maggio 2016 il Cons. Nicola Russo e uditi per le parti gli avvocati Gr., So. e l’avvocato dello Stato El.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. La sig.ra Gr. Va. Pa. e la società in accomandita semplice MI. sono comproprietarie di un edificio, con destinazione residenziale, sito in (omissis) di (omissis), via (omissis) n. (omissis), di documentate origini settecentesche. Il fabbricato risulta interessato, fin dal 1985, da una serie di lavori di restauro e consolidamento, a causa dello stato di scarsa manutenzione e di abbandono protrattosi per molti anni, che avevano indotto l’Amministrazione comunale a dichiararne l’inabitabilità e a ordinarne lo sgombero, nonché l’esecuzione di lavori di puntellamento volti a tutelare l’incolumità fisica dei cittadini.
1.1. A fronte dei reiterati rifiuti opposti dalla sig.ra Va. Pa. alla realizzazione delle opere di risanamento edilizio dell’immobile, la MI. s.a.s. adiva l’autorità giudiziaria ordinaria, chiedendo dichiararsi l’obbligo della comproprietaria di dare esecuzione, ovvero non ostacolare o impedire l’esecuzione, degli interventi edilizi necessari.
1.2. La controversia veniva definita transattivamente con l’assunzione, da parte di ambo i comproprietari, dell’obbligo di non impedire l’esecuzione dei lavori previsti nel Capitolato allegato alla scrittura privata, sottoscritta in data 30 luglio 1996 (ovvero, quattro giorni dopo la stipulazione del contratto di appalto con le ditte Cu. e Be. per l’esecuzione dei lavori di restauro e risanamento conservativo dell’immobile).
1.3. Dando avvio alle operazioni tecniche per la realizzazione delle opere manutentive del fabbricato, veniva presentata in data 23 agosto 1996 al Comune di (omissis) una Denuncia di Inizio Attività, ai sensi dell’art. 9 D.L. 22 luglio 1996 n. 388, avente ad oggetto il rifacimento del manto di copertura e dell’intonaco delle facciate dell’edificio di via (omissis) n. (omissis), nonché il risanamento di una porzione di muratura pericolante dello stesso.
1.4. Con successiva nota prot. n. 23757 del 2 ottobre 1997, l’Autorità comunale comunicava alla proprietà l’avvio del procedimento avente ad oggetto violazioni edilizie, consistenti in un abusivo ampliamento dell’edificio di via (omissis), nonché in contestuali modifiche del prospetto, consistenti nell’apertura di due superfici finestrate, non oggetto della D.I.A. precedentemente presentata.
1.5. A termine del procedimento di verifica degli abusi, veniva infine ingiunta, con ordinanza n. 3323 del 14 ottobre 1997, la rimozione ovvero la demolizione delle opere illegittimamente eseguite sull’immobile e il ripristino del precedente stato dei luoghi.
1.6. Con ricorso R.G. n. 2363/97 la MI. impugnava dinanzi il T.A.R. per la Liguria il citato provvedimento ingiuntivo, ottenendo, con ordinanza n. 13 dell’8 ottobre 1998 la sospensione cautelare dello stesso. Nelle more del citato giudizio, la società presentava altresì domanda ex art. 13 L. n. 47/1985 per il rilascio del titolo edilizio per accertamento di conformità, relativamente al contestato incremento di spessore della copertura del fabbricato e al ripristino dei suoi prospetti.
1.7. Con nota prot. del 25 giugno 1999, il Dirigente del Servizio Edilizia Privata-Urbanistica del Comune di (omissis) sospendeva il procedimento ex art. 13 avviato dalla MI. s.a.s., la quale proponeva, dinanzi a T.A.R. Liguria, domanda di annullamento sia del citato atto di sospensione (R.G. n. 1161/99), che del successivo provvedimento (prot. n. 14947 del 9 maggio 2000) di rigetto della medesima istanza (R.G. n. 1137/2000); faceva seguito un nuovo ordine di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi, in data 29 giugno 2000, avente questa volta ad oggetto le opere murarie – tamponatura in laterizio di preesistente bucatura di collegamento – e la predisposizione dell’impianto termico, idraulico ed elettrico.
1.8. La società, pur non abbandonando i ricorsi giudiziali già proposti, decideva di presentare una nuova istanza di concessione edilizia in sanatoria degli abusi, di cui al provvedimento ingiuntivo del giugno 2000.
1.9. L’Amministrazione, al termine di una nuova fase istruttoria, procedeva pertanto al rilascio, in data 30 marzo 2001, del titolo edilizio in sanatoria, il quale accoglieva, oltre alle opere oggetto dell’ultima istanza (opere murarie e impiantistiche), anche gli interventi precedentemente sanzionati con l’ordinanza n. 3323 del 14 ottobre 1997 (e inerenti la ricostruzione del tetto dell’edificio e l’apertura di due finestre).
2. Con ricorso R.G. n. 702/2001 proposto dinanzi il T.A.R. della Liguria, la sig.ra Va. Pa. impugnava la citata concessione in sanatoria, ritenendola lesiva delle proprie posizioni giuridiche, nonché viziata da manifesta violazione di legge ed eccesso di potere; a tal fine articolava quattro autonomi vizi – motivi.
2.1. Più nello specifico, la ricorrente si doleva del fatto che il Comune non avesse tenuto conto, da un lato, dei precedenti dinieghi dallo stesso emessi e aventi ad oggetto le medesime operazioni edilizie di cui al provvedimento impugnato, né, dall’altro, della consistenza delle opere, abusivamente realizzate su immobile di pregio storico artistico e già oggetto di provvedimento (prot. n. 5451 del 24 maggio 2002) della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio della Liguria, di “avvio del procedimento di riconoscimento del particolare interesse storico-artistico dell’immobile”, comportante “ai sensi dell’art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 490/1999 […] l’applicazione delle disposizioni previste in materia di beni vincolati nei confronti dell’intenzione sia ad alienare l’immobile, sia ad attuarvi interventi edilizi”.
In altre parole, la sig.ra Va. Pa. lamentava che l’Amministrazione comunale, nel rilasciare una sanatoria edilizia per opere già oggetto di precedente diniego, nonché nell’autorizzare modifiche di un edificio gravato da vincoli di natura storico-artistica, non avesse fatto buon uso dei propri poteri discrezionali.
2.2. Veniva inoltre dedotta la violazione delle norme tecniche dettate dall’art. 10, Zona (omissis) (omissis) delle NTA del P.R.G del Comune di (omissis), in quanto l’aumento volumetrico determinato dalle operazioni edilizie realizzate sull’immobile di Via (omissis) n. (omissis) superavano il limite del 5% dei volumi esistenti, dettato dalla citata norma tecnica di Piano Regolatore.
Sul punto, la sig.ra Va. Pa. faceva notare che il calcolo della quota limite era stato operato prendendo a riferimento, da un lato, anche parti del fabbricato – quali la soletta di copertura dello stesso – non rientranti nel concetto di “volumi esistenti” presente nella norma tecnica di Piano e, dall’altro, la porzione di immobile di proprietà della stessa ricorrente, la quale, tuttavia, non aveva mai acconsentito alla realizzazione delle opere oggetto di procedura repressiva dell’Amministrazione, né aveva aderito alla presentazione dell’istanza di concessione in sanatoria.
2.3. Infine, deduceva che la realizzazione della copertura a falde, eseguita sull’immobile per asserite esigenze di adeguamento igienico-tecnologico, non poteva in alcun modo essere autorizzata, in quanto insistente su un vano sottotetto non avente funzione abitativa e pertanto esulante dalle fattispecie tassativamente indicate dalle norme edilizie comunali per l’esecuzione di detti interventi.
2.4. Al fine di valutare l’entità dell’ampliamento apportato all’edificio in conseguenza dell’intervento della MI. s.a.s., nonché di chiarire lo stato del procedimento di imposizione del vincolo storico-artistico sullo stesso bene, il giudice di prime cure ha disposto l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio, affidata all’Arch. Gl. Dr..
All’esito delle procedure peritali, il Consulente Tecnico d’Ufficio chiariva che:
– l’aumento volumetrico della struttura risultava dipendente dall’intervento di sostituzione del tetto, avvenuto mediante posa di nuovo solaio in laterizio e cemento al di sopra dell’originaria struttura portante, con conseguente innalzamento della copertura a falde inclinate dell’immobile;
– detto aumento volumetrico era comunque contenuto nel limite del 5% del volume originario del fabbricato, previsto dall’art. 10 Zona (omissis) (omissis) delle NTA del PRG;
– il medesimo ampliamento, tuttavia, era consentito solo se “giustificato da esigenze di adeguamento igienico-tecnologico e funzionale delle unità immobiliari esistenti” e pertanto non poteva ritenersi legittimamente eseguito, in quanto la copertura a falde insisteva su un vano sottotetto privo di funzione abitativa;
– il procedimento per l’imposizione del vincolo storico-artistico sull’immobile di Via (omissis) n. (omissis) era stato definitivamente archiviato.
2.5. Nelle more del giudizio il T.a.r. ha dichiarato improcedibili i ricorsi proposti dalla società comproprietaria avverso, rispettivamente, l’ordinanza di demolizione delle opere eseguite sul fabbricato di Via (omissis) n. (omissis) (R.G. n. 2363/97), la sospensione del procedimento avviato in seguito alla presentazione della prima istanza di rilascio di concessione edilizia in sanatoria (R.G. n. 1161/99) e del successivo rigetto della medesima istanza (R.G. n. 1137/2000) con sentenze nn. 818, 819 e 820 del 2006.
3. Alla luce delle risultanze tecniche sopra sintetizzate, il giudice di primo grado, con sentenza n. 1166 del 9 ottobre 2006, ha respinto integralmente il ricorso proposto dalla sig.ra Va. Pa.. La decisione veniva motivata, in primo luogo, sulla base della non annoverabilità del rilascio di concessione edilizia in sanatoria tra gli atti discrezionali dell’Amministrazione, “essendo invece ascrivibile al più fra i provvedimenti che, sulla scorta della disciplina positiva contenuta negli atti di pianificazione […] verifica la compatibilità ex post degli interventi realizzati in difformità rispetto ad essa”, fatto da cui il giudice rilevava l’esorbitanza delle censure di eccesso di potere, sollevate dalla ricorrente, in merito al provvedimento oggetto del giudizio.
Per quanto inerente agli ulteriori motivi di ricorso avanzati dalla ricorrente, attinenti il merito tecnico delle opere realizzate dalla MI. s.a.s., il T.AR. ligure rilevava, da un lato, che il CTU aveva sufficientemente chiarito come l’aumento volumetrico realizzato – dovuto alla sovrapposizione di un nuovo solaio in laterizio e cemento al di sopra dell’originaria struttura portante, con conseguente innalzamento del tetto – non superasse il limite del 5% “dei fabbricati esistenti” dettato dall’art. 10 delle NTA di PRG del Comune di (omissis) e pertanto dovesse essere ritenuto sanato in forza del titolo edilizio impugnato. D’altra parte, lo stesso giudice affermava di non aderire all’interpretazione della norma tecnica indicata dal consulente, il quale aveva affermato che il citato ampliamento non potesse essere realizzato sull’immobile di Via (omissis) n. (omissis), poiché la copertura a falde eseguita sullo stesso insisteva su un vano sottotetto non adibito a funzione abitativa.
L’intervento oggetto del provvedimento in sanatoria impugnato, difatti, ben poteva rientrare nell’ampia previsione dei tipi consentiti dalla norma di Piano generale, che parla genericamente di “adeguamento igienico-funzionale” dell’edificio.
4. Con atto di appello depositato in data 15 marzo 2007, la sig.ra Va. Pa. impugna la citata sentenza n. 1166/2006, lamentandone l’illegittimità, per erronea interpretazione della normativa in concreto applicabile, e chiedendone l’integrale riforma sulla base di due articolati motivi di gravame; in particolare ha censurato l’omessa pronuncia sul primo motivo dell’originario ricorso di primo grado, nella parte in cui deduceva la mancanza del consenso del comproprietario al conseguimento del titolo in sanatoria.
5. Si è costituita, con memoria depositata il 17 aprile 2007, la MI. s.a.s., la quale ha insistito per il rigetto del proposto appello e la conferma dell’impugnata sentenza di primo grado.
6. In vista dell’udienza di discussione le parti hanno depositato memorie, illustrando e ribadendo le rispettive domande, deduzioni e conclusioni già presentate negli atti introduttivi.
7. All’udienza pubblica del 26 maggio 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appellante domanda la riforma della sentenza n. 1166/2006 del Tar Liguria e la declaratoria di illegittimità, con conseguente annullamento, della concessione edilizia in accertamento di conformità, ex art. 13, l. n. 47 del 1985, rilasciata in data 30 marzo 2001 (pratica ed. n. 1993/0259/06) dal Comune di (omissis) e avente ad oggetto varie operazioni edilizie realizzate, in carenza del necessario titolo abilitativo, su di un immobile di origini settecentesche sito in Via (omissis) n. (omissis).
2. In particolare, con un primo profilo di doglianza, la sig.ra Va. Pa. si duole della decisione del giudice di prime cure, nella parte in cui lo stesso, alla luce delle risultanze della consulenza tecnica disposta d’ufficio, ha ritenuto privo di alcuna forma di tutela vincolistica storico-artistica l’immobile di Via (omissis) n. (omissis) oggetto dei lavori di cui al titolo in sanatoria impugnato.
2.1. Il profilo, tuttavia, risulta sfornito di fondamento. Correttamente, infatti, il giudice di primo grado, tenuto conto delle risultanze della consulenza tecnica dallo stesso disposta, ha chiarito che la procedura di imposizione del vincolo – di natura storico-artistica – sull’immobile di proprietà della sig.ra Va. Pa. e della MI. s.a.s., inizialmente avviata e comunicata alle proprietarie dell’immobile con nota prot. n. 5451 del 24 maggio 2002, fosse stata successivamente archiviata.
Pertanto, l’immobile di Via (omissis) n. (omissis) ben poteva essere oggetto di opere edilizie di ristrutturazione, e non solo di mero restauro o risanamento conservativo.
Né valgono a superare le considerazioni appena svolte le valutazioni poste in essere dalla ricorrente, odierna appellante, circa l’intrinseco valore storico e artistico dell’edificio, tipico esempio di palazzo ligure settecentesco, “contraddistinto oltre che da una piccola cappella addossata al corpo dell’edificio principale, anche da palesi segni di natura religiosa che, anche se non dichiarata in documenti ufficiali, inducono a ritenere un antico specifico uso in tal senso”. In difetto di qualsiasi forma di vincolo anche in senso lato sullo stesso, ed anzi in un caso in cui l’Ente deputato alla protezione del valore storico e artistico della Regione – id est la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio della Liguria – abbia ufficialmente abbandonato – tramite un atto di archiviazione della procedura di imposizione del vincolo – qualsivoglia procedura volta alla tutela dell’integrità del manufatto, non può che ritenersi lo stesso del tutto libero di divenire oggetto di operazioni edilizie più o meno incisive (ovviamente, qualora le stesse non si pongano in contrasto con altre disposizioni urbanistiche o edilizie, ovvero con differenti discipline vincolistiche).
Deve dunque negarsi che nel caso in esame sussistesse alcun motivo ostativo – di ordine quantomeno vincolistico – alla realizzazione delle operazioni oggetto del provvedimento in sanatoria impugnato.
2.2. Parimenti infondata appare, poi, la censura circa la violazione dell’art. 13 della Legge 28 febbraio 1985 n. 47 (attuale art. 36 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 – Testo Unico in materia Edilizia) e dell’art. 10 Zona (omissis) (omissis) delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di (omissis).
L’aumento volumetrico (determinato dalla sovrapposizione di un nuovo solaio in laterizi su quello preesistente, con innalzamento del tetto) di cui si duole l’appellante risulta, difatti, contenuto entro il limite del 5% delle originarie volumetrie esistenti, indicato dalla normativa di Piano.
Inoltre, concordemente con quanto espresso dal Tar ligure, anche a giudizio di questo Giudice, il parere reso dal CTU in primo grado, secondo cui il descritto incremento volumetrico non potesse essere ritenuto legittimo causa la carenza di funzioni abitative da parte del vano sottotetto sul quale la copertura a falde insiste – copertura determinante il citato aumento di volumetria – non può essere condiviso.
Invero, non risulta in alcun modo rinvenibile (né dalla lettera della norma, né dalla ricostruzione logica e teleologica della stessa) la necessità che l’incremento debba necessariamente inferire su di un vano con funzione abitativa, rimanendo la previsione normativa del tutto generica nell’indicazione di una semplice funzione di “adeguamento igienico-funzionale dell’edificio” dell’intervento comportante aumento di volumi dell’edificio originario, nel cui novero sicuramente va ricompreso anche l’operazione edilizia oggetto del provvedimento impugnato.
2.3. Con ulteriore motivo di appello, ancora, la sig.ra Va. Pa. si duole della erronea valutazione da parte del giudice di prime cure della doglianza inerente l’eccesso di potere in cui sarebbe incorso il Comune di (omissis) nel rilascio del provvedimento in sanatoria.
A dire dell’appellante, più precisamente, il provvedimento impugnato si porrebbe in aperta contraddizione e illogicità rispetto agli antecedenti atti di diniego emessi a seguito di precedenti istanze della MI. s.a.s.
Neppure la descritta censura, tuttavia, coglie nel segno. Il provvedimento di accertamento di conformità edilizia, invero, pur non rappresentando un atto del tutto vincolato dell’Amministrazione, non può d’altro canto essere ricompreso tra gli atti denotati da ampia discrezionalità amministrativa dell’Ente.
L’Amministrazione del caso di specie, difatti, è chiamata semplicemente a valutare, sulla base della disciplina positiva contenuta negli strumenti di pianificazione e della normativa vigente al momento della presentazione dell’istanza, la compatibilità degli interventi già realizzati dal richiedente e posti in essere in carenza di un idoneo titolo abilitativo. Ne deriva che, qualora dalla documentazione presentata dall’istante, risulti che l’intervento non si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistico-edilizi e più in generale con la disciplina normativa applicabile, nessuna sfera di valutazione in merito al rilascio del titolo può ritenersi residuare in capo all’Amministrazione.
Né d’altra parte può porsi in dubbio che il giudice del caso ben possa disattendere, anche solo parzialmente, le conclusioni presentate dal perito d’ufficio, trovando anche nel nostro ordinamento piena applicazione il principio “judex peritus peritorum” (Cons. Stato Sez. IV, 29 ottobre 2015 n. 4947; Cass. pen. Sez. II, 12 febbraio 2015 n. 9358; Cass. Civ. Sez. lav., 7 agosto 2014 n. 17757).
Da quanto specificato, non risulta quindi logicamente possibile riscontrare alcun profilo di “eccesso di potere” nel comportamento tenuto dal Comune di (omissis), nella parte in cui lo stesso ha accolto la domanda di sanatoria edilizia presentata dalla MI. s.a.s. – comproprietaria dell’immobile di Via (omissis) n. (omissis) – pur se successivamente all’emissione di due precedenti provvedimenti di diniego di sanatoria, emessi in esito ad altrettanti procedimenti avviati dalla medesima società.
L’Amministrazione, in sostanza, deve ritenersi pur sempre libera, re melius perpensa, di ritornare su proprie precedenti decisioni e ciò non solo attraverso l’emissione di atti di secondo grado (quali l’annullamento o la revoca), ma altresì con un nuovo provvedimento di primo grado, emesso in esito all’instaurazione di un nuovo procedimento del tutto distinto dai precedenti, di contenuto dispositivo logicamente incompatibile con quanto in precedenza provveduto.
Va quindi disattesa la doglianza relativa alla illegittimità del provvedimento in sanatoria impugnato dall’appellante, non rinvenendosi profili di eccesso di potere, essendo stato emesso in esito ad un procedimento del tutto nuovo e scollegato rispetto alle procedure conclusesi con l’emissione dei due precedenti atti di diniego.
2.4. Tuttavia, deve precisarsi che, in sede di procedimento per rilascio di titolo edilizio in sanatoria, deve formare oggetto di valutazione da parte del Comune di (omissis) la sussistenza di tutti i presupposti cui la legge condiziona il rilascio del provvedimento stesso.
Ebbene, tra i requisiti indefettibili per il rilascio del titolo, va annoverata anche la circostanza che l’istanza di sanatoria provenga da un soggetto qualificabile come proprietario dell’edificio oggetto degli interventi della cui sanatoria giuridica si tratti (cfr. sul punto in questione e sui limiti ed obblighi che incontra il comune nel vagliare gli ostacoli di ordine civilistico al rilascio del titolo edilizio ordinario, o per accertamento di conformità, o per condono edilizio straordinario, Cons. Stato, Sez. IV, n. 2116 del 2016; n. 4818 del 2014; Sez. V, n. 5894 del 2011, cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.).
La regola sopra esposta deve essere ulteriormente precisata nel senso che il soggetto legittimato alla richiesta del titolo abilitativo deve essere colui che abbia la totale disponibilità del bene, pertanto l’intera proprietà dello stesso e non solo una parte o quota di esso. Non può invece riconoscersi legittimazione, al contrario, al semplice proprietario pro quota ovvero al comproprietario di un immobile, e ciò per l’evidente ragione che diversamente considerando il contegno tenuto da quest’ultimo potrebbe pregiudicare i diritti e gli interessi qualificati dei soggetti con cui condivida la propria posizione giuridica sul bene oggetto di provvedimento.
In caso di pluralità di proprietari del medesimo immobile, di conseguenza, la domanda di rilascio di titolo edilizio – sia esso o meno titolo in sanatoria di interventi già realizzati – dovrà necessariamente provenire congiuntamente da tutti i soggetti vantanti un diritto di proprietà sull’immobile, potendosi ritenere d’altra parte legittimato alla presentazione della domanda il singolo comproprietario solo ed esclusivamente nel caso in cui la situazione di fatto esistente sul bene consenta di supporre l’esistenza di una sorta di cd. pactum fiduciae intercorrente tra i vari comproprietari.
In carenza della situazione da ultimo descritta, il titolo edilizio, volto alla realizzazione o al consolidamento dello stato realizzativo di operazioni (incidenti su parti non rientranti nell’esclusiva disponibilità del richiedente) non potrà essere né richiesto – non avendo il soggetto titolo per proporre tale istanza – né, ovviamente, rilasciato – non sussistendo i presupposti per l’emissione dello stesso – in modo legittimo dalla P.A. (Cons. Stato Sez. VI, 10 ottobre 2006 n. 6017; Cons. Stato Sez. V, 24 settembre 2003 n. 5445; Cons. Stato Sez. V, 5 giugno 1991 n. 883).
Ebbene, nel caso all’esame del Collegio, come rilevato da ambo le parti private del giudizio, la sig.ra Va. Pa. – comproprietaria dell’immobile di via (omissis) n. (omissis) – si era da sempre e in più occasioni esplicitamente opposta a qualsiasi forma di intervento sull’immobile di comproprietà con la MI. s.a.s., tanto da rendere necessario procedere a un accordo transattivo con la stessa, al fine di consentire e non ostacolare la realizzazione di quelle opere di recupero, risanamento e consolidamento resesi necessarie dopo il periodo di incuria e abbandono cui l’edificio era stata lasciato per molti anni.
Il citato accordo di transazione, tuttavia, poteva comportare una presunzione di accettazione da parte dell’odierna appellante all’espletamento delle opere descritte nel capitolato allegato allo stesso accordo, ma di certo non anche delle ulteriori operazioni realizzate in carenza di titolo abilitativo.
A ciò si aggiunga che in altre occasioni, come affermato e comprovato dalla sig.ra Va. Pa. e non smentito dalle controparti, la stessa aveva manifestato al Comune di (omissis) il proprio interesse al rigetto della domanda di sanatoria proposta dalla MI. s.a.s.
Ne deriva che, in un tale contesto, l’Amministrazione non aveva base alcuna per presumere che, al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria, potesse sussistere quel pactum fiduciae di cui si è già detto e in assenza del quale la domanda di provvedimento doveva essere rigettata per carenza di titolarità da parte dell’istante alla richiesta del titolo abilitativo in sanatoria.
Sotto questo profilo, in effetti, il provvedimento oggetto di ricorso e di odierno appello, risulta illegittimamente emesso dal Comune di (omissis) in carenza dei presupposti di legge, con conseguente fondatezza del motivo di appello dedotto.
3. Da quanto sopra specificato, in definitiva, deriva l’accoglimento del proposto appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza n. 1166/2006 del Tar per la Liguria, l’annullamento della concessione edilizia in sanatoria rilasciata in favore della MI. s.a.s. da parte del Comune di (omissis) in data 30 marzo 2001 (prat. ed. n. 1993/0259/06), rimanendo d’altro canto impregiudicato il potere da parte del Comune di riprovvedere, in caso di nuova istanza congiunta presentata dai comproprietari dell’edificio di Via (omissis) n. (omissis), alla luce delle regole urbanistico-edilizie vigenti al momento della presentazione della nuova domanda.
4. Le spese del doppio grado di giudizio vengono, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo sulla base dei parametri stabiliti dal regolamento n. 55 del 2014.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, così come proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla la concessione edilizia in sanatoria rilasciata in favore della MI. s.a.s. da parte del Comune di (omissis) in data 30 marzo 2001 (prat. ed. n. 1993/0259/06).
Condanna il comune di (omissis) e la società MI., in solido fra loro, a rifondere in favore della signora Gr. Va. Pa. le spese e onorari di entrambi i gradi di giudizio che liquida in complessivi euro 4.000 (quattromila), oltre al rimborso della quota parte di spese di C.T.U. ad essa accollata in primo grado, ed accessori di legge (15% a titolo di rimborso spese forfettario, I.V.A. e C.P.A.).
Dispone, a carico solidale della società MI. e del comune di (omissis), il rimborso del contributo unificato anticipato dalla ricorrente in relazione ad entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2016 con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Nicola Russo – Consigliere, Estensore
Raffaele Greco – Consigliere
Fabio Taormina – Consigliere
Leonardo Spagnoletti – Consigliere

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