L’art. 879, comma 2 c.c. in tema di distanze tra edifici obbliga al rispetto delle leggi e dei regolamenti vigenti, per cui, occorre far riferimento al disposto del D.M. 2 aprile 1968

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 1 giugno 2018, n. 3329.

La massima estrapolata:

L’art. 879, comma 2 c.c. in tema di distanze tra edifici obbliga al rispetto delle leggi e dei regolamenti vigenti, per cui, occorre far riferimento al disposto del D.M. 2 aprile 1968, richiamato anche dall’art. 3 delle N.T.A. del programma di fabbricazione del Comune di (omissis), nonché alle prescrizioni delle N.T.A. medesime che, come evidenziato dal T.A.R., nella zona B3 prevedono in via generale un distacco dai confini di metri 5,00 (art. 9).
Quando, poi, si interpone una via pubblica, anche a fondo cieco, non uti singuli e si sia in presenza di pareti finestrate (art. 9 comma 2) sussiste senza eccezioni l’obbligo di rispettare la distanza minima di 10 metri incrementabili fino a mt. 13 nella sussistenza di una sede stradale larga mt. 3,00.
Le distanze tra fabbricati ex D.M. n. 1444/1968, in quanto recepite dalle N.T.A. del piano regolatore comunale, diventano cogenti e integrano le disposizioni in materia del codice civile e la presenza di una strada pubblica può sovvertire gli interessi generali che la legislazione urbanistica ed edilizia tutela, mentre, distanze inferiori sono ammesse, in deroga solo, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche (art. 9 u.c. D.M. 1444/1968).

Sentenza 1 giugno 2018, n. 3329

Data udienza 24 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2869 del 2016, proposto dal Signor Mi. Ma., rappresentato e difeso dall’Avvocato Ga. Cr., domiciliato ex art. 25 c.p.a. presso la segreteria del Consiglio Di Stato in Roma, piazza (…);
contro
la Signora Ma. In., rappresentata e difesa dall’Avvocato An. Gi. Gi., con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Al. Pl. in Roma, via (…);
nei confronti
il Comune di (omissis), in persona del sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. MOLISE – CAMPOBASSO: SEZIONE I n. 00332/2015, resa tra le parti, concernente permesso di costruire.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della signora Ma. In.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 maggio 2018 il Consigliere Carlo Schilardi e udito per l’appellata l’avvocato Ma. Di Ne. su delega dell’avvocato An. Gi. Gi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- Con ricorso al T.A.R. per il Molise la sig.ra Ma. In., proprietaria di un immobile sito nel Comune di (omissis) alla via (omissis), impugnava i permessi di costruire n. 5 del 19.12.2012 e n. 27 del 13.12.2013 rilasciati dal responsabile del Settore tecnico del Comune al sig. Mi. Ma. per la demolizione e ricostruzione di un vecchio rudere adibito a civile abitazione confinante con la proprietà della ricorrente.
La sig.ra In. sosteneva che l’intervento in contestazione era stato autorizzato con un incremento volumetrico superiore a quello previsto dal piano casa di cui alla legge regionale n. 30/2009, con la conseguente violazione dei parametri edilizi relativi alle altezze e alle distanze tra fabbricati e dalle strade.
La ricorrente assumeva che il sig. Ma., per il rilascio del primo permesso di costruire n. 5/2012, aveva presentato un progetto che riproduceva una rappresentazione difforme dello stato di fatto del fabbricato preesistente in relazione al numero dei piani (quattro dichiarati anziché tre esistenti, compreso seminterrato e sottotetto), alle altezze, alle superfici di ogni piano, ai volumi e che, a seguito della segnalazione di tali difformità, mediante apposita perizia, lo stesso sig. Ma. presentava un nuovo progetto che veniva assentito con il permesso di costruire n. 27/2013. Tuttavia anche nel nuovo permesso di costruzione venivano indicati volumi, altezze e superfici superiori rispetto al rudere esistente e la sagoma dell’originario fabbricato risultava variata in quanto la scala esterna presente sul lato nord sarebbe stata trasformata in un volume edilizio.
Si costituivano in giudizio il Comune di (omissis) e il controinteressato sig. Mi. Ma. che eccepivano la tardità del ricorso e nel merito, circa la asserita violazione delle distanze tra fabbricati, sostenevano che trattandosi di costruzioni a confine con strada pubblica, troverebbe applicazione l’art. 879, comma 2 del codice civile, secondo cui non si applicano le norme relative alle distanze, ma devono osservarsi le leggi e i regolamenti che le riguardano.
1.2 Il T.A.R. per il Molise, con ordinanza n. 49 dell’8 maggio 2014, ha dapprima disposto una verificazione in relazione alla legittimità della ricostruzione effettuata sul preesistente fabbricato, alla nuova costruzione in appoggio e alla distanza tra gli edifici e poi, con sentenza n. 332 dell’11.9.2015 ha accolto in parte il ricorso avverso il permesso di costruire n. 27 del 13 dicembre 2013 e ha dichiarato inammissibile l’impugnazione del precedente permesso di costruire n. 5 del 19 dicembre 2012.
Il Tribunale ha ritenuto: – che il permesso di costruire n. 27/2013 era stato rilasciato non in variante del precedente n. 5/2012 ma in sostituzione dello stesso, avendo per oggetto un intervento di recupero integralmente diverso per numero di piani (tre anziché quattro), sagoma, superfici, altezze e volumi; – l’infondatezza dell’eccezione, sollevata dal Comune di (omissis), di tardività dell’impugnazione riferita al permesso di costruire n. 27 del 12.12.2013, proposta in data 24.3.2014 e notificata oltre il termine decadenziale di sessanta giorni, non avendo l’ente fornito la prova di piena conoscenza da parte della sig.ra In. del rilascio del provvedimento in contestazione; – la fondatezza della doglianza circa il mancato rispetto delle distanze fra edifici prospicienti, in violazione dell’art. 9, comma 1, n. 2 e comma 2 del D.M. 1444/1968; – la sussistenza del vizio di eccesso di potere nell’operato del Comune di (omissis) che avrebbe omesso di svolgere i necessari approfondimenti e le dovute verifiche sulla attendibilità dei dati contenuti nella relazione tecnica del progetto in variante (con riguardo alle altezze, superfici, volumi e sagoma determinato) che avevano portato al rilascio di un permesso di costruire sulla scorta di informazioni errate e non rispondenti allo stato di fatto dell’immobile preesistente, riconoscendo in tal modo benefici premiali di gran lunga superiori a quelli consentiti dalla legge.
1.3 Avverso la sentenza del T.A.R. il sig. Mi. Ma. ha proposto appello.
Si è costituita in giudizio la sig.ra Ma. In..
All’udienza pubblica del 24 maggio 2018 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

2. Con un primo motivo di censura il sig. Ma. eccepisce la nullità della sentenza del T.A.R. per la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i controinteressati.
Il sig. Ma. sostiene che la sig.ra Ma. In. aveva omesso di notificare il ricorso introduttivo alle sigg.re Ri. e Cr. Ma. a favore delle quali, unitamente allo stesso appellante, il Comune di (omissis) aveva rilasciato il primo permesso di costruire n. 5/2012, mentre solo il successivo permesso di costruire n. 27/2013 era stato rilasciato al sig. Mi. Ma..
2.2 Con un secondo motivo di censura il sig. Mi. Ma. eccepisce l’inammissibilità del ricorso introduttivo per tardività dell’impugnativa e che il T.A.R. avrebbe errato nel ritenere incontestata la circostanza secondo cui il secondo permesso di costruire n. 27/2013 sia stato rilasciato non in variante del precedente, ma in sostituzione dello stesso …..
2.3 Entrambe le censure sono infondate.
Il T.A.R. Molise ha correttamente rilevato che il permesso di costruire n. 5 del 2012 non rappresenta “un atto presupposto in senso stretto” del nuovo permesso di costruire n. 27/2013, quanto piuttosto una determinazione superata dalla successiva attività amministrativa, avente effetti ed efficacia interamente novativa, per cui la ricorrente non doveva ritenersi onerata dell’impugnativa del precedente titolo edilizio, essendo l’effetto lesivo a lei interamente derivato dal provvedimento successivamente adottato.
Non è contestabile, infatti, che con il permesso di costruire n. 27/2013, sia stato autorizzato un intervento di recupero integralmente diverso dal precedente per numero di piani (tre anziché quattro), sagoma, superfici, altezze e volumi (cfr. Cons. Stato, sez. V, 17 giugno 2014, n. 3094) e detto secondo permesso è stato rilasciato in favore del solo sig. Mi. Ma. divenuto nel frattempo unico proprietario dell’intero immobile, giusto atto notarile del 26.10.2012, in quanto tale unico controinteressato nella vicenda.
Non conforme alle risultanze della verifica disposta dal T.A.R. e alle evidenze documentali è, quindi, l’affermazione dell’appellante che il secondo permesso di costruire n. 27/2013 costituirebbe una variante del primo limitandosi a modificare in diminuzione il numero dei piani, mantenendo inalterati gli altri elementi, circostanza effetto di semplici affermazioni senza che siano forniti elementi concreti atti a smentire le suindicate risultanze.
3. Con un terzo motivo di censura il sig. Ma. lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui i giudici di prima istanza hanno ritenuto inderogabili i limiti di distanza tra i fabbricati previsti dal D.M. n. 1444/1968.
3.2 La censura non è fondata
Al riguardo si osserva che nell’atto di appello non è contestata la distanza, confermata anche dal verificatore, esistente tra le pareti finestrate dell’edificio della sig.ra Ma. In. e quello prospiciente del sig. Mi. Ma., di mt. 3,80 rispetto al fabbricato preesistente e di metri 3,50 rispetto alla porzione in estensione, distanza ben inferiore, in entrambi i casi, ai metri 10,00 minimi prescritti per la zona B dal primo comma, punto 2, dell’art. 9 del D.M. 2.4.1968, n. 1444; parimenti non contestato è il non legittimo aumento volumetrico consentito con il permesso di costruire n. 27/2013.
L’appellante, invece, sostiene che, trattandosi di costruzioni a confine con strada pubblica a fondo cieco a servizio dei fabbricati, non vi sarebbe l’obbligo del rispetto della distanza minima di 10 metri tra fabbricati prospicienti di cui all’art. 9, comma 1, n. 2 e comma 2 del D.M. 1444/1968.
Diversamente da quanto asserito, però, l’art. 879, comma 2 c.c. in tema di distanze tra edifici obbliga al rispetto delle leggi e dei regolamenti vigenti, per cui, nel caso di specie occorre far riferimento al disposto del D.M. 2 aprile 1968, richiamato anche dall’art. 3 delle N.T.A. del programma di fabbricazione del Comune di (omissis), nonché alle prescrizioni delle N.T.A. medesime che, come evidenziato dal T.A.R., nella zona B3 prevedono in via generale un distacco dai confini di metri 5,00 (art. 9). Quando, poi, si interpone una via pubblica, anche a fondo cieco, non uti singuli e si sia in presenza di pareti finestrate (art. 9 comma 2) sussiste senza eccezioni l’obbligo di rispettare la distanza minima di 10 metri (Cons. Stato, sez. IV, 22 maggio 2014, n. 2650) incrementabili fino a mt. 13 nella sussistenza di una sede stradale larga mt. 3,00.
3.3 Le distanze tra fabbricati ex D.M. n. 1444/1968, in quanto recepite dalle N.T.A. del piano regolatore comunale, diventano cogenti e integrano le disposizioni in materia del codice civile e la presenza di una strada pubblica può sovvertire gli interessi generali che la legislazione urbanistica ed edilizia tutela, mentre, come il T.A.R. ha evidenziato, distanze inferiori sono ammesse, in deroga solo, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche (art. 9 u.c. D.M. 1444/1968).
4. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in misura di euro 3.000,00 in favore dell’appellata signora Ma. In..

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in misura di Euro 3000,00 in favore dell’appellata signora Ma. In..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 maggio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Carlo Schilardi – Consigliere, Estensore
Giuseppe Castiglia – Consigliere
Luca Lamberti – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere

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