Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 2 novembre 2017, n. 5082. Ai fini del rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno

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6.3. In ordine a tale decisivo profilo, l’appellante sviluppa essenzialmente due argomenti difensivi:

– che non sia legittimo assumere l’importo dell’assegno sociale a parametro di valutazione di tale sufficienza reddituale;

– che tale valutazione dovrebbe avere un carattere prognostico e tenere in considerazione il reddito presunto dello straniero.

6.4. Entrambi gli argomenti sono condivisibili in linea di principio (siccome coerenti con il consolidato orientamento della Sezione sul punto: cfr. ad es. 26/01/2017, n. 332 e precedenti ivi citati), ma – allorché si passa a trarne le conseguenze in relazione alla concreta fattispecie dedotta in causa – non giovano all’appellante, in quanto il risultato non può essere di accoglimento della sua pretesa.

6.5. Intanto, il primo argomento non è idoneo a scalfire la motivazione della sentenza appellata, giacché il Tar non ha affatto assunto a parametro rigido ed automatico l’importo dell’assegno sociale, ma ha precisato che deve, comunque, trattarsi di una “valutazione temperata, ovviamente, da un possibile utilizzo del criterio prognostico qualora lo straniero metta comunque l’amministrazione in situazione di potervi fare ricorso in maniera esaustiva e tranquillizzante”.

6.6. Altrettanto esattamente il Tar ha messo in luce la ratio perseguita dall’art. 4 comma 3 del D.Lvo. 286/98ed evidenziata in termini analoghi da questa Sezione, secondo le cui pronunce “ai fini del rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno, costituisce condizione soggettiva non eludibile il possesso di un reddito minimo, in quanto attiene alla sostenibilità dell’ingresso dello straniero nella comunità nazionale, essendo finalizzato ad evitare l’inserimento di soggetti che non siano in grado di offrire un’adeguata contropartita in termini di lavoro e di partecipazione fiscale alla spesa pubblica e che, d’altra parte, la dimostrazione di un reddito di lavoro o di altra fonte lecita di sostentamento è garanzia che il cittadino extracomunitario non si dedichi ad attività illecite o criminose” (cfr. Cons. Stato, III, n. 1971/2017 che richiama n. 2227/2016; n. 2335/2015; n. 3596/2014).

6.7. E’ questa indagine concreta che porta ad escludere che l’appellante abbia dimostrato in sede procedimentale il possesso del requisito della “disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti”, richiesto dal citato art. 4 comma 3 T.U. Imm.

6.8. Invero, dallo stesso atto di appello si evince che lo straniero ha documentato alla Questura di Verona, quanto al proprio reddito “storico” e sino all’adozione da parte della stessa del diniego controverso, unicamente:

– un reddito 2015 per poco più di 3000 euro (per un contratto a termine, cessato il 9.10.2015);

– una busta paga di febbraio 2016, relativa a un successivo rapporto di lavoro (Us. 2 srl) iniziato lo stesso mese (11.2.2016) e dell’importo di 385 euro.

Sennonché, anche tale rapporto è cessato di lì a poco (aprile 2016, come si dichiara nell’atto di appello), il che priva in radice di consistenza l’insistito riferimento, contenuto sempre nell’atto di appello, alla necessità che la Questura effettuasse il proprio giudizio prognostico su tale neo-rapporto di lavoro, anche tenendo conto della dichiarazione di reddito presunto del legale rappresentante della Us. 2, nella quale si ipotizzava un reddito annuale di ? 7.150.

Proprio l’elemento fattuale della successiva cessazione del rapporto di lavoro de quo di lì a pochissimo (la dichiarazione dell’allora datore di lavoro è del 15 marzo 2016) è la migliore riprova – seppure ex post – della inattendibilità della dichiarazione medesima a costituire idoneo presupposto per la formulazione di una ragionevole valutazione prognostica da parte della Questura.

Ma proprio assai di recente (cfr. capo 2.7. della sentenza 10/10/2017, n. 4694) questa Sezione ha mostrato di non sottrarsi dal prendere in considerazione – in riferimento ad altro appello, proposto dall’attuale difesa in relazione a diniego opposto sempre dalla Questura di Verona a diverso cittadino straniero – il dato storico successivo alla dichiarazione di reddito presunto, in quel caso traendone la conseguenza della “conferma” della disponibilità di un reddito adeguato.

Il che deve evidentemente valere anche quando le sopravvenienze successive alla dichiarazione di reddito presunto fungano, viceversa, da “smentita” della stessa dichiarazione.

6.9. Dovendo, pertanto, l’indagine necessariamente attestarsi, a questo punto, sul piano della effettiva dimostrazione di reddito fornita dallo straniero, occorre constatare come l’appellante abbia dimostrato alla Questura unicamente di aver percepito nell’arco di 14 mesi (da gennaio 2015 a febbraio 2016) un reddito di circa 3.400 euro, che corrispondono all’incirca a una media di 8 euro al giorno.

Anche prescindendo dal riferimento all’importo dell’assegno sociale, è di tutta evidenza – alla semplice stregua dell’id quod plerumque accidit, in relazione ai costi della vita quotidiana nel nostro paese – che un simile reddito si ponga incontrovertibilmente al di sotto di una soglia pur minima di sufficienza per consentire la sussistenza lecita di un individuo: e dunque non sia in linea con il disposto dell’art. 4, comma 3 D. Lgs. n. 286/1998.

6.10. Certo, il Collegio è ben consapevole che nel corso del 2016 l’appellante ha intrattenuto e tuttora intrattiene un rapporto di lavoro da cui ha percepito e percepisce una retribuzione che invece integra il requisito richiesto dalla disposizione normativa appena citata: tuttavia, lo stesso appellante non ha qui minimamente contestato l’affermazione espressa della sentenza del Tar Veneto, secondo cui “per quanto concerne la successiva assunzione da parte di un nuovo datore di lavoro (Hu. Ta.) non vi è prova in atti che essa sia stata comunicata alla Questura anteriormente all’adozione del provvedimento impugnato (7.11.2016) e financo della sua notificazione (17.11.2016), per cui è evidente che al riguardo l’amministrazione non è stata posta in grado di esercitare il proprio potere/dovere di valutazione e che tale mancanza non può inficiare la legittimità del provvedimento”.

Anzi, vi è in questo grado di giudizio la prova contraria, e cioè che tale sopravvenienza sia stata portata a conoscenza della Questura (unitamente all’ammontare – oltre 950 euro – dell’assegno di disoccupazione percepito a gennaio 2016) solo all’atto della presentazione della richiesta di riesame del diniego, in data (30 novembre 2016) evidentemente successiva a quelle di adozione (8.11.2016) e notifica (17.11.2016) del diniego stesso.

Ma, al riguardo, è acquisizione consolidata di questa Sezione che “l’articolo 5, comma 5, del D.L.vo n. 286/98, nell’imporre all’amministrazione di prendere in considerazione i nuovi e sopraggiunti elementi favorevoli allo straniero, si riferisce a quelli esistenti e formalmente rappresentati o comunque conosciuti dall’amministrazione al momento dell’adozione del provvedimento, mentre nessuna rilevanza (salvo quella di giustificare un eventuale riesame della posizione dello straniero da parte dell’amministrazione, qualora sollecitato dall’interessato) può essere attribuita a fatti sopravvenuti o rappresentati successivamente. In altre parole, il giudizio circa la legittimità del provvedimento impugnato va condotto necessariamente con riferimento al momento dell’adozione dell’atto medesimo” (così, di recente: 22/05/2017, n. 2390/2017).

Dunque, anche nel caso di specie la “nuova” (rispetto alla documentazione esistente agli atti dell’Amministrazione, al momento dell’adozione del diniego de quo) e obiettivamente non trascurabile circostanza del rapporto di lavoro in corso da maggio 2016, per quanto non possa rilevare ai fini della presente decisione, ben può essere oggetto di una ulteriore e documentata (Cud 2017, buste paga 2017, ecc.) istanza di riesame da formulare eventualmente, da parte dell’appellante, alla Questura di Verona.

7. Nei sensi che precedono, l’appello deve essere respinto.

Anche tenuto conto di quanto evidenziato al precedente capo 6.10 e dell’assenza di difese sostanziali da parte dell’Amministrazione in questo grado del giudizio, le spese relative a quest’ultimo possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Terza), definitivamente pronunziando sul ricorso in epigrafe, lo respinge come da motivazione.

Spese del presente grado di giudizio interamente compensate.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2017 con l’intervento dei magistrati:

Marco Lipari – Presidente

Umberto Realfonzo – Consigliere

Massimiliano Noccelli – Consigliere

Pierfrancesco Ungari – Consigliere

Giorgio Calderoni – Consigliere, Estensore

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