Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 1 dicembre 2014, n. 5915

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUINTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7111 del 2014, proposto dalla WA. S.R.L., rappresentata e difesa dagli avvocati Ni.Tr. e Fi.Ce., con domicilio eletto presso quest’ultimo, in (…);

contro

COMUNE DI CIAMPINO, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi.Gi., con domicilio eletto presso Ba.Gi. in (…);

nei confronti di

Op.Gr. s.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati Lu.Pi. e Ma.Mo., con domicilio eletto presso quest’ultimo, in (…);

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE II-BIS, n. 4820/2014, resa tra le parti, concernente una procedura di affidamento in concessione del servizio di realizzazione, installazione, manutenzione e gestione impianti pubblicitari comunali

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Ciampino e di Op.Gr. s.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 novembre 2014 il Cons. Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Ni.Tr., Gi.Gi. e Ma.Mo.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. La Wa. s.r.l. appella la sentenza del TAR Lazio – sede di Roma indicata in epigrafe, con cui è stata respinta la sua l’impugnativa nei confronti della procedura di affidamento in concessione delle attività di “fornitura, installazione, gestione e manutenzione di manufatti pubblicitari” nel Comune di Ciampino, per la durata di 5 anni, indetta da quest’amministrazione con determinazione dirigenziale in data 18 ottobre 2013, n. prot. 36688, conclusasi, per il lotto 3 in contestazione, con l’aggiudicazione in favore della Op.Gr. s.r.l. (determinazione n. 433 del 27 dicembre 2013).

2. Si sono costituite in resistenza all’appello l’amministrazione comunale e la società controinteressata.

DIRITTO

1. Occorre premettere in fatto che la procedura di gara in contestazione è finalizzata all’affidamento di una concessione, da aggiudicare sulla base del canone offerto all’amministrazione concedente. Le imprese partecipanti dovevano infatti indicare la percentuale sul “fatturato globalmente derivante dalla gestione degli impianti pubblicitari aggiudicati”, quale stimato in sede di gara per ciascun lotto dal Comune di Ciampino, e precisamente la “maggiore percentuale” su tale ammontare, garantendo comunque un minimo di Euro 5.000 annui.

Nel presente contenzioso la Wa. contesta sotto vari profili il mancato giudizio di anomalia della percentuale del 31% offerta dalla controinteressata Op.Gr..

2. Tanto precisato, come eccepito dalle appellate, le censure in esame si fondano su una premessa non condivisibile, e cioè sull’applicabilità alla fattispecie in esame delle disposizioni contenute relative al sub-procedimento di verifica dell’anomalia delle offerte contenute nel codice dei contratti pubblici, in particolare all’art. 86.

In contrario deve rilevarsi che, trattandosi di una procedura di affidamento di una concessione di servizi ai sensi dell’art. 30 del codice dei contratti pubblici, la stessa non è soggetta alle norme del contenute nella parte II di tale corpus normativo, riguardante i “contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture nei settori ordinari”. Infatti, nel delineare l’”ambito oggettivo e soggettivo” (così la rubrica del capo I, titolo I, parte II) di applicazione delle disposizioni in questione, il citato art. 30 stabilisce che le procedure di affidamento di concessioni di servizi “sono sottratte alla puntuale disciplina del diritto comunitario e del codice dei contratti pubblici”, ed invece assoggettate ai “principi desumibili dal Trattato e i principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, i principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità”.

3. Ebbene, in nessuno di questi principi generali può essere fatto rientrare il citato art. 86, il quale, nel disciplinare i “criteri di individuazione delle offerte anormalmente basse”, contiene regole puntuali, relative ai presupposti al ricorrere dei quali le stazioni appaltanti sono tenute o meramente facoltizzate a verificare l’eventuale anomalia delle offerte.

Prova di quanto ora affermato si ricava in particolare dal comma 3 dell’art. 86.

La disposizione ora citata, infatti, rimette alle valutazioni delle stazioni appaltanti la verifica di congruità al di fuori dei casi tassativi previsti dai precedenti commi 1 e 2 (rispettivamente, per le gare da aggiudicare con il criterio del massimo ribasso e dell’offerta economicamente più vantaggiosa). Al riguardo, questo Consiglio di Stato afferma costantemente che le valutazioni in questione costituiscono tipica espressione di discrezionalità tecnico-amministrativa, ordinariamente sottratta al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, se non inficiata da evidente irragionevolezza o travisamento dei fatti emersi nell’istruttoria (da ultimo: Sez. III, 1 settembre 2014, n. 4449; in termini non dissimili si è espressa anche questa Sezione, nella sentenza 20 agosto 2013, n. 4193).

Quindi, se ciò vale per le procedure di affidamento di appalti pubblici a fortiori la regola in questione è applicabile agli affidamenti di concessioni di servizi, in cui l’applicazione delle norme della parte II del codice relative ai contratti d’appalto nei settori ordinari è limitata dall’art. 30 a quelle espressive dei principi generali in essa richiamati (come affermato, del resto, dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato nella sentenza 7 maggio 2013, n. 13).

4. Si deve conseguentemente arguire che la portata precettiva del comma 3 dell’art. 86 si risolve nel rinvio alle regole generali dell’agire amministrativo, ed in particolare ai principi in materia di contratti pubblici enunciati dall’art. 2 del codice dei contratti pubblici, che sono a loro volta applicabili anche alle concessioni di servizi, in virtù del richiamo espresso dell’art. 30 ai “principi generali relativi ai contratti pubblici”, come visto sopra.

Ciò precisato, l’art. 2 del codice recita: “l’affidamento e l’esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza”.

Da quest’ultima disposizione si ricava (ciò che peraltro è ovvio, e cioè) che la verifica dell’anomalia dell’offerta è finalizzata alla corretta esecuzione del contratto posto a gara e costituisce una cautela preventiva della stazione appaltante, attraverso la quale essa anticipa nella fase dell’evidenza pubblica antecedente alla conclusione del contratto un approfondimento delle caratteristiche dell’offerta, al fine di saggiarne la sostenibilità economica, in tal modo prevenendo possibili inadempimenti dell’impresa aggiudicataria in fase esecutiva, fonti di gravi ripercussioni per l’interesse pubblico sotteso alla regolare esecuzione dei contratti stipulati dall’amministrazione.

Emerge dunque da questa angolazione la natura ampiamente discrezionale delle valutazioni che sottostanno alla decisione di sottoporre a verifica di anomalia le offerte presentate in sede di gara.

5. Deve ancora soggiungersi che secondo un pacifico orientamento di questo Consiglio di Stato l’applicabilità alle concessioni di servizi delle disposizioni del codice dei contratti può avvenire in conseguenza di un richiamo ad esse da parte della normativa di gara, e dunque in virtù di un autovincolo espresso dell’amministrazione aggiudicatrice (tra le altre Sez. V, 3 maggio 2012, n. 2552; 2 maggio 2013, n. 2385).

Peraltro, a questo riguardo è necessario un richiamo puntuale, doveroso alla luce della regola del clare loqui cui le amministrazioni sono tenute nella predisposizione dei bandi di gara.

6. A conclusione di questa premessa l’appello deve essere respinto.

E’ innanzitutto infondato il secondo motivo d’appello, con il quale la Wa. lamenta la mancata sottoposizione a verifica di anomalia dell’offerta della controinteressata, benché il canone di concessione pari al 31% sul fatturato da questa offerto si collochi oltre la soglia automaticamente determinata mediante il c.d. “taglio delle ali” ai sensi dell’art. 86, comma 1, cod. contratti pubblici per le procedure di appalto da aggiudicare con il criterio del massimo ribasso.

L’infondatezza della censura è duplice: innanzitutto perché l’art. 86 non è richiamato nel bando di gara, non potendo a ciò supplire il richiamo alla distinta disposizione recata dall’art. 55 del medesimo codice dei contratti, relativo alle procedure “aperte”, né tanto meno richiami ad altre norme del codice da parte della commissione negli atti di gara (come invece sottolinea l’appellante in memoria conclusionale); ed inoltre perché la gara in contestazione prevedeva l’aggiudicazione della concessione alla maggiore percentuale di canone sul fatturato da riconoscere a titolo di canone all’amministrazione aggiudicatrice. Non si trattava, in altri termini, di un massimo ribasso, ma di un massimo rialzo, in percentuale rispetto ad un ricavo atteso.

7. Devono essere respinti anche i motivi primo, terzo e quarto d’appello, che possono essere esaminati congiuntamente, perché entrambi diretti a censurare l’omessa verifica facoltativa di anomalia, tanto ai sensi del comma 3 del medesimo art. 86, quanto in virtù del principio di parità di trattamento.

Sul punto, occorre innanzitutto ribadire che la disposizione in esame non è applicabile alle concessioni di servizi, perché non riconducibile al principio di parità di trattamento, come invece asserisce la Wa. nel primo motivo. Imponendo che tutti gli offerenti dispongano delle stesse possibilità nella formulazione dei termini delle loro offerte (da ultimo: Corte di Giustizia Ue 6 novembre 2014 (C-42/13)), il principio di parità di trattamento attiene infatti all’ammissione degli operatori economici alle procedure di affidamento.

8. Deve poi soggiungersi che nel terzo motivo d’appello, a sostegno dell’assunto di insostenibilità dell’offerta, la Wa. si limita a mere stime dei costi di gestione degli impianti pubblicitari posti a gara e dei relativi costi di esercizio, in virtù dei quali questi eliderebbero qualsiasi margine positivo in favore della concessionaria. Pertanto, la censura, lungi dal fare emergere un operato evidentemente irragionevole del Comune di Ciampino, si sostanzia in definitiva nella contrapposizione tra il giudizio di congruità dell’offerta implicitamente formulato dall’amministrazione ed un possibile scenario economico atto a rendere l’offerta insostenibile, il quale rende il primo al più opinabile, ma non certo inattendibile alla stregua dei parametri di apprezzamento del giudizio tecnico-discrezionale sull’anomalia delle offerte nell’ambito di un giudizio di legittimità.

Non può inoltre essere persuasivamente invocato il distacco tra la percentuale di ribasso del 31% sul fatturato offerta dalla Op.Gr. (così anche nel lotto 2), contro il 21% dell’odierna appellante, considerato che nel lotto 1 il ribasso vincente, da parte di una ditta terza, è stato ancora superiore, pari al 35%.

9. Anche il quarto motivo non va oltre mere congetture, argomentate in base alle caratteristiche degli impianti pubblicitari oggetto del lotto in contestazione, ed espresse in termini meramente probabilistici: “l’offerta dell’aggiudicataria è con tutta probabilità sotto-ordinata rispetto agli standard di sicurezza stradale e di pregio architettonico voluti dal Comune” (pag. 22 dell’appello).

10. In ogni caso, fa aggio su tutte le doglianze finora esaminate il fatto che il bando di gara in contestazione esplicitava quanto segue: “l’offerta economica si intende accettata dall’assuntore a tutto suo rischio e pericolo, poiché col solo fatto della presentazione della proposta, si ammette che egli abbia eseguito gli opportuni calcoli, sopralluoghi ed accertamenti e tenuto conto di tutte le circostanze prevedibili ed imprevedibili, relative all’ordinario esercizio del servizio”.

In base a questa previsione di lex specialis, accettata attraverso la presentazione dell’offerte, l’aggiudicataria si è dunque accollata il rischio dell’antieconomicità del servizio, vale a dire dell’alea sottesa al calcolo di convenienza alla base dell’offerta del canone all’amministrazione concedente, accettando consapevolmente che i ricavi attesi dall’esecuzione del contratto, dedotta la percentuale da riconoscere all’amministrazione ed a questa offerta in sede di gara, possano rivelarsi insufficienti a consentire la formazione di un utile in favore della concessionaria.

E ciò, in primo luogo, in conformità alla natura ed alle caratteristiche tipologiche della concessione di servizi, quale fatte palesi dall’art. 3, comma 12, cod. contratti pubblici, e cioè di contratto che si caratterizza per l’acquisizione in capo al concessionario del diritto di sfruttare economicamente il servizio posto a gara e di conseguire la relativa remunerazione direttamente dall’utenza anziché, come nel caso dell’appalto, dall’amministrazione aggiudicatrice, nonché, in secondo luogo, ad ulteriore conferma circa il fatto dell’inapplicabilità dell’art. 86 D.Lgs. n. 163/2006, in difetto di autovincolo dell’amministrazione aggiudicatrice alle procedure di affidamento di concessioni di servizi ex art. 30 del medesimo codice.

11. Con un ultimo motivo d’appello, la Wa. impugna anche nomina della composizione della commissione di gara, sotto il profilo della violazione degli artt. 82 e 84 del codice di cui al D.Lgs. n. 163/2006.

Sennonché, anche questa censura deve essere respinta, perché i parametri normativi invocati non sono applicabili alla concessione di servizi in contestazione, né tanto meno sono oggetto di richiamo da parte del bando di gara.

12. In conclusione, l’appello deve essere respinto.

Con riguardo alle spese del presente grado di giudizio, l’appellante deve essere condannata alla relativa refusione in favore della società controinteressata, nella misura indicata in dispositivo, mentre possono essere compensate nei confronti del Comune di Ciampino, il quale non ha risposto all’informativa ex art. 243-bis D.Lgs. n. 163/2006 formulata dalla medesima appellante.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante Wa. s.r.l. a rifondere alla Op.Gr. le spese del presente grado di giudizio, liquidate in Euro 3.000,00, oltre agli accessori di legge; le compensa nei rapporti tra la medesima appellante ed il Comune di Ciampino.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 novembre 2014 con l’intervento dei magistrati:

Mario Luigi Torsello – Presidente

Carlo Saltelli – Consigliere

Doris Durante – Consigliere

Nicola Gaviano – Consigliere

Fabio Franconiero – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 01 dicembre 2014.

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