Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 20 novembre 2015, n. 5299

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUINTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7974 del 2012, proposto da:

La. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e nella qualità di capogruppo mandataria della A.T.I. con l’impresa Pa., rappresentata e difesa dall’avvocato Fr.Mu., con domicilio eletto presso il dottor Al.Pl. in Roma, Via (…);

contro

Comune di Bari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ro.La. e Ro.Ci., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ro.Ci. in Roma, viale (…);

nei confronti di

Ci. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr.Be. e Mi.Ca., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ar.De. in Roma, viale (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Puglia – Bari, Sezione I, n. 01183/2012, resa tra le parti;

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Bari e della Ci. s.r.l.;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 giugno 2015 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti l’avvocato Fr.Mu. ed altri;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1.- La La. s.r.l., quale mandataria – capogruppo dell’A.T.I. con l’impresa Pa., ha partecipato alla gara, indetta dal Comune di Bari in data 8 febbraio 2010, per l’aggiudicazione dell’appalto del servizio di trasporto scolastico da svolgere in favore degli alunni frequentanti le scuole dell’infanzia, primarie e secondarie, per il periodo 2010 – 2012, suddivisa in sei lotti, all’esito della quale è risultata aggiudicataria in via provvisoria dei lotti n. 4 e 6.

Nella seduta del 24 gennaio 2011 la commissione di gara ha disposto l’esclusione di detta società per carenza del requisito di cui all’art. 38, comma 1, lett. f), del d.lgs. n.163 del 2006, in dichiarata esecuzione della determinazione dirigenziale, datata 4 gennaio 2011, con cui il Comune di Bari aveva accertato a carico della società stessa grave negligenza e malafede nell’esecuzione di precedente appalto di trasporto alunni (con riferimento all’anno scolastico 2006-2007) a seguito della presa conoscenza delle risultanze del procedimento penale a carico del titolare della società, rinviato a giudizio per i reati di cui agli artt. 355, 356 e 640 del c.p..

2.- Con ricorso al T.A.R. Puglia, Bari, la La. s.r.l. ha chiesto l’annullamento di detto provvedimento di esclusione e della presupposta determinazione del Dirigente la ripartizione politiche educative, giovanili e sportive del Comune di Bari del 4 gennaio 2011 n. 2011/00009 – 2011/210/00001 avente ad oggetto “Servizio trasporto scolastico. Accertamento grave negligenza e malafede”, nonché di tutti gli atti presupposti, indicati nell’epigrafe del ricorso di primo grado. La società ha anche chiesto il risarcimento del danno mediante tutela in forma specifica, o, in subordine, per equivalente, nonché il ristoro del danno biologico – esistenziale e dei costi sostenuti per la partecipazione alla gara e alla procedura in questione (oltre a rivalutazione monetaria ed interessi), nonché ha chiesto la declaratoria di inefficacia, ai sensi dell’art. 122 del c.p.a., del contratto stipulato o stipulando con l’odierna controinteressata relativamente ai lotti di interesse.

Successivamente la citata società con motivi aggiunti ha chiesto l’annullamento della determinazione n. 2011/05871 – 2011/210/00440 del 12 agosto 2011 del Dirigente della ripartizione politiche educative e giovanili del Comune di Bari, adottata a conclusione del procedimento di riesame espletato in esecuzione dell’ordinanza del Consiglio di Stato, Sezione V, n. 2679 del 2011 (di accoglimento della domanda di tutela cautelare introdotta con il ricorso).

3.- Il T.A.R., con la sentenza in epigrafe indicata, ha respinto il ricorso ed i motivi aggiunti.

4.- Con il ricorso in appello in esame la citata società ha chiesto l’annullamento e la riforma di detta sentenza, nonché il risarcimento del danno assuntamente subito, deducendo i seguenti motivi:

a) Motivazione insufficiente, erronea e contraddittoria rispetto al vizio di legittimità articolato nel ricorso al T.A.R. e rubricato con il n. 2.

Con la sentenza impugnata sarebbe stato erroneamente sostenuto che la pendenza dell’indagine penale sui contestati episodi di grave negligenza nel pregresso rapporto fosse sufficiente sul piano logico a minare il rapporto di fiducia ed ad escludere l’affidabilità professionale dell’impresa.

Sono state quindi riproposte le critiche formulate in primo grado con riguardo alla motivazione dell’impugnato provvedimento, escludendo la rilevanza delle violazioni ivi elencate.

b) Motivazione erronea ed inadeguata in ordine alla reiezione della questione comunitaria e, in subordine, all’eccezione di costituzionalità contenuta nel motivo rubricato al n. 3) del ricorso di primo grado.

La previsione di cui al’art. 38, comma 1, lettera f), del d. lgs. n. 163 del 2006 non troverebbe valido supporto, nella sua formulazione e nei suoi effetti, nella Direttiva comunitaria che ha recepito e nei principi cardine dell’ordinamento comunitario.

Inoltre detta norma sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 41 della Costituzione, in relazione agli artt. 4, 24, 35 e 97 della stessa.

c) Motivazione erronea ed inadeguata in ordine alla reiezione del motivo rubricato con il n. 1) del ricorso al T.A.R..

Il primo giudice erroneamente avrebbe respinto il motivo di ricorso con il quale era stata dedotta l’incompetenza o la violazione del dovere di astensione per incompatibilità del dirigente che aveva presieduto la gara ed aveva poi accertato la mala fede della aggiudicataria.

d) Motivazione erronea ed inadeguata in ordine alla reiezione delle censure relative al provvedimento dirigenziale di riesame contenute nell’atto di motivi aggiunti.

Con la impugnata sentenza sarebbe stato erroneamente sostenuto, con riguardo all’adottato provvedimento di riesame, che con esso era stata data pieno e motivato riscontro alle censure contenute nel ricorso.

Sono state quindi riproposte le censure formulate con i motivi aggiunti in primo grado.

e) Sono state infine reiterate sia le deduzioni svolte in primo grado circa l’illegittimità derivata del provvedimento di esclusione da quella della determinazione dirigenziale impugnata, sia le domande di risarcimento del danno ingiusto.

5.- Con atto depositato l’11 dicembre 2012 si è costituita in giudizio la Ci. s.r.l., che ha chiesto la reiezione dell’appello perché irricevibile, inammissibile ed infondato.

6.- Con atto depositato il 21 dicembre 2012 si è costituito in giudizio il Comune di Bari, che ha eccepito l’inammissibilità e l’improcedibilità dell’appello, nonché ne ha dedotto l’infondatezza, richiamando anche, ex art. 101 del c.p.a., le difese, conclusioni e deduzioni formulate in primo grado.

7.- Con memoria depositata il 6 giugno 2015 il Comune di Bari, premesso che era venuto a conoscenza degli accertamenti di polizia giudiziaria effettuati nei confronti del titolare della società La. solo in occasione della notifica della richiesta di rinvio a giudizio dello stesso, ha dedotto l’infondatezza dei motivi posti a base dell’appello, in particolare sostenendo che nel caso di specie la pendenza di un’indagine penale su contestati episodi di grave negligenza nel pregresso rapporto contrattuale, nonché la gravità degli addebiti sarebbero stati oggetto di legittima valutazione discrezionale, a nulla valendo la circostanza che l’inadempienza fosse stata commessa da lungo tempo. Ha quindi affermato l’insussistenza di incompatibilità tra la normativa di cui trattasi e l’art. 45 della Direttiva comunitaria n. 2004/18 e l’infondatezza della sollevata questione di costituzionalità, concludendo per la declaratoria di inammissibilità o per la reiezione del gravame.

8.- Con memoria depositata l’8 giugno 2015 la società appellante ha evidenziato che, con sentenza n. 2359 del 2014, il Tribunale di Bari, prima sezione penale, ha disposto, con riguardo ai fatti di cui trattasi, l’assoluzione dell’imputato per insussistenza del fatto ed ha rimarcato che il T.A.R. Puglia Bari, Sezione I, con sentenza n. 1251 del 2012 ha accolto il ricorso proposto dalla ditta Sa. (assuntamente) con riguardo agli stessi addebiti mossi alla appellante; ha quindi ribadito e precisato la richiesta di risarcimento dei danni subiti, concludendo per l’accoglimento dell’appello e di tutte le domande formulate, specificate e quantificate.

9.- Con memoria depositata i 12 giugno 2015 il Comune di Bari ha replicato alle avverse difese, in particolare evidenziando di aver proposto appello (che ha assunto il n. di r.g. 7573 del 2012) contro detta sentenza n. 1251 del 2012 e contestando l’ammissibilità e la fondatezza delle deduzioni e domande risarcitorie formulate dalla appellante.

10.- Con memoria depositata il 12 giugno 2015 la Ci. s.r.l. ha replicato alle deduzioni della appellante, in particolare evidenziando l’irrilevanza della sentenza di assoluzione emanata dalla Autorità giudiziaria penale (peraltro solo nel mese di gennaio 2015, dopo anni dall’emanazione del provvedimento impugnato) in quanto, per procedere all’esclusione del concorrente per grave negligenza lesiva del rapporto fiduciario con la s.a., non sarebbe necessario che essa sia giurisdizionalmente accertata, essendo la relativa valutazione rimessa alla discrezionalità della Amministrazione.

11.- Con memoria depositata il 13 giugno 2015 la La. s.r.l. ha replicato alle avverse argomentazioni difensive, in particolare evidenziando che il Comune di Bari non avrebbe effettuato alcun accertamento autonomo e diretto rispetto agli elementi dell’indagine penale e nessuna valutazione dei profili ivi rappresentati, nonché che comunque sarebbero state insufficienti le irregolarità contestate a sorreggere la dichiarazione di negligenza e mala fede.

12.- Alla pubblica udienza del 24 giugno 2015 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati della appellante e del Comune di Bari, come da verbale di causa agli atti del giudizio.

13.- La Sezione ritiene l’appello infondato.

14.- Con il primo motivo di gravame, premesso che il T.A.R. Puglia, Bari, ha accolto, con sentenza n. 1251 del 2012, il ricorso della Sa. che avrebbe subito gli stessi addebiti della appellante, è stata in primo luogo censurata l’impugnata sentenza laddove, con riguardo al requisito di cui all’art. 38, comma 1, lettera f), del d. lgs. n. 163 del 2006 (attinente alla affidabilità professionale), dapprima avrebbe affermato che il potere della stazione appaltante di contestare gravi negligenze riguardanti un precedente rapporto contrattuale con la stessa Amministrazione che ha indetto la gara è discrezionale e soggetto al sindacato giurisdizionale nei soli limiti della illogicità o errore sui fatti, mentre avrebbe poi sostenuto, in assunta contraddizione con l’operato del Comune di Bari, che la violazione dei doveri professionali riconducibili a gravi negligenze o malafede deve essere connotata dall’elemento psicologico della colpa grave.

E’ stata inoltre censurata la sentenza laddove ha sostenuto che la pendenza dell’indagine penale sui contestati episodi di grave negligenza nel pregresso rapporto contrattuale, anche se non vincolante, poteva essere oggetto di valutazione discrezionale ai fini dell’esclusione, in quanto sufficiente sul piano logico a minare il rapporto di fiducia ed ad escludere l’affidabilità professionale dell’impresa, a nulla valendo la circostanza che la inadempienza fosse stata commessa in epoca molto pregressa.

La tesi che una semplice indagine penale sia sufficiente ad incidere sull’elemento fiduciario sarebbe smentita sia dalla esistenza del principio costituzionale della presunzione di innocenza, sia dalla circostanza che l’indagine stessa sarebbe stata generata dalla inadeguata attività di personale assistente alle dipendenze di un operatore che sarebbe ancora gestore del servizio e sia dal fatto che si sarebbe trattato di un affidamento limitato nella durata e risalente nel tempo (poi confermato per un quadriennio, anche dopo la richiesta di rinvio a giudizio) che non avrebbe dato luogo ad alcuna irregolarità, come da attestazioni dei dirigenti scolastici interessati.

Secondo la appellante il Comune avrebbe trasfuso gli esiti dell’istruttoria penale nel provvedimento impugnato senza verificare se l’impresa avesse effettivamente procurato pericoli e senza motivare adeguatamente con riguardo alla avvenuta rilevazione di situazioni di anomalia nella esecuzione del servizio de quo e alla sussistenza dell’elemento psicologico della grave negligenza o malafede.

Il potere esercitato dal Comune, anche se permeato di discrezionalità, sarebbe sindacabile dal giudice amministrativo non con riguardo alla individuazione del punto di crisi dell’elemento fiduciario, ma alla sussistenza di vizi di legittimità propria attinenti alla logicità e sufficienza della motivazione del provvedimento conseguente. All’esito di tale indagine non potrebbe che emergere che gli errori contestati all’impresa sarebbero stati di modesta entità, circoscritti ad aspetti meramente formali e privi di ripercussioni sulla qualità del servizio.

Sono state quindi riproposte le critiche formulate in primo grado con riguardo alla motivazione dell’impugnato provvedimento, criticando la rilevanza delle violazioni ivi elencate.

14.1.- Il collegio premette che è irrilevante ai fini del decidere la circostanza che con sentenza n. 1251 del 2012 il T.A.R. Puglia, Bari, ha accolto il ricorso della Sa. (assuntamente attinente a fatti collegati a quelli oggetto della presente fattispecie) nell’assunto che gli errori apparivano di modesta gravità ed inidonei a comportare concrete ripercussioni sulla qualità del servizio e sulla sicurezza degli utenti; ciò in quanto detta sentenza non è passata in giudicato, ma è stata appellata presso questa Sezione, ove ha assunto il n. di r.g. 7573 del 2012.

14.2.- Pure irrilevante ai fini della decisione della causa in esame, per le argomentazioni che saranno di seguito svolte, è la circostanza che con sentenza n. 2359 del 2014 il Tribunale di Bari, prima sezione penale, ha concluso per l’assoluzione, per insussistenza del fatto, del titolare della società appellante con riguardo al procedimento penale dalla cui conoscenza è stato originato il provvedimento impugnato.

L’art. 38. comma 1, lett. f), del d. lgs. n. 163 del 2006 stabilisce infatti che sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti e stipulare i relativi contratti, i soggetti “che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante”.

L’esclusione dalla gara d’appalto prevista da detta norma, si fonda sulla necessità di garantire l’elemento fiduciario nei rapporti contrattuali della Pubblica Amministrazione fin dal momento genetico. Non rileva pertanto che i fatti valutati dall’Amministrazione per addivenire alla decisione di rilevare grave negligenza o malafede nell’esercizio di un precedente rapporto contrattuale tra le parti, se oggetto di indagine penale, siano sub iudice, né che non siano stati oggetto di condanna, poiché ciò che giustifica la scelta di esclusione è solo l’imperizia emersa nel corso dell’attività professionale, che a sua volta ha leso quel rapporto di fiducia nella capacità professionale dell’impresa.

La legge non esclude che determinati fatti di rilievo penale, laddove costituenti ipotesi di grave errore professionale, possano essere valorizzati ai fini della sussistenza della causa ostativa di cui all’art. 38, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 163 del 2006, indipendentemente dalla astratta configurabilità o meno della causa ostativa contemplata alla precedente lettera c). In altri termini, un determinato fatto penalmente rilevante può essere inquadrato alternativamente o cumulativamente, a seconda del verificarsi dei rispettivi presupposti di legge, all’interno delle due disposizioni normative (lettera c e lettera f), non rinvenendosi nel sistema contrattualistico pubblico alcun divieto alla sussumibilità delle fattispecie di reato nella categoria del grave errore professionale e, per converso, alcuna riserva del penalmente sensibile alla categoria della moralità professionale strettamente intesa. Ne discende che ciò che rileva ai fini dell’applicabilità dell’art. 38, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 163 del 2006, è solo che un determinato fatto, quantunque avente qualificazione penale, possa essere forma di manifestazione di un grave errore professionale, prescindendosi in ogni caso dalla sussistenza di una pronuncia giudiziale passata in giudicato, come è invece previsto dalla precedente lett. c).

Ben poteva quindi la stazione appaltante porre a base della valutazione della sussistenza dell’elemento fiduciario effettuata nell’anno 2011 fatti emersi dalla conoscenza del giudizio penale in questione, anche se non ancora oggetto di pronuncia passata in giudicato.

A nulla vale che la relativa procedura si sia successivamente conclusa con sentenza del Tribunale di Bari, I Sezione Penale, n. 2359/2014 del 15 ottobre 2014, di assoluzione dei signori Ma.Gi. e Mi.La. dai reati loro ascritti per insussistenza del fatto. La sussistenza delle circostanze di fatto apprezzate con il provvedimento impugnato non è stata infatti esclusa da detta sentenza penale (come meglio sarà evidenziato nel prosieguo), sicché ben poteva la s.a. tenerne conto ai fini della emanazione del giudizio circa la sussistenza dell’elemento fiduciario di cui trattasi.

14.3.- Ciò posto, va osservato che il concetto normativo di “violazione dei doveri professionali” cui la norma in questione fa riferimento abbraccia un’ampia gamma di ipotesi, riconducibili alla negligenza, all’errore ed alla malafede, purché tutte qualificabili “gravi” (Consiglio di Stato, sez. III, 13 maggio 2015, n. 2388) e richiede che la responsabilità risulti accertata e provata con qualsiasi mezzo di prova, senza la necessità di una sentenza passata in giudicato (Consiglio di Stato, sez. VI, 4 dicembre 2006, n. 7104) o di un accertamento della responsabilità del contraente per l’inadempimento in relazione ad un precedente rapporto contrattuale, quale sarebbe richiesto per l’esercizio di un potere sanzionatorio, ma è sufficiente una motivata valutazione dell’Amministrazione in ordine alla grave negligenza o malafede nell’esercizio delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara.

Ai fini dell’accertamento della legittimità del provvedimento di esclusione dalla gara, pertanto, assume rilievo decisivo la circostanza che la stazione appaltante illustri compiutamente le ragioni per le quali – in considerazione dei pregressi rapporti contrattuali – sia venuto meno un adeguato livello di fiducia nei confronti dell’impresa partecipante.

L’esercizio di detto potere, in quanto discrezionale, è soggetto al sindacato del giudice amministrativo nei soli limiti della manifesta illogicità, irrazionalità o errore sui fatti.

Tanto premesso, non ritiene la Sezione che i fatti posti a base del discrezionale provvedimento impugnato in primo grado siano stati irrazionalmente o erroneamente ritenuti idonei dall’Amministrazione a minare il rapporto fiduciario con la società appellante, in quanto dalla motivazione dello stesso risulta adeguatamente riscontrata la loro attitudine a dimostrare la sussistenza di grave negligenza o malafede nell’esecuzione del pregresso contratto di cui trattasi, a nulla valendo il fatto che gli eventi in questione siano stati commessi in epoca molto pregressa (Consiglio di Stato, Sezione V, 21 gennaio 2011, n. 409).

Infatti, nei confronti della La. s.r.l., con il provvedimento impugnato sono state poste a giustificazione della adottata determinazione le seguenti circostanze di fatto:

1) L’utilizzo di quattro mezzi della ditta Gi. (non facente parte dell’A.T.I. aggiudicataria del servizio);

2) L‘utilizzo per l’espletamento del servizio di un automezzo, targato xxx, di proprietà della ditta Gi., privo della revisione periodica per il periodo febbraio-maggio 2007;

3) L’impiego di un automezzo, targato xxx di proprietà della ditta La., in sostituzione degli automezzi dichiarati dalla ditta come principali, nell’espletamento del servizio di trasporto scolastico, nel mese di marzo 2007, in sostituzione di mezzi eventualmente usati per gite;

4) L’impiego per l’espletamento del servizio di un automezzo, targato xxx, di proprietà della ditta La., privo della prevista revisione periodica per il mese di maggio 2007.

5) L’uso di personale della ditta Gi. (quattro autisti ed un assistente);

6) L’essere risultato che un autista della società La. (signor Pa.Ca.), dall’esame del libro matricola, era stato in carico sino al 30 dicembre 2006, senza dichiarazioni della stessa ditta circa specifiche sostituzioni;

7) L’essere risultato che un autista (signor Ra.An.) era stato in carico sul libro matricola della ditta Gi. sino al 31 marzo 2007, senza apparenti specifiche sostituzioni;

8) L’essere risultati annotati sul libro matricola assistenti non per l’intero periodo del trasporto scolastico ma per un periodo inferiore.

Con riguardo alla prima delle elencate circostanze la citata sentenza n. 2359/2014 ha escluso la rilevanza penale del fatto che la ditta Gi. non avesse la titolarità di tutti i mezzi necessari per assicurare il servizio e che si fosse servita, all’uopo, di personale e mezzi della ditta individuale Gi.La., stante la sussistenza di un contratto di somministrazione reciproca tra esse ditte di autonoleggio ed “il distacco” dei dipendenti, sicché all’atto della effettuata dichiarazione della disponibilità di otto mezzi per lo svolgimento del servizio di trasporto alunni, la ditta Gi. sapeva di poterli utilizzare in ragione di detto accordo.

Al riguardo rileva il collegio che tanto non esclude che la stazione appaltante potesse apprezzare comunque negativamente, ai fini della valutazione dell’elemento fiduciario, l’utilizzo di mezzi appartenenti ad una ditta estranea all’ATI aggiudicataria.

Con riferimento alla seconda ed alla quarta di dette circostanze va rilevato che detta sentenza penale non fa alcun esplicito e puntuale riferimento e menzione degli automezzi indicati nell’impugnato provvedimento, limitandosi ad affermare genericamente che dagli atti di P.G. non erano emersi dati certi in ordine all’effettivo utilizzo di mezzi privi di revisione e ad escludere l’esistenza del compimento di artifici e raggiri con riguardo ai residui addebiti.

Con riguardo alla terza, alla sesta, alla settima e all’ottava delle citate circostanze pure non risultano riferimenti puntuali nella sentenza penale di cui trattasi, essendo ivi contenuto solo il generico assunto che l’utilizzazione di mezzi con targa diversa da quella indicata era stato effettuato per sopperire alla carenza di mezzi per la cui revisione occorrevano tempi lunghi.

Quanto alla quinta delle riferite circostanze si rinviene nella sentenza de qua solo il riferimento al distacco temporaneo di dipendenti tra le ditte Gi. e La., senza obbligo di comunicazione, sicché è confermata la sussistenza del fatto discrezionalmente apprezzato dalla stazione appaltante.

Ritiene quindi il collegio che, con riferimento all’impiego di personale dipendente di altra ditta e all’utilizzo di mezzi di proprietà della medesima, sostanzialmente non esclusi da detta sentenza penale, correttamente la stazione appaltante abbia qualificato tali comportamenti come palesi violazioni sia di disposizioni del disciplinare (art. 13) e del capitolato (artt. 12 e 20) che soddisfacevano l’interesse pubblico a consentire un adeguato standard di sicurezza nello svolgimento del servizio oggetto dell’appalto di cui trattasi, sia dei canoni di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto da parte dell’appaltatore.

E’ stato quindi non illogicamente ritenuto dalla stazione appaltante che i comportamenti in questione avessero costituito grave inadempimento contrattuale, sotto il profilo della violazione del dovere di diligenza qualificata da un comportamento colposo o doloso, e che fossero idonei ad incidere negativamente sul rapporto fiduciario con la s.a..

Non ritiene invero la Sezione condivisibili le critiche in proposito già formulate in primo grado ed ora riproposte dall’appellante, sostenendo, in particolare che: a) l’osservanza tardiva dell’onere di sottoposizione a revisione periodica dei mezzi adibiti a trasporto scolastico sarebbe stata irrilevante per mancato impiego dei mezzi stessi; b) nessuna norma avrebbe prescritto che i mezzi utilizzati dovessero essere di proprietà; c) sarebbe mancata la possibilità di tempestiva comunicazione di sostituzioni del personale autista e di assistenza e l’impiego di personale non correttamente inquadrabile sarebbe stato irrilevante perché l’interesse del committente sarebbe leso solo dal mancato o non corretto espletamento del servizio da parte di personale competente; d) l’utilizzo di persona non dipendente sarebbe stato giustificato dalla possibilità di distacco dei lavoratori; e) l’elemento fiduciario si sarebbe consolidato nel tempo; f) non avrebbero potuto le condotte contestate incidere sulla moralità della concorrente in assenza di condanna.

Tali censure non appaiono infatti idonee a dimostrare la illogicità delle motivazioni poste a base del provvedimento impugnato, perché la mancata sottoposizione a revisione ha comportato l’impossibilità dell’utilizzo di mezzi di trasporto contrattualmente previsti, il ricorso a personale di altre ditte ha rappresentato sicuro indice di inadeguatezza delle risorse umane a disposizione della appellante e comunque il complesso delle rilevate inadempienze era indice di non corretta gestione del servizio.

14.4.- In conclusione le censure formulate con il motivo in esame sono incondivisibili.

15.- Con il secondo motivo di gravame è stato dedotto che il recepimento della direttiva comunitaria 2004/18, effettuato con il d. lgs. n. 163 del 2006, avrebbe dato ingresso alla previsione, di cui all’art. 38, comma 1, lettera f), ritenuta ostativa alla partecipazione della appellante alla gara de qua; tuttavia la previsione del predetto art. 38 non troverebbe valido supporto nella sua formulazione e nei suoi effetti, in detta direttiva e nei principi cardine dell’ordinamento comunitario.

Sarebbe inconferente al riguardo la considerazione del primo giudice che anche la U.E. ha elevato il requisito dell’affidabilità professionale a requisito di partecipazione alle gare, perché il reale problema sarebbe costituito dalla gravità dell’errore professionale compiuto e dalle modalità di accertamento dello stesso, non essendo compatibili con le disposizioni comunitarie l’ampiezza ed indeterminatezza delle previsioni di cui a detto art. 38, nonché le modalità di esplicazione delle stesse e, di conseguenza, i poteri discrezionali riconosciuti alla s.a. al riguardo.

Sarebbe quindi disapplicabile in parte qua la norma interna, in ossequio alla teoria del c.d. “atto chiaro”, e da effettuare la verifica della compatibilità della disposizione applicata dal Comune di Bari con i principi e le norme del diritto comunitario. Sarebbero inoltre insufficienti le osservazioni che il primo giudice ha formulato con riguardo alla eccepita incostituzionalità dell’art. 38 (sostenendo che una interpretazione costituzionalmente orientata dello stesso consente il contemperamento del principio di buona amministrazione con quello di libera iniziativa economica) in quanto la norma sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 41 della Costituzione, in relazione agli artt. 4, 24, 35 e 97 della stessa, perché introdurrebbe una fattispecie indeterminata ed ampia e rimetterebbe il relativo accertamento a valutazioni ampiamente discrezionali della s.a., idonee ad incidere sul diritto di iniziativa economica mediante la valutazione di irregolarità che, essendosi presumibilmente verificate nella fase paritetica del rapporto con la P.A., avrebbe dovuto essere regolata dal diritto comune (che impone l’accertamento delle stesse in sede giudiziaria e il rispetto dell’equilibrio tra le posizioni dei contraenti).

15.1.- Osserva in proposito la Sezione che il vigente d.lgs. n. 163 del 2006 si presenta come fonte di recepimento della disciplina comunitaria e si propone di armonizzare la disciplina dei lavori pubblici con quella degli altri settori.

L’art. 38, comma 1, lett. f), di esso d. lgs. deve essere quindi interpretato in modo coerente con le indicazioni desumibili dall’art. 45, par. 2, lett. d), della Direttiva 31 marzo 2004 n. 2004/18/CE, che consente l’esclusione di ogni operatore economico “che, nell’esercizio della propria attività professionale, abbia commesso un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova dall’amministrazione aggiudicatrice”. Poiché tale formula corrisponde a quella della seconda parte del citato art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs., deve ritenersi che in via generale la normativa comunitaria consenta di qualificare come ostativo qualsiasi episodio di errore che caratterizzi la storia professionale degli aspiranti concorrenti, purché sia abbastanza grave da metterne in dubbio l’affidabilità. La norma nazionale vigente riproduce quella comunitaria e di conseguenza rende rilevanti tutti gli errori professionali commessi.

Tanto esclude la condivisibilità della tesi della appellante che non sarebbero compatibili con detta Direttiva l’ampiezza ed indeterminatezza della previsione di cui a detto art. 38, nonché le modalità di esplicazione delle della stessa ed il potere discrezionale riconosciuto alla s.a. al riguardo, essendo la norma comunitaria di eguale ampiezza rispetto a quella attuativa ed atteso che tale ampiezza appare inidonea a comportare alcuna violazione dei principi comunitari e nazionali posti a presidio del favor partecipationis, nonché del diritto alla iniziativa economica costituzionalmente garantito; ciò considerato anche che detto potere deve esplicarsi mediante una motivata valutazione dell’Amministrazione in ordine alla grave negligenza o malafede nell’esercizio delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara, motivazione che è soggetta, ancorché discrezionale, al vaglio di logicità da parte dell’Organo giurisdizionale.

15.2.- Quanto alla eccezione di incostituzionalità della norma in esame va in primo luogo rilevato che esigenze di eguaglianza (art. 3 cost.), buona amministrazione (art. 97 cost.), proporzionalità e soprattutto di tutela del diritto di iniziativa economica (art. 41 cost.) non sono idonee ad escludere la rilevanza delle contestazioni di condotte connotate, come nel caso che occupa, dall’elemento soggettivo gravemente colposo dell’impresa, che esclude applicazioni della norma stessa ingiustificatamente penalizzanti del diritto di iniziativa economica, con una sorta di discrezionale esclusione unilateralmente decretata dalla stazione appaltante da ogni futuro rapporto contrattuale.

In secondo luogo può ritenersi che la valutazione che l’art. 38, comma 1, lettera f) del d. lgs. n. 163 del 2006 rimette alla stazione appaltante non sia comunque idonea a violare il principio di libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 della Costituzione perché:

a) è volta ad incidere su un rapporto contrattuale in fieri e non produce quindi alcun effetto sul rapporto iure privatorum a suo tempo intercorso tra la s.a. e l’appaltatore, in quanto trattasi di valutazione discrezionale rimessa alla P.A. da svolgere nella fase anteriore alla stipula di un nuovo e diverso contratto, tesa a tutelare l’esigenza costituzionalmente prevista di tutela del buon andamento dell’azione amministrativa, da contemperare con quella di libertà di iniziativa economica;

b) incentra il compito demandato alla stazione appaltante nella valutazione “della grave negligenza o mala fede nell’esecuzione delle prestazioni affidate” da parte dell’impresa partecipante alla procedura di gara, che rimanda allo scrutinio, sotto il profilo oggettivo o soggettivo, del comportamento tenuto dall’impresa nel corso dell’esecuzione del rapporto contrattuale, prescindendo del tutto dalla valutazione dell’inadempimento o inesattezza della prestazione ex art. 1218 c.c. (Consiglio di Stato, sez. V, 28 settembre 2015, n. 4512) riservata al diritto comune.

In terzo luogo la posizione del concorrente che abbia commesso violazioni dei doveri professionali non può essere utilmente equiparata, al fine di dedurne una violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, con la diversa situazione di quello che non abbia commesso esse violazioni; in realtà, la violazione della par condicio tra i concorrenti deriverebbe piuttosto dal ritenere uguali le due situazioni, ammettendo in gara chi abbia posto in essere le violazioni suddette.

16.- Con il terzo motivo d’appello è stato sostenuto che il primo giudice, nel respingere il motivo del ricorso introduttivo del giudizio con il quale era stata dedotta l’incompetenza o la violazione del dovere di astensione per incompatibilità del dirigente che aveva presieduto la gara di cui trattasi ed aveva accertato la mala fede della aggiudicataria, avrebbe fatto applicazione analogica dell’orientamento giurisprudenziale che nega la sussistenza di incompatibilità del funzionario che svolga le funzioni di presidente della commissione di gara e sia anche competente ad approvarne gli atti.

Ma detto principio sarebbe inconferente perché relativo ad una situazione non assimilabile a quella di specie, in quanto sarebbe diversa l’approvazione degli esiti di una procedura da parte del soggetto che la ha presieduta dall’annullamento della procedura che ha presieduto ed aggiudicata e di cui non condivida il risultato facendo uso dell’ampio potere discrezionale attribuitogli.

16.1.- Osserva al riguardo il Collegio che, ai sensi del comma 3 dell’art. 107 del d.lgs. n. 267 del 2000 sono attribuiti ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dai medesimi organi, tra i quali in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell’ente, “a) la presidenza delle commissioni di gara e di concorso; b) la responsabilità delle procedure d’appalto e di concorso”.

Poiché non sussiste incompatibilità tra le funzioni di presidente della commissione di gara e quella di responsabile del procedimento, analogamente si deve ritenere che non possa sussistere incompatibilità di un dirigente dell’ente locale che abbia svolto le funzioni di presidente del seggio e di responsabile del procedimento, al quale sia stato anche attribuito il compito di approvare gli atti della commissione di gara (Consiglio di Stato, sez. V, 27 aprile 2012, n. 2445).

Tra i poteri dell’Organo che procede all’approvazione degli atti di gara rientrano anche quelli di verifica della sussistenza di tutti i presupposti di legge sottostanti e quindi anche quello di accertare la sussistenza del requisito di cui all’art. 38, comma 1, lettera f), del d. lgs. n. 163 del 2006.

Neppure potevano sussistere cause di incompatibilità di cui all’art. 92, comma 5, del d.P.R. n. 554 del 1999, non essendo stata neppure dedotta dall’appellante (e comunque risultando indimostrata) la sussistenza di interesse personale o professionale del dirigente di cui trattasi comportante l’insorgenza del dovere di astensione.

17.- Con il quarto motivo di gravame è stato dedotto che, a seguito dell’accoglimento, con ordinanza cautelare del Consiglio di Stato n. 2679 del 2011, della domanda cautelare della ricorrente, che ha disposto il riesame dei provvedimenti impugnati in relazione alle singole fattispecie poste a base degli stessi, tenendo conto delle argomentazioni poste a base dell’atto d’appello, il Comune di Bari si sarebbe limitato a ripercorrere, con il provvedimento di riesame n. 2011/05871-2011/210/0040 del 12 agosto 2011, l’iter logico giuridico seguito.

Con la impugnata sentenza sarebbe quindi stato erroneamente sostenuto, con riguardo ad esso provvedimento, che con esso era stata data piena contezza degli elementi contenuti nel ricorso, con particolare riferimento ai mezzi ed al personale impiegato nell’espletamento del servizio ed era stata resa esauriente motivazione in merito alla grave negligenza o malafede pregressa di cui trattasi (giustificata dalla rilevanza della violazione degli obblighi informativi circa la sostituzione degli automezzi e del personale prescritti dal capitolato, che avrebbe comportato la lesione dell’interesse pubblico alla incolumità degli utenti).

In particolare, il capo di sentenza di cui trattasi farebbe riferimento ad esigenze di tutela e di sicurezza mai messe in pericolo né su piano formale, né sul piano effettivo del servizio.

L’appellante ha quindi riproposto le censure formulate con i motivi aggiunti in primo grado, criticando le motivazioni poste a base del negativo provvedimento emesso a seguito del riesame disposto in sede giurisdizionale.

17.1.- La Sezione non ritiene di poter valutare positivamente il motivo in esame, atteso che il provvedimento di riesame di quello di accertamento, a carico della società stessa, di grave negligenza e malafede nell’esecuzione di precedente appalto di trasporto alunni – adottato a seguito di ordinanza della Sezione che ha accolto l’appello cautelare (affermando che l’atto d’appello presentava elementi giustificanti il riesame in relazione alle singole fattispecie poste a base degli impugnati provvedimenti tenendo conto delle argomentazioni poste a base dell’atto d’appello) – appare aver dato adeguato e non illogico riscontro motivazionale a tutte le censure con esso formulate, evidenziando violazioni del capitolato e dei canoni di correttezza e lealtà nell’esecuzione del contratto rilevanti, a prescindere dalla circostanza che le esigenze di tutela degli utenti e di sicurezza del trasporto non sarebbero mai state messe in pericolo.

Con l’atto di riesame, infatti – premesso che prima della comunicazione di chiusura delle indagini il Comune non era venuto a conoscenza di fatti che potessero indurre ad una valutazione di grave negligenza (sicché le proroghe e gli affidamenti susseguiti all’appalto per il periodo 2006/2007 non potevano interpretarsi come valutazione favorevole del pregresso comportamento dell’impresa) – è stato asserito che dai fatti in questione emergeva una difformità nelle modalità di prestazione del servizio da parte della La. s.r.l. rispetto a quanto dichiarato con nota del 13 novembre 2006 e la violazione di disposizioni del capitolato speciale e dei canoni di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto da parte dell’appaltatore, che è tenuto a comunicare tempestivamente alla s.a. la sostituzione dei mezzi (ex art. 12 del capitolato), nonché ad essere in regola con la copertura assicurativa e con la revisione (art. 20 del capitolato). I fatti giustificativi dedotti dalla appellante non sono stati ritenuti idonei a giustificare il pregresso comportamento non conforme a canoni di lealtà e correttezza nella esecuzione dell’appalto da parte della stessa perché, anche se era stato fatto ricorso a strumenti che avrebbero potuto legittimare l’uso di altro personale e mezzi, non erano mai state comunicate alla s.a. le avvenute modifiche e sostituzioni rispetto a quanto dichiarato.

In particolare con riferimento ai mezzi è stato rilevato che tutte le sostituzioni erano avvenute di fatto ed in via arbitraria, con irrilevanza della deduzione che esse erano state effettuate per mantenere il numero dei mezzi effettivi, non essendo state comunicate ed autorizzate; inoltre, con riguardo ai mezzi non revisionati, è stato affermato che risultava da dichiarazioni che essi avevano anche circolato, il che, per espressa previsione contrattuale avrebbe comportato la risoluzione del contratto. Con riferimento al personale è stato osservato che l’utilizzo di mezzi e personale di altra ditta estranea all’appalto non era stato irrilevante, come sostenuto dalla appellante, atteso che essa aveva dichiarato alla P.A. di utilizzare un apparato organizzativo completamente diverso da quello poi effettivamente utilizzato, in violazione del rapporto appaltante-appaltatore. E’ stato infine asserito con l’atto di riesame che il corrispettivo per il servizio era stato corrisposto in buona fede, non essendo ancora conosciute dette circostanze e che le attestazioni dei dirigenti scolastici riguardavano solo il numero delle corse effettuate.

Tutte dette osservazioni nel loro complesso, a prescindere dalle contestazioni contenute nei motivi aggiunti con riguardo ad alcuni dei rilievi cui sopra è stato fatto cenno (in particolare con riferimento alle dichiarazioni relative alla circolazione di mezzi privi di revisione, che non sarebbe mai stata ufficialmente accertata), non appaiono al collegio affette da palese irragionevolezza o da decisivi errori di fatto e non si ritengono censurabili in questa sede, in particolare non essendo i fatti contestati dalla appellante di per sé decisivi ai fini della adottata determinazione, non essendo stato da essa provato, ma solo adombrato, che il Comune fosse a conoscenza delle indagini penali di cui trattasi sin dall’anno 2006, nonché essendo stato inadeguatamente dimostrato l’assunto che le irregolarità in questione non avessero di fatto comportato inadeguatezza del servizio espletato e che il personale di una ditta estranea all’appalto utilizzato fosse regolarmente stato da questa assunto.

18.- La reiezione dei sopra esaminati motivi di appello comporta l’impossibilità di positiva valutazione da parte del collegio delle reiterate censure di illegittimità derivata del provvedimento di esclusione da quella della determinazione dirigenziale impugnata, nonché della domanda di risarcimento del danno ingiusto.

All’infondatezza dei motivi di ricorso non può, infatti, che conseguire l’inaccoglibilità della domanda di risarcimento danni dei quali l’appellante chiede il ristoro, perché non è stato dimostrato il nesso di causalità tra essi danni e l’attività dell’Amministrazione, non potendo essere considerata ingiusta o illecita la condotta da essa tenuta in esecuzione di provvedimenti riconosciuti legittimi (Consiglio Stato, sez. V, 14 febbraio 2011, n. 965).

19.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione.

20.- Nella complessità delle questioni trattate il collegio ravvisa eccezionali ragioni per compensare, ai sensi degli artt. 26, comma 1, del c.p.a. e 92, comma 2, del c.p.c., le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo, respinge l’appello in esame.

Compensa le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 giugno 2015 con l’intervento dei magistrati:

Alessandro Pajno – Presidente

Carlo Saltelli – Consigliere

Antonio Amicuzzi – Consigliere, Estensore

Doris Durante – Consigliere

Fabio Franconiero – Consigliere

Depositata in Segreteria il 20 novembre 2015.

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