Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 16 luglio 2015, n. 3544

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE SESTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9602 del 2010, proposto da:

C., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Fi.Ba. e Gh.Ma., con domicilio eletto presso Lu.Na. in Roma, Via (…);

contro

Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i Servizi tecnici, in persona dei rispettivi rappresentanti legali, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, Via (…);

ed altri;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE I n. 38/2010, resa tra le parti, concernente piano di caratterizzazione per la qualità ambientale

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, del Ministero della salute, dell’Istituto superiore di Sanità, del Ministero dello sviluppo economico, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dell’ Amministrazione Provinciale di Napoli, dell’Autorità portuale di Napoli, dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici e del Comune di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 26 maggio 2015, il consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti l’avvocato Ma. ed altri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue;

FATTO e DIRITTO

1.- La Società C. (C.), società consortile per azioni, impugna la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sede di Napoli, 11 gennaio 2010, n. 38 con la quale è stato rigettato il suo ricorso per l’annullamento del verbale della conferenza di servizi del 1° ottobre 2014, tenutasi presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, nella parte in cui si richiedeva alla stessa società, nella veste di proprietaria del complesso immobiliare sito in Napoli, alla via (…), all’interno di un’area di bonifica di interesse nazionale, la presentazione di un nuovo piano di caratterizzazione del sito.

Con il primo motivo d’appello, la società appellante lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui, facendo riferimento all’art. 14-ter della legge 7 agosto 1990, n.241 ( recante la Legge sul procedimento amministrativo) nella nuova formulazione risultante dalle modifiche introdotte dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15, anziché all’art. 14-ter nel testo vigente all’epoca dei fatti, avrebbe ritenuto irrilevante l’assenza del Ministero delle attività produttive ( oggi dello Sviluppo economico) in sede di conferenza di servizi.

Con il secondo motivo, la società appellante assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui la stessa ha ritenuto legittimo il provvedimento impugnato (i.e., il verbale della conferenza decisoria del 1° ottobre 2004) nonostante lo stesso non fosse stato adottato dal competente Ministero dell’ambiente, non essendo infatti il verbale della conferenza di servizi oggetto della impugnazione di primo grado mai stato recepito in un decreto ministeriale.

Con distinto motivo, la società appellante si duole della illegittimità dell’atto in prime cure impugnato nonchè della erronea valutazione compiuta anche sul punto dal giudice di primo grado, nella parte in cui lo stesso ha imposto ad essa appellante, quale proprietaria dell’area non responsabile dell’inquinamento della stessa, la realizzazione di un dettagliato piano di caratterizzazione delle aree, nonostante l’assenza di una sicura base normativa che ciò potesse consentire in danno del mero proprietario delle aree. In particolare, l’odierna appellante lamenta l’errata interpretazione dell’impianto normativo vigente all’epoca dei fatti, ovvero l’errata applicazione dell’articolo 8, commi 2 e 3, del decreto ministeriale 25 ottobre 1999 n. 471 ( recante il Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati), adottato ai sensi dell’articolo 17, commi 10 e 11, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22( recante Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio).

Conclude, pertanto, l’appellante per l’accoglimento dell’appello e, in riforma della sentenza impugnata, del ricorso di primo grado, con ogni statuizione consequenziale anche in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.

Si sono costituiti in appello il Comune e la Provincia di Napoli, già estromessi dal giudizio dalla sentenza di primo grado; costoro, dopo aver riproposto la questione della loro estromissione dal giudizio per difetto di legittimazione, hanno concluso per l’inammissibilità, l’infondatezza e per il rigetto dell’appello.

Si sono costituiti, altresì, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero delle attività produttive, il Ministero della salute, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, l’Agenzia protezione ambiente e servizi tecnici (APAT), l’Istituto superiore di sanità nonché l’Autorità portuale di Napoli per resistere all’appello e chiederne la reiezione, con la conseguente conferma della pronuncia di primo grado.

Con ordinanza istruttoria 30 dicembre 2014 n. 6419, la Sezione ha chiesto chiarimenti al Ministero dell’ambiente sullo stato attuale del procedimento.

All’udienza pubblica del 26 maggio 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.

2.- Prima di passare al merito della controversia, pare opportuno un breve richiamo dei fatti alla base della controversia.

La società appellante è proprietaria del complesso immobiliare sito in via (…) nel Comune di Napoli, all’interno di un’area ritenuta di bonifica di interesse nazionale; su detta area operano 51 aziende esercenti il commercio all’ingrosso, che hanno sede nella zona orientale di Napoli.

Il complesso immobiliare consta di una superficie di circa 48.400 mq di suolo che, nel recente passato, ospitava gli stabilimenti industriali della S., società attiva nella produzione di fibre sintetiche, prodotti che possono aver compromesso la qualità ambientale del suolo stesso, del sottosuolo e della falda acquifera; nelle immediate vicinanze di tale complesso immobiliare, è presente una raffineria della XXX.

Tali circostanze hanno fatto presumere che l’area potesse presentare concentrazioni inquinanti superiori a quelle previste dalla normativa di settore di tal che, di sua iniziativa, la società appellante aveva prodotto un piano di caratterizzazione del sito.

Successivamente, il Ministero dell’ambiente, all’esito di una prima conferenza di servizi istruttoria, aveva indetto una conferenza di servizi decisoria, con la quale aveva concluso nel senso di chiedere alla società C., entro 30 giorni dalla notifica del verbale ( avvenuta in data 12 ottobre 2004), la presentazione di un nuovo piano di caratterizzazione secondo dettagliate indicazioni conformative indicate nel citato verbale.

La C. impugnava detto verbale, nonché il parere congiunto di ARPAC, APAT e ISS davanti al Tribunale amministrativo regionale della Campania, che rigettava il ricorso con la sentenza oggetto del presente appello.

Con la richiamata ordinanza n. 6419 del 2014, questa Sezione, considerata la materia posta a base della controversia ed il lungo tempo trascorso dalla imposizione delle prescrizioni contenute nel nuovo piano di caratterizzazione del sito, ha ritenuto necessario disporre attività istruttoria sullo stato attuale del procedimento di bonifica e di rinviare la trattazione della causa ad un’udienza successiva, anche al fine di attendere l’esito del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia disposto dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in una controversia analoga a quella qui in oggetto, con ordinanza 25 settembre 2013 n. 21.

3.- In considerazione dell’infondatezza, nel merito, dell’appello, il Collegio ritiene di prescindere in questo grado dall’esame della questione relativa al difetto di legittimazione passiva della Provincia e del Comune di Napoli; per vero, la presente pronuncia reiettiva ( la quale conferma, in toto, la impugnata sentenza che, a sua volta, ha sancito il difetto di legittimazione passiva dei prefati enti territoriali) rappresenta integrale soddisfazione della pretesa processuale degli enti appellati, i quali d’altronde hanno rassegnato le loro conclusioni chiedendo nient’altro che il rigetto dell’appello.

4.- Quanto al merito, il Collegio ritiene che l’appello sia fondato e vada accolto nei sensi di cui appresso.

La questione centrale da dirimere ( che assorbe le ulteriori censure dedotte dalla parte appellante nel primo e secondo motivo d’appello) attiene al se il proprietario di un’area inquinata, non responsabile dell’inquinamento, sia tenuto agli oneri di bonifica per come imposti dalla amministrazione pubblica ovvero abbia una mera facoltà di eseguirli pena, altrimenti, l’esecuzione d’ufficio degli stessi da parte della amministrazione procedente e con responsabilità, in tal caso, solo patrimoniale del proprietario ( nei limiti del valore venale del bene all’esito degli interventi di riqualificazione ambientale).

E’ pacifico in atti che la odierna società appellante sia soltanto proprietaria del complesso immobiliare oggetto del piano di caratterizzazione ma non abbia, neppure in minima misura,concorso a causarne l’inquinamento, dovuto con ogni probabilità alle pregresse attività industriali.

E’ noto che il d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, recante il Codice dell’ambiente, abbia confermato la scelta ( già presente nella pregressa disciplina della materia contenuta nel citato art. 17 del d.lgs n. 22 del 1997) afferente l’allocazione del titolo di responsabilità e delle conseguenze sul piano degli oneri di riparazione del danno proprio nel senso anzidetto, cioè della responsabilità solo patrimoniale del proprietario non responsabile, salvi gli oneri relativi agli interventi di urgenza e salva la facoltà di eseguire spontaneamente gli interventi di bonifica ambientale.

In particolare, può dirsi in estrema sintesi, che dalle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 152/2006 (in particolare, nel Titolo V della Parte IV) possono ricavarsi le seguenti regole:

1) il proprietario, ai sensi dell’art. 245, comma 2, è tenuto soltanto ad adottare le misure di prevenzione di cui all’art. 240, comma 1, lett. 1), ovvero “le iniziative per contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia”;

2) gli interventi di riparazione, messa in sicurezza, bonifica e ripristino gravano esclusivamente sul responsabile della contaminazione, cioè sul soggetto al quale sia imputabile, almeno sotto il profilo oggettivo, l’inquinamento (art. 244, comma 2);

3) se il responsabile non sia individuabile o non provveda (e non provveda spontaneamente il proprietario del sito o altro soggetto interessato), gli interventi che risultassero necessari sono adottati dalla p.a. competente (art. 244, comma 4);

4) le spese sostenute per effettuare tali interventi potranno essere recuperate, sulla base di un motivato provvedimento (che giustifichi, tra l’altro, l’impossibilità di accertare l’identità del soggetto responsabile ovvero quella di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità), agendo piuttosto in rivalsa verso il proprietario, che risponderà nei limiti del valore di mercato del sito a seguito dell’esecuzione degli interventi medesimi (art. 253, comma 4);

5) a garanzia di tale diritto di rivalsa, il sito è gravato di un onere reale e di un privilegio speciale immobiliare (art. 253, comma 2).

La scelta del legislatore nazionale, desumibile dall’applicazione delle richiamate regole, è stata adottata in applicazione, nel nostro ordinamento, del principio comunitario “chi inquina paga” ormai confluito in una specifica disposizione (art. 191) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nel quale rientra come uno degli obiettivi principali sui quali si basa l’azione europea in materia ambientale ed in attuazione della direttiva 2004/35/CE.

Tale sistema normativo, che come anticipato ripete lo stesso schema dispositivo già contenuto nell’art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997, è stato tuttavia sottoposto a critica da una parte della dottrina e della giurisprudenza amministrativa, che vi ha ravvisato dei possibili profili di incompatibilità con i principi comunitari di precauzione, di prevenzione e di correzione prioritaria, alla fonte, dei danni causati all’ambiente. In particolare ci si è chiesti se la normativa comunitaria ed i principi dalla stessa desumibili siano incompatibili con un sistema incentrato su un significativo innalzamento della soglia di tutela ambientale quante volte l’incertezza nella individuazione del nesso di causalità tra condotta e danno da inquinamento ambientale ed il ritardo nell’accertamento delle responsabilità ( anche a fronte di evidenze scientifiche malcerte) potrebbe determinare rischi irreversibili alla salute o all’ambiente. In tali casi, ci si è chiesti se il proprietario dell’area inquinata, il quale utilizza il sito per l’esercizio della sua attività d’impresa, non possa essere chiamato a compiere gli interventi di ripristino ambientale a titolo di responsabilità oggettiva, per la relazione speciale con la cosa immobile strumentale all’esercizio della sua attività, ed anche in ragione degli oneri di custodia e di particolare diligenza esigibili nei confronti del titolare di beni suscettibili di arrecare danno ad interessi particolarmente sensibili.

In particolare, di tali considerazioni critiche rispetto all’impianto normativo recato dal Codice dell’ambiente si è fatta carico l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato che, con ordinanza 25 settembre 2013 n. 21, ha rimesso alla Corte di Giustizia UE la seguente questione interpretativa:

– <<se i princìpi dell’Unione europea in materia ambientale sanciti dall’art. 191, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dalla direttiva 2004/35/U.e. del 21 aprile 2004 (articoli 1 ed 8 n. 3; 13° e 24° considerando) – in particolare, il principio per cui “chi inquina, paga”, il principio di precauzione, il principio dell’azione preventiva, il principio, della correzione prioritaria, alla fonte, dei danni causati all’ambiente – ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dagli articoli 244, 245 e 253 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, che, in caso di accertata contaminazione di un sito e d’impossibilità d’individuare il soggetto responsabile della contaminazione o di ottenere da quest’ultimo gli interventi di riparazione, non consenta all’autorità amministrativa d’imporre l’esecuzione delle misure di sicurezza d’emergenza e bonifica al proprietario non responsabile dell’inquinamento, prevedendo, a carico di quest’ultimo, soltanto una responsabilità patrimoniale limitata al valore del sito dopo l’esecuzione degli interventi di bonifica>>.

L’interpretazione prospettata dall’Adunanza plenaria si faceva carico, in definitiva, di superare alcune criticità insorte dall’esame di una pluralità di casi, in cui il responsabile dell’inquinamento risultava nella maggior parte dei casi irreperibile per avere, con operazioni negoziali di sospetta portata elusiva, alienato la cosa inquinata, mentre il nuovo proprietario trovava proprio nelle richiamate disposizioni inerenti alla limitazione della sua responsabilità ( essendo ammessa solo una responsabilità di tipo patrimoniale correlata al valore commerciale del cespite) un commodus discessus per liberarsi dei ben più gravosi oneri economici connessi alla integrale bonifica del sito.

Con sentenza del 4 marzo 2015 ( resa nella causa C-534/13), la Corte di Lussemburgo ha confermato il proprio orientamento ( già espresso nella sentenza 9 marzo 2010, C- 378/08), non diverso da quello preponderante emerso nell’ordinamento italiano e richiamato dalla stessa ordinanza di rinvio dell’Adunanza plenaria, secondo cui “la direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale (…) la quale, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione, non consente all’autorità competente di imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l’esecuzione di tali interventi”.

Rileva il Collegio che, per quanto la sentenza della Corte di Giustizia appena citata si riferisse alla legittimità “comunitaria” delle citate disposizioni del Codice dell’ambiente, nondimeno i principi ivi espressi sono utili a chiarire, attraverso il principio dell’interpretazione conforme, i contenuti dell’art. 17 del citato d.lgs n.22 del 1997, applicabile ratione temporis alla fattispecie in oggetto, ed ispirato allo stesso principio comunitario del “chi inquina paga” ( la conferenza di servizi decisoria, il cui verbale è stato impugnato in primo grado risale infatti al 1° ottobre 2004: ad epoca dunque antecedente l’attuazione, nel nostro ordinamento, della direttiva 2004/35/CE ).

Del resto, la stessa sentenza della Corte di Lussemburgo ricorda come il diritto dell’Unione non è di ostacolo ad una normativa nazionale che non consenta di imporre misure riparatorie al proprietario del sito non responsabile dell’inquinamento, di tal che la pronuncia non riguarda soltanto le disposizioni particolari del Codice dell’ambiente applicabili in quel giudizio ( che vengono utilizzate in quanto poste a base della controversia davanti al giudice a quo) ma si riferisce evidentemente a tutte le disposizioni nazionali, antecedenti o susseguenti a quelle scrutinate, che siano ispirate al medesimo criterio di riparto della responsabilità e degli oneri consequenziali tra il proprietario del sito inquinato ed il responsabile dell’inquinamento.

5.- Ciò detto, vale osservare che, nel caso di specie, non potendo determinarsi in capo alla società appellante la responsabilità dell’inquinamento del sito ( risalente, come detto, a molti decenni addietro ed imputabile eziologicamente all’attività inquinante di altri soggetti giuridici), la stessa società non è tenuta ad eseguire la caratterizzazione dell’area, secondo le prescrizioni impostele dall’amministrazione all’esito della citata conferenza decisoria.

La Società C., in qualità di proprietaria dell’area, sarà se del caso responsabile sul piano patrimoniale ed a tal titolo sarà tenuta, ove occorra, al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito determinato dopo l’esecuzione di tali interventi, secondo quanto desumibile dal contenuto del citato art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997.

6.- In conclusione, alla luce dei rilievi che precedono, l’appello va accolto unitamente al ricorso di primo grado e, in riforma della gravata sentenza, va annullato l’impugnato verbale di conferenza di servizi decisoria con la quale l’odierna società appellante, nella veste di mera proprietaria dell’area, è stata diffidata ad eseguire la caratterizzazione del sito secondo le prescrizioni indicate nel verbale oggetto della impugnazione di primo grado; vanno del pari annullati tutti i provvedimenti accessori e connessi a quello impugnato in principalità ( in particolare, il parere congiunto di ARPAC, APAT e ISS).

Ogni altro motivo dedotto resta assorbito nella presente decisione di accoglimento dell’appello e, per l’effetto, del ricorso di primo grado.

7.- Tenuto conto della particolarità della vicenda e dei profili di novità intervenuti sul piano dell’interpretazione delle disposizioni e dei principi normativi applicabili alla fattispecie in esame, si ravvisano giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese e gli onorari di entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello (RG n. 9602/10), come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, annulla, in accoglimento del ricorso di primo grado, gli atti in quella sede gravati.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi – Presidente

Gabriella De Michele – Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg – Consigliere, Estensore

Roberta Vigotti – Consigliere

Bernhard Lageder – Consigliere

Depositata in Segreteria il 16 luglio 2015.

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