Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 23 luglio 2015, n. 3652

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE SESTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6347 del 2014, proposto da:

As. ed altri, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Ma.Ce. e Al.Pe., con domicilio eletto presso l’avvocato Al.Pe. in Roma, Via (…);

contro

Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero per i beni e le attività culturali, Ministero dello sviluppoe, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, Via (…);

Regione Friuli-Venezia Giulia;

nei confronti di

Te. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati El.Bu. ed altri, con domicilio eletto presso l’avvocato Ma.Es. in Roma, Via (…);

Te. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma.Es., con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, Via (…);

sul ricorso in appello numero di registro generale 6348 del 2014, proposto da:

Comune di Mortegliano, Comune di San Vito al Torre, Comune di Trivignano Udinese, Comune di Lestizza, Comune di Palmanova, Comune di Basiliano, Comune di Pavia di Udine, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall’avvocato Ma.Ce., con domicilio eletto presso l’avvocato Al.Pe. in Roma, Via (…);

contro

Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero dello sviluppo economico, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ministero per i beni e le attività culturali, Regione Friuli-Venezia Giulia;

nei confronti di

Te. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma.Es. ed altri, con domicilio eletto presso l’avvocato Mario Esposito in Roma, Via (…);

sul ricorso in appello numero di registro generale 6288 del 2014, proposto da:

Gi.Ru., rappresentato e difeso dagli avv. Fr.Ac., Ga.Pa., con domicilio eletto presso Ga.Pa. in Roma, viale (…);

contro

Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero per i beni e le attività culturali, Ministero dello sviluppo economico, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, Via (…);

Regione Friuli-Venezia Giulia;

nei confronti di

Te. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati El.Bu. ed altri, con domicilio eletto presso l’avvocato Ma.Es. in Roma, Via (…);

Te. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma.Es., con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, Via (…); Comune di Santa Maria La Longa;

per la riforma

quanto al ricorso n. 6347 del 2014:

della sentenza del T.a.r. Lazio – Roma: Sezione II-quater n. 03993/2014, resa tra le parti, concernente decreto di compatibilità ambientale progetto denominato “elettrodotto a 380 kv in doppia terna s.e. Udine ovest – s.e. Redipuglia”

quanto al ricorso n. 6348 del 2014:

della sentenza del T.a.r. Lazio – Roma: Sezione II-quater n. 03992/2014, resa tra le parti, concernente decreto di compatibilità ambientale progetto denominato“elettrodotto a 380 kv in doppia terna s.e. Udine ovest – s.e. Redipuglia”;

quanto al ricorso n. 6288 del 2014:

della sentenza del T.a.r. Lazio – Roma: Sezione II-quater n. 03994/2014, resa tra le parti, concernente compatibilità ambientale del progetto denominato “elettrodotto a 380 kv in doppia terna s.e. Udine ovest – s.e. Redipuglia”

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, del Ministero per i beni e le attività culturali, del Ministero dello sviluppo economico, di Te. s.p.a., di Te. s.p.a. della Regione Friuli -Venezia Giulia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 aprile 2015 il Cons. Roberto Giovagnoli e uditi per le parti l’avvocato Ac. ed altri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. I provvedimenti impugnati nei presenti appelli riuniti attengono alla realizzazione ed esercizio di un elettrodotto a 380 Kw, in doppia terna, tra la stazione elettrica di Udine Ovest e la stazione elettrica di Redipuglia (Gorizia), della lunghezza di circa 39 chilometri, con sostegni dell’altezza di 61 metri. Precisamente, sono stati impugnati in primo grado i seguenti atti:

– il decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto col Ministro per i beni e le attività culturali, del 21 luglio 2011, recante la compatibilità ambientale del progetto denominato “Elettrodotto a 380KW in doppia terna S.E. Udine ovest – S.E. Redipuglia” ed opere connesse presentato dalla società Te. s.p.a.;

– ogni altro atto connesso ivi compresi: gli atti di “generalità” n.3333 del 28 dicembre 2007 e n. 2881 della Giunta regionale del Friuli Venezia Giulia; il parere favorevole espresso dalla Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale Via-Vas n.528 del 16 settembre 2010; il parere favorevole del Ministero per i beni e le attività culturali espresso con nota n.38241 del 20 dicembre 2010 e con nota n.6440 del 24 febbraio 2011; la delibera della Giunta regionale del Friuli Venezia Giulia n.1095 del 4 giugno 2010 e la nota del Presidente della Regione del 14 giugno 2010; le note del Ministero dello sviluppo economico n.9876 del 17 maggio 2012 e n.14825 del 19 luglio 2012; per quanto di necessità e nei limiti delle censure indicate in ricorso il d.P.C.M. 27 dicembre 1988 nonché il decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare del 18 luglio 2007 di definizione dell’organizzazione e del funzionamento della Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale Via-Vas;

L’opera è stata progettata da Te. s.p.a. in qualità di gestore della Rete Elettrica di Trasmissione Nazionale (di seguito anche solo RTN) ed è inclusa nel Piano di Sviluppo della RTN.

2. Gli odierni appellanti, con distinti ricorsi proposti in primo grado innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, hanno impugnato la positiva pronuncia di compatibilità ambientale – a seguito di procedimento promosso a domanda di Te. s.p.a. del 22 gennaio 2009, con conferenza di servizi – dell’opera (decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero per i beni e le attività culturali, del 21 luglio 2011) e, con successivi motivi aggiunti, l’autorizzazione alla costruzione dell’opera (decreto interministeriale n. 239/EL-146/181/2013 del 12 marzo 2013) ai sensi dell’art. 1-sexies d.-l. 29 agosto 2003, n. 239 come convertito con modificazioni dalla l. 27 ottobre 2003, n. 290.

3. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con tre sentenze di analogo contenuto, rese in pari data (11 febbraio 2014), rispettivamente numero 3992, 3993 e 3994, ha respinto i ricorsi e i motivi aggiunti proposti in primo grado.

4. Gli odierni appellanti, individuati e specificati in epigrafe, con tre distinti atti di appello di analogo contenuto hanno chiesto la riforma di tali sentenze.

5. Si sono costituiti in giudizio, chiedendo il rigetto dell’appello, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero per i beni e le attività culturali, la Regione Friuli – Venezia Giulia, la società Te. s.p.a. e la società Te. s.p.a..

6. All’odierna udienza di discussione gli appelli sono stati trattenuti per la decisione.

7. Occorre, anzitutto, disporre la riunione degli appelli atteso che, nonostante i ricorsi abbiano ad oggetto sentenze formalmente diverse, sussiste un’evidente connessione oggettiva e parzialmente soggettiva (stante l’identità dei provvedimenti amministrativi impugnati nei tre giudizi che vengono in decisione).

8. Occorre in via pregiudiziale esaminare alcune eccezioni di rito sollevate in particolare da Te. nei suoi scritti difensivi.

Alcune eccezioni sono comuni a tutti tre gli appelli, altre, invece, si indirizzano distintamente contro i singoli appelli.

9. Cominciando da queste ultime, con riferimento al ricorso n. 6288/2014 R.G. (proposto da Gi.Ru.), Te. eccepisce che mentre il ricorso di primo grado è stato rivolto anche nei confronti del Comune di Santa Maria La Longa, non costituitosi innanzi al Tribunale amministrativo regionale, quello in appello non è stato notificato a detta Amministrazione, con ciò vulnerando il principio espresso dall’art. 95 Cod. proc. amm. e dall’art. 331 Cod. proc. civ..

Da qui, secondo Te., la necessità di integrare il contraddittorio.

L’eccezione è infondata.

L’art. 95, comma 3, Cod. proc. amm. prevede che il giudice disponga l’integrazione del contraddittorio solo se l’impugnazione non è stata proposta, come doveva esserlo, nei confronti di tutte le parti necessarie. La disposizione fa testuale riferimento all’ipotesi in cui si è in presenza di una causa inscindibile o di cause tra loro dipendenti e, quindi, all’ipotesi in cui la sentenza deve essere impugnata nei confronti di tutte le parti della precedente fase.

Ricorrendo tale situazione, l’ordine di integrazione del contraddittorio (e la conseguente improcedibilità dell’impugnazione ove l’integrazione del contraddittorio non avvenga nel termine fissato) serve ad assicurare l’unitarietà dell’atto che disciplina i rapporti fra le più parti, che deve essere tale per tutte, ovvero la sentenza pronunciata in sede di impugnazione ovvero, se è mancata l’integrazione del contraddittorio, la sentenza impugnata.

Tale esigenza di integrazione del contraddittorio non sussiste nel caso in cui a non essere destinataria della notificazione dell’impugnazione in appello sia una parte che era parte non necessaria del giudizio di primo grado nel senso sopra chiarito (una parte, cioè, rispetto alla quale non si configura una causa inscindibile ovvero cause tra loro dipendenti).

È quest’ultima la situazione in cui qui si trova il Comune di Santa Maria La Longa rispetto al quale si lamenta la mancata integrazione del contraddittorio. Il Comune in questione non è parte necessaria, o legittimo contraddittore, in quanto non ha adottato gli atti impugnati e non può processualmente considerarsi controinteressato (né in senso tecnico-giuridico, né in senso sostanziale) rispetto al ricorso di primo grado. A ben vedere, il Comune di Santa Maria La Longa appare essere stato evocato in giudizio nel ricorso di primo grado per fini tuzioristici, ma in termini oggettivi non risulta dagli atti titolare di alcuna situazione giuridica sostanziale che giustifichi nei suoi confronti una necessaria integrazione del contraddittorio. La decisione, cioè, poteva essere pronunciata dal giudice senza che le situazioni giuridiche di quel Comune derivanti dall’impugnazione degli atti gravati potessero averne a risentire (cfr. art. 28, comma 1, prima parte, Cod. proc. amm.): sicché ora, in appello, non vi è necessità (ai sensi dell’art. 95, commi 1 e 3, Cod. proc. amm.) di sua evocazione in giudizio e non vale in opposto la mera circostanza che in primo grado fosse stato (solo) formalmente invitato a contraddire.

Del resto, per quanto può rilevare, l’assenza di un effettivo e sostanziale interesse a contraddire rispetto al presente ricorso risulta ulteriormente contrassegnata dalla significativa circostanza che il Comune in oggetto non si è costituito nel giudizio di primo grado, evidentemente non intendendo entrarvi perché remoto dai suoi interessi.

Non ricorrono, quindi, i presupposti per disporre una tale integrazione del contraddittorio.

10. Con riferimento al ricorso n. 6347/2014 R.G. Te. eccepisce l’inammissibilità dell’appello sul rilevo che l’impugnazione della sentenza è stata proposta solo da 37 dei 268 ricorrenti e soccombenti in primo grado. Te. sostiene, più nel dettaglio, che i ricorrenti nel giudizio di primo grado avevano agito in cumulo soggettivo determinando tra loro un vincolo litisconsortile unitario, mediante la proposizione, in un unico atto, di censure rivolte contro gli stessi provvedimenti. Secondo la controinteressata, pertanto, l’acquiescenza prestata da ben 231 degli attori iniziali alla sentenza resa nei confronti di tutti, precluderebbe l’impugnazione autonoma da parte degli altri, potendosi altrimenti verificare il rischio di giudicati difformi (valendo per alcuni la sentenza resa in primo grado e, per altri, la sentenza, in ipotesi difforme, resa in appello).

In subordine, Te. comunque rileva la necessità di disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli originari ricorrenti che non hanno proposto appello.

L’eccezione è infondata.

È principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui il soggetto partecipe in primo grado di un ricorso collettivo non è parte necessaria nel giudizio di appello (Cons. Stato, Sez. V, 11 aprile 1988, n. 208), dovendo escludersi che la proposizione di un ricorso collettivo in prime cure comporti la possibilità di configurare le persone fisiche, che come tali hanno agito in giudizio, in modo artificiosamente e inscindibilmente unitario (Cons. Stato, Sez. V, 28 marzo 2008, n. 1334). Le loro posizioni sostanziali sono simili ma non interferenti e collegate, sicché ciascuno mantiene la disponibilità della propria azione senza condizionare l’altrui, pur di fatto avendo in prime cure esercitato tutti contestualmente le rispettive azioni. Tale situazione dà, quindi, luogo ad un litisconsorzio facoltativo (non necessario o unitario), con la conseguenza che il ricorso in appello proposto da alcuni soltanto dei ricorrenti originari è ammissibile non essendovi alcun litisconsorzio necessario tra i predetti appellanti e tutti i ricorrenti originari, che, stimando di non aver più interesse a dare ulteriore corso al giudizio, hanno ritenuto di non impugnare la sentenza.

Le medesime considerazioni escludono evidentemente la necessità di integrare il contraddittorio ex art. 95, comma 3, Cod. proc. amm..

11. Rispetto all’ulteriore eccezione di difetto di legittimazione attiva e di carenza di interesse alla proposizione del ricorso di primo grado (e, quindi, di riflesso, all’appello della sentenza) occorre evidenziare che la questione è ormai coperta da giudicato interno, atteso che la medesima eccezione, già formulata in primo grado, è stata espressamente disattesa dal Tribunale amministrativo regionale con statuizione che, non essendo stata gravata da appello incidentale, deve ritenersi ormai passata in giudicato. Ciò fermo e sufficiente, vale aggiungere che tali motivazioni meritano di essere condivise, gli atti impugnati incidendo patentemente sulle varie, dedotte situazioni soggettive dei ricorrenti.

12. Analoghe considerazioni consentono di respingere l’analoga eccezione di inammissibilità che Te. solleva anche rispetto all’appello n. 6348/2014, proposto dai Comuni di Mortegliano, San Vito al Torre, Trivignano Udinese, Lestizza, Palmanova, Pavia di Udine.

Per le ragioni già esposte, la circostanza che l’impugnazione sia stata proposta solo da alcuni dei Comune ricorrenti e soccombenti in primo grado non ha alcuna conseguenza preclusiva rispetto all’impugnazione.

Anche in questo caso, le eccezioni relative al difetto di interesse o alla carenza di legittimazione all’appello possono ritenersi coperte dal giudicato interno, a fronte della mancata impugnazione, mediante appello incidentale, della sentenza del Tribunale amministrativo regionale nei capi in cui ha respinto analoghe eccezioni formulate in primo grado. Valgono anche qui le medesime ulteriori ragioni di sostanza circa la legittimazione e l’interesse a ricorrere.

13. Te., come sopra si accennava, ha sollevato anche alcune eccezioni di inammissibilità comuni ai tre appelli, deducendo, in particolare: 1) la violazione del principio di specificità dei motivi; 2) la preclusione per mancata impugnazione delle statuizioni reiettive di alcuni motivi (tali statuizioni, ormai passate in giudicato, precluderebbero la proponibilità e l’ammissibilità di mezzi di gravame relativi a statuizioni da quelle dipendenti o connesse).

13.1. In ordine al primo profilo (asserita genericità del gravame), ritiene il Collegio che gli appelli rispettino il requisito della specificità dei motivi, in quanto articolano specifiche critiche ai punti della sentenza di primo grado investiti del gravame, volte ad evidenziare gli errori logico-giuridici in essa contenuti, così da devolverne la cognizione al giudice dell’impugnazione. Gli appellanti, in particolare, non si sono limitati alla mera e generica riproposizione dei motivi di primo grado, ma hanno criticato la sentenza appellata denunciandone l’erroneità nella parte in cui ha respinto i motivi di ricorso di primo grado, di cui in questa sede chiedono l’accoglimento.

13.2. Nessuna preclusione deriva, infine, dalla mancata impugnazione di alcune statuizioni di rigetto degli originari motivi. Da un lato, invero, i capi impugnati sono autonomi e non meramente dipendenti o connessi con quelli non specificamente investiti dai motivi di gravame; dall’altro lato, occorre evidenziare come, in virtù dell’art. 336, primo comma, Cod. proc. civ. (applicabile anche al processo amministrativo per il rinvio contenuto nell’art. 39 Cod. proc. amm.), la riforma parziale ha effetto, operando il c.d effetto espansivo interno, anche sulle parti della sentenza dipendenti dalla parte riformata o cassata.

14. Si deve, pertanto, procedere all’esame dei motivi di appello.

15. Nel merito l’appello merita accoglimento.

Risulta fondato, in particolare, il secondo motivo di appello con cui si deducono, sotto diversi profili, vizi di eccesso di potere e difetto di motivazione in relazione al provvedimento con il quale il Ministero per i beni e le attività culturali (nota prot. 6440 del 24 febbraio 2011), mutando il precedente parere contrario della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del Friuli – Venezia Giulia (espresso nella nota prot. 10889 del 24 novembre 2010), ha espresso parere favorevole sul progetto di elettrodotto con l’unica condizione di spostare il tratto di elettrodotto previsto nell’area golenale del fiume Torre.

16. Giova ricostruire con maggiore dettaglio questa fase del procedimento su cui si appuntano le censure dei ricorrenti.

La Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del Friuli – Venezia Giulia aveva inizialmente espresso parere contrario all’intervento nelle aree oggetto di tutela ai sensi degli articoli 136 e 142, comma 1, lett. c) del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), rilevandone l’impatto negativo sul paesaggio consistente:

– nel deturpamento della scenografia di tratti di corridoi fluviali di elevato valore paesaggistico del torrente Comor, del fiume Torre, del fiume Isonzo nonché della Roggia di Udine e delle Roggia Mille acque con la irruzione nel campo visivo di sostegni e di cavi, che costituiscono elementi anomali, per consistenza ed altezza, rispetto alla matrice agricola e naturalistica del paesaggio e che, inoltre, in nove casi, avendo un’altezza superiore a 61 metri, dovrebbero, per rispettare le norme di sicurezza del volo a bassa quota, presentare una verniciatura bianca e arancione nel terzo superiore;

– in un rilevante esbosco di specie arboree di valore paesaggistico, oltre che naturalistico ed ecologico.

Sulla base di questi rilievi, la Soprintendenza aveva, quindi, proposto l’interramento dell’elettrodotto nelle fasce sottoposte a tutela paesaggistica.

Successivamente però, con l’atto impugnato (nota prot. 6440 del 24 febbraio 2011), il Ministero per i beni e le attività culturali (di seguito anche solo MIBAC), “considerata l’impossibilità di realizzare l’elettrodotto in cavo (sotterraneo) nelle zone sottoposte a tutela paesaggistica, come chiarito dalla società Te. s.p.a.”, mutando avviso si esprimeva favorevolmente, ponendo come unica condizione che il tratto di elettrodotto del fiume Torre venisse spostato all’esterno della fascia di elevato valore paesaggistico.

17. Gli appellanti lamentano che questo mutamento di giudizio (non assistito da adeguata motivazione) si rivelerebbe contraddittorio ed irragionevole, ed evidenziano – criticando, sotto questo specifico profilo, la sentenza appellate anche per il vizio di omessa pronuncia rispetto alla censura proposta in primo grado – che il parere favorevole del Ministero, anche a prescindere dal ripensamento rispetto al precedente parere negativo, sarebbe, comunque, in sé affetto da vizi di sviamento di potere: infatti attraverso tale atto di assenso il MIBAC avrebbe illegittimamente subordinato il perseguimento dell’interesse pubblico primario (alla tutela paesaggistica) affidato alla sua cura alla realizzabilità comunque dell’opera, quasi che l’an del progetto non potesse essere nemmeno posto in discussione.

18. Il Collegio ritiene che, nei termini che seguono, sussistano i denunciati profili di sviamento di potere.

19. Alla funzione di tutela del paesaggio (che il MBAC qui esercita attraverso esprimendo il suo obbligatorio parere nell’ambito del procedimento di compatibilità ambientale) è estranea ogni forma di attenuazione della tutela paesaggistica determinata dal bilanciamento o dalla comparazione con altri interessi, ancorché pubblici, che di volta in volta possono venire in considerazione: tale attenuazione, nella traduzione provvedimentale, condurrebbe illegittimamente, e paradossalmente, a dare minor tutela, malgrado l’intensità del valore paesaggistico del bene, quanto più intenso e forte sia o possa essere l’interesse pubblico alla trasformazione del territorio. Invero, anche nel procedimento in questione (circa il quale è il caso di rammentare il precedente di cui a Cons. Stato, VI, 10 giugno 2013, n. 3205) il parere del MIBAC in ordine alla compatibilità paesaggistica non può che essere un atto strettamente espressivo di discrezionalità tecnica, dove – similmente al parere dell’art. 146 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 – l’intervento progettato va messo in relazione con i valori protetti ai fini della valutazione tecnica della compatibilità fra l’intervento medesimo e il tutelato interesse pubblico paesaggistico: valutazione che è istituzionalmente finalizzata a evitare che sopravvengano alterazioni inaccettabili del preesistente valore protetto.

Questa regola essenziale di tecnicità e di concretezza, per cui il giudizio di compatibilità dev’essere tecnico e proprio del caso concreto, applica il principio fondamentale dell’art. 9 Cost., il quale fa eccezione a regole di semplificazione a effetti sostanziali altrimenti praticabili (cfr. Corte cost., 29 dicembre 1982, n. 239; 21 dicembre 1985, n. 359; 27 giugno 1986, n. 151; 10 marzo 1988, n. 302; Cons. Stato, VI, 18 aprile 2011, n. 2378). La norma costituzionalizza e al massimo rango la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione – e questo richiede, a opera dell’Amministrazione appositamente preposta, che si esprimano valutazioni tecnico-professionali e non già comparative di interessi, quand’anche pubblici e da altre amministrazioni stimabili di particolare importanza.

Questa caratterizzazione tecnica del giudizio di compatibilità da parte degli organi del MIBAC (che concerne tutti gli elementi di impatto dell’intervento sul paesaggio: non solo localizzazione, densità e volumi ma anche e soprattutto linee, forme, materiali, ingombro, disposizione e così via) non viene meno – a pena di disattendere il contenuto e il particolare rilievo dell’art. 9 Cost. – in procedimenti semplificatori per opere considerate dalla legge di particolare significato, come quello dell’art. 1-sexies (Semplificazione dei procedimenti di autorizzazione per le reti nazionali di trasporto dell’energia e per gli impianti di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici) d.-l. 29 agosto 2003, n. 239 d.-l. 29 agosto 2003, n. 239 (Disposizioni urgenti per la sicurezza (e lo sviluppo) del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica) come convertito con modificazioni dalla l. 27 ottobre 2003, n. 290, a tenore del cui comma 1 «L’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli elettrodotti, degli oleodotti e dei gasdotti, facenti parte delle reti nazionali di trasporto dell’energia, è rilasciata dalle amministrazioni statali competenti mediante un procedimento unico secondo i principi di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, entro il termine di sei mesi dalla data di presentazione della domanda».

La speciale concentrazione procedimentale, cioè, di questo e di analoghi procedimenti non comporta un’attenuazione della rilevanza della tutela paesaggistica perché questa si fonda su un espresso principio fondamentale costituzionale. Questa speciale disciplina incentrata sulla concentrazione procedimentale è volta a dare speditezza al confronto richiesto dall’approvvigionamento energetico e nello stesso confronto dialettico delle amministrazioni interessate ha il suo valore aggiunto. La semplificazione procedimentale persegue la speditezza in ragione delle necessità energetiche: ma si tratta di un effetto procedimentale e non di contenuti, perché non inverte il rapporto sostanziale tra interessi e non sottrae effettività (come farebbe se negasse la ricordata eccezione) a un principio fondamentale dell’ordinamento costituzionale (cfr. Cons. Stato, VI, 23 maggio 2012, n. 3039; 15 gennaio 2013, n. 220).

Perciò, per quanto concerne il ruolo del MIBAC nel procedimento, le valutazioni di comparazione e ponderazione di interessi, proprie della discrezionalità amministrativa, restano del tutto estranee alla fattispecie di legge e, ove di fatto introdotte, rendono l’atto viziato per eccesso di potere. Come ben evidenziato in dottrina, la discrezionalità tecnica, a differenza di quella amministrativa, si concentra su un unico interesse, nel caso quello paesaggistico, attraverso la verifica in fatto della sua configurazione e trasformazione nel caso concreto. Diversamente dalla discrezionalità amministrativa, la discrezionalità tecnica non può dar luogo ad alcuna forma di comparazione e valutazione eterogenea. Nell’esercizio della funzione di tutela spettante al MIBAC, l’interesse che va preso in considerazione è solo quello circa la tutela paesaggistica, il quale non può essere aprioristicamente sacrificato dal MIBAC stesso, nella formulazione del suo parere, in considerazione di altri interessi pubblici la cui cura esula dalle sue attribuzioni.

20. L’indeclinabilità della funzione pubblica di tutela del paesaggio per la particolare dignità data dall’essere iscritta dall’art.9 Cost. tra i principi fondamentali della Repubblica, è stata del resto più volte affermata dalla giurisprudenza costituzionale (cfr., ad esempio, Corte cost., 27 giugno 1986, n. 151, 29 dicembre 1982, n. 239; 21 dicembre 1985, n. 359; 5 maggio 1986, n. 182; 10 ottobre 1998, n. 302; 19 ottobre 1992, n. 393; 12 febbraio 1996, n. 2; 28 giugno 2004, n. 196; 29 ottobre 2009, n. 272; 23 novembre 2011, n. 309) sia di questo Consiglio di Stato (cfr. ex multis Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9; VI, 3 luglio 2012, n. 3893; VI, 18 aprile 2011, n. 2378; 22 settembre 2014, n. 4775).;

21. Quanto sopra risulta patentemente leso nel procedimento oggetto del presente giudizio, in cui il MBAC – ponendo, per l’inequivoca logica interna al giudizio, la sua seconda valutazione in comparazione con altri interessi pubblici – si è spinto ultra vires rispetto al compito assegnatogli dalla legge e ha di fatto abdicato, sulla soverchiante base di un suo inammissibile bilanciamento con altri interessi, ad esercitare correttamente l’indeclinabile funzione di tutela di cui è esso per legge titolare.

Il Ministero invero, anziché occuparsi, come debito suo compito, di curare l’interesse paesaggistico (e di valutare, quindi, in termini non relativi ad altri interessi l’impatto paesaggistico dell’intervento), ha illegittimamente compiuto una non consentita attività di comparazione e di bilanciamento dell’interesse affidato alla sue cura (la tutela del paesaggio) con interessi pubblici di altra natura e spettanza (essenzialmente quelli sottesi alla realizzazione dell’elettrodotto e, dunque, al trasporto dell’energia elettrica). Non ad esso, ma ad altre Amministrazioni competeva esprimere, nel confronto dialettico proprio della conferenza di servizi, quelle valutazioni, indicandone le rispettive ragioni.

È patente che questa distorsione di fatto nel confronto dialettico istituzionalizzato – generata dall’introduzione di elementi spurii di ragionamento e giudizio – ne ha alterato la proporzione e la ragionevolezza, con l’effetto di squilibrare e viziare per inattendibilità gli atti finali che ne sono seguiti, poi fatti oggetto di impugnazione davanti al giudice amministrativo. Se il giudizio sull’impatto paesaggistico è negativo, il MIBAC, per quella che è la sua parte, non può, compiendo un’inammissibile scelta di merito fondata sull’esigenza di dare priorità ad altri e non suoi interessi, esprimere un parere sviato, per quanto condizionato al rispetto di alcune prescrizioni.

22. Rimane estranea alle valutazioni di cui sopra – che si incentrano sul contenuto che per legge deve avere il parere del MIBAC e che di loro assorbono il vizio in concreto rilevante negli atti impugnati –, e dunque al presente giudizio, la considerazione degli effetti di un ipotetico ortodosso confronto dialettico, che si svolga secondo le forme e le competenze di legge, con le Amministrazioni pubbliche portatrici di altri e opposti interessi. Vi provvedono le disposizioni che, anche mediante rinvio, regolano il procedimento in questione.

23. Qui è sufficiente rilevare l’evidenza dell’eccesso di potere che inficia il parere favorevole espresso dal MIBAC con la nota n. 38241 del 20 dicembre 2010. In tale provvedimento, invero, il MIBAC, disattendendo la precedente posizione negativa espressa con il parere della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del Friuli – Venezia Giulia con nota prot.n. 10889 del 24 novembre 2010, fonda il mutamento di giudizio esclusivamente sulla “considerata impossibilità di realizzare l’elettrodotto in cavo (sotterraneo)”: con ciò muovendo dalla considerazione non già dello stretto interesse paesaggistico, ma dall’interesse, da esso stesso fatto superiore, alla realizzazione dell’opera: cosa che non è di sua cura.

In pratica violazione, quindi, della propria funzione, l’assunto fatto prioritario e sovrastante dallo stesso MIBAC della realizzazione dell’elettrodotto ha sviato il suo parere col mezzo di un inammissibile bilanciamento, indebitamente fatto intrinseco al parere medesimo anziché al successivo confronto dialettico: il che è andato in fatale detrimento della considerazione sul reale impatto paesaggistico dell’elettrodotto e delle relative incompatibilità. Perché un confronto dialettico – come quello della conferenza di servizi – possa essere corretto e attendibile, infatti, occorre che ciascuna delle parti amministrative chiamate a parteciparvi si riferisca in partenza a quanto per legge di propria competenza.

Sono state così semplicemente pretermesse e accantonate le ragioni ostative del precedente parere del 24 novembre 2010, dove il giudizio negativo (e la conseguente proposta di interrare l’elettrodotto nelle fasce sottoposte a tutela) si fondava su una pluralità di ragioni ostative consistenti in particolare nel “deturpamento della scenografica di tratti di corridoi fluviali di elevato valore paesaggistico”, e in un “rilevante esbosco di specie arboree di valore paesaggistico, oltre che naturalistico ed ecologico”. È sintomatico, al riguardo, che nessuna confutazione in fatto, come sarebbe nell’ambito proprio di un giudizio di discrezionalità tecnica, sia stato fatto in sede di questa pratica revocazione del precedente parere.

24. Non basta: la riscontrata impossibilità di soluzioni tecniche alternative non è stata oggetto di adeguata motivazione ad opera del parere, che sotto questo profilo si limita a richiamare e a recepire senz’altro le considerazioni svolte da Te. che ha proposto il progetto. Vizio, anche questo, sufficiente a concretare l’invalidità degli atti, perché sarebbe comunque stato obbligo del MIBAC svolgere la relativa indagine ed esternare le ragioni della sua specifica nuova valutazione.

Vale rammentare che, giusta il rammentato e noto precedente di cui a Cons. Stato, VI, 10 giugno 2013, n. 3205, è illegittima la determinazione di giudizio positivo di compatibilità, superando un precedente decreto in cui si evidenziava l’opportunità di “considerare l’opzione cavo interrato, al fine di non interferire con l’ambito paesaggistico ambientale”, senza una congrua motivazione né sulla necessità di determinarsi in modo diverso, né sull’impossibilità di perseguire soluzioni alternative di tracciato o la possibilità di parziale interramento della linea. Anche in quel caso f2 valutato che “l’esclusiva rilevanza attribuita alle ragioni di Te., in assenza di qualsiasi considerazione atta a evidenziare i motivi per i quali queste debbano avere la prevalenza sulle esigenze di tutela del patrimonio culturale, del quale tuttavia si riconosce la compromissione, non è sufficiente a fondare un’adeguata motivazione circa il mutamento di parere, rispetto alla primitiva valutazione del progetto”.

25. Il procedimento che ha condotto ad esprimere la valutazione positiva di compatibilità ambientale e, successivamente, all’approvazione del progetto definitivo risulta, quindi, viziato in radice perché è mancata una logica ed attendibile acquisizione del fondamentale giudizio tecnico del MIBAC circa l’oggetto istituzionale della sua cura, pretermesso e sacrificato dalla stessa Amministrazione chiamata a occuparsi della sua tutela.

Insomma, lo sviamento che inficia il parere sul progetto di elettrodotto porta a rilevare che è mancato, nella sostanza, il razionale espletamento di una fase procedimentale obbligatoria.

26. Il mancato attendibile esercizio di un potere tecnico obbligatoriamente previsto nell’ambito del procedimento determina, seguendo anche i principi di cui a Cons. Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5, l’assorbimento degli altri motivi, stante anche la previsione di cui all’art. 34, comma 2, Cod. proc. amm. che non consente al giudice amministrativo di pronunciarsi rispetto a poteri non ancora esercitati.

27. Alla luce delle conclusioni che precedono, gli appelli vanno accolti e, per l’effetto, in riforma della sentenze appellate, vanno accolti, nei limiti indicati, i ricorsi proposti in primo grado dagli odierni appellanti.

La particolare complessità della vicenda sottesa al presente contenzioso giustifica l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, ne dispone la riunione e li accoglie; per l’effetto, in riforma delle sentenze appellate, accoglie, nei limiti di cui in motivazione, i ricorsi proposti in primo grado.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2015 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini – Presidente

Maurizio Meschino – Consigliere

Roberto Giovagnoli – Consigliere, Estensore

Gabriella De Michele – Consigliere

Vincenzo Lopilato – Consigliere

Depositata in Segreteria il 23 luglio 2015.

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