Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 27 gennaio 2017, n. 341

Il potere di annullamento d’ufficio è regolato dall’articolo 21-nonies della legge n. 241 del 1990 (introdotto dalla legge n. 15 del 2005) per mezzo della previsione dell’illegittimità dell’atto oggetto della decisione di autotutela quale indefettibile e vincolata condizione che ne autorizza il valido esercizio e della descrizione, mediante il riferimento a nozioni elastiche, di ulteriori presupposti, quali la ragionevolezza del termine entro cui può essere adottato l’atto di secondo grado, la sussistenza di un interesse pubblico alla sua rimozione e la considerazione degli interessi dei destinatari del provvedimento viziato

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 27 gennaio 2017, n. 341

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6649 del 2015, proposto da:

Fr. Pa., ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Or. Ab. C.F. (omissis), An. Ro. C.F. (omissis), con domicilio eletto presso Or. Ab. in Roma, via (…);

contro

Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Al. C.F. (omissis), ed altri, con domicilio eletto presso il Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE VIII n. 02791/2015, resa tra le parti, concernente l’annullamento d’ufficio di titoli edilizi.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 gennaio 2017 il Cons. Carlo Deodato e uditi per le parti gli avvocati Or. Ab. e Lu. To. in delega dell’avvocato An. Sg.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con la sentenza impugnata il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania respingeva il ricorso proposto dai Sigg.ri Te. Go., Fr. Pa., Lu. Pa. e Ma. Pa.avverso il provvedimento in data 8 luglio 2014 con cui il Comune di (omissis) aveva disposto l’annullamento d’ufficio della concessione edilizia in sanatoria, rilasciata in data 29 marzo 2001 ai sensi degli artt.31 e 35 della legge n. 47 del 1985, del permesso di costruire in data 11 gennaio 2010 e della segnalazione certificata di inizio attività in data 7 maggio 2012, ordinando la demolizione delle opere costruite sulla base degli atti annullati.

Avverso la predetta decisione proponevano appello i Sigg.ri Go. e Pa., contestando la correttezza della statuizione gravata e domandandone la riforma, con conseguente accoglimento del ricorso proposto in primo grado.

Resisteva il Comune di (omissis), contestando la fondatezza dell’appello, difendendo la correttezza del proprio operato e della decisione reiettiva gravata e concludendo per la conferma di quest’ultima.

L’appello veniva trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 19 gennaio 2017.

DIRITTO

1.- E’ controversa la legittimità della determinazione con cui il Comune di (omissis) ha annullato d’ufficio, avendone rilevato l’illegittimità, una concessione edilizia in sanatoria rilasciata ai ricorrenti, un permesso di costruire e una successiva SCIA, ordinando la demolizione delle opere realizzate sulla base dei titoli rimossi.

Il Tribunale campano ha giudicato legittimo il controverso atto di autotutela, in quanto adottato in conformità ai canoni di azione cristallizzati all’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990.

Gli appellanti criticano tale giudizio ed insistono nel sostenere l’illegittimità del provvedimento impugnato in prima istanza, siccome asseritamente assunto in violazione del predetto paradigma normativo, sotto i profili di seguito esaminati.

2.- L’appello è fondato e va accolto, alla stregua e nei limiti delle considerazioni che seguono.

3.- Con un primo ordine di argomentazioni gli appellanti ribadiscono l’illegittimità del controverso atto di annullamento d’ufficio, in quanto adottato in spregio dei parametri normativi afferenti alla ragionevolezza del termine entro cui può essere validamente rimosso (d’ufficio) un provvedimento illegittimo e alla sussistenza di un interesse pubblico (attuale e specifico) che ne legittimi e ne giustifichi l’eliminazione.

3.1- L’assunto merita condivisione.

3.2- Il potere di annullamento d’ufficio è regolato dall’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 (introdotto dalla legge n. 15 del 2005) per mezzo della previsione dell’illegittimità dell’atto oggetto della decisione di autotutela quale indefettibile e vincolata condizione che ne autorizza il valido esercizio e della descrizione, mediante il riferimento a nozioni elastiche, di ulteriori presupposti, quali la ragionevolezza del termine entro cui può essere adottato l’atto di secondo grado, la sussistenza di un interesse pubblico alla sua rimozione e la considerazione degli interessi dei destinatari del provvedimento viziato.

Come si vede, quindi, la disposizione attributiva del potere di autotutela lo ha disciplinato in modo da stabilire, per la sua valida esplicazione, un presupposto rigido (l’illegittimità dell’atto da annullare) e altre condizioni flessibili e duttili riferite a concetti indeterminati e, come tali, affidate all’apprezzamento discrezionale dell’amministrazione.

Queste ultime devono intendersi, in particolare, stabilite a garanzia delle esigenze di tutela dell’affidamento, dei destinatari di atti ampliativi, in ordine alla stabilità dei titoli ed alla certezza degli effetti giuridici da essi prodotti e, appunto per mezzo dell’affidamento, a garanzia della valutazione discrezionale dell’amministrazione nella ricerca del giusto equilibrio tra le esigenze di ripristino della legalità (nel chè si risolve la rimozione di un atto illegittimo) e quelle di conservazione dell’assetto regolativo recato dal provvedimento viziato.

Le predette esigenze hanno, peraltro, ricevuto recentemente un ulteriore rafforzamento, per mezzo dell’introduzione, con la legge n. 124 del 2015, della fissazione del termine massimo di diciotto mesi (con una opportuna precisazione quantitativa della nozione elastica della formula lessicale “termine ragionevole”), per l’annullamento d’ufficio di atti autorizzatori o attributivi di vantaggi economici e, quindi, mediante una riconfigurazione del potere di autotutela secondo canoni di legalità più stringenti e maggiormente garantisti per le posizioni private originate da atti ampliativi.

3.3- Così decifrati ratio e contenuti della disposizione legislativa alla cui stregua dev’essere giudicata la legittimità della determinazione controversa, occorre rilevare che la potestà di autotutela esaminata risulta esercitata in spregio dei canoni stabiliti dalla legge.

Per quanto definiti in maniera elastica, infatti, i criteri della ragionevolezza del termine e della considerazione di un interesse pubblico alla rimozione dell’atto illegittimo, implicano apprezzamenti discrezionali che, a loro volta, restano presidiati dal parametro della proporzionalità, al quale devono comunque obbedire per rimanere ascritti entro i confini del legittimo esercizio della funzione di autotutela, e, quindi, sindacabili in ossequio al relativo criterio di giudizio.

3.4- Orbene, nel caso di specie appaiono violati entrambi gli anzidetti canoni di azione.

3.5- Quanto al rispetto del parametro della ragionevolezza del termine, se è vero che la ricordata novella del 2015 (che ha quantificato in quella massima di diciotto mesi la durata del termine entro cui possono essere annullati gli atti autorizzatori) non è applicabile ratione temporis al provvedimento controverso, siccome adottato prima dell’entrata in vigore della predetta modifica normativa, è anche vero che quest’ultima non può non valere come prezioso (e ineludibile) indice ermeneutico ai fini dello scrutinio dell’osservanza della regola di condotta in questione.

Con la precisazione esatta del termine massimo di consumazione del potere di autotutela decisoria, il legislatore ha, infatti, inteso accordare una tutela più pregnante all’interesse dei destinatari di atti ampliativi alla stabilità e alla certezza delle situazioni giuridiche da essi prodotte, costruendo un regime che garantisca la loro intangibilità una volta decorso inutilmente il periodo di operatività del potere di annullamento d’ufficio dei relativi titoli “ampliativi” (che diventano, così, non più rimuovibili dall’amministrazione, anche quando illegittimamente adottati).

Ora, per quanto l’anzidetta, cogente regola non possa applicarsi a provvedimenti di autotutela perfezionatisi prima dell’entrata in vigore dell’intervento normativo che l’ha introdotta, non può trascurarsi la valenza della presupposta scelta legislativa, in occasione dell’esegesi e dell’applicazione della norma, nella sua formulazione previgente (Cons. St., sez. VI, 10 dicembre 2015, n. 5625).

La decifrazione della nozione indeterminata di termine ragionevole, ai fini dello scrutinio della sua corretta interpretazione (ed applicazione) da parte dell’amministrazione, dev’essere, quindi, compiuta con particolare rigore quando il potere di autotutela viene esercitato su atti attribuitivi di utilità giuridiche od economiche, con la conseguenza che, pur non potendo ritenersi consumato, nella fattispecie esaminata, il potere di annullamento d’ufficio decorso il termine massimo stabilito dal legislatore del 2015, deve giudicarsi, comunque, irragionevole un termine notevolmente superiore (nel caso in esame, di oltre sette volte) a quest’ultimo.

La distanza di oltre tredici anni intercorsa dal rilascio del condono (in data 29 marzo 2001) al momento dell’adozione del suo annullamento d’ufficio (in data 8 luglio 2014) rivela, infatti, con immediata evidenza, la lesione dell’affidamento (particolarmente qualificato) dei titolari del titolo edilizio circa la stabilità e la definitività dei suoi effetti autorizzatori.

3.6- O, meglio, l’anzidetta estensione temporale dell’operatività del permesso di costruire rimosso con l’atto di autotutela contestato imponeva, a fronte della consistenza dell’affidamento ingenerato nei destinatari circa il consolidamento della sua efficacia imponeva, una motivazione particolarmente convincente, per giustificare la misura di autotutela, circa l’apprezzamento degli interessi dei destinatari dell’atto (come espressamente prescritto dall’art. 21 nonies l. cit.), in relazione alla pregnanza e alla preminenza dell’interesse pubblico alla eliminazione d’ufficio del titolo edilizio illegittimo.

Non solo, ma la consistenza di tale onere motivazione deve intendersi aggravata dall’efficacia istantanea dell’atto, e, cioè, della sua idoneità a produrre effetti autorizzatori destinati ad esaurirsi con l’adozione dell’atto permissivo, assumendo, in tale fattispecie, nel giudizio comparativo degli interessi confliggenti, maggiore rilevanza quello dei privati destinatari dell’atto ampliativo e minore pregnanza quello pubblico all’elisione di effetti già prodotti in via definitiva e non suscettibili di aggravamento (Cons. St., sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 816).

Sennonché, dalla lettura dell’atto controverso non appaiono riscontrabili convincenti argomentazioni circa gli estremi e i contenuti dell’anzidetta, doverosa valutazione.

Premesso, in particolare, che l’interesse pubblico specifico alla rimozione dell’atto illegittimo dev’essere integrato da ragioni differenti dalla mera esigenza di ripristino della legalità (cfr. ex multis Cons. St., sez. VI, 29 gennaio 2016, n. 351), si osserva che l’apprezzamento del presupposto in questione non può neanche risolversi nella tautologica ripetizione degli interessi sottesi alla disposizione normativa la cui violazione ha integrato l’illegittimità dell’atto oggetto del procedimento di autotutela.

A ben vedere, infatti, l’identificazione dell’interesse pubblico all’eliminazione dell’atto viziato nelle medesime esigenze di tutela implicate dalla norma violata con lo stesso, si risolve in ogni caso nella (inammissibile) coincidenza del presupposto vincolante consistente nell’invalidità del provvedimento originario con l’ulteriore e diversa condizione (secondo l’assetto regolativo di riferimento) della sussistenza di un interesse pubblico alla sua rimozione d’ufficio.

Sennonché, tale esegesi dev’essere rifiutata nella misura in cui si risolve nella pratica disapplicazione della parte del precetto che esige la ricorrenza dell’ulteriore (rispetto all’illegittimità dell’atto originario) condizione della ricorrenza dell’interesse pubblico attuale alla eliminazione del provvedimento viziato e, quindi, all’elisione dei suoi effetti giuridici.

Perché la norma abbia un senso è necessario, in altri termini, non solo che l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto viziato non possa coincidere con la mera esigenza della restituzione all’azione amministrativa della legalità violata, ma anche che non possa risolversi nella semplice e astratta ripetizione delle stesse esigenze regolative sottese all’ordine giuridico infranto: una motivazione siffatta finirebbe logicamente proprio per esaurire l’apprezzamento del presupposto discrezionale in un esame nel mero riscontro della condizione vincolante (l’illegittimità dell’atto da annullare d’ufficio), con un palese (e inammissibile) tradimento della chiara volontà del legislatore.

Alla stregua delle coordinate ermeneutiche appena tracciate, risulta allora agevole rilevare che nell’atto controverso il solo accenno dedicato, nella motivazione, alla sussistenza dell’interesse pubblico alla rimozione degli atti annullati risulta formulato con esclusivo, astratto e testuale riferimento alle esigenze di tutela dell’igiene, del decoro e della collettività sottese alla normativa sulle distanze tra edifici recata dal DM n. 1444/68.

Come già osservato, tuttavia, l’interesse pubblico che legittima e giustifica la rimozione d’ufficio di un atto illegittimo deve consistere nell’esigenza che quest’ultimo cessi di produrre i suoi effetti, siccome confliggenti, in concreto, con la protezione attuale di valori pubblici specifici, all’esito di un giudizio comparativo in cui questi ultimi vengono motivatamente giudicati maggiormente preganti di (e prevalenti su) quello privato alla conservazione dell’utilità prodotta da un atto illegittimo.

Una motivazione satisfattiva della presupposta esigenza regolativa consacrata nel testo dell’art. 21 nonies l. cit. deve, quindi, spingersi fino all’argomentata indicazione delle specifiche e concrete esigenze pubblicistiche che impongono l’eliminazione d’ufficio dell’atto viziato e non può certo risolversi nella ripetitiva e astratta affermazione dei medesimi interessi alla cui soddisfazione la norma violata risulta preordinata.

Ne consegue che la mera indicazione dell’interesse pubblico all’igiene, alla sicurezza e al decoro, senza alcuna ulteriore argomentazione concreta circa le ragioni dell’attualità dell’esigenza della reintegrazione di quei valori (in relazione alla situazione di fatto prodottasi per effetto dell’attuazione dei titoli edilizi originari), si rivela del tutto insufficiente a legittimare la misura di autotutela, soprattutto in una fattispecie in cui, almeno per uno dei titoli annullati (il permesso di costruire in sanatoria), si è ingenerato nei destinatari dell’atto un serio affidamento circa la definitiva stabilità del titolo (in ragione del notevole lasso di tempo decorso tra i due atti).

3.7- Alle considerazioni che precedono consegue, quindi, l’illegittimità dell’ordinanza del Comune di (omissis) in data 8 luglio 2014, siccome adottata in violazione del presupposto della sua adozione entro un termine ragionevole (limitatamente alla rimozione del permesso di costruire in sanatoria del 29 marzo 2001) e in difetto (dell’indicazione) di un interesse pubblico all’annullamento di tutti gli atti con esso eliminati.

Nel predetto giudizio di illegittimità, che non esclude il riesercizio del potere di autotutela (per le parti in cui esso risulta emendabile in conformità ai rilievi di illegittimità sopra svolti) resta, peraltro, assorbito l’esame delle ulteriori censure svolte dai ricorrenti.

4.- Alla stregua delle considerazioni che precedono dev’essere, in definitiva, accolto l’appello e, in riforma della decisione impugnata e in accoglimento del ricorso di primo grado, annullato il provvedimento di autotutela d’ufficio adottato dal Comune di (omissis) in data 8 luglio 2014.

5.- Ragioni di equità sostanziale giustificano, nondimeno, la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della decisione appellata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla l’atto impugnato. Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo – Presidente

Carlo Deodato – Consigliere, Estensore

Silvestro Maria Russo – Consigliere

Oreste Mario Caputo – Consigliere

Dario Simeoli – Consigliere

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