Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 28 dicembre 2015, n. 5841

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE SESTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4122 del 2009, proposto da:

Ca.Ca. ed altri (…);

contro

Provincia di Siena ed altri (…);

per la riforma;

della sentenza 20 gennaio 2009, n. 41, del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, Firenze, Sezione I.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 ottobre 2015 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati No. ed altri (…).

FATTO e DIRITTO

1.- I signori Ca.Ca. e Da. sono proprietari di alcuni terreni situati nel territorio del Comune di Castelnuovo Berardegna. La Provincia di Siena, con delibera di Giunta del 22 maggio 2001, n. 126, ha approvato il progetto per la realizzazione di una stazione ecologica che insiste, per una estensione di circa 1.800 mq, sul terreno di proprietà dei signori sopra indicati.

1.1.- Quest’ultimi hanno impugnato, innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, tale delibera, chiedendone l’annullamento per asserite plurime illegittimità e chiedendo il risarcimento del danno per illegittima occupazione dei terreni con trasformazione irreversibile degli stessi.

1.2.- Il Tribunale amministrativo, con sentenza 20 gennaio 2009, n. 41, ha ritenuto infondati i motivi con cui i ricorrenti hanno dedotto l’illegittimità degli atti impugnati e, conseguentemente, ha rigettato la domanda di risarcimento del danno in ragione della sua natura accessoria rispetto all’azione principale di impugnazione.

2.- I ricorrenti in primo grado hanno proposto appello, per i motivi riportati nei successivi punti. 2.1.- Si sono costituiti in giudizio il Comune e la Provincia intimati, eccependo l’irricevibilità del ricorso di primo grado per tardività. Nel merito le parti resistenti hanno chiesto il rigetto dell’appello.

2.2.- La trattazione della causa, prevista per l’udienza pubblica del 4 dicembre 2014, è stata rinviata all’udienza del 6 ottobre 2015, su richiesta delle parti, per consentire all’amministrazione comunale di portare a termine la procedura di acquisizione ex art. 42-bis d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327. (Testo Unico sulle espropriazioni).

2.3.- Il Comune, con atto depositato nell’imminenza dell’udienza, ha chiesto un ulteriore rinvio, facendo presente che il termine per la conclusione della procedura è previsto per la fine di dicembre 2015. Le appellate si sono opposte.

3.- La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 6 ottobre 2015.

4.- L’appello è fondato nei sensi di seguito indicati.

5.- In via preliminare va esaminata l’eccezione, dichiarata assorbita nella sentenza impugnata, con cui le amministrazioni intimate hanno fatto valere la tardività del ricorso di primo grado. In particolare, si assume che il ricorso è stato notificato in data 5 marzo 2014 e cioè quasi un anno dopo che i signori Ca. hanno avuto piena conoscenza degli atti relativi al procedimento a seguito del accesso ai documenti ottenuto in data 26 marzo 2003.

L’eccezione è inammissibile.

L’art. 101, secondo comma, Cod. proc. amm. prevede che “si intendono rinunciate le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado, che non siano state espressamente riproposte nell’atto di appello o, per le parti diverse dall’appellante, con memoria depositata a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in giudizio” ossia entro il termine di sessanta giorni, previsto dall’art. 46 Cod. proc. amm., dal perfezionamento della notificazione del ricorso introduttivo del giudizio d’appello (da ultimo, Cons. Stato, IV, 5 ottobre 2015, n. 4629).

Nella fattispecie in esame, l’appello è stato notificato in data 7 maggio 2009, l’eccezione è stata proposta dal Comune e dalla Provincia non con gli atti di costituzione ma con memorie depositate, rispettivamente, in data 7 novembre e 19 novembre 2013 e, dunque, oltre il termine di decadenza sopra indicato,

6.- Con un primo motivo, gli appellanti rilevano l’erroneità della sentenza per non avere considerato l'”autonomia” dell’azione risarcitoria che, fondandosi sui presupposti dell’occupazione acquisitiva, prescinderebbe dal rigetto della domanda di annullamento della delibera provinciale. Nella memoria del 6 novembre 2013 gli appellanti hanno chiesto che si decida la controversia applicando l’art. 42-bis (Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico) D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), con condanna dell’amministrazione ad adottare l’atto di acquisizione e, in mancanza, a rimuovere le opere realizzate senza titolo, con le conseguenze, in entrambi i casi, risarcitorie.

Il motivo è fondato.

Dagli gli atti di primo grado risulta come le parti abbiamo, in effetti, domandato il risarcimento del danno da occupazione acquisitiva. In particolare, il ricorso di primo grado contiene una domanda volta “all’accertamento del diritto al risarcimento dei danni subiti dai ricorrenti per effetto dell’illegittima occupazione dei terreni di loro proprietà nonché di tutti quelli conseguenti alla intervenuta realizzazione della stazione ecologica”. Nella parte finale del ricorso di primo grado si afferma che “la già intervenuta apprensione ed illegittima occupazione dei terreni della società ricorrente costituisce già di per sé una autonoma fattispecie costitutiva di un danno”.

E’ errata, pertanto, la sentenza impugnata nella parte in cui fa discendere automaticamente dal rigetto dei motivi di impugnazione della delibera l’infondatezza dell’azione risarcitoria da occupazione illegittima.

Chiarito ciò, vale brevemente ripercorrere i passaggi fondamentali della recente evoluzione pubblicistica della fattispecie dell’espropriazione indiretta, seppur nei limiti che rilevano ai fini della risoluzione della presente controversia.

L’occupazione acquisitiva si caratterizzata per l’esistenza dell’irreversibile trasformazione della cosa accompagnato da una anomalia del procedimento espropriativo a causa della sua mancata conclusione con un formale provvedimento ablativo.

La sentenza della Corte di Cassazione, SS.UU., 26 febbraio 1983, n. 1464, aveva affermato che l’acquisto della proprietà conseguiva ad un’inversione della fattispecie civilistica dell’accessione di cui agli artt. 935 ss. Cod. civ., in considerazione della avvenuta trasformazione irreversibile del fondo: la destinazione irreversibile del suolo privato illegittimamente occupato comportava l’acquisto a titolo originario, da parte dell’ente pubblico, della proprietà del suolo e la contestuale estinzione del diritto di proprietà del privato.

La successiva Cass. SS.UU., 10 giugno 1988, n. 3940, ha poi chiarito che la “occupazione acquisitiva” ricorre nel solo caso in cui si riscontri una valida dichiarazione di pubblica utilità che permetta di far prevalere l’interesse pubblico su quello privato (in questo senso anche Corte cost., 30 aprile 2015, n. 75).

A fronte delle criticità di questa configurazione in rapporto al principio di legalità, posto che consentiva l’acquisizione al patrimonio pubblico di un bene in assenza di una base legale che l’autorizzasse, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha confutato la fattispecie, poiché lesiva del principio di legalità stabilito dall’art. 1 del Primo protocollo addizionale alla CEDU: questo, sotto la rubrica “Protezione della proprietà”, dispone, tra l’altro, che “nessuno può essere privato della sua proprietà salvo che per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale” (tra le altre, sentenza 30 maggio 2000, Be. s.r.l. contro It.).

È così sopravvenuto l’art. 43 (Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico) del d.P.R. n. 327 del 2001.

La Corte costituzionale, con la sentenza 8 ottobre 2010, n. 293, ha dichiarato illegittima tale disposizione per violazione dell’art. 76 Cost. In particolare, ha rilevato che l’intervento della pubblica amministrazione sulle procedure ablatorie, disciplinato dalla norma, eccedeva gli istituti della occupazione appropriativa ed usurpativa come delineati dalla giurisprudenza di legittimità, prevedendo un generalizzato potere di sanatoria, attribuito alla stessa amministrazione che aveva commesso l’illecito.

Infine l’art. 42-bis (anch’esso rubricato: Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico) nel T.U. sulle espropriazioni, introdotto dall’art. 34, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, ha previsto: “valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene”.

Per quanto rileva in questa sede, l’art. 42-bis, comma 8, dispone che le norme in esso contenute “trovano altresì applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore” (comma 8).

Inoltre, circa le modalità di adozione dell’atto di acquisizione, la disposizione non ha previsto un termine per adottare un tale atto. La giurisprudenza ha, pertanto, ritenuto che il giudice amministrativo possa condannare l’amministrazione a scegliere, entro un termine fissato, tra l’adozione del provvedimento di acquisizione o la restituzione del bene (Cons. Stato, IV, ordinanza 29 agosto 2013, n. 4318; nello stesso senso la sentenza 26 marzo 2013, n. 1710; Corte cost., 30 aprile 2015, n. 71, ha ritenuto infondati i dubbi di costituzionalità per mancanza di un termine richiamando questo orientamento della giurisprudenza amministrativa che consente al privato di ottenere comunque una decisione da parte della p.a. entro un termine giudizialmente stabilito).

7.- Applicando questi principi alla fattispecie concreta, risulta dagli atti che l’amministrazione competente ha trasformato il bene di proprietà degli appellanti ma non ha mai concluso la procedura di espropriazione.

Ne consegue qui che il Comune dovrà, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza, adottare un atto di definizione della vicenda amministrativa consistente nell’adozione di un atto di acquisizione, con il pagamento delle indennità previste dalla normativa riportata, ovvero di un atto che restituisce il bene, con il pagamento dei danni per illegittima occupazione.

8.- Con gli altri motivi sono stati riproposti tutti i motivi di illegittimità della delibera provinciale.

La decisione della causa nel senso indicato nei precedenti punti rende priva di rilevanza, per gli appellanti, la trattazione delle censure relative a tale delibera.

9.- Il Comune e la Provincia resistenti sono condannati al pagamento, in favore delle parti appellanti, delle spese di entrambi i gradi di giudizio, che si determinano in complessive euro 3.000, 00 (tremila), oltre accessori. Nei confronti delle altri parte del processo le spese sono integralmente compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale – Sezione Sesta – definitivamente pronunciando:

a) accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, condanna l’amministrazione comunale ad effettuare, nei termini e secondo le modalità indicate nella parte motiva, la scelta amministrativa in ordine all’adozione dell’atto di acquisizione ovvero alla restituzione del bene;

b) condanna le amministrazioni comunali e provinciali al pagamento, in favore degli appellanti, delle spese di entrambi i gradi di giudizio, che si determinano in euro 3.000,00 (tremila), oltre accessori, e dichiara compensate tra le altre parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 ottobre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini – Presidente

Claudio Contessa – Consigliere

Gabriella De Michele – Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg – Consigliere

Vincenzo Lopilato – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 28 dicembre 2015.

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