Corte di Cassazione, sezione prima civile, ordinanza 12 gennaio 2018, n. 658. In tema di industrial design

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1.1. Il motivo e’ infondato.

In tema di diritto d’autore, questa Corte ha recentemente puntualizzato la differenza esistente tra le opere delle arti figurative, tutelate dalla L. n. 633 del 1941, articolo 2, n. 4, e quelle del disegno industriale, tutelate dal n. 10 del medesimo articolo, precisando che la caratteristica di queste ultime risiede nel fatto che esse trovano la loro collocazione nella fase proget-tuale di un oggetto destinato ad una produzione seriale, quale e’ quella industriale, mentre le prime costituiscono un prodotto della creativita’, identificabile attraverso il suo autore e declinato nella forma figurativa, che deve trovare espressione in un solo esemplare o in un numero limitato di esemplari (posto che l’interesse per l’opera e’ sollecitato, nei fruitori, anche dalla unicita’ della creazione o dal quantitativo circoscritto delle sue repliche) ed e’ destinato a un mercato differente, sicuramente piu’ ristretto, rispetto a quello cui sono indirizzati i beni oggetto della produzione industriale (cfr. Cass., Sez. 1, 23/03/2017, n. 7477). Alla stregua di tale criterio, che il Collegio condivide ed intende ribadire anche in questa sede, non merita censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha negato la qualificazione di opere della scultura alle statuine per presepe prodotte dalla ricorrente, evidenziandone da un lato la destinazione alla riproduzione seriale ed alla grande distribuzione, sufficiente di per se’ ad escluderne la circolazione nell’ambito di un ristretto pubblico d’intenditori, e dall’altro l’assenza di un’impronta personale dell’autore, tale da impedire di ravvisarvi un’opera creativa, anche in ragione della fattura dozzinale e della scadente qualita’ delle riproduzioni.

1.2. E’ pur vero che, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimita’, il concetto giuridico di creativita’ cui fa riferimento l’articolo 1 della L. n. 633 cit. non coincide con quello di originalita’ e novita’ assoluta, richiedendosi soltanto un’espressione personale e individuale di un’oggettivita’ riconducibile ad una delle categorie elencate da tale disposizione, sicche’, essendo la protezione subordinata alla sola condizione che nell’opera sia riscontrabile un atto creativo, sia pur minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore, la creativita’ non puo’ essere esclusa per il solo fatto che l’opera consiste in idee e nozioni semplici, gia’ facenti parte del patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia (cfr. Cass., Sez. 1, 28/11/2011, n. 25173; 11/08/2004, n. 14596; 12/03/2004, n. 5089). Nella specie, tuttavia, e’ stato accertato il carattere stereotipato delle figure rappresentate, la cui piena corrispondenza all’iconografia classica dei personaggi presepiali, evidenziata dalla Corte di merito in uno all’impossibilita’ di identificare un tratto personale dell’autore ed alla mediocrita’ tecnica della realizzazione, deve ritenersi di per se’ sufficiente ad impedire di ravvisare nell’opera quell’apporto soggettivo indispensabile per renderne possibile la distinzione da centinaia di analoghe creazioni. Se e’ vero, infatti, che la creativita’ richiesta dall’articolo 1 cit. non deve necessariamente riguardare l’idea in se’, ma puo’ riferirsi anche alla forma della sua espressione, con la conseguenza che la stessa idea puo’ essere alla base di piu’ opere d’autore, come accade spesso tra opere di artisti diversi, e’ anche vero, pero’, che queste ultime risultano normalmente differenti tra loro proprio a causa della particolare creativita’ soggettiva che ciascuno degli autori vi esprime, e che in quanto tale rileva ai fini del riconoscimento della protezione (cfr. Cass., Sez. 1, 28/11/2011, n. 25173; 11/08/2004, n. 15496, cit.).

1.3. La mancanza di creativita’ avrebbe potuto essere considerata determinante anche ai fini della negazione della tutelabilita’ come opera del disegno industriale, in ordine alla quale la sentenza impugnata ha peraltro rilevato anche il difetto dell’altro requisito prescritto dall’articolo 2, n. 10 della L. n. 633 cit., vale a dire il valore artistico della creazione, osservando che il riconoscimento dello stesso alle statuine prodotte dalla ricorrente era impedito dall’assenza di forme, materiali o dettagli che ne comportassero una reale diversificazione rispetto ad analoghi prodotti presenti sul mercato.

Tale apprezzamento non appare in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimita’ in tema di industrial design, affermatosi peraltro in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata, secondo cui il valore artistico dell’opera consiste non gia’ nella diversita’ della stessa rispetto ad altre preesistenti, che attiene piuttosto al profilo della creativita’, ma in un quid pluris, la cui prova spetta alla parte che ne invoca la protezione, e che puo’ essere ricavato da una serie di parametri, non tutti necessariamente compresenti in concreto, quali la creazione da parte di un noto artista, il riconoscimento della sussistenza di qualita’ estetiche ed artistiche da parte degli ambienti culturali ed istituzionali, l’esposizione in mostre o musei, la pubblicazione su riviste specializzate, l’attribuzione di premi, ovvero il raggiungimento di un valore di mercato cosi’ elevato da trascendere quello legato alla sua funzionalita’ (cfr. Cass., Sez. 1, 23/03/2017, n. 7477, cit.; 13/11/2015, n. 23292; 29/10/2015, n. 21108).

La rilevanza del predetto contrasto e’ peraltro esclusa, in concreto, dal convincimento raggiunto dalla Corte distrettuale in ordine al difetto di carattere creativo dell’opera, che, rendendo superfluo l’accertamento compiuto in ordine al valore artistico della stessa, comporta l’assorbimento delle censure fondate sulla paternita’ delle figure presepiali riprodotte e sulla pubblicazione delle stesse in una rivista di settore.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nell’escludere la configurabilita’ della concorrenza sleale per imitazione servile, la sentenza impugnata non ha considerato che, ai fini del giudizio di confondibilita’ dei prodotti, la comparazione degli stessi deve aver luogo non gia’ mediante un esame analitico dei singoli elementi caratterizzanti, ma attraverso una valutazione sintetica e complessiva. Tale operazione va infatti condotta ponendosi nell’ottica del consumatore medio, alla quale risulta estranea la valorizzazione di elementi marginali di differenziazione, rilevabili soltanto ad un attento esame, dovendosi conferire rilievo preminente all’impressione generale suscitata dal prodotto, e quindi alle somiglianze, che piu’ intensamente incidono sul rischio di associazione.

Nell’escludere l’appropriazione di pregi, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della buona fama acquisita da essa ricorrente attraverso la presenza ultratrentennale delle statuine sul mercato, trascurando inoltre la mala fede della convenuta, la quale, pur non avendo ancora ottenuto la registrazione, aveva apposto nella parte inferiore delle statuine la dicitura “modello registrato”.

Ai fini dell’accertamento della concorrenza parassitaria, la Corte di merito non ha considerato che la (OMISSIS) non si era limitata a riprodurre alcuni prodotti di essa ricorrente, ma ne aveva pedissequamente imitato l’intera collezione, in tal modo sfruttando sistematicamente il suo lavoro ed i suoi investimenti. Nel ritenere insussistente l’appropriazione indebita del lavoro altrui, la sentenza impugnata ha poi omesso di rilevare che a tal fine non e’ necessaria la confondibilita’ dei prodotti, ma e’ sufficiente l’idoneita’ dell’atto a produrre effetti di mercato dannosi per il concorrente, nella specie desumibili dall’identita’ dell’area in cui operavano le parti, che aveva comportato lo sviamento di affari e clienti da essa attrice in favore della convenuta. La Corte di merito ha infine omesso di esaminare la questione concernente la presenza di sostanze nocive all’interno delle statuine prodotte dalla convenuta, la cui utilizzazione, in violazione di norme pubblicistiche, consentendo di realizzare un illecito risparmio nella produzione, comportava un vantaggio concorrenziale non conforme ai principi della correttezza professionale.

2.1. Il motivo e’ inammissibile.

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