Corte di Cassazione, sezione prima civile, ordinanza 12 gennaio 2018, n. 658. In tema di industrial design

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Nella parte concernente le modalita’ di effettuazione del giudizio di confondibilita’, ai fini dell’accertamento dell’imitazione servile, le censure proposte dalla ricorrente non attingono la ratio della sentenza impugnata, la quale, nel rilevare che il Tribunale aveva proceduto ad una dettagliata individuazione delle differenze riscontrabili tra le statuine prodotte dalle due parti, non l’ha affatto ritenuta sufficiente ad escludere la concorrenza sleale, avendo espressamente riconosciuto la necessita’ di una comparazione complessiva dei prodotti, ma avendo condiviso la valutazione emergente dalla sentenza di primo grado, secondo cui l’impressione generale suscitata dalle due collezioni era che, al di la’ delle generali caratteristiche funzionali comuni legate alla tipologia del prodotto ed alla necessita’ di riprodurre forme ed atteggiamenti propri della classica tradizione presepiale, le stesse risultassero sufficientemente differenziate, si’ da potersi escludere il rischio di associazione da parte del consumatore medio. Nel denunciare l’insufficienza di tale apprezzamento, in ragione dell’esclusiva considerazione delle differenze riscontrabili tra i prodotti e della mancata valutazione delle somiglianze, la ricorrente non tiene d’altronde conto dell’osservazione della Corte di merito, secondo cui non erano state indicate le caratteristiche realmente individualizzanti del prodotto, ne’ del principio, implicitamente sotteso al predetto rilievo, secondo cui l’imitazione rilevante ai fini della concorrenza sleale non s’identifica con la riproduzione di qualsiasi forma del prodotto altrui, ma solo con quella che cade sulle caratteristiche esteriori dotate di efficacia individualizzante e cioe’ idonee, proprio in virtu’ della loro capacita’ distintiva, a ricollegare il prodotto ad una determinata impresa (cfr. Cass., Sez. 1, 12/02/ 2009, n. 3478; 26/11/2008, n. 28215; 27/02/2004, n. 3967).

2.2. Nella parte riguardante l’indebita appropriazione di pregi da parte della convenuta, invece, le censure proposte dalla ricorrente da un lato trascurano la considerazione della sentenza impugnata, secondo cui la configurabilita’ di tale fattispecie doveva essere esclusa in virtu’ degli stessi elementi addotti a giustificazione dell’insussistenza dell’imitazione servile, dall’altro si pongono in contrasto con la circostanza, specificamente accertata dalla Corte distrettuale, che le statuine non recavano la dicitura “modello registrato”, ma quella “Italy”, accompagnata da un numero. La prima considerazione risulta logicamente ineccepibile, dal momento che, non essendo stati dedotti comportamenti della convenuta volti ad attribuire alla propria impresa meriti (quali ad esempio medaglie, riconoscimenti, indicazioni di qualita’, requisiti, virtu’) da essi non posseduti, in modo da perturbare la libera scelta dei consumatori (cfr. Cass., Sez. 6, 7/01/2016, n. 100; Cass., Sez. 1, 10/11/1994, n. 9837), l’esclusione della confondibilita’ dei prodotti doveva considerarsi sufficiente ad impedire anche lo sfruttamento della buona reputazione acquisita sul mercato dall’impresa concorrente. Il secondo rilievo, risolvendosi nell’accertamento di una circostanza obiettivamente risultante dagli atti di causa, che non presupponeva alcuna attivita’ valutativa da parte della Corte di merito, non e’ a sua volta censurabile in questa sede, traducendosi l’eventuale travisamento dei fatti in un errore meramente percettivo, non attinente alla formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico, da farsi valere con l’istanza di revocazione ai sensi dell’articolo 395 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Cass., Sez. lav. 3/04/2009, n. 8180; Cass., Sez. 1, 19/06/2007, n. 14267; Cass., Sez. 3, 23/02/2006, n. 4015).

2.3. Nella parte riguardante la configurabilita’ della concorrenza parassitaria, le censure non considerano che tale fattispecie, ricompresa fra le ipotesi previste dall’articolo 2598 c.c., n. 3, e consistente in un continuo e sistematico operare sulle orme dell’imprenditore concorrente attraverso l’imitazione non tanto dei suoi prodotti ma piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali di quest’ultimo, postula il ricorso a mezzi diversi e distinti da quelli relativi ai casi tipici di cui ai precedenti nn. 1 e 2 della medesima disposizione, sicche’, ove sia stato correttamente escluso nell’elemento dell’imitazione servile dei prodotti altrui il centro dell’attivita’ imitativa (requisito pertinente alla sola fattispecie di concorrenza sleale prevista dal n. 1 dello stesso articolo 2598 c.c.), debbono essere indicate le attivita’ del concorrente sistematicamente e durevolmente plagiate, con l’adozione e lo sfruttamento, piu’ o meno integrale ed immediato, di ogni sua iniziativa, studio o ricerca, contrari alle regole della correttezza professionale (cfr. Cass., Sez. 1, 29/10/2015, n. 22118). Tali attivita’ nella specie non sono state in alcun modo indicate, neppure in questa sede, essendosi la ricorrente limitata ad insistere sulla sistematica imitazione dei propri prodotti, la cui riferibilita’ alla intera collezione di statuine, anziche’ a singole figure, non esclude la persistente riconducibilita’ della fattispecie all’articolo 2598 c.c., n. 1, la cui configurabilita’ e’ stata esclusa dalla sentenza impugnata.

2.4. Tali considerazioni vanno estese anche alle censure riflettenti l’appropriazione indebita del lavoro altrui, mentre quelle riguardanti l’utilizzazione di sostanze nocive nella produzione delle statuine non possono trovare ingresso in questa sede, avendo ad oggetto una questione che implica una indagine di fatto, non trattata nella sentenza impugnata, e non essendo stato indicato in quale fase ed in quale atto del giudizio tale questione sia stata sollevata (cfr. Cass., Sez. 3, 11/04/2016, n. 7048; Cass., Sez. 3, 18/10/2013, n. 23675; Cass., Sez. lav., 28/07/2008, n. 20518).

3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame delle domande di risarcimento dei danni ed indennizzo per l’ingiustificato arricchimento, osservando che, nel ritenere assorbite le relative questioni, la sentenza impugnata non ha tenuto conto del grave danno subito da essa ricorrente per effetto dello sviamento della clientela, non commisurabile alla mera riduzione del fatturato, astrattamente riconducibile anche ad altri fattori, ma quantificabile in base alle spese sostenute per far fronte all’attivita’ illecita della convenuta ed al pregiudizio arrecato alla sua reputazione dalla presenza sul mercato di prodotti non originali.

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