Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 5 febbraio 2018, n. 5343. La posizione del terzo sia in ipotesi di sequestro che di confisca

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7.1. Occorre, quindi, rilevare che la Corte di Cassazione (Cass., 1, sent. n. 29378 del 29/4/10, rv. 247859, ric. Agenzia Demanio ed altro), in riferimento ad una caso di confisca penale, ha escluso un’accezione della buona fede che, facendo leva sulla necessita’ di un atteggiamento doloso del terzo, finisca per attribuire alla relativa nozione un ambito estremamente restrittivo, al punto da configurare la posizione soggettiva del detto terzo come adesione consapevole e volontaria alla altrui attivita’ illecita. Per rendersi conto della insostenibilita’ di una simile tesi, argomenta la citata sentenza (le cui considerazioni questo collegio condivide), basta considerare che rappresenta un principio fondamentale dell’ordinamento, che trascende la ripartizione tra diritto civile e diritto penale, quello per cui la nozione di colpevolezza o di volonta’ colpevole abbraccia sia il dolo che la colpa e che, conseguentemente, un comportamento non puo’ classificarsi come incolpevole non soltanto quando esso sia qualificato dal dolo (vale a dire, dalla consapevolezza e dalla volonta’ della condotta e dell’evento), ma anche quando tale consapevolezza e tale volonta’ siano mancate in dipendenza di un atteggiamento colposo dovuto ad imprudenza, negligenza ed imperizia: sicche’ non puo’ parlarsi di comportamento incolpevole qualora il fatto, pur non essendo stato conosciuto, sia tuttavia conoscibile con l’uso della ordinaria diligenza e prudenza. In buona sostanza, deve ritenersi esistente un nesso di alternativita’ e di reciproca esclusione tra buona fede e affidamento incolpevole, da un canto, e addebitabilita’ della mancata conoscenza dovuta a colpa, dall’altro, di guisa che l’esistenza dell’un requisito deve reputarsi incompatibile con l’altro: con l’ulteriore conseguenza che non puo’ certamente ipotizzarsi una condizione di buona fede e di affidamento incolpevole allorquando un dato fatto illecito non sia stato conosciuto ma risultasse pur sempre conoscibile se non avesse spiegato incidenza sulla rappresentazione del reale uno stato soggettivo addebitatale ad una condotta colposa.

7.2. Ad identici parametri valutativi (ricorda la citata sentenza) e’ ispirata la decisione con cui e’ stato stabilito, in tema di confisca quale misura di prevenzione patrimoniale, che sussiste a carico del terzo, titolare di un diritto reale di garanzia sul bene oggetto del provvedimento di confisca di prevenzione, l’onere di dimostrare di avere positivamente adempiuto con diligenza agli obblighi di informazione e di accertamento e, quindi di avere fatto affidamento “incolpevole”, ingenerato da una situazione di oggettiva apparenza relativamente alla effettiva posizione del soggetto nei cui confronti si acquisisce il diritto di garanzia (Cass., sez. 5, 18/3/09, n. 15328, Banca della Campania s.p.a., rv. 243610).

7.3. Nella sentenza richiamata si segnala, inoltre, che su posizioni analoghe e’ schierata anche la giurisprudenza civile essendo stato stabilito che la nozione di buona fede e’ normalmente legata a quella di esenzione da colpa, di diligenza e di prudenza (v. Cass., sez. 2, 29/4/08, n. 10841; sez. 1, 25/8/06, n. 18543; sez. 1, 16/3/06, n. 5825). Sotto il profilo costituzionale, in ambito penale (contrabbando) ma nella medesima ratio, si e’ espressa anche la Consulta (sentenza n. 1 del 9/1/97), affermando che “un piu’ ragionevole equilibrio degli interessi che in simili casi vengono in considerazione (quelli dello Stato connessi all’esercizio della potesta’ tributaria, quelli del privato derivanti dal principio dell’affidamento incolpevole) porta a ritenere che l’interesse finanziario dello Stato possa certo ricevere un ambito di tutela privilegiata anche nei confronti del terzo sul piano processuale. Puo’ quindi risultare non irragionevole una deroga al principio vigente in materia di acquisti di beni mobili secondo il quale la buona fede e’ generalmente presunta; ma la tutela di tale interesse non puo’ spingersi sino al punto di impedire al terzo estraneo al reato di essere ammesso a provare che non sussistevano al momento dell’acquisto circostanze tali da far sorgere sospetti circa la provenienza del bene da contrabbando” (v. testo della motivazione).

7.4. Tale principio implica che non e’ irragionevole in materia di confisca ivi compresa quella penale una deroga al principio della presunzione della buona fede del terzo (visto l’interesse generale dello Stato di acquisire il profitto del reato), ferma naturalmente la possibilita’ per il terzo medesimo di provare l’assenza di colpa.

8. La conclusione trova convincente conferma negli argomenti svolti nella pronuncia della Corte Costituzionale, che, nel dichiarare infondata la questione di legittimita’ costituzionale della L. 31 maggio 1965, n. 575, articolo 3 quinquies, comma 2, nella parte in cui consente che il provvedimento di confisca dei beni ivi previsto possa riflettersi su soggetti per i quali non ricorrano i presupposti per l’immediata applicazione di una misura di prevenzione personale, ha precisato che la situazione di “sostanziale incolpevolezza” segna il limite della confisca, aggiungendo che una simile condizione soggettiva, su cui e’ fondata la tutela del terzo in buona fede, non ricorre nei confronti di chi, pur non essendo assoggettabile a provvedimenti di prevenzione, pone in essere attivita’ agevolative che determinano obiettiva commistione di interessi tra attivita’ di impresa e attivita’ mafiosa (Corte cost., 20 novembre 1995, n. 487). Deve, dunque, affermarsi – anche alla luce di una lettura costituzionalmente orientata della legislazione antimafia – che la salvaguardia del preminente interesse pubblico non puo’ giustificare il sacrificio inflitto al terzo di buona fede, titolare di un diritto reale di godimento o di garanzia, dovendo considerarsi la sua posizione “protetta dal principio della tutela dell’affidamento incolpevole, che permea di se’ ogni ambito dell’ordinamento giuridico” (Corte cost., 10 gennaio 1997, n. 1).

9. Appare, poi, utile richiamare le indicazioni esegetiche gia’ espresse dalla giurisprudenza di legittimita’ (Cass. sez. 1, n. 30326 del 29/04/2011, Mps Gestione Crediti Banca Spa e altri, rv. 250910; sez. 6, n. 2334 del 15/10/2014, Italfondiario S.p.a., rv. 263282; sez. 5, n. 6449 del 16/01/2015 Banca Monte Paschi Siena S.p.a., rv. 262735; sez. 6, n. 32524 del 16/06/2015 Ag. N. per Amm. e dest. beni conf. crim. org. in proc. Banca Ragusa, rv. 264374) secondo le quali l’estraneita’ al reato commesso dal debitore va certamente esclusa quando ricorra un atteggiamento doloso del terzo, ma la nozione di buona fede non e’ automaticamente riconoscibile solo perche’ non vi sia collusione tra l’istituto finanziatore e l’imputato intesa quale adesione consapevole e volontaria del primo all’attivita’ illecita del secondo, dovendo assegnarsi rilievo anche alla colpa, che ricorre quando l’ignoranza della situazione e dei reati commessi dal soggetto finanziato sia dipesa da imprudenza, negligenza ed imperizia: pertanto, il comportamento non e’ incolpevole qualora il fatto illecito, pur non conosciuto, sia tuttavia conoscibile e riscontrabile con l’uso della “ordinaria diligenza e prudenza”.

9.1. Il terzo, in definitiva, sia in ipotesi di sequestro che di confisca, comprovata la titolarita’ del bene ha pure l’onere di dimostrare di avere positivamente adempiuto con diligenza gli obblighi di informazione e di accertamento e di aver percio’ fatto affidamento “incolpevole” nella vicenda in questione.

9.2. Con specifico riferimento all’onere probatorio gravante sugli istituti di credito la giurisprudenza (vedi, in proposito, Cass. Pen., Sez. 1, 8 luglio 2011, (dep. 12 settembre 2011), n. 33796, Simeoli) ha sottolineato che, trattandosi di operatori del settore, percio’ professionalmente preparati e bene a conoscenza delle norme e usi bancari, oltre che delle normative in materia di reimpiego o riciclaggio di attivita’ illecite, deve essere loro richiesta una particolare diligenza nella concessione del credito, tenuto conto anche della necessita’ di verificare l’affidabilita’ di coloro che richiedono il finanziamento attraverso la richiesta (e l’esame) di tutta la documentazione necessaria e opportuna per garantire opportunamente la banca.

10. Muovendo dalla superiori considerazioni e in ragione del ruolo chiave che assume il concetto di “buona fede” ai fini della tutela dei diritti dei terzi in ipotesi di confisca e di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, deve ritenersi che nella fattispecie in esame l’istituto di credito oltre a dimostrare la titolarita’ delle somme in contestazione, aveva il preciso onere, non adempiuto nel caso de quo secondo quanto si desume anche dal contenuto nella istanza di dissequestro depositata innanzi al Giudice per le indagini preliminari, di allegare, prima ancora che di provare, la propria buona fede nell’accezione sopra indicata.

Dal che discende che in difetto di una simile allegazione (oltre che di una prova della propria condizione soggettiva di buona fede secondo i parametri sopra cennati) – come detto totalmente omessa nella fattispecie in esame – a prescindere dalla intervenuta dimostrazione della “appartenenza” delle somme sequestrate, la richiesta di dissequestro, allo stato degli atti, non appare, comunque, suscettibile di accoglimento in quanto inammissibile, dovendosi in tale senso modificare in diritto le motivazioni del provvedimento impugnato.

10.1. Una simile soluzione appare conforme al tenore dell’articolo 240 cod. pen. e si pone in linea con il doveroso bilanciamento di situazioni quale quella in esame, tra gli interessi statali e quelli del privato, il quale porta a ritenere opportuna (come affermato anche da Corte Cost., sent. n. 1 del 1997 cit.) la prevalenza dei primi rispetto ai secondi, fermo restando che la posizione del privato e’ sempre tutelata facendo salva la possibilita’ che egli alleghi e dimostri la propria buona fede.

11. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere, allo stato degli atti, dichiarato inammissibile.

Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento; trattandosi di questione di particolare rilevanza in ragione della peculiarita’ della stessa (v. Sez. U, n. 43055 del 30/09/2010 – dep. 03/12/2010, Dalla Serra, Rv. 24838001) non va emessa la condanna di parte ricorrente al pagamento dell’ammenda a favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la societa’ ricorrente al pagamento delle spese processuali

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