Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 18 gennaio 2018, n. 1958. In capo all’amministratore di diritto una responsabilita’ quantomeno a titolo di dolo eventuale in relazione alle condotte illecite poste in essere dall’amministratore di fatto

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Quanto, poi, all’ulteriore doglianza relativa alle mansioni di gruista svolte da (OMISSIS), la lettura della sentenza rende manifesto che i giudici di appello non hanno inteso affermare che svolgendo l’attivita’ di gruista egli non potesse anche assumere la veste di amministratore della societa’, quanto che soggetti, come la teste (OMISSIS), contabile della (OMISSIS), che avevano avuto, negli anni, contatti operativi con la societa’ (OMISSIS), non avevano mai intrattenuto alcuno specifico rapporto con (OMISSIS), proprio perche’ costui era addetto a mansioni diverse da quelle proprie dell’amministratore di una societa’.
Anche le doglianze formulate dalla difesa dell’imputato nel primo motivo di ricorso e da ultimo illustrate devono, dunque, ritenersi manifestamente infondate.
5. Quanto alle censure svolte dalla difesa di (OMISSIS) in punto di affermazione della responsabilita’ dell’imputata, si e’ in particolare eccepita, con il secondo motivo di impugnazione, l’illogicita’ della motivazione in relazione alla ritenuta inesistenza delle operazioni oggetto di fatturazione, la quale sarebbe smentita dalla documentazione agli atti, costituita dalla autorizzazione a derogare il divieto di subappalto e dalle fatture regolarmente emesse.
Anche con riferimento a tale profilo, tuttavia, deve osservarsi come tali elementi a discarico siano stati presi in considerazione dai giudici di merito nell’ambito del piu’ articolato ragionamento probatorio svolto dalle due sentenze di primo e secondo grado; ragionamento che ha valorizzato, quanto alle vicende della (OMISSIS), una serie di elementi indiziari di inequivoca valenza dimostrativa, sia del ruolo di prestanome della (OMISSIS), attestato dalla partecipazione di (OMISSIS) al capitale sociale e alla gestione della societa’ (ammessa da (OMISSIS) a dibattimento) e dal mancato coinvolgimento della (OMISSIS) alla vita della societa’, in relazione alla quale e’ stato accertato come la stessa (OMISSIS), pur essendo costei una dipendente con mansioni amministrative della (OMISSIS) S.r.l. di (OMISSIS), fosse stata singolarmente delegata ad operare sul conto corrente della societa’, senza che sul punto sia stata fornita alcuna spiegazione; sia della sostanziale non operativita’ della societa’, la quale non teneva alcuna contabilita’, non aveva beni strumentali ne’ dipendenti (nel 2009), era evasore totale, ma al contempo fatturava, anche qui del tutto singolarmente, alcune prestazioni. Circostanze di fatto, quelle teste’ riassunte, che hanno condotto i giudici di merito, con motivazione niente affatto illogica, ma fondata su solide massime tratte dalla esperienza giudiziaria, ad affermare che le fatture emesse dovevano ritenersi riferibili a operazioni oggettivamente esistenti e tuttavia non riferibili alla societa’ (OMISSIS), senza che gli elementi documentali, pur prodotti dalla difesa, potessero inficiare tale quadro ricostruttivo, ed anzi potendo gli stessi ricondursi al tentativo, scarsamente riuscito, di fornire una patente di liceita’ ad attivita’ manifestamente criminose.
5.1. Quanto, poi, alle doglianze sviluppate dalla difesa della (OMISSIS) nel terzo motivo di ricorso, occorre preliminarmente osservarsi come dall’articolo 2932 cod. civ. derivi, in capo all’amministratore di diritto della societa’, un obbligo giuridico di vigilanza e controllo volto, tra l’altro, a impedire che la struttura della societa’, ovvero di un soggetto giuridico di cui lo stesso amministratore abbia la rappresentanza e i poteri gestori, costituisca il veicolo privilegiato per la realizzazione di un complesso di attivita’ criminose (cfr. Sez. 3, n. 15900 del 2/03/2016, dep. 18/04/2016, Gagliotta, Rv. 266757; Sez. 3, n. 38780 del 14/05/2015, dep. 24/09/2015, Buffi, Rv. 264971); dovendo per il resto ritenersi che proprio l’esercizio di una ordinaria attivita’ di vigilanza avrebbe consentito all’amministratore di diritto di impedire l’evento costituito dalla gestione illecita della societa’.
Quanto, poi, al coefficiente psicologico richiesto per l’attribuzione di responsabilita’ in capo alla stessa (OMISSIS), che secondo la tesi difensiva non avrebbe potuto avvedersi, tenuto conto della situazione di regolarita’ formale della societa’, delle condotte illecite poste in essere dall’amministratore di fatto, i giudici di merito hanno adeguatamente motivato, attingendo ad una solida massima tratta dall’esperienza giudiziaria, in ordine al fatto che la presenza di una societa’ sostanzialmente fittizia, i cui rapporti giuridici erano gestiti, attraverso la delega ad operare sui conti correnti della (OMISSIS), da soggetti, come la (OMISSIS), riferibili ad altra compagine societaria, i quali provvedevano addirittura all’emissione delle false fatture, non potesse che essere accompagnata, in capo alla figura dell’amministratore, da una reale consapevolezza di quanto avveniva, ovvero del meccanismo frodatorio messo in piedi da (OMISSIS). Una conclusione questa che non appare dissonante rispetto al consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, che configura in capo all’amministratore di diritto una responsabilita’ quantomeno a titolo di dolo eventuale in relazione alle condotte illecite poste in essere dall’amministratore di fatto, della cui verificazione il primo abbia accettato il rischio, coscientemente, omettendo di esercitare i relativi poteri di controllo (Sez. 3, n. 6208 del 9/04/1997, dep. 26/06/1997, Ciciani e altro, Rv. 208804).
6. Venendo alle questioni che concernono il profilo sanzionatorio, va osservato che con il suo secondo motivo, (OMISSIS) lamenta l’inosservanza o erronea applicazione degli articoli 81 cpv. cod. pen., Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 2 e 8, atteso che in sede di applicazione della disciplina del reato continuato i giudici avrebbero considerato piu’ grave il reato contestato al capo E) e non quello di cui al capo D), nonostante che l’importo delle fatture emesse in relazione a quest’ultimo capo fosse piu’ elevato.
In proposito, nondimeno, e’ appena il caso di rilevare che essendo la cornice sanzionatoria edittale identica tra le due fattispecie in esame, non e’ possibile ravvisare alcun concreto interesse, che il ricorrente non ha nemmeno dedotto, a considerare come violazione piu’ grave quella contestata al capo D), non emergendo alcun concreto riflesso che dall’eventuale mutamento nella individuazione del reato piu’ grave potrebbe determinarsi sul piano dei concreti effetti sanzionatori.

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