Cassazione 11

Supera Corte di Cassazione

Sezione I

Sentenza 4 febbraio 2016, n. 2196

 

SENTENZA 

sul ricorso 6411-2014 proposto da:  REITEK S.P.A., in persona del legale rappresentante  pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA  CLEMENTE IX 10, presso l’avvocato LUCIA FELICIOTTI,  rappresentata e difesa dagli avvocati ALESSANDRO  GAETANI, GABRIELLA GAETANI, giusta procura a margine  del ricorso;

– ricorrente –

contro

GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, in  persona del legale rappresentante pro tempore, e  domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso  l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta  e difende ope legis;

– controricorrente –

contro

ENEL ENERGIA S.P.A.;

– intimata –

sul ricorso 8595-2014 proposto da:  ENEL  ENERGIA  S.P.A.,  in  persona  del  legale  rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata  in ROMA, PIAZZA MAZZINI, 27, presso lo STUDIO TRIFIRO’  & PARTNERS, rappresentata e difesa dagli avvocati  FRANCESCO  AUTELITANO,  VITTORIO  PROVERA,  PAOLO  ZUCCHINALI, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –                                                                                contro

GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, in  persona del legale rappresentante pro tempore,  domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso  l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta  e difende ope legis;

– controricorrente –

contro

REITEK S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 18977/2013 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 26/09/2013;  udita la relazione della causa svolta nella pubblica  udienza del 15/01/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCO  TERRUSI;  udito, per la ricorrente REITEK S.P.A., l’Avvocato  GAETANI GABRIELLA che si riporta;  udito,  per la ricorrente ENEL ENERGIA S.P.A.,  l’Avvocato ZUCCHINALI PAOLO che si riporta;  udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore  Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per  l’inammissibilità, in subordine rigetto.

Svolgimento del processo  

A seguito di accertamento ispettivo avviato nei riguardi  di Enel Energia s.p.a., teso a verificare l’osservanza  delle norme in materia di protezione dei dati personali  rispetto all’attività di marketing effettuata mediante  autonomi soggetti (cd. teleseller) previo utilizzo di  piattaforma informatica (sistema Saas) messa a  disposizione da Reitek s.p.a., il Garante per la  protezione dei dati personali (hinc solo Garante)  prescriveva a Enel Energia, ai sensi degli artt. 143, l °   comma, lett. b) e 154, l °  comma, lett. c), del Codice in  materia di protezione dei dati personali, l’adozione,  eventualmente tramite la fornitura di apposite istruzioni  ai propri responsabili, di tutte le misure, anche di  carattere tecnico, atte a garantire che il sistema Saas impedisse la reiterazione di chiamate su contatto  abbattuto (cd. chiamate “mute”), escludendo la  possibilità di richiamare la specifica utenza per un  intervallo di tempo pari almeno a trenta giorni.  Enel Energia s.p.a. e Reitek s.p.a. proponevano separate  opposizioni al provvedimento, le quali, riunite, venivano  rigettate dal tribunale di Roma con sentenza in data 26-9-2013.  Il tribunale, per quanto di interesse, riteneva provato  il fenomeno oggetto del provvedimento in considerazione  dei numerosi reclami depositati presso il Garante da  utenti che avevano lamentato la ricezione di telefonate  “mute” da numeri poi risultati riconducibili a Enel  Energia.

Reputava quindi l’illiceità del sistema di  teleselling in quanto il procedimento, che aveva condotto  alla telefonata “muta”, aveva integrato un trattamento di  dati personali contrario al canone di correttezza  indicato nell’art. 11 del cod. della privacy, atteso che  i destinatari avevano visto utilizzati i propri dati per  telefonate non valevoli a proporre alcun contratto ma  solo a creare allarme circa la provenienza.

Riteneva  infine Reitek non estranea all’abusiva condotta perché  essa pure responsabile del trattamento, in quanto  titolare di mansioni non meramente esecutive, essendo Reitek la società ricevente i dati forniti da Enel Energia e adottante e suggerente le misure organizzative.

Per la cassazione della sentenza le società hanno  proposto separati ricorsi, rispettivamente sorretti da  cinque motivi (Reitek) e da tre motivi (Enel Energia).

In entrambe le cause il Garante si è costituito con  controricorso, resistendo.  Enel Energia ha infine depositato una memoria.

Motivi della decisione 

I. – I ricorsi, proposti avverso la medesima sentenza,  sono riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. Civ..  In quello proposto per primo, Reitek s.p.a. deduce  i motivi di seguito indicati:

(i) violazione e falsa applicazione degli artt. 4, 11,  24, 130 del d.lgs. n. 196 del 2003, degli artt. l, 5, 6,  7 della direttiva n. 95/46-CE e degli artt. 1, 3, 12  della l. n. 689 del 1981, nonché omesso esame di fatti  decisivi, per avere il tribunale errato nel ritener provata la sussistenza del fenomeno delle cd. chiamate  “mute” sanzionato dal Garante, attese le segnalazioni di  soli sei utenti in un arco temporale di sei mesi, non  tali da giustificare la qualificazione del fenomeno come  diffuso, reiterato e continuo;

(ii) violazione e falsa applicazione degli artt. 4, 11,  24, 130 del d.lgs. n. 196 del 2003, in ordine  all’imputabilità della condotta illecita, stante che le  telefonate “mute” erano state occasionate dal sistema  informatico a seguito di impostazioni scelte dai  teleseller, secondo la loro capacità di lavoro, con  conseguente esclusione della riferibilità dell’illecito a  essa Reitek in base al principio personalistico dettato  dall’art. 3 della 1. n. 689 del 1981; principio da  considerare estendibile, ex art. 12 della medesima legge,  a ogni ipotetica violazione amministrativa;

(iii) violazione e falsa applicazione del principio di  correttezza, avendo il giudice di merito introdotto  requisiti di liceità del trattamento dei dati personali  ulteriori rispetto a quelli previsti dal codice della  privacy e dalla evocata direttiva comunitaria, in  violazione dei principi indicati da C. giust. 24-11-2011,  nn. 468 e 469;

(iv) violazione del principio di legalità ex art. 1 della  1. n. 689 del 1981, non essendo ancora vigenti, al 30-10-  2011, data dell’accertamento ispettivo presso Reitek, le  prescrizioni del garante di cui al provvedimento n. 230  del 2011, col quale era stato concesso il termine di 60  giorni  (poi prorogato)  per la designazione,  come  responsabili del trattamento dei dati personali, dei  soggetti agenti in outsourcing;

(v) scusabilità dell’errore ex art. 3 della 1. n. 689 del  1981.

111. – Nel ricorso di Enel Energia s.p.a., da considerare  e  come  ricorso  incidentale  in  quanto  proposto  successivamente a quello di Reitek s.p.a., sono dedotti  motivi così articolati:

(i) violazione e falsa applicazione degli artt. 11, 24,  129, 130, 143 e 154 del cod. della privacy, nonché  dell’art. 7 della direttiva 95/46-CE del Parlamento  europeo e del Consiglio, non potendo considerarsi  integrato alcun illecito in mancanza di una norma  specifica supponente il divieto di telefonate “mute”;  invero il trattamento dei dati da parte di essa  ricorrente anteriore allo schema di provvedimento  generale del Garante in materia di chiamate “mute”,  pubblicato in g.u. n. 274 del 22-11-2013 – era avvenuto  con la sola specifica finalità di eseguire telefonate  commerciali, sicché erroneo doveva considerarsi l’assunto  del giudice a quo circa la contrarietà del medesimo al  canone di correttezza dell’utilizzo dei dati. In  sostanza, a dire di Enel Energia, i dati non erano stati  trattati con l’intenzione di eseguire chiamate “mute” –  cosa non provata e neppure dedotta dal Garante – ma per  legittimi fini di telemarketing. Dunque si sarebbero  dovuti considerare ostativi al provvedimento adottato dal  Garante, da un lato, l’art. 130, comma 3-bis, del cod.  della privacy, col quale era stata prescelta in casi  simili la liceità del trattamento dei dati desunti da  pubblici elenchi anche senza consenso, nei confronti di  chi non avesse esercitato il diritto di opposizione, e,  dall’altro, il fatto che i principi comunitari vietano  (art. 7 della direttiva 95/46-CE) agli stati membri di  disporre requisiti di legittimità del trattamento  aggiuntivi a quelli ivi previsti;

(ii) nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, n. 4,  cod. proc. civ., o alternativamente omessa motivazione su  fatto controverso ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ.,  stante l’omesso accertamento dei fatti inerenti al  fenomeno delle telefonate “mute”, dato per assodato al  fine di affermare l’effettiva imputabilità delle  telefonate suddette a Enel Energia;

(iii) nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, n.  4, cod. proc. civ., o alternativamente omessa motivazione  su fatto controverso ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ.,  non essendo stato dal tribunale considerato il motivo di  opposizione col quale era stata fatta valere  l’irragionevolezza della misura adottata nei riguardi  della sola Enel Energia, a fronte di un fenomeno in  assoluto riguardante tutte le società operative a mezzo  di servizi di call center, con conseguente grave  pregiudizio sul piano della concorrenza, derivante dalle  restrizioni adottate unicamente nei confronti di essa  società.

IV. – Le questioni agitate nei ricorsi si palesano tra  loro connesse, in qualche caso anche con margini di  sovrapposizione, sicché é opportuno esaminarle nel  contesto di una trattazione unitaria.

A questa appare necessario anteporre la precisazione che  è pacifico in punto di fatto, perché accertato dal  giudice di merito con congrua e completa motivazione, che  le telefonate di cui si tratta, riscontrate in base alle  segnalazioni degli utenti, erano dalle indagini ispettive  risultate riconducibili a Enel Energia.  In tal senso è manifestamente infondato, quindi, ove non  inammissibile perché conchiuso in mero sindacato di  fatto, il secondo motivo del ricorso di Enel Energia.

V. – Onde superare alcuni fuorvianti rilievi di Reitek  s.p.a.,  va poi ancora preliminarmente svolta una  precisazione di ordine concettuale in punto di  qualificazione giuridica della misura assunta dal  Garante, per gli effetti che ne debbono derivare in  ordine al profilo di legittimazione all’opposizione.  Profilo non colto dal tribunale di Roma e che tuttavia,  in questa sede, va puntualizzato ai sensi dell’art. 384,  ult. comma, cod. proc. civ., a scopo correttivo della  motivazione  dell’impugnata  sentenza  nella  parte  corrispondente.  Si evince difatti dalla sentenza (ed è confermato dalla  trascrizione operata nel ricorso di Enel Energia) che il  provvedimento del Garante, al fine di eliminare o ridurre  il disagio derivante dal fenomeno delle telefonate  “mute”, aveva imposto le prescrizioni indicate in  premessa alla sola Enel Energia s.p.a., quale titolare  del trattamento.  Era stato imposto in particolare a Enel Energia di  adottare, eventualmente tramite la fornitura di apposite  istruzioni ai propri responsabili, tutte le misure, anche  di carattere tecnico, idonee a garantire che il sistema  Saas impedisse la reiterazione di chiamate di tal genere,  escludendo specificamente la possibilità di richiamare la  singola utenza per un intervallo di tempo pari almeno a  trenta giorni.  Una prescrizione simile, tesa a contrastare fenomeni  considerati lesivi del diritto al trattamento dei dati  personali o a ridurne l’impatto in ambiti considerati  fisiologici, non integra una sanzione amministrativa, e  il soggetto legittimato all’opposizione non è qualunque  titolare del trattamento, ma lo specifico titolare al  quale la prescrizione sia stata imposta.  Questo perché il rimedio oppositorio è diretto a  sottoporre al controllo giurisdizionale la situazione  soggettiva sulla quale il provvedimento ha inciso.  L’opposizione incardina certamente un processo sul merito  della questione posta al fondo dell’atto, ma è pur sempre  l’atto il veicolo di accesso a quel giudizio di merito,  nel quale si discute delle violazioni ritenute dal  Garante in rapporto alla misura adottata.  Conseguono due effetti.  Il primo è che non essendosi dinanzi a una sanzione  amministrativa, sono qui da ritenere manifestamente  infondati il secondo, il quarto e il quinto motivo del  ricorso proposto da Reitek, giacché questi motivi  muovono dall’errato presupposto che al provvedimento  dovessero ritenersi automaticamente estese le  disposizioni della 1. n. 689 del 1981.  Il secondo effetto è che l’opposizione di Reitek avrebbe  dovuto essere dichiarata inammissibile dal tribunale per  difetto di legittimazione attiva ordinaria, non essendo  Reitek il soggetto cui erano state imposte, dal Garante,  le prescrizioni di fare, a nulla rilevando che  l’accertamento ispettivo preliminare – come dal ricorso  risulta – fosse stato a suo tempo esteso anche a questa  società.  Reitek era titolare, secondo il suo asserto, di un  rapporto giuridico semplicemente connesso a quello di  Enel Energia, in quanto appunto concernente la  piattaforma informatica utilizzata dai teleseller per lo  svolgimento della loro attività, e non era stata attinta  dal provvedimento del Garante. Quindi avrebbe potuto  spiegare in giudizio il solo potere di intervento di cui  all’ art. 105 cod. proc. civ. Il quale, sostenuto  dall’interesse a dar forza alle ragioni di Enel Energia,  non poteva invece identificarsi col potere di impugnare  direttamente il provvedimento, onde far valere avverso di  esso motivi di opposizione autonomi. In relazione al già  visto peculiare ambito della tutela giurisdizionale  successiva al provvedimento del Garante, l’interesse (per  quanto giuridico, e non di mero fatto) di Reitek non  poteva in particolare essere identificato con l’interesse  ad agire in opposizione, essendo molto più semplicemente  volto a impedire che la propria sfera giuridica potesse  subire un pregiudizio dagli effetti riflessi della misura  inter allos.

VI. – Il cuore del controversia è costituito dalle  censure di cui ai residui motivi di ricorso: segnatamente  dal primo e dal terzo motivo di Reitek e dal primo motivo  di Enel Energia.  Si tratta di questioni sovrapponibili, come detto  all’inizio, e dunque unitariamente esaminabili.  Entrambe le ricorrenti muovono al tribunale l’addebito  di non aver considerato che, in rapporto alle regole  comunitarie poste con la direttiva sulla tutela del  trattamento e della libera circolazione dei dati  personali (direttiva 95/46-CE, art. 7), gli Stati membri  non possono aggiungere nuovi principi relativi alla  legittimazione del trattamento dei dati personali, né  prevedere requisiti supplementari che porterebbero a  modificare l’ambito di applicazione di uno degli evocati  principi.  L’affermazione è poi compiutamente argomentata da Enel  Energia in base al rilievo che l’art. 130, comma 3-bis,   del cod. Codice della privacy, consentirebbe il trattamento dei  dati personali mediante impiego del telefono nei  confronti di chi risulti inserito negli elenchi e non  abbia esercitato, nelle dovute forme, il diritto di  opposizione. Sicché la norma, introdotta dal d.l. n. 135  del 2009 in adeguamento alla normativa comunitaria,  avrebbe in tal modo ribaltato il principio espresso  dall’art. 129 del medesimo codice, sostituendo al  consenso esplicito per l’utilizzo dei dati per finalità  commerciali l’opposta regola della necessaria  manifestazione di un dissenso.  Le censure sono infondate per le ragioni che seguono.

VII. – Per cominciare va osservato che l’art. 7 della  direttiva comunitaria non porta alcun beneficio alla tesi  delle ricorrenti.  L’art. 7 è norma a effetto diretto  e stabilisce, in linea generale, che il trattamento  di dati personali può essere effettuato soltanto quando  la persona interessata ha manifestato il proprio consenso  in maniera inequivocabile (lett. a).  Essa consente l’effettuazione del trattamento anche in  alternative ipotesi [ quando (b) è necessario  all’esecuzione del contratto concluso con la persona  interessata o all’esecuzione di misure precontrattuali  prese su richiesta di tale persona, oppure (c) è necessario per adempiere un obbligo legale al quale è  soggetto il responsabile del trattamento, oppure (d) è  necessario per la salvaguardia dell’interesse vitale  della persona interessata, oppure (e) è necessario per  l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o  connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui è  investito il responsabile del trattamento o il terzo a  cui vengono comunicati i dati, oppure (f) è necessario  per il perseguimento dell’interesse legittimo del  responsabile del trattamento oppure del o dei terzi cui  vengono comunicati i dati, a condizione che non  prevalgano l’interesse o i diritti e le libertà  fondamentali della persona interessata, che richiedono  tutela ai sensi dell’articolo l, paragrafo l ].  Ma queste ipotesi non ricorrono nel caso di specie.  Con riferimento all’attività di telemarketing, viene in  considerazione proprio la lett. (a) dell’art. 7, che  implica giustappunto il consenso dell’interessato.  Contenendo norme caratterizzate da una certa elasticità,  la direttiva – come ancora affermato dalla Corte di  giustizia – lascia in numerosi casi agli Stati membri il  compito di decidere alcuni dettagli o di scegliere tra  più opzioni.  A tal fine impone di distinguere tra provvedimenti  nazionali che prevedono requisiti supplementari che  modificano la portata di uno dei limiti previsti all’art.  7 della direttiva stessa (vietati) e provvedimenti  nazionali che prevedono la semplice precisazione di uno  di tali principi.  In questa prospettiva, quindi, il senso della previsione  comunitaria è opposto a quanto paventato nei motivi di  ricorso: gli Stati membri non possono aggiungere nuovi  principi relativi alla legittimazione del trattamento dei  dati personali, né prevedere requisiti supplementari che  porterebbero a modificare l’ambito di applicazione di uno  degli evocati principi in senso sfavorevole  all’interessato.

VIII.  Ora, l’impugnata sentenza, confermando il  provvedimento amministrativo del Garante, ha fatto  applicazione dell’art. 11 del cod. della privacy, a  tenore del quale i dati personali oggetto di trattamento  debbono essere (a) trattati in modo lecito e secondo  correttezza; (b) raccolti e registrati per scopi  determinati, espliciti e legittimi, e utilizzati in altre  operazioni del trattamento in termini compatibili con  tali scopi; (c) esatti e, se necessario, aggiornati; (d)  pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle  finalità per le quali sono raccolti o successivamente  trattati; (e) conservati in una forma che consenta  l’identificazione dell’interessato per un periodo di   tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i  quali essi sono stati raccolti o successivamente  trattati.  Il tribunale ha ritenuto scorretta la modalità di  trattamento del dato messa in atto dal sistema di  telemarketing, in quanto tale modalità aveva mirato a  ottimizzare il successo delle chiamate passate agli  operatori facendo ricadere il rischio, e il disagio,  della chiamata “muta” sui soli destinatari.  Giova dire che una simile valutazione di contrarietà al  principio di correttezza non è discorde dalla  giurisprudenza di questa corte.  E’ stato infatti più volte affermato che, ai sensi degli  artt. 4 e 11 del cod. della privacy, i dati personali  oggetto di trattamento vanno poi gestiti rispettando i  canoni della correttezza, pertinenza e non eccedenza  rispetto alle finalità del loro utilizzo (v., per  l’affermazione generale, già Sez. un. n. 3033-11, nonché,  ex allis, benché in fattispecie peculiare, Sez. lA n.  18443-13). E una particolare efficacia in senso  confermativo della non correttezza del trattamento di cui  è causa può essere in verità attribuita alla stessa  descrizione della modalità di effettuazione delle  chiamate multiple che la ricorrente ha messo in evidenza  nel suo ricorso. Tale modalità (cd. predictive) implicava  che le chiamate inviate dal sistema, tenendo conto delle  telefonate  fallite,  determinassero  la  risposta  dell’addetto con eccezione dei casi in cui, a fronte di  minori  telefonate  fallite,  non si  fosse trovato  immediatamente disponibile un corrispondente operatore.  Se ne desume che il destinatario, proprio in  considerazione della prescelta modalità, era esposto al  rischio di non ricevere risposta alla chiamata, e che  tale rischio era stato preventivamente accettato dalla  società al momento del trattamento.  Affermare – come fatto da Enel Energia – che una simile  eventualità era collocabile, in base ad algoritmi di  sistema tesi a minimizzare il fenomeno, in una  percentuale del 3 % (oltre che assertorio, posto che  nulla risulta dalla sentenza impugnata) si palesa  irrilevante.  L’obiezione non sposta affatto i termini del problema,  così come non li sposta il notarile rilievo di Reitek  circa il minimale numero di segnalazioni di telefonate  “mute” giunte al Garante, perché l’abuso era associabile  alla prescelta modalità di chiamate multiple, che rendeva  manifesto il ribaltamento del rischio del disagio  esclusivamente sui destinatari. E solo questo alla fine  conta per considerare esorbitante il metodo di utilizzo  del dato personale in rapporto all’interesse o ai diritti e alle libertà fondamentali delle persone coinvolte.  Metodo infine contenuto dal Garante con un’opzione  conforme a quella delle corrispondenti autorità nazionali  di altri Paesi, come il Regno Unito o gli Stati Uniti (v.  i provvedimenti ivi rispettivamente denominati “Tacling  abandoned an silent calls” e “Report and order in the  matter of rules and regulations implementig the thelefone  consumer protection Act”).

IX. – A ogni modo la motivazione dell’impugnata sentenza  va in parte corretta ai sensi dell’art. 384, ult. comma,  cod. proc. civ., giacché un’altra ragione – dirimente –  ostava alla tesi delle società, e rendeva illegittimo il  trattamento dei dati personali (nominativo e numero di  utenza) finalizzato all’attività di telemarketing.  La ragione è che il trattamento dei dati personali era  avvenuto con sistemi automatici di chiamata, e il codice  della privacy consente (artt. 129 e 130) simile  trattamento solo con il consenso dell’interessato.  Enel Energia obietta che il consenso, in base al comma 3-  bis dell’art. 130 (aggiunto dall’art. 20-bis del d.l. 25-  9-2009, n. 135, conv. in 1. 20-11-2009, n. 166), non è  richiesto in chi sia iscritto negli elenchi degli  abbonati ai servizi di telefonia e non abbia esercitato  il diritto di opposizione con modalità semplificate e  anche in via telematica, mediante iscrizione della relativa numerazione nell’apposito registro pubblico  delle opposizioni (cd. opt-out).  Ma l’assunto di Enel Energia è del tutto infondato, in  quanto la norma di cui all’art. 130, comma 3-bis, non ha  il significato generalissimo che essa intende  attribuirle, ma va interpretata in coerenza con la  direttiva comunitaria 2002/58-CE sull’e-privacy; la  quale, concepita per rispettare le esigenze delle  tecnologie digitali, completa la direttiva sulla  protezione dei dati personali e comprende tutte le  tematiche di potenziale interesse per la sfera privata  nell’ambito delle comunicazioni elettroniche.  In particolare la soluzione opt-out  (opzione di  esclusione), poi recepita dall’art. 130, comma 3-bis del  codice, è stata dalla direttiva ipotizzata (v. art. 13,  30 comma) solo con riferimento alle chiamate con  operatore.  Per dimostrarlo è sufficiente considerare che la  previsione citata – rapportata a quella antecedente di  cui all’art. 12 in ordine al corretto uso degli elenchi  di abbonati stabilisce, ai primi due commi  (“paragrafi”), che l’uso di sistemi automatizzati di  chiamata e di comunicazione senza intervento di un  operatore (dispositivi automatici di chiamata), del telefax o della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta è consentito soltanto nei  confronti degli abbonati o degli utenti che abbiano  espresso preliminarmente il loro consenso; e che, fatta  salva codesta regola, allorché una persona fisica o  giuridica ottiene dai suoi clienti le coordinate  elettroniche per la posta elettronica nel contesto della  vendita di un prodotto o servizio ai sensi della  direttiva 95/46-CE, la medesima persona fisica o  giuridica può utilizzare tali coordinate elettroniche a  scopi di commercializzazione diretta di propri analoghi  prodotti o servizi, a condizione che ai clienti sia  offerta in modo chiaro e distinto la possibilità di  opporsi, gratuitamente e in maniera agevole, all’uso di  tali coordinate elettroniche al momento della raccolta  delle coordinate e in occasione di ogni messaggio,  qualora il cliente non abbia rifiutato inizialmente tale  uso.  Il 3 °  comma del citato art. 13 fa salva l’opzione di  esclusione (opt-out) “in casi diversi da quelli di cui ai  paragrafi 1 e 2”, e dunque, appunto, solo per la  commercializzazione eseguita a mezzo di operatore senza  impiego di dispositivi automatici di chiamata.  Aggiunge infatti che gli Stati membri possono, alla detta  condizione, adottare le misure appropriate per garantire  che le comunicazioni indesiderate allo scopo di  commercializzazione diretta non siano permesse “se manca  il consenso degli abbonati o utenti interessati oppure se  gli abbonati o utenti esprimono il desiderio di non  ricevere questo tipo di chiamate”, precisando che la  scelta tra queste due possibilità possa essere effettuata  con salvezza della gratuità per l’abbonato o l’utente.  In pratica, la direttiva comunitaria 2002/58-CE consente  l’opt-out per le chiamate con operatore, non mai invece  per le chiamate automatizzate.

X. – La funzione dell’art. 130, comma 3-bis, del cod.  della privacy, derogatoria rispetto alla disciplina  dell’art. 129 basata – come detto – sul consenso espresso  dell’interessato i cui dati personali siano inseriti in  elenchi pubblici aventi una propria specifica finalità,  non può considerarsi avulsa dal suddetto quadro di  principi.  Secondo l’art. 129, il Garante deve individuare (l °   comma) con proprio provvedimento, in cooperazione con  l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ai sensi  dell’articolo 154 e in conformità alla  normativa comunitaria, le modalità di inserimento e di  successivo utilizzo dei dati personali relativi agli  abbonati negli elenchi cartacei o elettronici a  disposizione del pubblico, nonché (2 °  comma) le idonee  modalità per la manifestazione (a) del consenso  all’inclusione negli elenchi e all’utilizzo dei dati per  le finalità di cui all’articolo 7, 4 °  coma, lett. b) [in  base al principio della massima semplificazione delle  modalità di inclusione negli elenchi a fini di mera  ricerca dell’abbonato per comunicazioni interpersonali],  e (b) del consenso specifico ed espresso qualora il  trattamento esuli da tali fini, nonché in tema di  verifica, rettifica o cancellazione dei dati senza oneri.  L’art. 130, comma 3-bis, deroga alla norma appena detta,  stabilendo che “il trattamento dei dati di cui  all’articolo 129, coma 1, mediante l’impiego del  telefono e della posta cartacea per le finalità di cui  all’articolo 7, comma 4, lettera b), è consentito nei  confronti di chi non abbia esercitato il diritto di  opposizione, con modalità semplificate e anche in via  telematica, mediante l’iscrizione della numerazione della  quale è intestatario e degli altri dati personali di cui  all’articolo 129, comma l, in un registro pubblico delle  opposizioni”.  Tra le finalità consentite non vi è ragione per  considerare esclusa la finalità commerciale, in sintonia  con la direttiva comunitaria. Ma solo per quanto riguarda  il marketing diretto, effettuato mediante l’uso del  telefono con l’operatore.  Solo per tale tipo di marketing può considerarsi invero  devoluta ali; Stati quella facoltà di scelta di cui la  norma interna è espressione, relativamente ai dati  personali pubblicati negli elenchi degli abbonati ai  servizi di telefonia e tale per cui il trattamento degli  stessi possa dirsi consentito a prescindere dal consenso  preventivo dell’interessato (e salvo che, ovviamente, il  diritto di opposizione attraverso l’iscrizione  nell’apposito registro).  Il profilo dirimente è che, invece, non rientrano nel  concetto di marketing diretto con operatore, ma involgono  sistemi automatici di chiamata, le telefonate con  contatto abbattuto (cd. “mute”), proprio perché in esse  l’operatore manca.  E’ abbastanza evidente che per tali tipologie di chiamate  l’ambito operativo è del tutto simile a quello del fax  che, in quanto inviato senza possibilità di interazione  del destinatario col mittente, consente di veicolare  messaggi pubblicitari solo col consenso dell’interessato  (v. Sez. 2^ n. 14326-14).  E anzi, a scopo di definitiva chiarificazione può  osservarsi che, finanche per il marketing diretto con  operatore, rimane in tal guisa legittimo il trattamento  del dato personale tratto da elenchi solo in quanto gli  elenchi siano pubblici, come non è – invece – per il caso  della telefonia mobile.  Tanto determina il rigetto delle sopra mentovate censure  di Reitek s.p.a. (primo e terzo motivo) e di Enel Energia  s.p.a. (primo motivo).

XI. – Il terzo motivo di Enel Energia è di conseguenza  inammissibile  per  difetto  di  decisività,  essendo  irrilevante, al cospetto della illiceità del trattamento  per come effettuato, il regime di concorrenza con imprese  asseritamente in grado di porre in essere analoghe  campagne di marketing.

XII. – Può essere fissato, in conclusione, il seguente  principio di diritto: “in conformità alla direttiva  comunitaria n. 2002/58-CE, relativa alla vita privata e  alle comunicazioni elettroniche, l’art. 130, coma 3-bis,  del cod. della privacy, che consente, in deroga al  principio del consenso espresso previsto dall’art. 129,  20 comma, il trattamento dei dati personali mediante  l’impiego del telefono per le comunicazioni di natura  commerciale nei confronti di chi non abbia esercitato il  diritto di opposizione mediante iscrizione della propria  numerazione nel registro pubblico delle opposizioni (cd.  opt-out), non trova applicazione nel caso in cui l’autore  del trattamento abbia inviato telefonate senza operatore  (cd. telefonate con contatto abbattuto o “mute”) né in quello in cui l’utenza chiamata non risulti inserita in  uno degli elenchi cartacei o elettronici a disposizione  del pubblico di cui all’art. 129, 1 0  coma, del codice  (come per esempio avviene per i telefoni cellulari)”.  I ricorsi sono rigettati.  Le spese seguono la soccombenza.

p.q.m. 

La Corte rigetta i ricorsi riuniti e condanna le  ricorrenti in solido alle spese processuali, che liquida  in euro 10.200,00 per compensi, oltre le spese prenotate  a debito.  Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115  del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per  il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore  importo a titolo di contributo unificato pari a quello  dovuto per il ricorso. 

Deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, addì 15 gennaio 2016.

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