Suprema Corte di Cassazione

Sezioni Unite Penali

sentenza 18 maggio 2012, n. 19046

RITENUTO IN FATTO
1.  Con ordinanza in data 4 novembre 2010 il Tribunale del riesame di Roma ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari in sede in data 5 luglio 2010, nel procedimento penale a carico di P. F., M. A., H. G., W. Z., G. X. I. e Z. J. J..
I predetti sono sottoposti a indagine con riferimento ai seguenti reati: 1) associazione per delinquere, finalizzata al riciclaggio (è ipotizzata l’esistenza di due strutture criminose, l’una facente capo al P., in qualità di fondatore, socio, amministratore ed azionista di maggioranza della s.r.l “H.P.D. Finanziaria”, l’altra facente capo, invece, a tale V. A., quale azionista di maggioranza dell’intermediario finanziario “GE.DE.FIN.” s.p.a.), 2) riciclaggio continuato di denaro liquido (attribuito agli appartenenti alle due distinte associazioni per delinquere, nonché a W. Z.), 3) evasione fiscale, 4) contrabbando, 5) falsità documentale (reati questi ultimi attribuiti agli indagati di nazionalità cinese).
Il sequestro preventivo è stato disposto con riferimento ai soli delitti di contrabbando e riciclaggio. L’oggetto del provvedimento ablativo è costituito da beni immobili e beni mobili registrati (autovetture e un furgone).
Va chiarito che, con precedenti ordinanze (18 ottobre 2010 e 28 ottobre 2010), il medesimo Tribunale aveva rigettato l’eccezione di inefficacia della misura cautelare reale, pur prendendo atto che la Procura della Repubblica non aveva trasmesso tre informative redatte del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza (datate 17 giugno 2009, 10 febbraio 2010, 12 aprile 2010).
Per la precisione: all’udienza del 18 ottobre 2010, veniva riscontrata l’omessa trasmissione di tutte e tre le informative sopra citate; alla successiva udienza del 28 ottobre 2010 il Tribunale rilevava l’intervenuta trasmissione della sola informativa “riepilogativa” del 17 giugno 2009.
In realtà, il Collegio cautelare, proprio in ragione della incompletezza degli atti, aveva, come si è premesso, differito -per due volte- la decisione, invitando l’organo dell’accusa a integrare la documentazione rimessa e disponendo il rinvio ad udienza da fissare entro il termine di giorni dieci a far tempo dalla data di arrivo presso la Cancelleria della Sezione del riesame delle informative di polizia giudiziaria sopra indicate.
Peraltro, in entrambe le occasioni, gli indagati avevano eccepito l’intervenuta inefficacia del decreto di sequestro, sulla base del combinato disposto degli artt. 324, comma 7, e 309, commi 9 e 10, cod. proc. pen., rappresentando che il tribunale del riesame non poteva esercitare potere istruttorio, considerando espressione di tale potere, appunto, la richiesta (rivolta all’ufficio di Procura) di integrazione documentale.
2.   Il Tribunale del riesame, come premesso, ritenendo l’eccezione priva di fondamento, la rigettava. A parere di quel giudice, infatti, il procedimento di riesame delle misure cautelari reali è disciplinato dai commi 9 e 10 dell’art. 309, secondo il richiamo operato dall’art. 324, comma 7, cod. proc. pen, e non anche dal comma 5 del medesimo art. 309.
Conseguentemente, per il Collegio cautelare, il termine di dieci giorni, previsto a pena di decadenza per la decisione (ai sensi del combinato disposto degli artt. 324, comma 7, e 309, commi 9 e 10, cod. proc. pen.), deve decorrere, in materia cautelare “reale”, dalla data di effettiva ricezione degli atti provenienti dalla cancelleria dell’autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento, ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen.. E ciò anche se la ricezione sia tardiva, vale a dire oltre il termine previsto dal comma 3 dell’art. 324 cod. proc. pen. (principio, per altro, ha osservato il Tribunale romano, già affermato dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239698-239699).
Ora, poiché la decisione del Tribunale del riesame era intervenuta nel termine di dieci giorni dall’effettiva ricezione di tutti gli atti richiesti (atteso che le informative del 10 febbraio e del 12 aprile 2010 erano pervenute solo in data 29 ottobre 2010), e poiché la richiesta di integrazione documentale non rappresentava, a giudizio del Collegio cautelare, espressione di potere istruttorio, ma mero adempimento di un dovere funzionale, lo stesso riteneva non essersi verificata alcuna perdita di efficacia del provvedimento cautelare.
3.  Superato, con le argomentazioni sopra sintetizzate, “l’ostacolo” procedurale, il Tribunale ha confermato, come premesso, il provvedimento cautelare reale, in ragione della ritenuta infondatezza dei ricorsi.
4.  Va precisato che la difesa di W. Z. aveva tempestivamente proposto ricorso contro il primo provvedimento “interlocutorio” del 18 ottobre 2010 (uno dei due provvedimenti, vale a dire, con i quali il giudicante, rilevato che non erano stati trasmessi tutti gli atti posti a base del decreto di sequestro impugnato, aveva richiesto al Pubblico Ministero di integrare il compendio documentale, rinviando la trattazione dell’udienza e precisando che il termine di dieci giorni per la decisione sarebbe decorso dalla data in cui fossero finalmente pervenuti in cancelleria tutti gli atti richiesti). Tale precedente ricorso di W. è stato assegnato alla Terza Sezione penale della Corte di cassazione, che, in data 3 maggio 2011, con la sentenza 24163, lo ha accolto, annullando senza rinvio l’ordinanza impugnata e dichiarando la perdita di efficacia del decreto di sequestro preventivo nei confronti di questo ricorrente.
5.    A loro volta, P. F., M. A., H. G. e lo stesso W. Z. hanno proposto, tramite i difensori, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza “conclusiva” del 4 novembre 2010, ricorso che è stato assegnato alla Seconda Sezione penale.
5.1 Con il ricorso in questione, la difesa di P. ha dedotto la illegittimità del provvedimento di acquisizione di ufficio di atti di indagine non trasmessi al Tribunale del riesame dalla Procura della Repubblica e la conseguente inutilizzabilità degli stessi per violazione degli articoli 324 e 309 cod. proc. pen. Ha affermato questo ricorrente che, conseguentemente, si è verificata la perdita di efficacia della misura, per la omessa, tempestiva pronunzia. Ha dedotto ancora la nullità del provvedimento a causa della motivazione mancante, ovvero meramente apparente, nonché la violazione degli articoli 321, 125 cod. proc. pen., 348-ter cod. pen. e 12-sexies d.l. 8 giugno 1992. n. 306, convertito dalla legge 7 agosto 1992, n. 356.
5.2 La difesa di M. A. (moglie del P.) ha dedotto censure analoghe in rito, oltre alla mera apparenza della motivazione, con conseguente violazione degli articoli 125, comma 3, cod. proc. pen. e 12-sexies del testo normativo sopra ricordato.
5.3 La difesa di H. G. ha impugnato esplicitamente le tre ordinanze (18 ottobre, 28 ottobre, 4 novembre 2010), deducendo la abnormità dei provvedimenti di rigetto dell’eccezione relativa alla tardiva trasmissione degli atti, posto che solo il 13 ottobre 2010 l’ufficio del Pubblico Ministero aveva fatto pervenire al Tribunale una parte degli atti relativi alla misura impugnata e che l’eccezione era stata rigettata dal Tribunale, il quale, contestualmente, aveva chiesto all’ufficio del Pubblico Ministero l’invio di atti e, in particolare, delle informative della Guardia di Finanza redatte in data 17 giugno 2009, 10 e 12 aprile 2010. Tale richiesta, rimasta, una prima volta, inevasa da parte del Pubblico Ministero, era stata reiterata nell’udienza del 28 ottobre 2010. A parere del ricorrente, le due predette ordinanze interlocutorie hanno determinato una crisi funzionale del procedimento di riesame, il quale deve, viceversa, essere improntato al rispetto del principio di speditezza e di economia processuale; in esso non è contemplata la possibilità di una stasi, tanto più che il Tribunale non può supplire, con argomentazioni proprie, a carenze motivazionali del provvedimento impugnato, tale da renderlo inesistente.
5.4 La difesa di W. Z., impugnando l’ordinanza del 4 novembre 2010 (dunque, la terza ordinanza, vale a dire quella che ha deciso sulla richiesta di riesame, rigettandola), ha dedotto violazione dell’articolo 309, comma 9, cod. proc. pen., sviluppando censure analoghe a quelle proposte nell’interesse di H. G., evidenziando l’assenza, nel sistema del riesame, di poteri istruttori in capo al tribunale; l’esercizio di tali poteri, per questo ricorrente, ha portato a ripetuta violazione del termine di caducazione previsto all’articolo 309, comma 9, del codice di rito; il ricorrente lamenta, inoltre, il vizio di motivazione, per essere assolutamente generica la indicazione degli elementi indizianti (va ricordato che, come premesso, questo ricorrente aveva -precedentemente e autonomamente-proposto ricorso anche avverso l’ordinanza del 18 ottobre 2010).
6.   La Seconda Sezione penale della Corte di cassazione – investita, come premesso, dei ricorsi di tutti e quattro gli indagati (e quindi anche del ricorso di W.) avverso il provvedimento “conclusivo” del Tribunale del riesame (quello datato 4 novembre 2010) e, implicitamente o esplicitamente, anche avverso i provvedimenti “interlocutori” del 18 ottobre e del 28 ottobre 2010 (tranne ovviamente che per W.) – ha, con ordinanza del 6 maggio 2011, depositata il 20 dello stesso mese:
a) dubitato che la pronuncia della Terza Sezione della Corte di cassazione sul ricorso proposto da W. possa aver spiegato effetto estensivo nei confronti delle posizioni degli altri indagati, coinvolgendo il provvedimento “conclusivo”;
b) ricordato la giurisprudenza delle Sezioni Unite (la già citata sentenza Ivanov del 2008), in base alla quale la perdita di efficacia della misura cautelare reale non ha luogo in caso di mancata trasmissione degli atti al tribunale del riesame da parte dell’autorità procedente entro il quinto giorno dall’istanza, non essendo richiamato nell’articolo 324, comma 7, del codice di rito il comma 5 del precedente articolo 309, che prevede il predetto effetto di caducazione per le misure cautelari personali; con la conseguenza, secondo la citata giurisprudenza, che il termine di dieci giorni, entro il quale, a pena di decadenza della misura reale, il tribunale del riesame si deve pronunciare (ai sensi degli articoli 324, comma 7,e 329, comma 10, cod. proc. pen.) decorre dalla data di ricezione di tutti gli atti, anche se trasmessi in ritardo;

c) affermato che la richiesta rivolta dal tribunale del riesame all’autorità giudiziaria procedente di integrare la trasmissione degli atti non è espressione di poteri istruttori, ma rappresenta una condotta necessitata, in quanto il collegio cautelare deve assumere la sua decisione sulla base di tutti gli atti a suo tempo valutati dal giudice per le indagini preliminari per l’emissione della misura cautelare;
d)    rilevato che la decisione della Terza Sezione (che aveva accolto, come premesso, il ricorso di W. e dunque la tesi difensiva prospettata dal predetto) si pone in contrasto con la citata giurisprudenza, anche delle Sezioni Unite, e che, se, dunque, essa Seconda Sezione avesse seguito la giurisprudenza prevalente, si sarebbe determinato un contrasto, addirittura all’interno dello stesso procedimento.
7.   Per tali ragioni, la Seconda Sezione, con ordinanza del 6 maggio 2011, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, ai sensi dell’articolo 618 cod. proc. pen.
8.  Con provvedimento del 24 maggio 2011, il Primo Presidente, rilevato che il contrasto era stato ravvisato solo sulla base del dispositivo della sentenza della Terza Sezione della Corte di cassazione, non essendo ancora stata depositata la motivazione, ha restituito gli atti – ex art. 172 disp. att. cod. proc. pen. – alla sezione rimettente.
9.  Il 16 giugno 2011 è stata depositata la motivazione della sentenza della Terza Sezione penale; sentenza decisa, come già chiarito, nell’udienza del 3 maggio 2011 (ricorso del solo W.).
La ragione dell’annullamento senza rinvio viene esplicitata nel senso della abnormità del provvedimento del Tribunale del riesame, atteso che esso ha prorogato, secondo quanto si legge in sentenza, un termine perentorio già scaduto.
10.    Con atto depositato il 22 settembre 2011, la difesa di W. ha rinunciato al ricorso già pendente innanzi alla Seconda Sezione.
11.  Con ordinanza del 23 settembre 2011, la Seconda Sezione, preso atto del deposito della motivazione della sentenza della Terza Sezione – con la quale, come premesso, in accoglimento del ricorso di W., è stata annullata senza rinvio l’ordinanza del 18 ottobre 2010 ed è stata disposta la perdita di efficacia della misura cautelare reale, emessa nei confronti del predetto imputato – ha nuovamente rilevato il contrasto giurisprudenziale ed ha, per la seconda volta, rimesso il ricorso alle Sezioni Unite.
12. Con decreto del 22 novembre 2011, il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando, per la trattazione, l’udienza in camera di consiglio del 23 febbraio 2012; in tale udienza, tuttavia, il ricorso non è stato trattato, attesa la adesione dei difensori alla astensione dalle udienze proclamata dalla predetta categoria professionale.
Rinviato a nuovo ruolo, il ricorso è stato rifissato per la odierna udienza, nel corso della quale, esso è stato trattato e discusso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.  La questione rimessa alle Sezioni Unite è la seguente: «se l’omessa trasmissione al tribunale del riesame, nel termine di cinque giorni dall’avviso, di alcuni degli atti posti a fondamento della richiesta di misura cautelare reale ne comporti l’inefficacia sopravvenuta o se, invece, il tribunale possa richiedere all’autorità procedente l’invio degli atti mancanti».
2.  Occorre, tuttavia, affrontare preliminarmente la questione dell’eventuale effetto estensivo che l’accoglimento, da parte della Terza Sezione di questa Corte, della impugnazione proposta nell’interesse di W. Z. contro l’ordinanza “interlocutoria” del 18 ottobre 2010, potrebbe aver spiegato nei confronti degli altri ricorrenti. È infatti evidente che, se l’annullamento senza rinvio disposto dalla Terza Sezione, con la sentenza n. 24163/11, in accoglimento del ricorso del predetto, dovesse estendere la sua efficacia anche agli altri indagati, dovrebbe essere annullata, del pari senza rinvio, anche nei confronti di P., M. e H. G., l’ordinanza “conclusiva (4 novembre 2010) e dovrebbe essere dichiarata la perdita di efficacia del provvedimento ablativo nei confronti di tutti gli indagati, anche non ricorrenti.
L’art. 587 del codice di rito, per quanto attiene alla estensione della impugnazione, prevede che essa debba verificarsi: a) quando più persone abbiano concorso nel medesimo reato e la impugnazione sia proposta da uno solo degli imputati, purché detta impugnazione non sia fondata su motivi esclusivamente personali; b) quando, pur procedendosi per reati diversi, i procedimenti siano stati riuniti, se l’impugnazione proposta da un imputato, non essendo esclusivamente personale, riguardi violazione di legge processuale. Naturalmente, in virtù del disposto del comma 2 dell’art. 61 cod. proc. pen., la disciplina sopra richiamata si estende alla figura dell’indagato.
Tanto premesso, va ricordato che, in tema di misure cautelari reali, la giurisprudenza di queste Sezioni Unite ha ritenuto che l’estensione degli effetti favorevoli della decisione si verifichi a condizione che detta decisione non sia fondata su “motivi personali” dell’impugnante e che il procedimento stesso sia sorto e si sia svolto in modo unitario e cumulativo (Sez. U, sent. n. 34623 del 26/06/2002, Di Donato, Rv. 222261).
Nel caso in esame, non è dubbio che ricorra il carattere della unitarietà. Invero unitariamente è sorto il procedimento a carico di più soggetti, sottoposti a indagine per diversi reati, alcuni di natura associativa (dunque, a concorso necessario: art. 416 cod. pen.), altri contestati in concorso. In danno degli indagati è stato emesso, nell’ambito del predetto procedimento, decreto di sequestro preventivo, avente ad oggetto distinti beni, appartenenti ai diversi indagati.
La procedura innanzi al Tribunale del riesame è stata coltivata da P., da M., da H., da W., da G. e da Z..
Il Collegio cautelare, come anticipato, ha emesso tre ordinanze, due definite “interlocutorie” (18 e 28 ottobre 2010) e una conclusiva (4 novembre 2010). Tutte e tre le ordinanze sono riferibili ai quattro indagati: la terza perché ha deciso sulle istanze di riesame dagli stessi proposte, le prime due perché hanno disposto la acquisizione di atti (relativi a tutti gli indagati), ritenuti necessari ai fini del decidere.
La “solitaria” impugnazione di W. (avverso l’ordinanza del 18 ottobre 2010) non ha determinato la frammentazione del procedimento, che è proseguito unitariamente nei confronti di tutti e quattro i ricorrenti, ma ha comportato la anticipazione di decisione su uno degli aspetti procedurali, che anche P., M. e H. hanno coltivato con il ricorso poi assegnato alla Seconda Sezione penale di questa Corte. Tutti hanno denunziato, sia pure con cadenze diverse, un vizio, oltre che dei singoli provvedimenti cautelari, anche (e preliminarmente) della procedura di riesame, che, per quel che si è detto, si è svolta con caratteristiche di unitarietà.
Non può dunque condividersi l’assunto “suggerito” nell’ordinanza di rimessione del 23 settembre del 2011 della predetta Seconda Sezione, nella parte in cui sostiene che il procedimento si sarebbe svolto con modalità non unitarie, con la conseguenza che non potrebbe farsi luogo alla estensione degli effetti favorevoli, scaturiti dall’accoglimento, da parte della Terza Sezione di questa stessa Corte, del ricorso di W.. Invero, come sopra chiarito, anche a ritenere che il provvedimento di sequestro abbia avuto struttura plurisoggettiva (se tale si deve considerare un provvedimento che ha avuto ad oggetto beni diversi, appartenenti a più persone), nondimeno struttura unitaria ha avuto il procedimento di riesame, nell’ambito del quale, l’ordinanza del 18 ottobre 2010, essendo strettamente attinente allo sviluppo del procedimento stesso, ha riguardato – e non poteva che riguardare – tutti i ricorrenti.
3.   La Terza Sezione di questa Corte ha ritenuto di ravvisare nell’ordinanza “interlocutoria” impugnata da W. Z. un vizio del procedimento cautelare tanto radicale da sfociare, a suo avviso, nell’abnormità, in quanto avrebbe “prorogato un termine perentorio già scaduto, anziché dichiarare l’inefficacia del provvedimento di sequestro” .
Si tratta, evidentemente, di una ritenuta violazione della legge processuale, che non può non incidere sulla posizione di tutti i ricorrenti, comportando, in conseguenza dell’effetto estensivo che essa determina, l’annullamento senza rinvio, per tale ragione, della ordinanza “conclusiva” (4 novembre 2010), impugnata dagli attuali ricorrenti.
Naturalmente, da ciò deriva la perdita di efficacia del decreto di sequestro preventivo nei confronti di tutti gli indagati, anche di coloro (G. X. I. e Z. J. J.) che non hanno proposto ricorso per cassazione.
4.   La questione per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite non può, dunque, in questa sede, essere affrontata.
P.Q.M.
Ritenuto l’effetto estensivo della impugnazione proposta da W. Z. ed accolta dalla sentenza della Corte di cassazione, Sezione Terza, n. 24163/11, annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dichiara la perdita di efficacia del decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma il 5 luglio 2010, anche nei confronti dei non ricorrenti per cassazione.
Così deciso il 29/03/2012.
Il Componente estensore      Maurizio Fumo
Il Presidente                              Ernesto Lupo

 

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