Corte di Cassazione, S.U.P., sentenza 29 luglio 2016, n. 33217

Nell’ipotesi in cui sia stata disposta la sospensione dei termini di custodia cautelare nella fase del giudizio ex art. 304 c.p.p., comma 1, lett. c), durante la pendenza dei termini previsti dall’art. 544 c.p.p., commi 2 e 3, deve farsi riferimento, ai fini della ripresa della decorrenza dei termini di fase, alla scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

S.U.P.

SENTENZA 29 luglio 2016, n.33217

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 11 giugno 2012 il G.i.p. del Tribunale di Napoli applicava a C.F. la misura della custodia cautelare in relazione a plurime fattispecie di estorsione, aggravate L. n. 203 del 1991, ex art. 7. Con successiva ordinanza il G.i.p. applicava all’indagato la ulteriore misura della custodia cautelare in relazione al reato di cui all’art. 416 bis c.p., commi dal 1 al 6, nonchè ad altre fattispecie di estorsione aggravata.
Entrambi i provvedimenti venivano confermati dal Tribunale del riesame.
Con sentenza emessa il 17 settembre 2013 nei due procedimenti riuniti, il G.i.p. dichiarava C. responsabile dei reati ascritti e, previa esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416 bis c.p., comma 6, ed unificazione delle fattispecie criminose sotto il vincolo della continuazione, individuato il reato più grave in quello di cui all’art. 416 bis c.p., lo condannava alla pena complessiva di anni dieci di reclusione.
Nel dispositivo della sentenza il Giudice indicava il termine di settanta giorni per il deposito della motivazione e dichiarava sospesi i termini di durata della custodia cautelare.
Il Giudice, tuttavia, depositava la sentenza il 7 febbraio 2014, diciotto giorni prima della scadenza del termine indicato nel dispositivo (25 febbraio 2014).
Con sentenza emessa il 18 maggio 2015 la Corte di appello di Napoli confermava la condanna del C. per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., e per parte dei reati-satellite e rideterminava la pena inflittagli in anni otto di reclusione ed Euro 2.600 di multa. La Corte fissava, altresì, il termine di novanta giorni per il deposito della motivazione e sospendeva per tutta la sua durata il decorso dei termini di custodia cautelare.
2. Con ordinanza emessa il 16 ottobre 2015, la Corte di appello rigettava l’istanza con la quale i difensori di C. chiedevano che fosse dichiarata la perdita di efficacia della misura custodiale per decorrenza dei termini di custodia cautelare relativi alla fase del giudizio di secondo grado.
La difesa chiedeva che il periodo di sospensione della custodia cautelare fosse calcolato considerando il tempo effettivamente impiegato dal giudice per la redazione della sentenza di primo grado, cosicchè, tenuto conto dell’entità della pena inflitta (dieci anni di reclusione) e degli altri giorni di sospensione della custodia cautelare in relazione al numero delle udienze ed ai rinvii disposti su richiesta delle difese, la custodia cautelare aveva perso efficacia in data 11 maggio 2015. Le argomentazioni difensive si fondavano su quanto affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 27361 del 13/07/2011, Ez Zyane, secondo la quale, in caso di deposito anticipato della sentenza, rispetto al differito termine prefissato, la sospensione dei termini di custodia cautelare sarebbe temporalmente limitata al periodo effettivamente utilizzato per la redazione della motivazione.
3. La Corte di appello, nel rigettare l’istanza del C., richiamava il principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza emessa dalla Sez. 1, n. 22584 del 24/03/2015, De Salve, Rv. 263786, in base alla quale la sospensione disposta per il periodo di redazione della sentenza cessa solo alla scadenza del termine indicato nel dispositivo, restando irrilevante il suo deposito anticipato.
Avverso tale ordinanza la difesa del C. proponeva appello.
4. Con ordinanza emessa il 9 dicembre 2015, il Tribunale accoglieva il gravame e disponeva la scarcerazione del C., se non detenuto per altra causa, per decorrenza dei termini di custodia cautelare in riferimento ad entrambe le ordinanze emesse dal G.i.p. In particolare, il Tribunale riteneva maturato il termine massimo di fase della custodia cautelare, pari ad anni uno, considerando quale dies a quo la data del deposito anticipato della sentenza di primo grado (7 febbraio 2014) e tenendo conto degli altri giorni di sospensione (in tutto 84) maturati durante la celebrazione del processo.
Il Tribunale, nell’affrontare la questione controversa in merito al computo nel periodo di sospensione del termine di durata della custodia cautelare dei giorni intercorrenti tra la data del deposito della sentenza di primo grado (7 febbraio 2014) e la scadenza del termine indicato per il deposito della motivazione (25 febbraio 2014), faceva proprie le argomentazione espresse dalle Sezioni Unite nella citata sentenza Ez Zyane.
5. Avverso tale ordinanza il Pubblico ministero ha proposto ricorso per cassazione deducendo il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 304 c.p.p., comma 1, lett. c).
In particolare, il P.m. ricorrente ha rilevato che l’art. 304, comma 1, lett. c), afferma una precisa ed inequivocabile correlazione tra la sospensione del termine di durata della misura cautelare e il termine indicato dal giudice per il deposito della sentenza, cosicchè è solo dalla scadenza di detto termine che ricominciano a decorrere i termini di fase, essendo del tutto irrilevante l’eventuale deposito anticipato della sentenza.
6. Con memoria depositata il 9 febbraio 2016 la difesa del C. ha chiesto il rigetto del ricorso ovvero la sua rimessione alle Sezioni Unite. In particolare, la difesa ha dedotto che l’art. 304 c.p.p., deve considerarsi come una norma eccezionale e deve essere interpretata in chiave restrittiva e letterale, cosicchè deve escludersi che, una volta depositata la motivazione della sentenza, possa considerarsi pendente alcun termine che giustifichi ulteriormente la sospensione dei termini custodiali.
7. La Sesta Sezione penale, cui è stato assegnato il procedimento, ha evidenziato l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in merito alla rilevanza del deposito anticipato della sentenza rispetto al termine indicato dal giudice sulla sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, e, alla luce di tale contrasto giurisprudenziale, con ordinanza in data 24 febbraio 2016, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite.
8. Con la successiva memoria depositata il 27 aprile 2016 la difesa ha richiamato le argomentazioni già svolte nella precedente memoria e, con riferimento alla tesi sostenuta dalla giurisprudenza prevalente in ordine alla necessaria correlazione tra la decorrenza del termine di fase della custodia cautelare e la decorrenza del termine per l’impugnazione, ha rilevato che proprio il carattere discrezionale dell’ordinanza di sospensione costituisce un sintomo rivelatore dell’assenza di tale automatismo nell’impianto codicistico. Ad ulteriore sostegno delle proprie argomentazioni, la difesa ha richiamato la rado ispiratrice dell’art. 544 c.p.p., comma 3 bis, che, consentendo al giudice di separare i procedimenti ed accordare precedenza alla motivazione della condanna degli imputati in stato di custodia cautelare, è espressione del favor del legislatore nei confronti degli imputati in stato di custodia cautelare.
9. Con memoria depositata in data 16 maggio 2016, la Procura generale presso la Corte di cassazione ha sottolineato l’importanza della decisione, in ordine alla questione controversa, in quanto destinata ad incidere sui tempi di limitazione della libertà personale del custodito, sulla decorrenza dei termini di prescrizione dei reati per i quali si procede, e sulle esigenze dei giudicanti chiamati a motivare decisioni complesse. Proprio questo quadro articolato e connesso di interessi collegati richiama la necessità di una particolare attenzione alla disciplina che emerge dalla lettura delle norme, ed in particolare alla correlazione esistente tra l’art. 304 c.p.p., comma 1, lett. c), e l’art. 544 c.p.p., comma 3, dalla quale si ricava che il termine di deposito, richiamato dall’art. 304 c.p.p., è quello cristallizzato nel dispositivo della sentenza, cui si accompagna la previsione di un limite temporale invalicabile, espressione di una esigenza di garanzia del custodito, sul quale non può gravare una eccessiva dilatazione dei tempi di redazione della sentenza e la parallela sospensione dei termini di custodia cautelare. L’art. 304 c.p.p., e l’art. 544, sono dunque espressione di un delicato equilibrio di sistema che raccorda in modo bilanciato le esigenze e i tempi dei giudicanti e dell’organizzazione giudiziaria nonchè le ragioni dell’imputato sottoposto a misura custodiale. I termini “funzionali” alla redazione della sentenza, cui è agganciata la sospensione dei termini di custodia cautelare, possono essere dunque solo quelli formalmente preventivati nel dispositivo, e non quelli ricavabili da un deposito anticipato della sentenza rispetto al termine prefissato, che rappresenta un evento accidentale, inidoneo ad alterare l’equilibrato e cadenzato regime di sospensione prefigurato dal legislatore, anche in considerazione della disciplina dei termini di impugnazione, prevista dall’art. 585 c.p.p.. Quest’ultima norma, infatti, completa, sotto il profilo sistematico, l’indubbia correlazione esistente tra la disciplina prevista per il tempo di stesura della motivazione, il termine di deposito della sentenza e il decorso dei termini di impugnazione.
10. Con decreto in data 16 marzo 2016 il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione in camera di consiglio l’odierna udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite può essere così enunciata:
“Se, disposta la sospensione dei termini di custodia cautelare nella fase del giudizio ex art. 304 c.p.p., comma 1, lett. c), durante la pendenza dei termini previsti dall’art. 544, commi 2 e 3, debba farsi riferimento, ai fini della ripresa della decorrenza dei termini di fase, alla scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza, ovvero alla diversa, antecedente, data in cui la sentenza sia stata effettivamente depositata”.
2. Il contrasto giurisprudenziale si fonda, da un lato, su un primo indirizzo interpretativo, a lungo univocamente seguito, secondo il quale la sospensione dei termini di custodia cautelare disposta per il periodo di cui all’art. 544 c.p.p., comma 3, indicato come necessario per la stesura della motivazione particolarmente complessa, viene meno solo con il decorso del periodo risultante dal dispositivo, con la conseguenza che è solo da tale momento che i termini custodiali di fase riprendono a decorrere, senza che abbia alcuna incidenza il fatto che il deposito della motivazione sia in concreto avvenuto in un tempo più breve. Il secondo indirizzo, minoritario, ha trovato circostanziata esplicazione nella sentenza delle Sez. U, n. 27361 del 13/07/2011, Ez Zyane, Rv. 249969, in cui è stato affermato che, in caso di deposito anticipato (rispetto al prefissato termine differito) della sentenza, la sospensione dei termini di custodia cautelare sarà temporalmente limitata al periodo effettivamente utilizzato per la redazione della motivazione.
2.1. Il primo orientamento, cui si è richiamato il Pubblico Ministero ricorrente, risulta essere stato affermato da una serie di pronunce giurisprudenziali (Sez. 6, n. 29873 del 29/04/2004, Delle Grottaglie, Rv. 229675; Sez. 4, n. 6695 del 30/11/2004, Mignozzi, Rv. 230947; Sez. 1, n. 26005 del 21/06/2005, Palmisano, Rv. 231870 e Sez. 1, n. 38596 del 30/09/2005, Cuomo, Rv. 232604), che sviluppano sostanzialmente due argomenti a sostegno di questa soluzione ermeneutica. Il primo di essi fa riferimento al tenore letterale dell’art. 304 c.p.p., comma 1, lett. c), secondo il quale i termini previsti dall’art. 303, sono sospesi “nella fase del giudizio, durante la pendenza dei termini previsti dall’art. 544, commi 2 e 3”, con la conseguenza che il riferimento esplicito al termine fissato in relazione al citato art. 544 c.p.p., e non anche al tempo effettivo risultato necessario per la redazione della motivazione, escluderebbe ogni rilevanza di quest’ultimo, anche nell’ipotesi in cui, in concreto, esso sia risultato più breve di quello stabilito all’atto della pronuncia della sentenza. Il secondo argomento ha carattere sistematico, evidenziando come solo questa soluzione assicura il necessario coordinamento con i termini previsti per l’impugnazione, in quanto l’indicazione del termine per il deposito della motivazione della sentenza di primo grado “dà… avvio a una fattispecie procedimentale che, in relazione al tempo indicato a tal fine nel dispositivo e indipendentemente da ulteriori e irrilevanti evenienze, comporta, mediante l’individuazione dello specifico spazio temporale per la celebrazione del giudizio di appello, l’immodificabile decorrenza sia del termine per impugnare che del termine di fase della custodia cautelare” (si veda in particolare, Sez. 1, n. 38596 del 2005, cit.). Pertanto, poichè la sospensione trova la propria ragion d’essere nel fatto che la progressione del procedimento è, di fatto, “bloccata” dalla esistenza di un impedimento, costituito dalla redazione di una motivazione particolarmente complessa, solo la cessazione di detto impedimento, per effetto del decorso del termine all’uopo fissato, ovvero di quello previsto dal legislatore, può consentire il venir meno della sospensione; appare dunque consequenziale concludere che, iniziando a decorrere i termini per l’impugnazione dalla maturazione di quello, esplicitamente o implicitamente, fissato per il deposito all’atto della pubblicazione del dispositivo, con conseguente irrilevanza dell’eventuale deposito anticipato della motivazione, risulta razionalmente giustificato, appunto, che ad essi sia correlata la ripresa del decorso dei termini di fase della custodia cautelare. Da ultimo aderisce a questo orientamento Sez. 1, n. 22584 del 24/03/2015, De Salve, Rv. 263786, riproponendo le medesime argomentazioni, di ordine letterale e sistematico, già svolte da Sez. 1, n. 38596 del 2005, cit., senza confrontarsi con l’impostazione seguita da Sez. U, Ez Zyane, cit., di cui amplius al paragrafo seguente.
2.2. Il secondo indirizzo ermeneutico, enunciato per la prima volta da Sez. 6, n. 47803 del 17/11/2003, Burrafato, Rv. 228445, come obiter, ha trovato poi una circostanziata esplicazione all’interno della sentenza delle Sez. U Ez Zyane, in cui la questione oggi considerata, pur non rappresentando l’oggetto del quesito sottoposto all’esame del Supremo Collegio, espose il principio in base al quale “in caso di deposito anticipato (rispetto al prefissato termine differito) della sentenza, la sospensione dei termini di custodia cautelare sarà temporalmente limitata al periodo effettivamente utilizzato per la redazione della motivazione”. In questo caso la necessità di correlare la sospensione dei termini di custodia cautelare al corretto uso della facoltà di differimento del termine di deposito della sentenza e l’esigenza di contenere quanto più possibile l’incidenza di siffatta facoltà sulla limitazione della libertà personale imporrebbero di ricondurre la sospensione al tempo effettivamente utilizzato per la stesura della motivazione. Ferma restando la rilevanza della indicazione del termine differito di redazione della motivazione della sentenza complessa in funzione della “immodificabile decorrenza… del termine per impugnare” e, quindi, della “individuazione dello specifico spazio temporale per la celebrazione del giudizio di appello… da ciò non può, tuttavia, trarsi la conclusione per la quale siffatta immodificabilità debba valere anche ai fini della sospensione della custodia cautelare, diversi essendo presupposti ed ambito dei due istituti”. Infatti, “da un lato il regime delle impugnazioni esige la certa ed immediata individuazione, sia in punto di iniziale decorrenza, sia in punto di durata, del termine di cui si può avvalere l’impugnante; dall’altro lato le sopra enunciate esigenze di contenimento di ogni limitazione della libertà personale, così da essere la limitazione sempre rispondente ai principi del giusto processo, impongono la soluzione ermeneutica sopra prospettata”.
Successivamente alla pronuncia delle Sezioni Unite, hanno ribadito il principio Sez. 6, n. 1186 del 08/03/2012, Scarcia, Rv. 252176 e Sez. 6, n. 31353 del 11/06/2015, non mass. 3. La risposta al quesito comporta la necessità di analizzare preliminarmente la giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di sospensione dei termini di custodia cautelare.
3.1. La Corte costituzionale è stata più volte investita della questione di legittimità costituzionale in relazione all’art. 304 c.p.p., soprattutto con riferimento ai commi concernenti il calcolo dei termini di custodia cautelare, ma ha ritenuto inammissibili la maggior parte delle questioni prospettate. Dall’analisi delle pronunce della Corte è possibile, tuttavia, ricavare una serie di canoni ermeneutici utili per la soluzione della questione oggetto del ricorso.
In particolare, il Giudice delle leggi ha evidenziato che: a) le norme che consentono di limitare la libertà personale devono essere interpretate in modo rigorosamente restrittivo secondo il quale ogni limitazione dei diritti inviolabili dell’uomo, primo tra tutti quello alla libertà personale, ha carattere derogatorio ad una regola generale e presenta natura eccezionale; pertanto, le norme suscettibili di incidere su tali diritti non possono essere applicate per analogia e vanno interpretate in modo rigorosamente restrittivo; e, con particolare riferimento all’art. 304 c.p.p., la Corte ha ravvisato nel normale decorso dei termini di custodia cautelare la regola generale e, invece, nella sospensione dei termini stessi, una norma di carattere eccezionale, giacchè consente di prolungare la limitazione della libertà personale che la custodia cautelare comporta; b) nell’attività ermeneutica occorre adottare la soluzione che imponga il minor sacrificio possibile della libertà personale (v. Corte cost., ord. n. 529 del 2000 e sent. n. 64 del 1970); c) i canoni di adeguatezza e di proporzionalità devono essere rispettati sia nell’applicazione della misura custodiale che con riferimento alla sua durata (sent. n. 299 del 2005); d) la durata della custodia cautelare deve dipendere da fatti obiettivi, in modo da essere coerente con i principi di uguaglianza e ragionevolezza, e non da imponderabili valutazioni soggettive degli organi titolari del potere cautelare (sent. n. 408 del 2005 e n. 233 del 2011).
3.2. Proporzionalità e ragionevolezza, dunque, sono i principi alla base del criterio ermeneutico secondo cui, in ossequio al favor libertatis che ispira l’art. 13 Cost., deve comunque essere scelta la soluzione che comporta il minor sacrificio della libertà personale, nell’ottica di un costante bilanciamento tra i contrapposti interessi meritevoli di tutela: la libertà personale, da un lato, e le finalità del processo e di tutela della collettività, dall’altro (v. Corte cost., n. 299 del 2005, cit.).
D’altra parte, “contrasterebbe con il giusto equilibrio tra le esigenze del processo e la tutela della libertà una disciplina della detenzione cautelare priva di limiti di durata ragguagliati, da un lato, alla pena prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza e, dall’altro, alla concreta dinamica del processo e alle diverse fasi in cui esso si articola. Unitamente al principio di adeguatezza, il criterio di proporzionalità tra la gravità della pena prevista per il reato e la durata della custodia lungo l’intero corso del procedimento ispira l’esigenza di assicurare un ragionevole limite di durata della custodia cautelare in relazione alla sua durata complessiva e alle singole fasi del processo”.
Ad avviso della Corte costituzionale, dunque, processo e fatto di reato sono i termini inscindibili del binomio in relazione ai quali può valutarsi se la durata della limitazione della libertà personale possa considerarsi proporzionata e ragionevole.
4. Ciò premesso, la questione centrale che contrappone i due orientamenti giurisprudenziali riguarda la incidenza del deposito anticipato della sentenza rispetto al termine legale o autodeterminato dal giudice sulla ripresa del decorso dei termini di custodia cautelare, di cui sia stata ordinata la sospensione. Orbene, l’indicazione da parte del giudice del termine c.d. “lungo” per il deposito della motivazione, allo stesso modo della scelta di avvalersi del temine legale, avvia una fattispecie procedimentale all’interno della quale si inseriscono, oltre al provvedimento di sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, la sospensione del corso della prescrizione (quale effetto automatico del provvedimento sospensivo) e la previsione di un più ampio termine per l’impugnazione della sentenza, che tende ad assicurare un bilanciamento tra il potere dispositivo del giudice in merito al diverso termine per la redazione della sentenza e l’esigenza delle parti di fruire di un tempo più ampio per poter predisporre adeguati motivi di impugnazione. Si produce, pertanto, una stasi del procedimento, la cui progressione è bloccata dalla necessità che venga ultimata la stesura della motivazione. In questo modo, l’arco temporale caratterizzato dalla sospensione dei termini della custodia cautelare consente di tutelare le esigenze cautelari per il tempo prestabilito per il deposito della motivazione.
Dalla pronuncia della sentenza, infatti, inizia a decorrere il termine di custodia cautelare relativo alla fase successiva che, in assenza del provvedimento sospensivo, comprenderebbe il tempo impiegato per la redazione della motivazione, incidendo inevitabilmente sullo spazio temporale a disposizione del giudice dell’impugnazione per la celebrazione del processo e la pronuncia della sentenza prima della scadenza del termine di fase.
Questo delicato equilibrio, tra le esigenze e i tempi propri del giudice e dell’organizzazione giudiziaria nel suo complesso e le ragioni dell’imputato sottoposto a misura custodiale, è stato rigorosamente fissato dal legislatore per evitare che la sospensione possa determinare una protrazione eccessiva, al di là di ogni limite di ragionevolezza, della durata della custodia cautelare; così il periodo di sospensione non può superare il termine di deposito fissato dal giudice nel dispositivo e comunque non deve andare oltre i 90 giorni, salvo casi particolari che non riguardano la fattispecie in esame. Dalla scadenza della sospensione dei termini di durata della custodia cautelare inizierà a decorrere il termine della fase successiva e riprenderà a decorrere anche il corso della prescrizione.
4.1 All’interno di questo quadro attentamente compensato nelle sue corrispondenze temporali, può inserirsi, come nel caso di specie, un elemento distonico rispetto alla configurazione data, rappresentato dal deposito anticipato della motivazione della sentenza rispetto al termine preventivamente fissato dal giudice nel dispositivo o comunque previsto dal legislatore. Questo elemento accidentale, eventuale ed incerto, sarebbe in grado, secondo l’arresto delle Sez. U Ez Zyane, cit., di alterare la correlazione tra il termine di sospensione della custodia cautelare, e della prescrizione, rispetto all’originario termine formalmente indicato in origine dal giudice nel dispositivo per la redazione della sentenza e quello effettivamente poi utilizzato per il deposito della stessa; la necessità di ridurre l’incidenza della sospensione sulla libertà dell’imputato in stato di custodia cautelare deriverebbe appunto dall’esigenza di contenere quanto più possibile gli effetti della facoltà di differimento del termine di deposito della motivazione sulla limitazione della libertà personale. La sospensione dei termini di durata della custodia cautelare non potrebbe superare le reali e concrete esigenze richiamate dall’art. 544 c.p.p., comma 3, cosicchè, una volta che le stesse siano state soddisfatte con il deposito, anche anticipato, della sentenza, dovrebbe considerarsi cessata la sospensione con conseguente ripresa dei termini di fase. A sostegno di tale interpretazione si aggiunge che la diversità, sia dei presupposti che dell’ambito applicativo, dei due istituti della sospensione dei termini di durata della custodia cautelare e dei termini per l’impugnazione, renderebbe ingiustificata l’asserita necessità di una loro correlazione. Infatti, mentre la disciplina delle impugnazioni esige che siano individuati con certezza sia la decorrenza che la durata del termine per impugnare, al contrario la disciplina della sospensione dei termini della custodia cautelare impone di contenere le limitazioni della libertà personale in modo che le stesse siano sempre conformi ai principi del giusto processo (v. Sez. 1, n. 11626 del 19/02/2016, Cereneci, Rv. 266346), in un’ottica ispirata al principio del favor rei.
5. Ad avviso della Corte, questa interpretazione merita un ulteriore vaglio critico.
5.1. Le argomentazioni che portano a ritenere ininfluente il deposito anticipato della motivazione della sentenza, rispetto al termine previsto, sulla sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, si basano su argomentazioni di ordine letterale, sistematico, e di armonizzata applicazione dei principi costituzionali.
5.2. La prima valutazione consegue dal tenore letterale dell’art. 304 c.p.p., il quale stabilisce che i termini previsti dall’art. 303, sono sospesi “nella fase del giudizio, durante la pendenza dei termini previsti dall’art. 544, commi 2 e 3”. La norma, dunque, introduce una stretta correlazione tra il periodo di sospensione e la pendenza del termine per la redazione della sentenza, stabilendo ex ante la durata della prima in relazione al tempo stabilito dalla legge o indicato dal giudice nel dispositivo letto in udienza. Nessun rilievo viene, dunque, assegnato al più breve tempo effettivamente impiegato dal giudice per la redazione della motivazione, che potrebbe essere espressione di un’errata valutazione in merito alla complessità della motivazione ovvero di un atteggiamento di prudenza del giudice, e ciò per gli oneri che un eventuale ritardo comporta sia per la cancelleria che sul piano disciplinare.
5.3. La seconda argomentazione, di carattere sistematico, attiene all’esigenza di correlare la sospensione dei termini di custodia cautelare, e la relativa disciplina, al più lungo termine per l’impugnazione, con riferimento alla sua decorrenza. In questo caso non appare corretto ritenere che la fattispecie procedimentale avviata con l’indicazione del termine per il deposito della sentenza possa essere condizionata da fattori accidentali come il deposito anticipato della stessa, proprio perchè, all’individuazione dello specifico spazio-temporale per la celebrazione del giudizio di appello, è collegata l’immodificabile decorrenza del termine per impugnare. D’altra parte, proprio per la correlazione funzionale con lo stesso termine di fase della custodia cautelare, il deposito anticipato della motivazione non può determinare, in assenza di una esplicita previsione normativa, una revoca delle precedente valutazione di complessità; nè una modifica di tale valutazione potrebbe essere collegata al termine più breve impiegato per la redazione della sentenza (Sez. 6, n. 13447 del 12/02/2014, Battistelli, Rv. 259455). Tra l’altro la giurisprudenza è assolutamente prevalente nel ritenere che ogni eventuale notifica precedente la scadenza del termine indicato nel dispositivo è inefficace a determinare autonomamente una decorrenza del termine per l’impugnazione diversa e anticipata rispetto a quella indicata nel dispositivo medesimo (Sez. 5, n. 8942 del 1995; Sez. 4, n. 3250 del 1997; Sez. 1, n. 6381 del 2000; Sez. 3, n. 2070 del 2000; Sez. 5, n. 19519 del 2007; Sez. 6, n. 14356 del 2009). Una diversa conclusione sarebbe distonica rispetto alla disciplina logico-sistematica delle impugnazioni e porterebbe a comprimere in modo ingiustificato i diritti della difesa, alla cui tutela, invece, è destinata la previsione dell’art. 548 c.p.p., comma 3.
Ciò che va evidenziato, in questo sistema complesso organizzato dal legislatore, fondato sul ruolo centrale dell’art. 544 c.p.p., attraverso la previsione della biunivoca corrispondenza tra il termine definito per il deposito e la corrispondente sospensione della durata della custodia cautelare, da un lato, e l’individuazione della decorrenza del termine per impugnare, dall’altro, è la circostanza che l’indicazione di un maggior termine per il deposito non deriva da un mero esercizio discrezionale del potere del giudice, ma è ancorata, di fatto, alla sussistenza di specifici requisiti (art. 544 c.p.p., comma 3, ma anche comma 3-bis, e art. 154 disp. att. c.p.p., comma 4 bis), il cui elemento unificante è quello di costituire ragioni che non consentono l’osservanza del termine generale di quindici giorni. In questo quadro, cristallizzato formalmente per via legislativa ex ante nei suoi sviluppi processuali futuri, il deposito anticipato della motivazione, seppure collegato, ma solo ex post, ad una erronea valutazione prognostica, sotto il profilo temporale, da parte del giudice, non può assumere l’idoneità giuridica di una manifestazione di volontà di revoca della precedente valutazione di complessità nè, in assenza di una puntuale previsione normativa, può determinare gli effetti riconducibili all’adozione di un provvedimento di revoca della precedente statuizione.
5.4. Se questa è la ricostruzione generale del microsistema de quo (valida ed efficace pertanto per ogni imputato, presente o assente al momento della deliberazione), in base al combinato disposto dell’art. 544 c.p.p., art. 548 c.p.p., comma 3, e art. 585 c.p.p., comma 1, coerentemente è stato previsto, a tutela del diritto difesa, con riferimento all’esercizio delle modalità dell’impugnazione, un termine complessivo dato dalla somma di quello generale o indicato dal giudice, sintomatico della valutata sussistenza di complessità, e di quello scelto dal legislatore, con quantificazione automatica corrispondente ai vari casi, efficace per gli imputati presenti o assenti al momento della deliberazione. Modalità che “in ogni caso”, anche nella versione del novellato art. 548 c.p.p., comma 3, deve essere seguita e dalla cui conforme ottemperanza soltanto decorre il termine per impugnare.
5.5. Tale conclusione trova conferma nella diversità dei presupposti considerati dal legislatore quando ha inteso valorizzare il tempo effettivamente impiegato per il compimento di un atto processuale specifico, caratterizzati dal dovere di realizzazione, con il conseguente diretto contenimento del periodo di sospensione, sia della durata della custodia cautelare che della prescrizione. In questo caso la volontà di allineare il tempo concretamente necessario per lo specifico adempimento processuale è stata collegata ad una peculiare disciplina legislativa, singolarmente puntuale nell’adeguamento della sua ampiezza temporale alla concreta dinamica del processo. Il riferimento va al diverso istituto della proroga dei termini di durata della custodia cautelare in relazione al tempo assegnato al perito per “l’espletamento” della perizia sullo stato di mente dell’imputato (art. 305 c.p.p., comma 1), in cui il termine finale della proroga è stato individuato con riferimento alla data del deposito della perizia; in questo modo è stato valorizzato il momento dell’effettivo adempimento dell’atto istruttorio peritale, condizionato dal rispetto della prognosi temporale effettuata ex ante dal giudice, a prescindere dai condizionamenti potenzialmente riconducibili alle parti, all’ausiliario del giudice, o da scelte di carattere organizzativo e gestionale che attengono alla successiva fase della fissazione dell’udienza per l’esame del perito nel contraddittorio delle parti. In tal caso vi è da parte del legislatore una attribuzione al giudice del governo dei tempi processuali, in grado di contenere, con la opportuna flessibilità, il prolungamento dei termini di custodia cautelare conseguente alla proroga concessa sino all’effettivo soddisfacimento delle esigenze connesse all’accertamento peritale.
Diversa e ugualmente coerente sotto il profilo della ragionevolezza e della compatibilità costituzionale è stata l’opzione operata dal legislatore che, per la questione in esame, ha pedissequamente configurato il descritto microsistema con riferimento all’individuazione del termine di deposito della sentenza, atto del giudice, in cui appunto sono collegate insieme, con riferimento alla loro decorrenza la sospensione dei termini di custodia cautelare e della prescrizione, da un lato, e la disciplina relativa al più lungo termine per l’impugnazione come espressione concreta della tutela del diritto di difesa.
6. D’altra parte, anche secondo la giurisprudenza della Corte EDU le garanzie riconosciute al soggetto colpito da un provvedimento restrittivo mirano ad assicurare la protezione dell’individuo dal pericolo di detenzioni arbitrarie ovvero da limitazioni della libertà personale al di fuori dei casi e dei modi espressamente previsti dalla legge. La Convenzione EDU giustifica interferenze sulla libertà personale a condizione che le preveda un’espressa indicazione normativa, quale corollario di un chiaro bilanciamento di interessi contrapposti, il cui obiettivo è il conseguimento di finalità ritenute prioritarie, che possono variare anche in relazione al progredire del procedimento penale (v. Corte EDU, 15/03/2011, Begu c. Romania). Una volta intervenuta la pronuncia giudiziale di condanna, anche non definitiva, la garanzia dell’intervento del giudice può considerarsi attuata, mentre risulta attenuata, in considerazione dell’avvenuta affermazione di colpevolezza, la presunzione di innocenza dell’imputato riconosciuta dal comma 2 dell’art. 6. L’ulteriore periodo di detenzione subirà, dunque, nella sua valutazione, l’incidenza della possibile violazione dell’art. 6 della Convenzione sotto il profilo della ragionevole durata del processo ovvero della violazione degli altri diritti riconosciuti dalla Convenzione.
Per determinare la “regolarità” della detenzione, la Convenzione EDU rinvia alla legislazione interna con la previsione dell’obbligo di osservare sia le norme di merito che di procedura. Tuttavia, se è vero che non è possibile considerare che il rispetto dei termini previsti dal diritto interno comporti automaticamente la compatibilità della detenzione con le esigenze che derivano dall’art. 5, par. 1, lett. t), della Convenzione, deve ritenersi escluso che, nel caso in esame, la detenzione subita dal ricorrente abbia perseguito uno scopo diverso rispetto a quello per cui è stata imposta e non sia stata conforme allo scopo di proteggere il soggetto dall’arbitrio, avendo tra i suoi obiettivi anche la tutela del diritto di difesa in sede di impugnazione, all’interno di un periodo di carcerazione preventiva limitato nel tempo (v. Corte EDU, 13/01/2015, Rimischi c. Repubblica di Moldavia).
Emerge, con riferimento al caso concreto, la coerente adesione della scelta del legislatore anche ai parametri della Convenzione EDU, sotto il profilo della configurazione ragionevole del termine di durata della custodia cautelare in rapporto alle particolarità del caso concreto, di fronte alla reale esigenza di interesse pubblico che ha giustificato una disciplina specifica per il corretto bilanciamento di interessi contrapposti (v. Corte EDU 10/02/2011, Kharchenko c. Ucraina; 04/05/2006, Michta c. Polonia; 06/04/2000, Labita c. Italia; 26/01/1993, W. C. Svizzera).
In definitiva, anche il modello della Convenzione appare connotato da flessibilità nella valutazione della ragionevole durata della custodia cautelare, in cui rilevano una pluralità di fattori, tra i quali, oltre quello attinente alla durata nel tempo della limitazione della libertà personale, anche quello della complessità della causa, in fatto e in diritto, cui può essere ricondotta la protrazione della custodia cautelare nel periodo compreso tra il deposito anticipato della sentenza di condanna e la scadenza del termine prefissato, secondo la disciplina fissata dal legislatore italiano.
7. Deve essere dunque enunciato il seguente principio di diritto:
“Nell’ipotesi in cui sia stata disposta la sospensione dei termini di custodia cautelare nella fase del giudizio ex art. 304 c.p.p., comma 1, lett. c), durante la pendenza dei termini previsti dall’art. 544 c.p.p., commi 2 e 3, deve farsi riferimento, ai fini della ripresa della decorrenza dei termini di fase, alla scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza”.
8. Alla luce delle suesposte considerazioni, in accoglimento del ricorso del Pubblico Ministero, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Napoli, sezione per il riesame delle misure coercitive.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Napoli, sezione per il riesame delle misure coercitive.
Così deciso in Roma, il 25 maggio 2016.
Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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