Corte di Cassazione, sezione I penale, sentenza 25 maggio 2017, n. 26336

Esclusa la natura necessariamente abituale del reato di cui all’art. 660 c.p., se ne afferma la realizzabilità anche con una unica azione di disturbo o di molestia, sempreché ispirata da biasimevole motivo o laddove il contegno attivo sia pressante e indiscreto, petulante, in sostanza idoneo ad interferire fastidiosamente nella sfera della vita privata della vittima

Suprema Corte di Cassazione

sezione I penale

sentenza 25 maggio 2017, n. 26336

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOVIK Adet Toni – Presidente

Dott. TARDIO Angela – Consigliere

Dott. SIANI Vincenzo – rel. Consigliere

Dott. APRILE Stefano – Consigliere

Dott. MAGI Raffaello – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 838/2013 TRIBUNALE di POTENZA, del 11/03/2016;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/02/2017 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO SIANI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. LOY FRANCESCA, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso, con l’emissione di tutte le statuizioni consequenziali.

Udito il difensore avv. (OMISSIS), la quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, emessa in data 11 marzo – 31 maggio 2016, il Tribunale di Potenza giudicando (OMISSIS) – imputato dei reati di cui all’articolo 81, comma 1, articoli 660 e 635 c.p., poiche’, suonando insistentemente al campanello dell’abitazione di (OMISSIS) in (OMISSIS) e lesionando alcuni vasi contenenti dei fiori posizionati sul relativo pianerottolo, li rendeva inservibili e recava molestia e disturbo alla (OMISSIS) stessa, fino al (OMISSIS) – ha assolto l’imputato dal delitto di cui all’articolo 635 c.p., comma 1, per non essere il fatto piu’ previsto dalla legge come reato, ed ha dichiarato il (OMISSIS) colpevole del reato di cui all’articolo 660 c.p. condannandolo alla pena di Euro 300,00 di ammenda, al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento dei danni in favore della (OMISSIS), costituitasi parte civile, liquidati in Euro 500,00, oltre alla rifusione delle spese di costituzione della stessa parte civile.

2. Il Tribunale ha analizzato le prove acquisite, fra le quali quelle testimoniali rese dalla stessa (OMISSIS), la quale nel corso della deposizione aveva rammentato anche l’individuazione di persona effettuata in Questura ed esitata nel riconoscimento del (OMISSIS) da parte sua, nonche’ dall’assistente di polizia giudiziaria (OMISSIS), oltre a quella della madre dell’imputato, (OMISSIS). Indi ha ritenuto le suddette prove – con primario riferimento alle prime due fonti, ivi incluso il riconoscimento fotografico confermato in dibattimento dalla persona offesa con riguardo al (OMISSIS) – del tutto adeguate a fornire la prova piena sia dell’elemento oggettivo e sia dell’elemento soggettivo, a struttura dolosa, del reato di molestie commesso dall’imputato in danno della (OMISSIS), attraverso il reiterato ed abusivo impiego disturbante del campanello della vittima, oltre che con la rottura di diversi vasi per i fiori, pervenendo peraltro all’approdo che il reato di danneggiamento, qualificato con riferimento all’ipotesi regolata dal primo comma dell’articolo 635 c.p., era depenalizzato, recte abrogato, ex Decreto Legislativo n. 7 del 2016, articolo 2. In connessione con la condanna per il reato contravvenzionale il Tribunale ha accolto per quanto di ragione la domanda risarcitoria formulata dalla (OMISSIS), parte civile.

3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore del (OMISSIS) chiedendo l’annullamento della decisione e affidando l’impugnazione ad unico motivo, articolato in piu’ punti, con cui sono lamentati violazione della legge penale, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), e vizio di motivazione, per palese illogicita’ e travisamento della prova, in ragione dell’avvenuta obliterazione di elementi essenziali.

In particolare, il ricorrente ha evidenziato che: 1) il Tribunale non aveva effettuato alcun vaglio critico delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e nemmeno si era adoperato per dar conto dei criteri adottati nella complessiva valutazione delle prove che sembrava, pertanto, non aver effettuato, limitandosi a riportare integralmente stralci dei verbali, senza far comprendere il percorso logico seguito per pervenire alla decisione; 2) non aveva operato alcun tipo di valutazione inerente agli elementi costitutivi del reato di cui all’articolo 660 c.p., in quanto aveva ritenuto che la persona offesa fosse stata, a causa del fatto, colta da uno stato di malessere e disagio, senza riflettere che la stessa, se veramente avesse patito un siffatto malessere, avrebbe provveduto a disattivare senza indugio il citofono ed avrebbe indicato i testimoni che vi avevano assistito, visto che essi, secondo la sua testimonianza, esistevano, ed avrebbe esibito in giudizio le ricevute delle spese addotte come sostenute per la sua sicurezza; 3) aveva omesso di valutare l’evenienza del presupposto della pubblicita’ del luogo richiesto dall’articolo 660 c.p., laddove tale luogo era il pianerottolo della casa della (OMISSIS), in relazione a cui era da pervenire alla conclusione negativa; 4) aveva errato nel ritenere sussistente il presupposto delle connotazioni di petulanza e biasimevole disturbo che le dedotte molestie avrebbero dovuto assumere, trincerandosi dietro l’assunto che tale reato non era necessariamente abituale, ma trascurando come in giurisprudenza si fosse chiarito che esso esigeva la pluralita’ delle azioni di disturbo tale da determinare un mutamento di vita nell’offeso, mentre il suono del campanello citofonico in questione era avvenuto in orario tranquillo, ossia all’ora di pranzo; 5) non aveva considerato che il reato di cui all’articolo 660 c.p. esigeva l’elemento psicologico del dolo, cosi’ che la motivazione fornita sul punto non era stata affatto puntuale e risultava sfornita di riferimenti ad elementi specifici; 6) aveva contraddittoriamente negato al ricorrente i benefici di legge reputandolo non meritevole nonostante l’incensuratezza e poi aveva irrogato la pena pecuniaria operando una positiva ricognizione degli elementi di cui all’articolo 133 c.p.; 7) aveva affermato che la (OMISSIS) aveva proceduto al sicuro riconoscimento dell’imputato, laddove le versioni sul come nel corso delle indagini fosse avvenuto tale riconoscimento, con riferimento alle dichiarazioni dello stesso imputato, del (OMISSIS) e della (OMISSIS), erano fra loro contrastanti, avendo negato la persona offesa, in contrasto con il (OMISSIS), di aver riconosciuto il (OMISSIS) esaminando tre persone contemporaneamente; d’altro canto, il Tribunale non aveva tenuto conto del fatto che la (OMISSIS) aveva riferito di avere osservato l’imputato attraverso lo spioncino della porta, sicche’ tale visione alterava notevolmente le caratteristiche della persona vista; 8) sempre con riferimento alla valutazione delle prove il Tribunale aveva errato nella svalutazione della testimonianza della madre dell’imputato, per nulla generici- essendo invece i riferimenti desumibili da essa, dimostrativi del fatto che nel giorno in cui si sarebbero verificate le molestie il figlio era restato in casa.

4. Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ dell’impugnazione, non avendo la stessa addotto apprezzabili e non manifestamente infondati motivi di critica avverso la sentenza di merito.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Si ritiene opportuno premettere che si riscontra l’ammissibilita’ dell’impugnazione, correttamente articolata con ricorso per cassazione diretto, ex articolo 593 c.p.p., comma 3, senza che la presenza della parte civile, con l’esigenza delle correlative statuizioni, possa considerarsi elemento idoneo a mutare il corso processuale cosi’ stabilito (v. gia’ Sez. 3, n. 27366 del 23/05/2001, Feletto, Rv. 219985, per la puntualizzazione che le sentenze di condanna con le quali sia stata irrogata la sola pena dell’ammenda restano inappellabili, ex articolo 593 c.p.p., comma 3, anche nell’ipotesi in cui contengano anche la condanna dell’imputato o del responsabile civile al risarcimento dei danni in favore della parte civile, senza che cio’ dia luogo ad alcun fondato sospetto di illegittimita’ costituzionale della norma anzidetta, rispetto ai principio di uguaglianza ed al diritto di difesa di cui agli articoli 3 e 24 Cost.).

2. La Corte ritiene poi che il ricorso non sia fondato e vada quindi rigettato.

2.1. Con riferimento a quattro delle censure che hanno composto il motivo di impugnazione, specificamente quelle sopra identificate con i nn. 1 (mancato vaglio critico delle dichiarazioni della persona offesa), 2 (omessa considerazione dei profili strutturali del contestato reato in rapporto all’addotto stato di malessere provocato nella (OMISSIS)), 7 (omessa valutazione critica dei limiti insiti nel riconoscimento dell’imputato compiuto dalla persona offesa) e 8 (inadeguata considerazione della valenza probatoria della testimonianza della (OMISSIS), madre del (OMISSIS), che aveva riferito anche circa la sua presenza in casa all’atto del compimento della condotta oggetto di imputazione), si osserva che esse si risolvono in critiche sull’apprezzamento di fatto compiuto dal giudice di merito, il quale ha invece analizzato il quadro probatorio prendendo in esame le prove reputate motivatamente rilevanti ai fini del decidere ed ha, in particolare, partitamente analizzato, riportandone interi brani, le deposizioni della (OMISSIS), persona offesa costituita parte civile, e del (OMISSIS), inquirente che ha condotto gli accertamenti di polizia giudiziaria.

La Corte considera che, nell’effettuare tale disamina critica e nel selezionare gli elementi probatori determinanti ai fini dell’accertamento del fatto, il Tribunale abbia operato una valutazione conforme alle norme dettate in tema di valutazione della prova, sicuramente sufficiente, non manifestamente illogica, ne’ contraddittoria del compendio probatorio ed abbia, in particolare, sottoposto a vaglio adeguato la testimonianza della (OMISSIS) concludendo in modo argomentato per la sussistenza della sua credibilita’ ed attendibilita’.

Va ribadito, sul punto, che alle dichiarazioni della persona offesa non si applicano le regole dettate dall’articolo 192 c.p.p., comma 3, per cui esse, previa corrispondente verifica, possono essere legittimamente poste, anche da sole, senza la necessita’ di riscontri estrinseci, a fondamento dell’affermazione di penale responsabilita’ dell’imputato (v, fra le altre, Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Manzini, Rv. 265104), fermo restando che le stesse vanno dal giudice di merito sottoposte ad adeguata verifica – sorretta da idonea motivazione – della credibilita’ soggettiva del dichiarante e dell’attendibilita’ intrinseca del suo racconto, verifica che deve essere in questa ipotesi piu’ penetrante e rigorosa rispetto a quella riguardante le dichiarazioni di testimoni non portatori dello specifico interesse che connota la sfera della parte civile.

Nell’operazione di verifica il giudice di merito e’ tenuto, quindi, ad indicare gli elementi processuali che ha ritenuto determinanti per la formazione del suo convincimento, in modo da permettere l’emersione del percorso logico-giuridico compiuto per pervenire all’approdo conclusivo e da fornire una ricostruzione dei fatti influenti per la decisione tale da confutare esaurientemente, per esplicito od anche per implicito, le tesi eventualmente addotte dall’imputato v. Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014, dep. 2015, Pirajno, Rv. 261730).

Proprio in ragione del carattere specifico e rigoroso di tale verifica, si evidenzia che, ove si tratti di ponderare la valenza probatoria delle dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile e le emergenze processuali lo consentano, puo’ essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (v. Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214).

Orbene, il giudice di merito ha rispettato i principi sopra enunciati scrutinando con accuratezza la deposizione della (OMISSIS), anche nella parte in cui ella aveva dato atto della sindrome patologica provocatale dalla condotta antigiuridica messa in essere dal (OMISSIS), ed, in relazione ad essa, ha enucleato i riscontri alla sua ricostruzione del fatto forniti dal teste qualificato (OMISSIS), facendo emergere un ulteriore elemento di ordine logico relativo al fatto che la persona offesa non conosceva in precedenza il (OMISSIS), non avendolo visto in contesti specifici, e tuttavia lo ha riconosciuto quale autore delle condotte moleste integrate, sia con riferimento all’insistito ed abusivo impiego del campanello dell’abitazione ed alla susseguente frantumazione sul pianerottolo di tre o quattro vasi di fiori appartenenti alla (OMISSIS) avvenuti il (OMISSIS).

La testimonianza del (OMISSIS) e’ stata considerata dal Tribunale in modo congruo ed incensurabile anche per chiarire le modalita’ dell’identificazione del (OMISSIS) compiuta dalla persona offesa nel corso delle indagini di polizia giudiziaria, identificazione confermata in dibattimento con assoluta certezza dalla testimone.

Del pari dalla sentenza impugnata risulta adeguatamente considerata, ma reputata generica e minusvalente – come tale inidonea a neutralizzare le prove a carico del (OMISSIS) – la testimonianza della (OMISSIS), madre dell’imputato.

In definitiva, le questioni valutative del quadro probatorio sollevate dal ricorrente risultano aver formato oggetto di esaustiva e non contraddittoria motivazione da parte del giudice di merito, sicche’ non giova alla fondatezza dell’impugnazione la sostanziale contrapposizione da parte del (OMISSIS) agli esiti tratti dal Tribunale dall’analisi di quel quadro probatorio di interpretazioni di segno diverso che, di per se’, non possono destituire di fondata e coerente plausibilita’ quella motivatamente privilegiata dal Tribunale.

2.2. Circa, poi, la censura, sopra riportata sub 3, inerente al fatto che il Tribunale avrebbe omesso di valutare, per escluderlo, il presupposto della pubblicita’ del luogo richiesto dall’articolo 660 c.p., tale non potendo qualificarsi il pianerottolo della casa della (OMISSIS), premesso il rilievo che fra le molestie oggetto di contestazione e di accertamento si annovera l’uso insistente del campanello del portoncino di casa della persona offesa, e’ da opporre che anche la rottura dei vasi si e’ di certo collocata nelle parte esterna rispetto all’abitazione della persona offesa, qual e’ il pianerottolo annesso alla scala condominiale, sito al di fuori dello spazio inerente alla sua privata abitazione, essendo assodato che ella non ha aperto la porta di casa al pervicace e molesto disturbatore.

E si deve sul punto riaffermare che, ai fini della configurabilita’ del reato di molestia o disturbo alle persone, si intende aperto al pubblico il luogo a cui ciascuno puo’ accedere in determinati momenti, ovvero il luogo al quale puo’ accedere una categoria di persone che abbia determinati requisiti, per cui devono essere considerati luoghi aperti al pubblico l’androne di un palazzo e la scala comune a piu’ abitazioni (v. sul punto Sez. 1, n. 28853 del 16/06/2009, Leonini, Rv. 244301; cfr. gia’ Sez. 6, n. 9888 del 06/06/1975, Tona, Rv. 131021): situazione di fatto del tutto corrispondente ai luoghi presi in esame dalla sentenza impugnata.

2.3. Quanto alla censura (sub 4) inerente alla mancata considerazione del carattere ordinariamente abituale della condotta oggetto dell’articolo 660 c.p. e, nel caso di non abitualita’, della necessita’ che la pluralita’ delle azioni di disturbo sia tale da determinare un mutamento di vita nell’offeso, laddove il suono del campanello citofonico in questione era avvenuto in orario tranquillo, essa non puo’ essere ammissibilmente delibata quanto al suo profilo di fatto e si appalesa infondata quanto al suo profilo di diritto.

In ordine all’inquadramento della fattispecie, e’ da osservare che il reato di molestia di cui all’articolo 660 c.p. non e’ necessariamente abituale, per cui puo’ essere realizzato anche con una sola azione di disturbo o di molestia, purche’ essa sia ispirata da biasimevole motivo, oppure abbia in se’ il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri (v. gia’ Sez. 1, n. 3758 del 07/11/2013, dep. 2014, Moresco, Rv. 258260; Sez. 6, n. 43439 del 23/11/2010, N., Rv. 248982).

In linea con l’affermazione di tale principio si e’ avuto modo, in epoca recente, di specificare condivisibilmente che per inferire il carattere molesto o petulante della condotta non abituale (con particolare riferimento a quella costituita dalla telefonata importuna) resta imprescindibile un esame della concreta vicenda in cui la stessa si colloca, non potendo certamente essere la mera opinione del destinatario della stessa a rivestirla di illiceita’ (cfr. Sez. 1 n. 26310 del 20/04/2016, Iamundo, n. m.).

Cio’ assodato in diritto, quanto poi alla valutazione di merito compiuta dal Tribunale, essa – contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente – ha esaminato in modo esaustivo la condotta tenuta dall’imputato che si e’ configurata come oggettivamente idonea ad arrecare molestia e disturbo alla persona offesa, ponendola in una condizione di disagio e alterandone le normali condizioni di tranquillita’ (come ella ha credibilmente dettagliato nella sua deposizione), essendosi sviluppata in arco di tempo non minimo e con modalita’ articolate (sia mediante l’insistente suono del campanello dell’abitazione, sia mediante la rottura di diversi vasi con fiori) e non poco preoccupanti, cosi’ da far residuare anche un perdurante senso di malessere alla persona della (OMISSIS): la motivazione offerta dal giudice merito, pertanto, non puo’ dirsi carente o manifestamente illogica, per cui essa e’ incensurabile in questa sede.

2.4. Ne’ merita di essere condivisa la censura, riportata al n. 5, inerente alla dedotta, omessa considerazione da parte del Tribunale del carattere doloso dell’elemento soggettivo da porsi alla base della condotta sanzionata dall’articolo 660 c.p.: e’ vero il contrario, avendo il giudice di merito specificamente mosso la sua analisi dall’esigenza di riscontrare il dolo ed avendolo motivatamente rinvenuto osservando che la consapevolezza della condotta molesta e petulante posta in essere si trae dalle stesse modalita’ dell’azione, caratterizzata da una inequivoca insistenza nel suonare il campanello e nell’avere accompagnato tale azione con la rottura dei vasi, con indubbia proiezione del comportamento globalmente valutato ad arrecare petulante disturbo alla persona offesa.

Ne’, preso atto di cio’, avrebbe rilievo indagare sui motivi che hanno spinto il (OMISSIS) a comportarsi nel modo censurato, in quanto, con riferimento al reato in esame, l’elemento soggettivo consiste nella coscienza e volonta’ della condotta tenuta nella consapevolezza della sua idoneita’ a molestare o disturbare il soggetto passivo, mentre non rileva l’eventuale convinzione dell’agente di operare per un fine non biasimevole o addirittura per il ritenuto conseguimento, con modalita’ non legali, della soddisfazione di un suo diritto (v. anche Sez. 1, n. 33267 del 11/06/2013, Saggiomo, Rv. 256992). In definitiva – ove sia accertata la condotta oggettivamente caratterizzata dalla petulanza, ossia da un modo di agire pressante, insistente, indiscreto, in sostanza univocamente molesto, tale da interferire in modo sgradevole nella sfera della quiete e della liberta’ delle persone – quanto al profilo psicologico e’ necessaria e sufficiente l’emersione della coscienza e volonta’ di tale condotta, restando al di fuori della verifica rilevante i motivi che abbiano spinto l’agente ad agire, non incidendo essi sulla finalita’ penalmente rilevante dell’azione in relazione a cui si configura il dolo.

2.5. Per quanto concerne la censura relativa al trattamento sanzionatorio (sub 6), e’ da premettere che il Tribunale, pur discorrendo genericamente di benefici, ha inteso all’evidenza (come si trae anche dalla collocazione dell’argomento nella parte motiva, prima della concreta effettuazione dell’operazione dosimetrica) negare al (OMISSIS) il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in tal senso avendo il giudice di merito rilevato che la mera incensuratezza non costituisce – da solo – parametro decisivo in favore del reo: notazione assolutamente in linea con il disposto di cui all’articolo 62 bis c.p., comma 3.

Tale approdo non si pone in logico contrasto, come invece ha lamentato il ricorrente, con l’avere poi il Tribunale optato, nella scelta della pena da irrogare, per quella pecuniaria, e non per quella detentiva.

Invero, pur avendo ritenuto non riscontrabili nella fattispecie complessivamente considerata elementi adeguati per il riconoscimento delle suddette attenuanti, il giudice di merito ha, in modo logicamente non contraddittorio, valutato, per gli effetti di cui all’articolo 133 c.p., anzitutto l’oggettiva entita’ del fatto ed ha stimato – fra l’arresto e l’ammenda, alternativamente stabiliti dall’articolo 660 c.p. – adeguata a sanzionare il reato la pena pecuniaria, avendo altresi’ specificato, per cio’ che riguardava la stessa quantificazione dell’ammenda, i fattori valutati al riguardo.

Pertanto, essendo riscontrabile idonea motivazione alla negazione delle circostanze attenuanti generiche e, peraltro, non avendo alcun interesse il ricorrente a censurare la scelta, fra le due alternativamente comminate, dell’irrogazione della pena pecuniaria, ne’ avendo egli lamentato l’omessa valutazione di altri specifici benefici in favore della sua posizione, deve concludersi che nemmeno in ordine al trattamento sanzionatorio l’impugnazione meriti di essere condivisa.

3. Sulla scorta di queste considerazioni – puntualizzato che gli altri argomenti in qualche misura attinti dall’impugnazione, in connessione con quelli precedentemente scrutinati, radicano le critiche in questioni di fatto, incensurabili in questa sede – il ricorso deve essere respinto.

Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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