Corte di Cassazione, sezione I penale, sentenza 28 giugno 2016, n. 26779

Ai fine dell’esclusione dell’imputabilità, i disturbi della personalità possono indurre infermità di mente, pur quando non siano inquadrabili nelle categorie delle malattie mentali in senso stretto, purché si tratti di disturbi di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere e di volere e sempre che ricorra un legame eziologico tra il disturbo di personalità e la condotta criminosa

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I PENALE

SENTENZA 28 giugno 2016, n.26779

Ritenuto in fatto

La Corte d’assise di Forlì, all’esito dei celebrato dibattimento, il 31 ottobre 2013 dichiarava T.A. colpevole dell’omicidio aggravato in danno di U.W. e dei reati connessi e, riqualificata la condotta di rapina in quella di cui all’art 624 bis cod. pen., esclusa la circostanza aggravante di cui all’art 61 n. 2 cod. pen., con il vincolo della continuazione, le infliggeva la pena di giustizia, oltre statuizioni civili ed accessorie. La Corte d’assise d’appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza appellata riconosciute le circostanze attenuanti generiche, stimate equivalenti alla ritenuta aggravante della minorata difesa, di cui al capo A della rubrica, rideterminava la pena in quella di ani 22 di reclusione.

1.1. Il fatto nella ricostruzione giudiziaria.

Il 23 febbraio 2012 verso le ore 8.45, M.G. – alla cui cura era affidata l’anziana U.W. – si recava dalla donna. Pur disponendo delle chiavi non riusciva a fare ingresso nell’appartamento e, nonostante vari tentativi e sollecitazioni verbali, non riceveva risposta. Convocava, pertanto, il figlio della donna, che sopraggiungeva accompagnato dalla moglie. Al pari, costoro non riuscivano ad entrare in casa. Indi si portavano presso un domicilio adiacente e, attraverso il cortile di pertinenza ivi esistente e nella disponibilità dell’odierna imputata, riusciva a fare ingresso nell’appartamento il figlio della U.. Lo faceva alzando una serranda e non avvedendosi in immediato di nulla; ciò perché distratto dalla luce e dalla televisione ancora accesa in sala. Apriva, dunque, la porta di casa, notando che dall’interno e nella serratura erano ancora inserite le chiavi; permetteva, indi, l’accesso alla moglie, alla M. ed alla T., presente unitamente a costoro. La donna non si portava in camera da letto, cosa che, di converso, facevano gli altri, scoprendo il corpo dell’anziana U. a terra e privo di vita. Gli accertamenti medico legali attestavano che si era trattato di morte violenta, dovuta ad asfissia. La vittima recava anche fratture costali ed una emorragia all’addome prodotta, verosimilmente, da un’azione di schiacciamento.

Le prime informazioni rivelavano un particolare riferito da tutti i presenti e, cioè, che la T. non aveva fatto ingresso nella stanza in cui giaceva l’anziana donna. Ancora, si apprendeva dalla M. che, entrata in casa, aveva notato due fedi saldate sul tavolo, monile che apparteneva alla vittima. Uscendo dalla stanza si era avveduta che gli anelli non erano più lì. In maniera insistente la T., ascoltata dalla polizia giudiziaria in immediato, affermava di aver toccato il corpo della vittima. Ciò faceva, nonostante tutti i presenti non avessero dato conto del suo ingresso nella stanza in cui giaceva il cadavere.

La M. rammentava, ancora, un particolare riferitole dalla U. stessa il giorno precedente. L’anziana donna le aveva confidato di essere impaurita perché la vicina (T., appunto) le aveva chiesto un prestito di 100 euro, richiesta cui ella non aveva aderito ed aveva opposto un rifiuto.

Le indagini permettevano di accertare che, attraverso un parente, la medesima T. aveva cercato di vendere proprio la fede che era stata sottratta all’interno dell’abitazione. L’anello era stato presentato da costei per una stima, quantificata nella somma di euro 170. L’oggetto, tuttavia, era stato rinvenuto e restituito ai familiari. Le intercettazioni, ancora, rivelavano che l’imputata aveva tentato di disfarsi, sempre avvalendosi dell’ausilio di un familiare, di abiti. Recuperata la busta ove erano stati riposti gli indumenti, si verificava che si trattava dei capi che appartenevano alla anziana vittima. All’interno della busta era anche rinvenuto vuoto il borsellino della U..

Infine, attraverso le intercettazioni si intendeva che la T. si accingeva a lasciare il Paese per raggiungere il Marocco. Lo faceva nonostante gli inviti della sorella ad astenersi da quel gesto, che avrebbe concentrato su di lei i sospetti per l’omicidio.

Era, dunque, eseguito il fermo e, all’interno della valigia prelevata in aeroporto, era ancora rinvenuto altro capo d’abbigliamento, che apparteneva alla vittima e che recava le sue iniziali.

Interrogata, la donna ammetteva l’addebito. Affermava, inizialmente, di aver reagito ad una serie di offese a lei rivolte dalla U. e legate alla sua etnia. Ammetteva, tuttavia, d’aver colpito l’anziana signora che era caduta; alla vista del sangue aveva assunto la determinazione di uccidere. Lo aveva fatto per non permettere alla vittima stessa di raccontare quanto accaduto.

La Corte d’assise d’appello riteneva non sussistenti le condizioni per riconoscere la diminuente del rito abbreviato, poiché nella specie non vi era necessità di una integrazione istruttoria, cui subordinare la richiesta del rito alternativo. Escludeva che ricorresse il vizio parziale di mente e richiamava anche le conclusioni che si erano raggiunte nella perizia, acquisita nelle forme dell’incidente probatorio. Escludeva che sì potesse accogliere il motivo di doglianza sulla ritenuta circostanza aggravante di cui all’art 61 n. 5 cod. pen., proprio per le modalità commissive del fatto e negava l’attenuante del danno di particolare tenuità. Riconosceva le sole circostanze attenuanti generiche, che stimava equivalenti alla ritenuta circostanza aggravante della cd. minorata difesa.

Ricorre per cassazione T.A., a mezzo del difensore di fiducia avvocato C.B..

2.1. Con il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e si duole della mancata riduzione della pena ex art. 442 cod. proc. pen. La Corte d’assise d’appello avrebbe confermato il giudizio espresso dal primo giudice, affermando che non vi fossero elementi di prova integrativa che avrebbero permesso di accogliere l’istanza di abbreviato condizionato, già respinta dal Giudice per le indagini preliminari e rinnovata al giudice dibattimentale. Nel caso di specie, nonostante la Corte d’assise d’appello avesse avuto contezza degli elementi indicati, non aveva applicato la riduzione del rito e ciò nonostante la consulenza del dott. A. che aveva dato conto dello stato di sofferenza psichica che affliggeva l’imputata.

2.2. Con il secondo motivo si duole la ricorrente del mancato riconoscimento dell’art. 89 cod. pen.. Il vizio parziale di mente, contrariamente, si assume poteva sussistere, anche in assenza di malattie tipiche, purché ricorresse uno stato morboso dipendente da un’alterazione patologica clinicamente accettabile, tale da scemare grandemente la capacità di intendere e di volere. Era documentato nella consulenza A. e nella relazione del centro di salute mentale di Cesena che la T. soffrisse di depressione psichica, con moderato stato ansioso e flessione del tono dell’umore. Per detta situazione di disagio la medesima T., a fronte del diniego dei prestito da parte della U., era stata indotta all’aggressione. Sussistevano, nella prospettiva della ricorrente, le condizioni per riconoscere l’art 89 cod. pen. e l’attenuante dei vizio parziale di mente.

2.3. Con il terzo motivo si censura il vizio di motivazione in relazione alla circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 5 cod. pen. II giudice a quo aveva ritenuto la circostanza aggravante in ragione dell’età della donna (di anni 89) e del fatto che il delitto era avvenuto di notte. La motivazione sul punto era carente e la Corte d’assise d’appello non aveva spiegato né perché l’ora in cui era avvenuto il delitto avesse inciso sulla vulnerabilità della vittima, né perché l’età potesse aver effetti sulla lucidità o sulla capacità di orientarsi della U., che, al contrario, era autosufficiente e non presentava alcun decadimento intellettivo.

2.4. Con il quarto motivo si lamenta la mancata concessione della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità ex art 62 n. 4 cod. pen. La Corte d’assise d’appello aveva solo indicato che i beni sottratti avessero un valore di 170 euro ed un valore imprecisato sul piano affettivo. Questi dati permettevano il riconoscimento della circostanza attenuante invocata.

Osserva in diritto

Il ricorso è infondato e va respinto per quanto si passa ad esporre.

1.1. Gli argomenti sviluppati nel primo motivo di ricorso non sono condivisibili.

Si duole la ricorrente della mancata riduzione della pena prevista per il rito abbreviato. Era stato respinto l’accesso ad esso dal giudice per l’udienza preliminare, non essendosi ritenuto necessario un ulteriore approfondimento attraverso perizia, cui la richiesta era stata inizialmente subordinata. Nel caso di specie, deduce la difesa, di aver, di converso, depositato consulenza del prof. A., del 25-10-2013, innanzi al Corte d’assise di Forlì, elaborato messo a disposizione il 31-10-2013 e che aveva offerto elementi utili idonei ad integrare le prove acquisite nel corso delle indagini, in guisa da far comprendere al giudice la situazione psicologica dell’imputata.

Ebbene gli argomenti sviluppati nel motivo di ricorso non tengono presente che il riconoscimento dell’invocata riduzione di pena, in ragione del rito, avrebbe imposto di ritenere che la richiesta di rito condizionato, innanzi al giudice dei dibattimento, prima della dichiarazione di apertura (Corte cost. 23 maggio 2003 n. 169) si fondasse sulla necessità di acquisire una prova integrativa che permettesse di allargare la conoscenza con elementi assolutamente necessari ai fini dei decidere e non attraverso l’assunzione di elementi meramente ripetitivi degli atti processuali già disposti. Corretta, pertanto, in diritto è la motivazione resa sul punto e la valutazione operata dalla Corte d’assise d’appello. Del resto, si è correttamente osservato che il tema delle condizioni psichiche dell’imputata era stato già approfondito in incidente probatorio con una perizia specificamente disposta. L’atto processuale, si annota in sentenza, era stato, appunto, disposto proprio su richiesta della difesa dell’imputata ed era volto allo scrutinio del tema inerente la sua imputabilità. Il perito ha valutato la storia clinica e psicologica dell’imputata, oltre alle relazioni psichiatriche redatte nella casa circondariale e le dichiarazioni della diretta interessata sottoposta a visita, per concludere ritenendo la sua piena capacità di intendere e di volere. Non sussiste alla luce di quanto detto alcuno dei vizi denunciati ed il motivo di ricorso va respinto.

La seconda doglianza si appunta sul mancato riconoscimento dell’art. 89 cod. pen. e della circostanza attenuante dei vizio parziale di mente.

Anche la questione prospettata è infondata e va respinta. La motivazione sul punto è corretta. Pur dando atto i giudici della Corte d’assise d’appello che anche i disturbi della personalità possono indurre infermità di mente, pur quando non siano inquadrabili nelle categorie delle malattie mentali in senso stretto, si è, tuttavia, osservato che deve trattarsi di disturbi di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere e di volere. Ancora, deve ricorrere un legame eziologico tra il disturbo di personalità e la condotta criminosa.

Nel caso di specie e venendo al nodo centrale della questione posta si è osservato come il Centro di salute mentale avesse indicato assenza di eclatanti disturbi di un certo spessore. Egualmente hanno ritenuto i giudici del merito che non si sarebbe potuta inferire conclusione diversa da quanto indicato nelle relazioni sanitarie dell’istituto di pena. In esse, in particolare, si era dato atto di una paziente orientata .. che riferiva marcato disagio soggettivo con moderato stato ansioso e marcata flessione del tono dell’umore con facilità al pianto…

Il delitto, tuttavia, non era derivato da malattie o disturbi che potessero indurre il vizio parziale di mente. La Corte d’assise d’appello ha spiegato che l’omicidio era derivato da una reazione impulsiva e immediata. La descrizione del gesto, che ne aveva operato la medesima T., era quella di un soggetto lucido che non era affatto in preda ad un annebbiamento delle capacità intellettive e volitive. L’imputata era stata in grado di valutare le conseguenze cui sarebbe andata incontro se la U. avesse raccontato quanto accadutole. Da ciò, dunque, la scelta lucida di uccidere, su cui non aveva avuto alcuna incidenza un eventuale disturbo psicologico, aspetto assolutamente scollegato sul piano causale o concausale rispetto al fatto delittuoso. Il delitto, si annota correttamente, non era derivato da una pulsione a sottrarsi ad una dimensione psichica intollerabile, ma dalla mancata concessione del prestito di 100 euro che la T. aveva richiesto alla vittima. Sul punto si è analiticamente richiamata la relazione peritale (ai fll. 21 e 22). Ricostruita in termini siffatti la condizione psicologica si è ulteriormente spiegata la ragione per la quale si era inteso non sussistente il vizio parziale di mente, valorizzando anche i profili di condotta nel postfatto.

Tutti gli elementi indicati danno conto di una motivazione coerente, priva dei difetti e dei vizi denunciati con il motivo di ricorso che va pertanto respinto.

Egualmente infondato è il terzo motivo di censura, in relazione alla sussistenza della circostanza aggravante della minorata difesa. Innanzitutto, la Corte di merito ha valorizzato entrambi i profili in fatto della condotta che fondano il nucleo lesivo che caratterizza l’elemento circostanziale in esame. Quanto alla fase commissiva del delitto ed all’orario notturno va ribadito l’orientamento di questa Corte e ritenuto che l’aggravante ricorra in tutti i casi in cui il delitto commesso in orario notturno sfrutta, per la specifica congiuntura temporale, la particolare condizione di fatto e le circostanze dell’azione che influiscono sulla possibilità di reazione del soggetto passivo e non gli permettono di beneficiare delle maggiori difese, su cui, di converso, avrebbe potuto far affidamento in fascia diurna (in senso non dissimile Sez. 2, 3/05/1991, n. 9088, rv. 188134; Cass., sez. 5, 11/03/2011, n. 19615, rv. 250183; Sez.5, sentenza n. 32244del 26/01/2015 Ud. (dep. 22/07/2015) Rv. 265300). La corte di merito si sofferma proprio su questo aspetto e va respinto il profilo di doglianza in parte qua.

Sono egualmente infondate le censure mosse in relazione all’età ed alla condizione della vittima del reato. Questa Corte ha già spiegato che in tema di minorata difesa, la circostanza aggravante di aver approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa, a seguito della modifica normativa introdotta dalla legge n. 94 del 2009, deve essere specificamente valutata anche in riferimento all’età senile e alla debolezza fisica della persona offesa, avendo voluto il legislatore assegnare rilevanza ad una serie di situazioni che denotano nel soggetto passivo una particolare vulnerabilità della quale l’agente trae consapevolmente vantaggio (Sez.2, sentenza n. 8998 dei 18/11/2014 Ud. (dep. 02/03/2015) Rv. 262564). Nella fattispecie, dunque, è indiscutibile – ed i giudici del merito ne danno ampiamente conto – che la vittima, una donna ottantanovenne, vivesse sola di notte (risultando assistita durante il giorno dalla M.G.. Altrettanto certo (come risulta dal rinvio alla perizia dei dott. Fortuni) è che l’anziana donna era riuscita ad opporre una scarsissima resistenza all’azione di soffocamento e ciò, è evidente, proprio in ragione della sua età. Questi elementi sono indicatori rilevanti e sono stati correttamente ponderati in sede di merito. Non risultano, d’altro canto, incrinati dal tema di doglianza svolto, né dall’argomento relativo alla ‘lucidità’ della U., aspetto che afferisce le capacità intellettive e che risulta non conferente ai fini dello scrutinio compiuto e che ha correttamente indotto la Corte d’assise d’appello a ritenere la sussistenza dell’elemento circostanziale di specie.

Infondato risulta anche il quarto motivo di ricorso relativo al preteso riconoscimento della circostanza attenuante del valore di particolare tenuità. Sul punto si rimette alla Corte di legittimità una valutazione di puro fatto, su cui è già stata operata la verifica nella competente sede di merito. Il giudice a quo invero ha indicato che il valore attribuito agli oggetti (a parte la circostanza che era stato assegnato da un orefice disposto all’acquisto subito dopo il delitto) non avrebbe potuto ignorare il profilo affettivo che il monile aveva per la famiglia trattandosi delle fedi nuziali dei coniugi.

Del resto, ai fini del giudizio sulla configurabilità della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, non può aversi riguardo esclusivamente al valore venale dei corpo del reato, occorrendo far riferimento al danno complessivo cagionato alla persona offesa (Sez.2 , sentenza n. 3576 del 23/10/2013 Ud. (dep. 24/01/2014) Rv. 260021).

La valutazione operata, dunque, e che ha determinato il rigetto della circostanza ‘attenuante invocata, è corretta ed è fondata sulla base di un apprezzamento riservato al giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità, perché immune da vizi logico-giuridici.

Alla luce di quanto premesso il ricorso va respinto. Segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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