Corte di Cassazione, sezione I penale, sentenza 6 febbraio 2017, n. 5515

Anche chi è stato già scarcerato può ottenere il risarcimento del danno per il trattamento inumano e l’esiguità degli spazi in cui è stato detenuto

Suprema Corte di Cassazione

sezione I penale

sentenza 6 febbraio 2017, n. 5515

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI TOMASSI Maria Stefani – Presidente

Dott. MAZZEI Antonella P. – Consigliere

Dott. BONI Monica – Consigliere

Dott. MINCHELLA Antonio – rel. Consigliere

Dott. CAIRO Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

Avverso la ordinanza n. 251/2015 del Tribunale di Sorveglianza di Roma in data 22.04.2015;

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Antonio Minchella;

Lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del Dott. Canevelli Paolo, il quale ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.

RILEVATO IN FATTO

Con ordinanza in data 24.04.2015 il Tribunale di Sorveglianza di Roma dichiarava non luogo a provvedere sul reclamo proposto da (OMISSIS) avverso l’ordinanza in data 27.10.2014 del Magistrato di Sorveglianza di Roma che aveva parzialmente dichiarato inammissibile e parzialmente rigettato il reclamo ex articolo 35 ter O.P. del predetto (OMISSIS), relativo alle condizioni di detenzione carceraria.

Il Tribunale di Sorveglianza di Roma non affrontava il tema oggetto del reclamo, ma, prendendo atto che lo (OMISSIS) era stato nelle more scarcerato, riteneva non sussistere piu’ ne’ pena espianda ne’ possibilita’ di riduzione della stessa, per come richiesto dal detenuto.

Avverso detta ordinanza l’interessato propone ricorso a mezzo del difensore, deducendo erronea applicazione di legge e violazione della legge processuale: si sostiene che all’atto di proposizione del reclamo e della impugnazione vi erano le condizioni legittimanti ogni richiesta e che l’articolo 35 ter O.P., comma 2 prevede il caso della pena espianda tale da non consentire la detrazione della misura intera percentuale di cui al comma 1, disponendo la liquidazione di una somma; si sostiene che il comma 3 contempla i casi di chi non e’ detenuto al momento dell’istanza originaria, ipotesi differente da quella in esame; si aggiunge che il trascorrere del tempo per la decisione e’ un fattore che non dipende da colpa dell’interessato.

Il P.G. chiede l’annullamento con rinvio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il presente ricorso attiene esclusivamente il tema della esaminabilita’ del reclamo da parte del Tribunale di Sorveglianza allorquando il detenuto, dopo la rituale presentazione di una istanza ex articolo 35 ter O.P. al Magistrato di Sorveglianza e dopo la relativa decisione, sia stato scarcerato per espiazione della pena nelle more del giudizio instaurato con il suo reclamo avverso la decisione di prima cura.

Pertanto, impregiudicata ogni valutazione sul merito del reclamo, vanno articolate alcune considerazioni.

Il ricorso e’ fondato.

La sentenza pilota della Corte EDU 8 gennaio 2013 Torreggiani c. Italia, intervenendo quando in ambito normativo difettavano puntuali e tassative disposizioni di legge (sia nazionale che comunitaria), ha fissato dei criteri di valutazione per apprezzare le dimensioni minime degli spazi inframurari, affermando che quando il giudice sia adito mediante reclamo dal detenuto, che lamenti un trattamento inumano e degradante per l’esiguita’ di tali superfici, egli deve accertare le condizioni concrete in cui si svolge o si e’ svolta la carcerazione.

L’istanza del ricorrente veniva presentata quando nell’ordinamento italiano era stata introdotta la normativa di cui all’articolo 35-ter O.P. ord. pen. per effetto del Decreto Legge 26 giugno 2014, n. 92, poi convertito con modificazioni nella L. 11 agosto 2014, n. 117, recante, tra l’altro: “Disposizioni urgenti in materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell’articolo 3 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali”. In particolare, il Legislatore, con il nuovo testo normativo, ha introdotto nell’ordinamento degli specifici rimedi risarcitori e comunque compensativi a favore di quanti abbiano subito il pregiudizio, costituito dalla sottoposizione a detenzione in condizioni tali da violare l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali nell’interpretazione offertane dalla Corte EDU, consentendo loro di ottenere una riduzione della pena ancora da espiare, ovvero una somma di denaro commisurata alla protrazione dell’esecuzione carceraria della pena detentiva in condizioni degradanti ed inumane, percio’ non conformi alle prescrizioni convenzionali. Ha quindi regolato anche il procedimento da attivarsi da parte dell’interessato per ottenere il riconoscimento di tali rimedi e la competenza a provvedervi: al riguardo, mediante il rinvio testuale alla previsione dell’articolo 69, comma 6, lettera b) della legge di ordinamento penitenziario, per coloro che non versino nelle situazioni previste dal citato articolo 35 ter, comma 3 – ossia non abbiano subito il lamentato pregiudizio in stato di custodia cautelare, non computabile nella pena definitiva da scontare, oppure non abbiano gia’ terminato l’espiazione in carcere – ha inteso rendere esperibile lo strumento del reclamo giurisdizionale delineato dall’articolo 35-bis della stessa legge, da rivolgere al magistrato di sorveglianza secondo uno specifico procedimento.

Secondo la testuale previsione di tale articolo, nel caso in cui l’istante sia detenuto in carcere compete al magistrato di sorveglianza disporre, a titolo di risarcimento del danno, una riduzione della pena detentiva ancora da espiare pari, nella durata, a un giorno per ogni dieci durante il quale il richiedente ha subito il pregiudizio oppure liquidare una somma di denaro pari ad Euro 8,00 per ciascuna giornata nella quale il richiedente ha subito il pregiudizio, quando il periodo di pena ancora da espiare e’ tale da non consentire la detrazione dell’intera percentuale suddetta, oppure il periodo di detenzione espiato in violazione dell’articolo 3 della Cedu sia stato inferiore a quindici giorni.

Con tali interventi si e’ inteso perseguire plurimi obiettivi, ossia far cessare condizioni di espiazione delle pene detentive ritenute in contrasto con la Convenzione dei diritti dell’uomo secondo le indicazioni della Corte EDU, ristorare i pregiudizi derivati da tali condizioni e, piu’ in genere, introdurre un sistema di tutela dei diritti dei detenuti, improntato a maggiore effettivita’ e tempestivita’ rispetto a quello allora esistente. La ratio complessiva delle modifiche, compresa la disciplina dei particolari rimedi di cui all’articolo 35-ter O.P., va rintracciata – come gia’ riconosciuto da questa Corte (sez. 1, n. 43722 dell’11/06/2015, Salierno, non massimata) – nel rafforzamento complessivo degli strumenti tesi alla riaffermazione della legalita’ della detenzione con estensione dei poteri di verifica e di intervento dell’autorita’ giurisdizionale.

Anche la Corte costituzionale con la sentenza n. 204 del 21/7/2016, nel dichiarare infondata la questione di legittimita’ costituzionale 35-ter O.P. proposta in riferimento all’inapplicabilita’ ai soggetti condannati all’ergastolo, ha sottolineato che il riparto di competenza a provvedere fra ufficio di sorveglianza e giudice civile e’ affidato al criterio dello stato detentivo del richiedente: ha altresi’ rimarcato che le sollecitazioni rivolte all’Italia dalla Corte EDU nella pronuncia Torreggiani hanno riguardato l’introduzione di procedure accessibili ed effettive; procedure, in altri termini, idonee a produrre rapidamente la cessazione della violazione, anche nel caso in cui la situazione lesiva fosse gia’ cessata, e ad assicurare con rapidita’ e concretezza forme di riparazione adeguate.

E questa richiesta deve costituire un indefettibile criterio ermeneutico ai fini della corretta applicazione della disciplina successivamente introdotta dal Legislatore.

Non rileva a tal fine che l’istanza del condannato abbia per oggetto il riconoscimento di un indennizzo e la patrimonialita’ della prestazione pretesa, quanto la introduzione nell’ordinamento di una specifica norma per finalita’ solidaristica, volta ad alleviare i pregiudizi di chi sia stato ristretto in modo degradante, a prescindere dall’accertamento di un fatto illecito addebitabile alla specifica responsabilita’ per dolo o colpa di un soggetto determinato, e la natura pubblicistica dell’istituto.

Nella fattispecie, l’istanza del ricorrente era stata ritualmente proposta al Magistrato di Sorveglianza e ritualmente esaminata e trattata in costanza di detenzione dell’interessato. In seguito alla decisione avversa di prima cura, il condannato proponeva reclamo al Tribunale di Sorveglianza, ma, nelle more del giudizio di impugnazione, egli veniva scarcerato per avvenuta espiazione della pena detentiva. Cosi’ il Tribunale di Sorveglianza dichiarava il non luogo a provvedere sul reclamo, ritenendo evidentemente che la mutata condizione dell’interessato radicasse la competenza di altro giudice.

In tal modo, pero’, il giudice ha immotivatamente interrotto l’iter di un procedimento ritualmente instaurato dinanzi al giudice competente e riferito alla lamentata pregressa violazione di diritti del ricorrente, nonostante il suo concreto e rilevante interesse ad una pronuncia che l’accertasse positivamente quale forma di trattamento disumano e non consentito, presupposto per ottenere quelle forme di tutela risarcitoria che l’ordinamento giuridico ora gli riconosce in via piu’ diretta.

Gia’ antecedentemente all’introduzione nell’ordinamento dell’articolo 35 ter O.P. questa Corte aveva ritenuto che il giudice di sorveglianza, qualora investito del reclamo previsto dall’articolo 35 O.P. con il quale il detenuto lamentava la lesione dei propri diritti soggettivi in relazione alle condizioni di detenzione carceraria in spazi angusti, doveva accertare la sussistenza delle lamentate situazioni di fatto durante l’espiazione della pena, costituendo le stesse titolo per l’eventuale domanda risarcitoria da avanzare nelle competenti sedi (Sez. 1, n. 50724 del 30.10.2014 Rv 261493): e questo principio non si e’ certo affievolito dopo l’introduzione dello specifico rimedio risarcitorio di competenza del magistrato di sorveglianza.

In altri termini, in costanza di detenzione carceraria, la richiesta iniziale e’ stata rituale; rituale la decisione di prima cura; rituale la proposizione del reclamo avverso quest’ultima. La decisione, invece, del Tribunale di Sorveglianza si pone in contrasto con le esigenze di accessibilita’, effettivita’ e rapidita’ che, per come visto supra, si collocano quali principi-cardine della nuova normativa, e finisce per fondarsi su di una circostanza di mero fatto – e cioe’ l’avvenuta scarcerazione dell’interessato – che puo’ dipendere da fattori completamente estranei alle vicende del rito (non ultimo, persino il notevole carico di lavoro gravante sull’Ufficio Giudiziario, che determina un’inevitabile dilatazione dei tempi di esame del reclamo: ma se cio’ puo’ considerarsi evenienza che grava anche sui tempi di attesa e di definizione per l’interessato, non puo’ pero’ divenire causa di un pregiudizio per il medesimo, atteso che si tratta di eventualita’ che egli non determina e circa la quale non puo’ intervenire).

Non si ignora che vi sono due precedenti giurisprudenziali (e cioe’ la sentenza Sez. 1, n. 38801 del 19.07.2016, Rv 268117 e la sentenza Sez. 1, n. 44175 del 21.06.2016, Rv 268298) che appaiono esprimere un principio differente; ma, al di la’ della diversita’ dei presupposti di fatto, ritiene il Collegio che la normativa in esame offra inequivocabili elementi di conforto alla diversa interpretazione prima illustrata. Infatti, lo stesso comma 2 dell’articolo 35 ter O.P. prevede che, qualora il periodo di pena da espiare sia tale da non consentire la detrazione della misura percentuale sopra riportata (la c.d. riparazione in forma specifica) il giudice di sorveglianza deve liquidare al richiedente una somma pari ad Euro 08,00 per ciascuna giornata nella quale quegli abbia subito un pregiudizio, a titolo di risarcimento del danno.

Stabilito il quadro normativo complessivo ed individuata la norma specificamente applicabile al caso concreto, nessuna argomentazione ragionevole e’ di ostacolo a ritenere che il Tribunale di Sorveglianza sia ancora competente ad esaminare il reclamo di un soggetto condannato che – detenuto al momento della presentazione della richiesta, della udienza del Magistrato di Sorveglianza e della proposizione del reclamo – sia poi scarcerato per la scadenza della pena pervenuta durante il tempo necessario per discutere dinanzi al giudice collegiale.

Peraltro, la conclusione predetta non rappresenta che una applicazione del piu’ generale principio della perpetuatio jurisdictionis che, formalmente enunciato nell’articolo 5 c.p.c. (secondo cui “La giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge e dello stato medesimo”), e’, in realta’, un principio di sistema (arg. ex multis Cass. Civ. SS.UU., sentenza n. 20322/2006; Cass. Civ. SS.UU. sentenza n. 3877/2004; Cass. Civ. SS.UU. sentenza n. 5899/1997) che persegue l’obiettivo di conservare la giurisdizione e la competenza del giudice correttamente adito in base alla legge del tempo: il momento determinativo, quindi, ha riguardo allo stato di fatto esistente al tempo della proposizione della domanda ed alla legge vigente in quel momento. Si tratta di una disposizione che va interpretata in conformita’ alla sua ratio, che e’ quella di favorire la perpetuatio jurisdictionis: principio, questo, che e’ applicato in piu’ materie, anche nel procedimento di sorveglianza, laddove la competenza del Magistrato o del Tribunale di Sorveglianza, una volta radicatasi con riferimento alla situazione esistente all’atto della richiesta, della proposta o dell’inizio d’ufficio del procedimento, rimane insensibile agli eventuali mutamenti di detta situazione, almeno sino a quando permane un interesse giuridicamente rilevante. Cio’ e’ stato piu’ volte affermato da questa Corte, ad esempio, in tema di competenza territoriale (Sez, 1, n. 198/2005; Sez. 1 53177/2014), ma si tratta di affermazioni aventi un’estensione piu’ vasta, diretta a stabilire un criterio di orientamento certo ed obiettivo, che, in presenza di una rituale domanda, consente di evitare il trasferimento del procedimento o addirittura l’inizio di un nuovo procedimento dinanzi ad un giudice differente. La ratio del principio e’ dunque quella di realizzare, in questa materia, l’esigenza di celerita’ del procedimento e di immediato collegamento con un giudice quale appunto quello di sorveglianza – che si connota per la sua peculiare prossimita’ all’interessato nonche’ quella di utilizzare una procedura di particolare snellezza, strutturata per le particolari esigenze delle persone sottoposte ad esecuzione penale, in ragione della natura del rimedio risarcitorio istituto. Esso esprime, peraltro, un indirizzo che risulta costante in tema di esecuzione penale (tra le molte, Sez. 1 n 24338/2008; Sez. 1, n. 49256/2004).

Ne consegue che – impregiudicata ogni valutazione sul merito del reclamo l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Roma.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Roma

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