Corte di Cassazione, sezione I penale, sentenza 8 febbraio 2017, n. 6013

Ai fini della liberazione anticipata nel caso di cumulo materiale di pene concorrenti, deve intendersi scontata per prima quella più gravosa per il reo, con la conseguenza che, nel caso si debba espiare una pena inflitta anche per un reato ostativo alla fruizione di benefici penitenziari la pena espiata va imputata innanzi tutto a questo

Suprema Corte di Cassazione

sezione I penale

sentenza 8 febbraio 2017, n. 6013

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI TOMASSI Maria Stefani – Presidente

Dott. NOVIK Adet Ton – rel. Consigliere

Dott. SANDRINI Enrico Giusep – Consigliere

Dott. APRILE Stefano – Consigliere

Dott. DI GIURO Gaetano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 2148/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di CAGLIARI, del 25/11/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK;

lette le conclusioni del PG Dott. DI NARDO Marilia, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

RILEVATO IN FATTO

1. (OMISSIS), assistito dal difensore, ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Cagliari, emessa in data 25 novembre 2014, che ha respinto il reclamo avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza che aveva dichiarato inammissibile la domanda di liberazione anticipata speciale perche’ in espiazione di pena per reati ostativi (anni trenta di reclusione in sostituzione di quella complessiva di anni quarantuno, mesi nove giorni cinque di reclusione, come da provvedimento di cumulo del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Milano del 15 marzo 2013).

Il ricorrente deduce tre motivi.

1.1. Con il primo di essi, lamenta la violazione di legge in relazione al Decreto Legge n. 146 del 2013, articolo 4 e articolo 78 c.p.; vizio di motivazione per omessa valutazione della memoria difensiva, illogicita’ ed insufficienza della motivazione. In particolare, contesta che non sia stata compiuta un’indagine sull’avvenuta o meno espiazione della pena complessiva per i reati ostativi e che il titolo esecutivo era stato erroneamente indicato nel provvedimento di cumulo del 7 gennaio 2005, ignorandosi che con ordinanza del 27 febbraio 2013 era stata revocata la sentenza del 17 febbraio 2004 della Corte di assise di appello di Milano con ripristino di un precedente cumulo del 23 febbraio 2004, circostanza questa influente sulla correttezza della determinazione della pena da espiare.

1.1.1. Contesta altresi’ l’affermazione del tribunale sotto un ulteriore profilo: per valutare l’espiazione della pena per i reati ostativi il tribunale aveva indicato le pene rispettivamente di anni quattordici, anni venti, anni sedici mesi otto inflitte per ripetuti delitti di cui all’articolo 630 c.p.; secondo il ricorrente, invece, per ciascuna di esse si sarebbe dovuta applicare la percentuale di riduzione per il cumulo giuridico.

1.1.2. Erroneamente ancora il tribunale aveva ritenuto frutto di errore la concessione di permessi premio al detenuto, dimostrativa invece della espiazione della pena per i reati ostativi.

1.2. Il secondo motivo eccepisce il vizio della motivazione per mancata valutazione degli argomenti difensivi e per mancanza di motivazione. Con richiamo a precedenti giurisprudenziali della Corte di Cassazione e della Corte Europea, il ricorrente contesta che non sia stato valorizzato che aveva incolpevolmente proposto la domanda di liberazione anticipata speciale durante la vigenza del decreto legge. L’interpretazione del tribunale creava differenziazioni tra i detenuti che avevano ottenuto l’integrazione in base al decreto-legge e quelli che l’avevano vista respinta perche’ nelle more della decisione era intervenuta la legge di conversione.

1.3. Con il terzo e’ dedotto vizio della motivazione per omessa valutazione della questione di legittimita’ costituzionale sollevata dalla difesa. La legge di conversione n. 10 del 2014 differenziava illegittimamente i detenuti per reati comuni da quelli per i reati ostativi e si poneva in violazione dell’articolo 3 Cost., articolo 27 Cost., comma 3 e articolo 32 Cost..

2. Il Procuratore generale presso questa Corte nella sua requisitoria scritta ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

3. La difesa del condannato ha depositato memoria, datata 12 dicembre 2016, in replica alle conclusioni del PG, ribadendo le proprie argomentazioni.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso e’ fondato. Il tribunale di sorveglianza ha negato il beneficio richiesto assumendo che il ricorrente era in espiazione della pena unica di anni trenta di reclusione per reati ostativi. Senza specificare, il giudicante ha richiamato il cumulo emesso dal procuratore generale della repubblica di Milano il 15/3/2013 e, in sintesi, le sentenze di condanna della Corte di appello di Milano per plurimi reati di sequestro di persona a scopo di estorsione.

Tuttavia, il tribunale ha trascurato che, come questa Corte ha gia’ affermato “la regola secondo cui le pene della stessa specie, concorrenti a norma dell’articolo 73 c.p., si considerano come pena unica per ogni effetto giuridico (articolo 76, comma 1), non puo’ in nessun caso condurre a ingiustificate diversita’ di trattamento a seconda dell’eventualita’, del tutto casuale, di un rapporto esecutivo unico, conseguente alla formazione di un cumulo materiale ai sensi dell’articolo 663 c.p.p., anziche’ di distinte esecuzioni dipendenti dai titoli che scaturiscono dalle differenti condanne.

Sarebbe davvero irragionevole, infatti, che chi e’ stato condannato per diversi reati, ostativi e non ostativi ai benefici penitenziari, si trovasse a patire, in relazione alle condanne per i reati non ostativi, di un trattamento equivalente a coloro i quali sono stati condannati solo per reati ostativi; e di un trattamento deteriore rispetto a chi, avendo riportato analoghe condanne sia per delitti ostativi che per reati non ostativi, ha tempestivamente e separatamente scontato ciascuna delle pene a lui inflitte con sentenze divenute irrevocabili e poste in esecuzione piu’ tempestivamente.

Il rischio di una irragionevole disparita’ collegata a circostanze meramente casuali e’ stato, d’altronde, gia’ segnalato da C. cost. n. 361 del 1994 (correttamente evocata dal ricorrente).

Dichiarando non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 4 bis ord. pen. nella parte in cui rendeva la condanna per alcuno dei delitti ivi enumerati ostativa alla concessione di misura alternativa, la Corte ha posto a base della propria decisione il rilievo che, diversamente da quanto affermato in talune sentenze della Cassazione che individuano la ratio del divieto di scioglimento del cumulo nella valutazione di “pericolosita’ soggettiva” del detenuto derivante dalla condanna per un reato “ostativo”, “non si rinvengono dati normativi per sostenere che la nuova disciplina recata dall’articolo 4 bis abbia creato una sorta di status di “detenuto pericoloso” che permei di se’ l’intero rapporto esecutivo a prescindere dal titolo specifico di condanna”; e che, al contrario, proprio l’articolazione della disciplina sulle misure alternative “in termini diversi in relazione alla tipologia dei reati per i quali e’ stata pronunciata condanna la cui pena e’ in esecuzione”, impone di valorizzare il tradizionale insegnamento giurisprudenziale “della necessita’ dello scioglimento del cumulo in presenza di istituti che, ai fini della loro applicabilita’, richiedano la separata considerazione dei titoli di condanna e delle relative pene”. (Sez. 1, Sentenza n. 3130 del 2015).

Pertanto, atteso che dal certificato del casellario giudiziale in atti emerge che il ricorrente ha riportato condanne per reati non ostativi – come si evince anche dal provvedimento del magistrato di sorveglianza del 11 luglio 2007 -, era necessario valutare se effettivamente (OMISSIS) era ancora in espiazione di pena per reato ostativo. Accertamento questo che non e’ precluso dall’applicazione al cumulo materiale delle pene del criterio moderatore dell’articolo 78 c.p., in quanto e’ necessario mediante una operazione algebrica valutare in che proporzione detto criterio ha inciso sulla pena complessiva risultante dal cumulo materiale, cosi’ da applicare la percentuale ottenuta sui reati ostativi e su quelli non ostativi, osservando il principio per cui: “Nel caso di cumulo materiale di pene concorrenti, deve intendersi scontata per prima quella piu'” gravosa per il reo, con la conseguenza che, ove si debba espiare una pena inflitta anche per un reato ostativo alla fruizione di benefici penitenziari (nella specie, associazione per delinquere di stampo mafioso), la pena espiata va imputata innanzi tutto ad esso” (Sez. 1 22/03/99, n. 613 Ruga m. 212738).

2. Gli altri motivi di ricorso sono manifestamente infondati.

2.1. Va premesso che, come e’ noto, nel testo originario il Decreto Legge 23 dicembre 2013, n. 146, articolo 4 prevedeva che la speciale detrazione di pena per il periodo di 75 giorni, ivi prevista, si applicasse anche ai condannati per taluno dei delitti previsti (recte, indicati) nella L. 26 luglio 1975, n. 354, articolo 4-bis (Ord. Pen.) a condizione che avessero dato prova, nel periodo di detenzione, “di un concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della personalita’”. A seguito delle modifiche recate dalla legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 10, in vigore dal 22 febbraio 2014, l’articolo 4, comma 1, esclude dal beneficio i condannati per detti delitti.

Nonostante la formulazione del testo normativo a seguito degli emendamenti apportati con la legge di conversione non possa dirsi felice, e’ da ritenere che l’esclusione dal maggiore beneficio per i condannati per i delitti indicati dall’articolo 4-bis ord. pen. operi sia per la liberazione anticipata speciale da concedersi per i periodi successivi all’entrata in vigore della nuova disciplina sia con riferimento ai periodi pregressi a far data dal 1 gennaio 2010, cui fa riferimento il comma 2.

La esclusione, non espressamente ripetuta in detto comma, dovendo ritenersi implicitamente richiamata, oltre che per l’espressa intenzione in tal senso manifestata dal legislatore nei lavori parlamentari, per la concatenazione della formulazione legislativa e per insuperabili esigenze di tenuta sistematica della disciplina, secondo quanto gia’ osservato da Sez. 1, n. 3130 del 19/12/2014, dep. 2015, Moretti, cui per brevita’ si rimanda.

2.2. Cio’ detto, non puo’ condividersi l’assunto che le modifiche apportate alla disciplina della liberazione anticipata speciale in sede di conversione, con L. n. 10 del 2014, del Decreto Legge n. 146 del 2013 (come detto, escludendo dalla sfera d’applicazione del beneficio i condannati per taluno dei delitti indicati nell’articolo 4-bis ord. pen) non s’applicherebbero al condannato che aveva fatto istanza prima di detta conversione.

Al proposito non puo’ non richiamarsi quanto gia’ osservato con le sentenze Sez. 1, n. 34073 del 27/06/2014, Panno e Sez. 1, n. 3130 del 2015, Moretti, citata.

E’ sufficiente qui ricordare, anzitutto e in linea generale, che le norme in materia di benefici penitenziari non sono norme “processuali” ma neppure costituiscono norme incriminatrici, cui si applicano l’articolo 25 Cost. e articolo 2 c.p., trattandosi piu’ semplicemente di disposizioni sostanziali che, pur non costituendo norme “penali” in senso stretto (ai sensi delle disposizioni richiamate), incidono sulla durata e/o sulle modalita’ di esecuzione della pena.

In ogni caso, l’evocazione di principi in vario modo regolanti il fenomeno della successione di leggi penali o sostanziali nel tempo, non puo’ in alcun modo attagliarsi al fenomeno in esame, che concerne la sorte delle disposizioni di un decreto-legge non recepite nella legge di conversione e che trae regola direttamente dall’articolo 77 Cost., il quale al comma 3 dispone che “I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti”, mentre nel caso in esame nessuna regolazione legislativa risulta effettuata.

Sicche’, come osserva C. cost. n. 51 del 1985, “indipendentemente da quello che possa ritenersi in proposito della norma dettata con decreto-legge ancora convertibile, la norma contenuta in un “decreto-legge non convertito” non ha (…) attitudine, alla stregua dell’articolo 77 Cost., comma 3 e u.c., ad inserirsi in un fenomeno “successorio”, quale quello descritto e regolato dall’articolo 2 c.p., commi 2 e 3 (ora 4)”, per il quale vale il principio di irretroattivita’ delle disposizioni di sfavore o della operativita’ della norma penale piu’ favorevole relativamente ai “fatti pregressi”.

Se riferito a una “alternanza normativa” del tipo considerato (cui e’ assimilabile l’ipotesi della declaratoria d’illegittimita’ costituzionale della norma mitius), il principio della irretroattivita’ della legge piu’ sfavorevole (o della ultrattivita’ di quelle piu’ favorevole) potrebbe trovare, dunque, applicazione “soltanto relativamente ai fatti commessi nel vigore – anche se poi caducato della “norma penale favorevole” contenuta in un “decreto-legge non convertito” (cioe’ nell’orbita della vicenda di alternativita’), fatti rispetto ai quali soltanto sorge, ai fini dell’applicabilita’ del principio stesso, il problema dell’operativita’ del risultato normativo in discorso, e rispetto ai quali soltanto tale risultato potrebbe equipararsi a una “norma penale sfavorevole”; non anche relativamente ai “fatti pregressi”.

In altri termini, l'”efficacia” del decreto-legge (in tutto o in parte) non convertito che puo’ farsi salva e’ da ritenere per principio circoscritta ai soli, cosiddetti, “fatti concomitanti”: per tali dovendosi intendere i comportamenti cui si riferisce la pretesa azionata, non la pretesa in se’. E non puo’ in alcun modo essere estesa sino al riconoscimento di un diritto o di una aspettativa per comportamenti o situazioni precedenti, solo perche’ la relativa domanda era ancora sub iudice al momento della conversione del decreto.

Non deroga all’articolo 77 Cost. – ne’ potrebbe, essendo quella norma di rango superiore – la L. n. 400 del 1988, articolo 15, comma 5, laddove dispone che “Le modifiche eventualmente apportate al decreto-legge in sede di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conversione, salvo che quest’ultima non disponga diversamente. (…)”, giacche’ la disposizione sta solo a prevedere che, diversamente da quanto in precedenza doveva ritenersi, tutti gli emendamenti approvati in sede di conversione entrano in vigore, se nulla espressamente e’ disposto al riguardo, non piu’ (come per regola generale) dopo il decorso dell’ordinaria vacatio legis, bensi’ il giorno successivo a quello della pubblicazione della legge stessa (cfr. Cass. Civ. Sez. 1, sent. n. 4781 del 02/05/1991, Rv. 471926; Sez. 3, sent. n. 6368 del 07/06/1995, Rv. 492709).

Nessun fondamento ha, dunque, l’evocazione del principio tempus regit actum e del canone della applicazione della legge vigente al momento della domanda, che nulla hanno a che vedere con il problema della ultrattivita’ della norma penale piu’ favorevole e che comunque attengono e si riferiscono anch’essi ai fenomeni di successione delle legge nel tempo, non a quelli invece concernenti la “alternativita’ sincronica” fra produzioni normative, quali sono sia la dichiarazione di illegittimita’ costituzionale sia la mancata conversione di un decreto-legge.

2.3. Manifestamente infondata e’ da ritenere infine la questione di legittimita’ costituzionale prospettata con riferimento all’esclusione dei condannati per i reati di cui all’articolo 4-bis ord. pen. dalla disciplina di favore in tema di liberazione anticipata.

Al proposito e’ da chiarire: in primo luogo, che, riferendosi il ricorso a un condannato per reati di sequestro di persona a scopo di estorsione e di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, la questione sarebbe rilevante nel caso in esame solo con riferimento ai condannati per i reati di cui all’articolo 630 c.p. e L. n. 685 del 1975, articolo 75, in relazione ai quali il maggior rigore del trattamento penitenziario e’ pero’ ritenuta dallo stesso Giudice delle leggi ampiamente giustificata dall’elevatissima pericolosita’ e coesione criminale di cui e’ espressione il delitto; in secondo luogo, che la disciplina di cui si discute rappresenta, per definizione espressa del legislatore, una disciplina “speciale”, che estende con alcune eccezioni i vantaggi conseguenti a un beneficio penitenziario gia’ previsto e applicabile indiscriminatamente a tutti i condannati.

Non si e’ in presenza, percio’, di una situazione in cui l’accesso al beneficio e’ in radice precluso per il condannato per i delitti di cui si tratta. Si assiste invece al fenomeno di una disposizione speciale, che a certe condizioni, tra le quali e’ compresa quella che la condanna non concerna certuni reati di particolare allarme sociale, amplia per una platea piu’ ristretta di detenuti gli effetti di favore. E tanto e’ frutto di una scelta di politica criminale rimessa alla discrezionalita’ del legislatore, che non appare esercitata in modo manifestamente irragionevole (cfr., mutatis, Corte cost. n. 89 del 1990 in tema di diversita’ dei limiti di pena previsti per l’accesso ai benefici).

3. Alla luce delle considerazioni che precedono l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Cagliari, che dovra’ nel nuovo esame dell’istanza tenere conto dei principi sopra enunciati.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia,il Tribunale di sorveglianza di Cagliari per nuovo esame

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