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Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 2 agosto 2013, n. 18540

Svolgimento del processo

F.L., in qualità di esclusiva erede del fratello G., conveniva in giudizio B.A. in qualità di cointestatatario, unitamente al de cuius, di un conto corrente che conteneva somme depositate presso un agente fiduciario. Precisava l’attrice che gli importi in questione erano stati tutti tratti dal conto corrente personale di F.G., acceso presso la Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, nel periodo compreso fra il 6/9/1989 e il 16/10/1992. Rigettata la domanda da parte del giudice di primo grado, la F. proponeva appello, rilevando che non si era tenuto conto delle dichiarazioni rese dallo stesso convenuto in sede d’interrogatorio formale, e della produzione in copia dei sei assegni con i quali era stata costituita l’intera provvista del conto cointestato. L’appellato sosteneva che le somme confluite sul conto in oggetto erano riconducibili ai rapporti d’affari tra i due cointestatari, ed in particolare alla vendita di quote della s.r.l. Smaut dalla famiglia B. al F.. Deduceva, al riguardo di aver richiesto prove orali non ammesse fin dal primo grado e di averle riproposte con la comparsa di costituzione in appello. La Corte d’appello in riforma della sentenza di primo grado affermava:
a) l’appellato, come correttamente osservato dal giudice di primo grado, era decaduto dalla prova per testi in quanto dopo l’espletamento dell’interrogatorio formale non aveva insistito per l’espletamento della prova orale e all’udienza successiva aveva richiesto fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni;
b) il B. aveva ammesso nell’interrogatorio formale che gli assegni prodotti dalla controparte costituivano l’intera somma confluita nel conto cointestato e consegnata all’agente di cambio;
precisando che in parte tali somme erano sue in quanto proventi dell’attività d’affari comune, senza indicarne l’entità;
c) il denaro versato nel conto era di esclusiva provenienza F.;
d) gli altri movimenti registrati consistevano soltanto in prelievi;
e) la documentazione prodotta, relativa alla costituzione della s.r.l. Smaut nonché la cessione di quote al F. nei mesi di gennaio 1990 e 1991, non risultava rilevante non essendo stato dimostrato che gli importi versati sul conto, destinato esclusivamente all’acquisto di titoli di Stato con delega all’agente di cambio, fossero inerenti al trasferimento di quote sociali;
f) la parte appellante aveva in conclusione superato la presunzione semplice ex art. 1298 c.c., u.c., mentre l’appellato non aveva fornito la prova contraria inerente ad una ripartizione interna della titolarità delle somme versate sul conto.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il B. affidandosi a due motivi.
Ha resistito con controricorso la F..

Motivi della decisione

Il ricorso può essere logicamente ripartito in due motivi ancorché manchi una suddivisione formale tra di essi e si chiuda con la formulazione di otto quesiti. Nel primo viene censurata sotto il profilo della violazione dell’art. 1298 cod. civ. e del vizio di motivazione l’erronea convinzione della Corte d’Appello dell’intervenuto superamento della presunzione di comproprietà della provvista nel conto cointestato, per il solo fatto della provenienza unilaterale della provvista medesima. Al riguardo la parte ricorrente osserva che la comproprietà opera a prescindere da chi abbia fornito la provvista del conto, altrimenti ciascuno dei cointestatari potrebbe dichiararsi proprietario delle somme corrispondenti ai propri versamenti, così vanificando la ratio legis della norma. Al fine di superare la presunzione sarebbe stata di conseguenza necessaria la prova di un diverso accordo tra le parti. Inoltre è stato dimostrato che sul conto ha operato solo il B. e che tra i cointestatari fossero in atto rapporti d’affari, consacrati dalla cessione di quote, rispetto alle quali la contestazione della data certa non era mai stata sollevata prima della sentenza di secondo grado.
Peraltro, secondo il ricorrente la motivazione è anche contraddittoria, in quanto capovolge la ripartizione dell’onere della prova così come indicato dall’art. 1298 cod. civ., accollando al B. l’onere di dimostrare la suddivisione interna della totalità delle somme versate. Nel secondo motivo viene censurato il diniego della Corte d’Appello all’ingresso delle prove orali, osservando che tali prove erano state tempestivamente formulate ed ammesse ma era stata fissata udienza solo per l’espletamento dell’interrogatorio formale. Successivamente erano state reiterate all’udienza di precisazione delle conclusioni e ancora nella comparsa di risposta in appello. Essendo il procedimento assoggettato al rito vigente prima del 30/4/95 introdotto con la legge n. 353 del 1990, nessuna decadenza si era verificata. Preliminarmente deve essere valutata l’eccezione d’inammissibilità della produzione dei documenti n. 4, 5, 6, 7, depositati dalla parte ricorrente ex art. 369 cod. proc. civ. nel presente giudizio. La parte contro ricorrente ne deduce la novità, rilevandone la mancata produzione nei precedenti gradi di giudizio, mentre la parte ricorrente afferma che essi risultano prodotti nel primo e nel secondo grado, senza tuttavia offrire indicazioni sulla loro reperibilità in atti. Poichè la Corte può accedere in considerazione del vizio denunciato all’esame degli atti deve osservarsi che essi sono reperibili nel fascicolo di parte del secondo grado, reperito in atti a seguito di formale istanza ex art. 369 c.p.c..
Occorre, inoltre, rilevare l’inammissibilità del motivo di ricorso relativo al vizio di motivazione in quanto mancante nella sintesi finale, richiesta dall’art. 366 bis cod. proc. civ., ultima parte, ratione temporis applicabile (ex pluris Cass. 12248 del 2013) e consistente in un’indicazione riassuntiva e sintetica che costituisce un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo (Cass. 5858 del 2013) e non deve confondersi con il diverso requisito della specificità del motivo. La censura relativa alla violazione e falsa applicazione dell’art. 1298 cod. civ. è infondata. La norma da leggere in correlazione con l’art. 1854 stabilisce una presunzione di solidarietà attiva dei cointestatari di un conto corrente bancario in ordine all’oggetto del contratto, salva la prova contraria di una diversa situazione giuridica rispetto alla contestazione stessa.
Tale inversione dell’onere della prova può essere fornita anche per presunzioni. Secondo la parte ricorrente nella specie non risulterebbe superata la presunzione di solidarietà attiva, dalla mera allegazione e prova della provenienza del denaro confluito nel conto da uno dei cointestatari ( F.). Deve osservarsi al riguardo che, come esattamente rilevato nella sentenza impugnata, non risulta dimostrato soltanto che il conto fosse stato costituito con somme di denaro immesse dal F., ma anche che tali importi provenissero da un suo conto personale e fossero di sua pertinenza esclusiva. Tale ulteriore requisito, indicato come necessario dalle pronunce di questa Corte (Cass. 26893 del 2008; 4496 del 2010) può essere desunto proprio (Cass. 28839 del 2008) dalla prova documentale dell’esclusiva provenienza del denaro da uno solo dei cointestatari del conto. Nella specie, come esattamente rilevato dalla Corte d’Appello, tale riscontro, oltre ad emergere dai documenti prodotti dalla F. è stato confermato dalla risposta resa dal B. all’interrogatorio formale ed ha trovato ulteriore conforto dalla circostanza indiziaria della mancata confluenza sul conto di importi diversi da quelli immessi dal F. oltre che dalla finalità del conto stesso non destinato ad un’attività comune dei cointestatari ma all’acquisto, deposito e gestione di titoli.
Pertanto alla stregua del parametro normativo ritenuto violato, deve ritenersi del tutto condivisibile la conclusione della Corte d’Appello, secondo la quale, l’onus probandi a carico del cointestatario che rivendica l’esclusiva titolarità della provvista è stato ampiamente assolto, mentre l’altro cointestatario ha opposto una generica attività di cessione di quote societarie, giustificativa delle somme immesse nel conto dal solo F., rimasta priva di sostegno probatorio adeguato, secondo l’incensurabile valutazione compiuta dal giudice di secondo grado.
Del tutto priva di fondamento deve, infine, ritenersi la dedotta carenza di legittimazione della F. ad agire nei confronti del cointestatario dovendo invece rivolgersi nei confronti dell’agente di cambio cui era stata affidata la gestione titoli, trattandosi di due azioni, aventi titolo e giustificazione causale diversa e comunque incontestatamente concorrenti.
Ai fini dell’esame del secondo motivo è necessario ripercorrere la sequenza endoprocedimentale relativa alla fase istruttoria del primo grado di giudizio. Come emerso dalla lettura degli atti, consentito alla Corte in virtù della natura del vizio denunciato, dopo l’ordinanza ammissiva delle prove orali (per interrogatorio formale e per testi) venne disposto solo l’espletamento dell’interrogatorio formale. All’esito dell’udienza dedicata a tale incombente il procuratore dell’attuale ricorrente richiese termine per esame delle prove ed all’udienza successiva venne formulata la richiesta di fissazione di udienza per la precisazione delle conclusioni. Non venne avanzata alcuna richiesta dalla parte convenuta (attuale ricorrente) di fissazione dell’udienza per l’espletamento delle prove per testi già ammesse, nè all’esito dell’udienza dedicata all’espletamento dell’interrogatorio formale nè a quella successiva.
Soltanto in sede di precisazione delle conclusioni venne formulata la richiesta di natura istruttoria. Pur convenendo con la parte ricorrente sull’assenza di preclusioni e decadenze nel rito, ratione temporis applicabile (ante L. n. 353 del 1990) deve, comunque, ritenersi che il comportamento processuale della parte fosse univocamente riconducibile ad una manifestazione di rinuncia tacita all’espletamento delle prove per testi già ammessi. In particolare, la richiesta di fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni risulta del tutto incompatibile con la volontà di proseguire nella fase istruttoria del procedimento dimostrando al contrario l’intenzione di passare alla fase deliberativa-conclusiva del procedimento. Come reiteratamente affermato da questa Corte (Cass. 18688 del 2007) “In tema di istruzione probatoria nel rito ordinario, spetta alla parte attivarsi per l’espletamento del richiesto mezzo istruttorio che il giudice abbia ammesso; sicchè, ove la parte rimanga inattiva, chiedendo la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni senza più instare per l’espletamento del mezzo di prova, è presumibile che abbia rinunciato alla prova stessa (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato l’implicita rinuncia all’ammessa prova testimoniale nel fatto che la parte istante aveva chiesto non già la fissazione dell’udienza per l’assunzione della prova, bensì la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni. (cfr. anche Cass. 3241 del 2000). Deve, al riguardo, evidenziarsi che proprio la mancata predeterminazione normativa di un sistema di decadenze endoprocessuali giustifica il ricorso alla rinuncia implicita, dovendo in un procedimento interamente governato dall’impulso di parte, essere valorizzati e rigorosamente interpretati i comportamenti processuali, ai quali deve invece riconnettersi un rilievo nettamente meno intenso in un processo regolato su preclusioni fondate sulla vocazione pubblicistica del processo. Per questa ragione le manifestazione di volontà tacite (la rinuncia implicita derivante dall’assenza di autonomo impulso di parte od altre condotte delle parti costituite) vengono nettamente deponziate in tale diverso sistema (cfr. con riferimento al rito del lavoro Cass. 12004 del 2003).
Deve, osservarsi, in conclusione che la Corte d’Appello, con apprezzamento incensurabile in sede di sindacato di legittimità (ed in mancanza di censura specifica ex art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine a tale secondo motivo di censura) ha ritenuto, in via presuntiva, che la parte avesse rinunciato all’espletamento delle prove ammesse, sulla base di una condotta processuale, univocamente ritenuta abdicativa dagli orientamenti sopra citati.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte:
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente procedimento, liquidate in Euro 2500,00 per compensi e Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

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