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Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 21 febbraio 2014, n. 4214

Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Roma, pronunciandosi con sentenza n. 4613/06, sull’appello proposto da C.B. e G.P. avverso la decisione del Tribunale di Roma n. 22679/2002, in accoglimento del proposto gravame, rigettava le domande avanzate dalla spa B.D’A., da F.B. e da N.B., volte all’accertamento dell’ asserita illegittimità dell’apertura di due finestre nella cantina dell’immobile sito in Roma, via di Grottarossa n. 337, di proprietà dei convenuti C.B. e G.P.; alla condanna della chiusura delle stesse finestre oltre al risarcimento dei danni.
La Corte capitolina accoglieva la tesi degli appellanti, secondo cui le finestre in questione esistevano nell’ immobile al momento del suo acquisto (anno 1985) ed erano state da essi successivamente murate ma solo temporaneamente per motivi di sicurezza, per essere poi legittimante riaperte alcuni anni dopo (nel 1994); riteneva quindi costituita una servitù di veduta per destinazione del padre di famiglia, essendo emerso che le indicate finestre erano state già realizzate in origine dalla società costruttrice, prima della divisione e della vendita delle unità immobiliari in questione.
Avverso la suddetta decisione ricorrono F. e N.B. sulla base di 3 mezzi) illustrati da memorie ex art. 378 c.p.c.; resistono C.B. e G.P. con controricorso; è stata disposta ed eseguita l’integrazione del contraddittorio nei confronti della spa B.d’A., che non ha svolto difese.

Motivi della decisione

1 – Con il primo motivo i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1061 e 1062 c.c. . Premettono che l’azione da essi promossa va qualificata quale negatoria servitutis in quanto l’oggetto della controversia riguarda l’esistenza o meno di una servitù di veduta a carico del fondo di loro proprietà; deducono che nella fattispecie anche se si volesse ritenere che le finestre fossero state aperte precedentemente al frazionamento dell’immobile (fatto che comunque si contesta), lo stessa originaria parte convenuta aveva ammesso di averle successivamente chiuse, per cui, in conseguenza di tale fatto, era venuto a mancare il requisito dell’apparenza delle opere destinate all’esercizio della servitù. Ne conseguirebbe l’inopponibilità agii aventi causa del proprietario del fondo servente della servitù stessa in quanto priva del requisito dell’apparenza nel momento del loro acquisto della proprietà; ciò in quanto i successivi acquirenti dell’immobile non avrebbero potuto conoscere l’esistenza della servitù, priva di opere apparenti e visibili per il suo esercizio.
Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte se, nel caso di servitù per destinazione del padre di famiglia, la rimozione, da aperte del proprietario del fondo dominante, delle opere visibili destinate all’esercizio della stessa, renda la servitù non opponibile ai successivi acquirenti in buona fede del fondo servente
La doglianza non è fondata.
Occorre rilevare che in subiecta materia non è rinvenibile una norma la quale richieda la permanenza della visibilità delle opere successivamente alla costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, ai fini dell’opponibilità della servitù stessa agli acquirenti del fondo servente. In tal senso si è espressa questa S.C.: “Con riguardo alla servitù costituita per destinazione del padre di famiglia, non si richiede, ai fini della opponibilità del diritto ai successivi acquirenti del fondo servente, la permanenza del requisito della visibilità delle opere destinate all’esercizio della servitù, necessario per il sorgere del diritto” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7698 del 19/07/1999; Cass. n. 6678 del 30.03.2005). A questo riguardo va osservato che la destinazione del padre di famiglia costituisce un modo d’acquisto della servitù a titolo originario e non derivativo per cui non può parlarsi d’ opponibilità della costituzione a terzi. Nella fattispecie poi va sottolineato in modo particolare che l’acquisto dell’immobile da parte degli aventi causa dell’originaria attrice, era avvenuto in pendenza del presente giudizio avente ad oggetto proprio l’actio negatoria servitutis e che essi erano succeduti ex art. 111 c.p.c. nell’azione esercitata dall’originario “padre di famiglia” identificabile nel costruttore degli immobili stessi (la spa B.d’A.).
2 – Con il 2° motivo gli esponenti denunciano il vizio di motivazione in ordine all’affermazione della esistenza delle finestre all’atto della vendita nel 1990, nonostante la deposizione del geom. C. – che aveva redatto la planimetria allegata all’atto di vendita – il quale aveva ribadito l’esistenza nel 1986 soltanto di nicchie , ma non di finestre; inoltre erano state disattese le deposizioni di altri testi – per legami di dipendenza o collaborazione con la società attrice o i suoi titolari – in favore delle dichiarazioni di due testi indotti dai convenuti, che aveva invece confermato la presenza delle finestre.
La doglianza non ha pregio.
Intanto non è conforme al requisito di autosufficienza del ricorso il mero, generico richiamo alle deposizioni dei testi di cui sopra, dovendo essere riportate le loro testuali dichiarazioni per una opportuna “valutazione” nell’ambito e nei limiti del vizio motivazionale allegato ; il motivo risulta poi infondato nel resto.
In effetti la sentenza ha affermato, per disattendere la tesi del geom. C. sulla presenza nella parte della cantina soltanto di due nicchie, che, nella planimetria da lui stesso redatta nel 1986, le asserite nicchie erano state da lui rappresentate, sia pure con imprecisioni grafiche, con segni uguali a quelle delle finestre situate sugli altri piani ed analogamente risultava dalla planimetria redatta dal geom. S. in occasione della vendita nell’anno 1990 agli appellanti; inoltre le prodotte foto del 1994 evidenziavano tamponature ed architravi riferibili all’originaria presenza di aperture nel muro in questione.
Invero mentre è pacifico il rilevo della Corte secondo cui normalmente nelle planimetrie Le finestre vengono rappresentate con un trattino orizzontale, occorre però sottolineare che, in ogni caso, trattasi di valutazioni di merito, non sindacabili in questa sede di legittimità stante la motivazione della sentenza che appare congrua ed immune da vizi logici e giuridici.
In effetti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il vizio di motivazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare l’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della coerenza giuridica e della correttezza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, “al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione” ( Cass. n. 17477 del 09/08/2007; Cass. n. 11789 del 7.6.2005).
3- Con il 3° motivo si denunzia I’ omessa o carente motivazione in ordine all’anteriorità delle aperture rispetto al frazionamento e vendita degli immobili già nel 1985. Si sostiene che sarebbe impossibile capire come la Corte d’Appello abbia potuto con sicurezza affermare che sia stato il precedente proprietario a praticare la aperture delle finestre prima della divisione dei cespiti immobiliari non successivamente gli stessi coniugi B.-P. La doglianza è infondata. Su punto la sentenza ha correttamente motivato affermando che “ove le aperture fossero state abusivamente realizzate dai possessori dopo il loro ingresso, la proprietaria non li avrebbe fatto risultare né nella mappa di frazionamento del 1986 né in quella allegata al rogito del 1990. Anche in questo caso però trattasi di tipiche valutazioni di merito, non denuncíabili in sede di legittimità, come sopra precisato. Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato.
Le delle spese del giudizio di legittimità, segue la soccombenza e sono poste a carico dei ricorrenti in favore dei controricorrenti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuale, che liquida in € 2.200,00, di cui € 200,00 per esborsi.

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