Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 30 gennaio 2015, n. 4451

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHIEFFI Severo – Presidente
Dott. ZAMPETTI Umberto – Consigliere
Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere
Dott. ROCCHI Giacomo – rel. Consigliere
Dott. BONI Monica – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 928/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA, del 16/04/2014;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;
lette le conclusioni del PG Dott. Alfredo Pompeo Viola, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 16/4/2014, il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava il reclamo proposto da (OMISSIS) avverso quella del Magistrato di Sorveglianza di Roma che aveva respinto la istanza di concessione della liberazione anticipata “speciale” per il periodo 9/11/2012 – 9/5/2013 sulla considerazione che, durante quel semestre, (OMISSIS) si trovava in regime di detenzione domiciliare.
Secondo il Tribunale, la scelta del legislatore di escludere dal beneficio i detenuti in regime di detenzione domiciliare derivava dalla ratio legis di ridurre il sovraffollamento carcerario e di compensare in qualche modo i detenuti che, dal gennaio 2010, avevano subito condizioni deteriori in conseguenza di esso.
D’altro canto, non era conferente l’argomento del reclamante di una maggiore meritevolezza del detenuto in regime domiciliare rispetto a quello in regime detentivo, poiche’ la partecipazione all’opera rieducativa poteva essere superiore nel secondo caso: si trattava, in sostanza di situazioni giuridiche diverse, cosicche’ non si ravvisava nella disciplina alcuna violazione dell’articolo 3 Cost..
2. Ricorre per cassazione il difensore di (OMISSIS), deducendo violazione di legge.
Il ricorrente aveva chiesto la concessione del beneficio, sottolineando che egli si trovava in esecuzione di pena detentiva presso il domicilio ai sensi della Legge n. 82 del 1991, articolo 16 nonies, in quanto collaboratore di giustizia.
Alla luce della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il beneficio della liberazione anticipata deve essere concesso a chiunque si trovi ad espiare una pena in regime alternativo, il ricorrente sottolinea che sarebbe paradossale negarlo a chi aveva dato prova di ravvedimento, resipiscenza e partecipazione all’opera di rieducazione in massimo grado.
Secondo il ricorrente, la ratio legis indicata dal Tribunale – secondo cui il beneficio aggiuntivo veniva concesso in ragione della condizione di sovraffollamento carcerario subito nel biennio precedente – era smentita dal tenore della legge di conversione, che escludeva i condannati per i delitti di cui all’articolo 4 bis ord. pen. dal beneficio, benche’ le loro condizioni carcerarie fossero piu’ restrittive e disagevoli di quelle degli altri detenuti.
Ancora: l’applicazione della Legge n. 82 del 1991, articolo 16 nonies, superava le preclusioni dell’articolo 4 bis ord. pen. e, comunque, la pena residua in esecuzione contemplava anche reati non ricompresi nell’elenco di cui all’articolo 4 bis cit..
Il ricorrente sostiene la natura sostanziale della previsione, cosicche’ la norma favorevole dovrebbe essere applicata nei confronti di chi aveva presentato l’istanza di concessione del beneficio durante la vigenza del decreto Legge n. 146 del 2013.
Viene svolta un’ampia trattazione in ordine all’illegittimita’ della norma nella parte in cui limita il beneficio: si richiama, in particolare, la scelta effettuata per la liberazione anticipata, concedibile anche per i condannati per i delitti di cui all’articolo 4 bis ord. pen. e quella che permette la concessione del beneficio anche ai condannati in affidamento in prova al servizio sociale. Irragionevole e’ stata la scelta di concedere la liberazioni anticipata speciale a coloro che si trovano in semiliberta’ o in permesso premio e non a coloro che si trovano in detenzione domiciliare; si sottolinea, inoltre, che in determinate situazioni alcune misure domiciliari risultano piu’ penalizzanti di quelle carcerarie. Se, poi, la ratio della liberazione anticipata e’ connessa alla partecipazione all’opera di rieducazione, e’ illogica non concederla a coloro che si trovano in detenzione domiciliare, ancor piu’ se in forza della normativa sui collaboratori di giustizia.
Il ricorrente sostiene, quindi, la possibilita’ dell’accoglimento del ricorso in via interpretativa e, in subordine, la necessita’ di sollevare questione di legittimita’ costituzionale della normativa, che applica una ingiustificata e ingiustificabile disparita’ di trattamento tra situazioni sostanzialmente identiche.
Il ricorrente conclude per l’annullamento del ricorso e, in subordine, perche’ questa Corte sollevi questione di legittimita’ costituzionale della normativa per contrasto con gli articoli 3 e 27 Cost..
3. Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, conclude per il rigetto del ricorso.
4. Il difensore del ricorrente ha depositato tre memorie.
Nella prima memoria, si replica alla requisitoria del Procuratore Generale, sottolineando che la norma sulla liberazione anticipata speciale e’ congegnata in modo conforme all’istituto ordinario e quindi tende a premiare ulteriormente coloro che avessero manifestato un piu’ significativo recupero di valori condivisi, ma del tutto irragionevolmente il legislatore ha escluso dal premio proprio i soggetti piu’ meritevoli; il contrasto con i principi generali emerge ancora piu’ forte con riferimento ai collaboratori di giustizia che, proprio in ragione del percorso svolto, hanno avuto accesso alle misure alternative alla detenzione in deroga alle preclusioni poste dall’articolo 4 bis ord. pen.: secondo il ricorrente, l’interpretazione orientata della norma permette di ritenere superata la preclusione alla concessione del beneficio posto dall’articolo 4 bis ord. pen., mentre – se tale interpretazione non fosse ritenuta possibile – sarebbe inevitabile sollevare questione di legittimita’ costituzionale della norma; d’altro canto, il predetto articolo 4 bis ord. pen. e’ stato ritenuto legittimo costituzionalmente proprio perche’ non escludeva i condannati alla liberazione anticipata.
La difesa contesta il profilo “risarcitorio” evidenziato dal Tribunale, che non emerge affatto dal testo della norma: tale profilo e’ smentito dal successivo intervento normativo (Decreto Legge n. 92 del 2014), con il quale e’ stato previsto specificamente un indennizzo per i detenuti.
Il ricorrente, inoltre, ribadisce l’interpretazione che fa leva sull’ultrattivita’ del Decreto Legge n. 146 del 2013, anche dopo la legge di conversione: non si tratta di istituto processuale, ma sostanziale, cosicche’ la norma piu’ favorevole rimane efficace anche dopo la approvazione della legge di conversione; sottolinea che la concessione della liberazione anticipata speciale anche a coloro che si trovano in una misura alternativa alla detenzione e’ coerente con un disegno che vede ancora operante – anche in vigenza di tale misure – l’opera rieducativa.
La memoria sottolinea, infine, che attualmente (OMISSIS) sta scontando condanne per reati non ostativi, con conseguente necessita’ dello scioglimento del cumulo e possibilita’ di concedere il beneficio richiesto.
In una seconda memoria, il difensore prende spunto dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 42858 del 2014 per sottolineare che i Giudici di Sorveglianza hanno l’identico potere riconosciuto al Giudice dell’esecuzione per travolgere il giudicato e rideterminare la sanzione penale stabilita in sede di merito. Il ricorrente rimarca, ancora, il contenuto della sentenza della Corte Costituzionale n. 239 del 2014.
In una terza memoria, il ricorrente sottolinea l’irragionevolezza dell’interpretazione della norma da parte del Tribunale, che permette una piu’ sostanziosa riduzione di pena per coloro che partecipano in misura minore all’opera di rieducazione, tanto da non potere accedere a misure alternative alla detenzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso pone questioni di carattere diverso che devono essere affrontate separatamente.
La prima concerne la norma che deve essere applicata – e, se del caso, sottoposta a valutazione di costituzionalita’.
L’ordinanza impugnata si fonda sulla circostanza che la legge di conversione (Legge n. 10 del 2014) ha escluso in via generale la possibilita’ di concedere la liberazione anticipata speciale ai condannati per i delitti di cui alla Legge n. 354 del 1975, articolo 4 bis, abrogando il comma che subordinava la concessione a quei condannati del beneficio in caso di “concreto recupero sociale” e premettendo alla regolamentazione una esplicita esclusione: “Ad esclusione dei condannati per taluno dei delitti previsti dalla Legge 26 luglio 1975, n. 354, articolo 4 bis, e successive modificazioni…”.
Questa Corte ha gia’ chiarito che in nessun modo puo’ essere ipotizzata la permanente vigenza della norma del decreto legge nella parte non riprodotta in sede di conversione, anche se si tratta di norma piu’ favorevole al condannato.
Sia la giurisprudenza costituzionale (bastera’ ricordare C. cost. ord. n. 10 del 1981; sent. n. 376 del 1997) che quella della Corte EDU costantemente escludono che in materia di benefici penitenziari in genere e di liberazione anticipata in particolare sia applicabile il principio della irretroattivita’ della legge piu’ sfavorevole.
Ed espressamente anche Corte EDU, sent. Grande Camera del 21.10.2013, Del Rio Prada contro Spagna, rie. n. 42750/09 evidenzia che “sia la Commissione sia la Corte hanno delineato nella loro giurisprudenza una distinzione tra una misura che costituisce in sostanza una pena e una misura che riguarda l’esecuzione o l’applicazione della pena. Conseguentemente, se la natura e il fine della misura riguarda la detrazione di pena o una modifica del regime di liberazione anticipata, essa non fa parte della pena ai sensi dell’articolo 7”. E, se e’ vero che la Corte Edu in detta sentenza riconosce che “in pratica la distinzione tra una misura che costituisce una pena e una misura che riguarda l’esecuzione e l’applicazione della pena puo’ non essere sempre chiara e che e’ possibile percio’ che le misure adottate dal legislatore, dalle autorita’ amministrative o dai tribunali successivamente all’inflizione della pena definitiva, o nel corso dell’espiazione della pena, possano comportare la ridefinizione o la modifica della portata della pena inflitta dal tribunale del merito”, chiaramente rimarca, tuttavia, che “per determinare se una misura adottata nel corso dell’esecuzione di una pena riguarda solo la modalita’ di esecuzione della pena o, al contrario, incide sulla sua portata”, occorre “esaminare in ciascun caso che cosa comportava effettivamente la pena inflitta in base al diritto interno in vigore al momento pertinente, o in altre parole, quale era la sua natura intrinseca”, considerando “il diritto interno nel suo complesso e la modalita’ con cui esso era applicato al momento pertinente”.
L’impossibilita’ di interpretare il mancato recepimento di disposizioni di un decreto legge nella legge di conversione come fenomeno di successione di leggi nel tempo si ricava, comunque, direttamente dall’articolo 77 Cost..
Questo, al comma 3, dispone difatti che “I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti”.
Non deroga, ne’ potrebbe, a tale norma di rango superiore la Legge n. 400 del 1988, articolo 15, comma 5, laddove dispone che “Le modifiche eventualmente apportate al decreto-legge in sede di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conversione, salvo che quest’ultima non disponga diversamente….”, giacche’ la disposizione sta solo a prevedere che, diversamente da quanto in precedenza doveva ritenersi, tutti gli emendamenti approvati in sede di conversione entrano in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione della relativa legge, e non piu’ dopo il decorso dell’ordinaria vacatio legis se nulla espressamente era disposto al riguardo (cfr. Cass. Civ. Sez. 1, sent. n. 4781 del 02/05/1991, Rv. 471926; Sez. 3, sent. n. 6368 del 07/06/1995, Rv. 492709).
In altri termini, l'”efficacia” del decreto-legge (in tutto o in parte) non convertito che puo’ farsi salva e’ da ritenere per principio circoscritta ai soli atti o “rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti” e non puo’ in alcun modo essere estesa sino al riconoscimento di un diritto o di una aspettativa per comportamenti o situazioni precedenti quando la relativa domanda era ancora sub iudice al momento della conversione del decreto.
Come osserva, difatti, C. Cost. n. 51 del 1985, “l’articolo 77 Cost., comma 3, e u.c., mentre collega la mancata conversione a una vicenda di alternativita’ sincronica fra situazioni normative, in nessun caso considera la norma dettata con decreto-legge non convertito come norma in vigore in un tratto di tempo quale quello anzidetto; ed anzi, se interpretato sia in riferimento al suo specifico precetto (privazione, per il decreto – legge non convertito, di ogni effetto fin dall’inizio), sia in riferimento al sistema in cui esso si colloca (ispirato – come appare anche dagli altri due commi dell’articolo 77 Cost. – a maggior rigore nella riserva al Parlamento della potesta’ legislativa) vieta di considerarla tale”.
Dunque, “indipendentemente da quello che possa ritenersi in proposito della norma dettata con decreto-legge ancora convertibile, la norma contenuta in un decreto-legge non convertito non ha… attitudine, alla stregua dell’articolo 77 Cost., comma 3, e u.c., ad inserirsi in un fenomeno “successorio”, quale quello descritto e regolato dall’articolo 2 c.p., commi 2 e 3″, ovverosia in un fenomeno successorio concernente norme penali sostanziali per le quali vale il principio di irretroattivita’ delle disposizioni di sfavore, “limitatamente alla sancita applicabilita’ delle disposizioni di cui all’articolo 2 c.p., commi 2 e 3, al caso del decreto-legge non convertito, e quindi alla sancita operativita’ della norma penale favorevole, se in esso contenuta, relativamente ai fatti pregressi”.
A maggior ragione, percio’, nella materia in esame (a cui, come detto, non s’applicano le disposizioni dell’articolo 2 c.p., e dell’articolo 25 Cost., e neppure quelle dell’articolo 7 CEDU), non puo’ ritenersi suscettibile di avere vigore ultrattivo, per i comportamenti pregressi, la disposizione del decreto-legge, non recepita dalla legge di conversione, che a detti comportamenti pregressi collegava un effetto favorevole.
In sostanza, la questione del “concreto recupero sociale” del condannato per il reato di cui all’articolo 4 bis cit. ha perso ogni rilevanza.
2. Con riferimento, invece, all’esclusione del beneficio per i soggetti in stato di detenzione domiciliare – come l’odierno ricorrente – le norme del decreto legge 146 del 2013 e della legge di conversione 10 del 2014 sono identiche: entrambi i provvedimenti, infatti, escludono la concessione della liberazione anticipata speciale “ai condannati ammessi all’affidamento in prova e alla detenzione domiciliare, relativamente ai periodi trascorsi, in tutto o in parte, in esecuzione di tali misure alternative”.
La legge di conversione ha esteso l’esclusione anche a soggetti che si trovavano in condizioni analoghe (ammessi alla detenzione presso il domicilio ai sensi della Legge n. 199 del 2010, o agli arresti domiciliari): peraltro il ricorrente rientra tra coloro che si trovavano, nel semestre in questione, in detenzione domiciliare ai sensi della Legge n. 354 del 1975, articolo 47 ter, espressamente richiamata dalla Legge n. 8 del 1991, articolo 16 nonies, sui collaboratori di giustizia.
Si deve escludere, sulla base del citato quadro normativo, che il beneficio possa essere concesso per il semestre in questione al ricorrente, stante l’esplicito divieto posto dalla norma, che non permette alcuna interpretazione diversa.
4. Il semestre che nel presente procedimento rileva (tra il 9/11/2012 e il 9/5/2013) e’ precedente all’entrata in vigore del decreto Legge n. 146 del 2013: quindi per esso si applica la disposizione dell’articolo 4, commi 2 e 5, del Decreto Legge cit. e della legge di conversione. Tale precisazione e’ necessaria, perche’ e’ evidente che una censura di illegittimita’ costituzionale della normativa puo’ dar luogo alla relativa questione se rilevante, oltre che non manifestamente infondata.
Ebbene: la ratio della normativa – manifestata nella Relazione al disegno di legge di conversione del decreto legge – e’ quella di approntare un “rimedio compensativo, secondo le indicazioni della Corte Europea di Strasburgo della violazione dei diritti dei detenuti in conseguenza della situazione di sovraffollamento carcerario e, piu’ in generale, del trattamento inumano e degradante che, per carenze strutturali, possono essersi trovati a subire. Si tratta, pertanto, di una misura, la cui adozione e’ indispensabile ai fini dell’adeguamento alle indicazioni della gia’ menzionata sentenza Torreggiani c/Italia della Corte Europea. Ed e’ questa la ragione che ha indotto ad individuare il termine di efficacia nel 1 gennaio 2010, data in cui si e’ determinata la situazione di emergenza detentiva”.
Per le stesse ragioni la maggiore riduzione di pena non viene concessa per coloro che, nei periodi interessati, si trovavano in regime diverso da quello carcerario.
La necessita’ di una ratio ulteriore – quale quella individuata dal Governo in sede di emanazione del decreto legge e poi nella fase di proponente la conversione del decreto – ben si coglie dalla norma costituzionale sull’indulto: poiche’ l’articolo 79 Cost., richiede una maggioranza qualificata per la deliberazione della legge di indulto, una legge ordinaria che, retroattivamente, avesse disposto una riduzione di pena sic et simpliciter avrebbe potuto essere ritenuta illegittima sotto questo profilo.
Il ricorrente sostiene che, in realta’, la giustificazione addotta e’ smentita dall’impossibilita’ di concessione dell’ulteriore beneficio per i condannati per i delitti di cui alla Legge n. 354 del 1975, articolo 4 bis, invece prevista dal decreto legge; rimarca, ancora, che il beneficio e’ pur sempre quello della liberazione anticipata, collegato alla partecipazione all’opera di rieducazione da parte del detenuto, sottolineando che tale beneficio e’ concesso ordinariamente anche a chi si trova in misura alternativa alla detenzione.
In realta’, si tratta di questioni differenti: l’esclusione dal beneficio dei condannati per i delitti di cui all’articolo 4 bis cit. – che, pure, godono della liberazione anticipata ordinaria, salvo che sia provata la permanenza dei contatti con la criminalita’ organizzata – potrebbe apparire effettivamente dissonante rispetto alla finalita’ “compensativa” enunciata; ma la questione, in questo caso, non rileva quanto alla posizione dell’odierno ricorrente, al quale la liberazione anticipata speciale e’ stata negata non perche’ condannato per uno dei delitti di cui all’articolo 4 bis cit., ma in quanto in quel semestre si trovava in detenzione domiciliare.
Il ricorrente, ancora, trova nel testo del decreto Legge n. 92 del 2014, – che ha previsto l’indennizzo compensativo, tramite riduzione di pena o corresponsione di una somma di denaro al detenuto, una smentita evidente alla finalita’ “compensativa” perseguita dal legislatore con il Decreto Legge n. 146 del 2013, e con la Legge n. 10 del 2014.
In realta’ non pare che la nuova norma smentisca la precedente: piuttosto la completa, prevedendo per il futuro una procedura che puo’ portare ad indennizzare il detenuto per le condizioni di detenzione contrarie alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e, quindi, giustificando una compensazione ai detenuti per il passato come quella prevista dal Decreto Legge n. 146 del 2013: misura, quest’ultima, ovviamente concessa in misura “forfettaria” a tutti i detenuti che potevano aver subito una detenzione eccessivamente penosa in conseguenza del sovraffollamento carcerario, non potendo la norma personalizzare l’indennizzo in mancanza della procedura prevista, come invece avverra’ nel futuro in conseguenza della nuova normativa.
Sotto questo profilo, l’esclusione del beneficio dei detenuti in regime di detenzione domiciliare e’ del tutto coerente con la ratio enunciata – il sovraffollamento carcerario oggetto della sentenza della Corte EDU Torregiani non aveva niente a che fare con la condizione dei detenuti in regime di detenzione domiciliare e, quindi, agentemente la misura compensativa non e’ stata riconosciuta a loro favore; contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, si tratta con ogni evidenza di condizioni diverse.
Il ricorso deve, quindi, essere respinto, mentre la questione di illegittimita’ costituzionale della normativa sollevata in subordine appare manifestamente infondata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

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