Corte di Cassazione, sezione I, Sentenza 8 novembre 2011, n. 23240. Riconoscimento del danno patrimoniale per mancata carriera a causa del processo troppo lungo

Il testo integrale

Suprema Corte di Cassazione

SEZIONE I CIVILE

Sentenza 8 novembre 2011, n. 23240

Il signor B..F., tenente della Guardia di finanza, in data 6 giugno 2003 propose ricorso alla Corte d’appello di Venezia a norma dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, chiedendo la condanna del Ministro della Giustizia al pagamento di un’equa riparazione per i danni derivati dal mancato rispetto del termine di ragionevole durata del processo penale nel quale egli era stato imputato. Al ricorrente erano stati contestati i reati previsti dagli artt. 81, 319, 323, 326 e 490 cod. pen., e per effetto dell’eccessiva durata del processo egli aveva subito danni alla carriera, danni biologici (per i quali era stata riconosciuta la causa di servizio dalla Commissione Medico ospedaliera di omissis il 10 luglio 1991), danni morali e danni esistenziali.

Con decreto in data 5 gennaio 204, la Corte d’appello di Venezia accertò che il processo penale era durato, in due gradi di giudizio, 15 anni e 11 mesi, pur dovendosi detrarre il periodo conseguente al rinvio disposto per l’astensione degli avvocati, e giudicò che esso si sarebbe dovuto concludere in cinque anni. In relazione ai danni risarcibili, la Corte considerò che al ricorrente sarebbe stata ricostruita la carriera a norma del d.lgs. 19 marzo 2001, n. 69, ma che nel frattempo egli non aveva potuto ricoprire incarichi operativi: ciò faceva presumere che, non potendo vantare l’esperienza e la preparazione che avrebbe potuto acquisire se il processo si fosse concluso in tempo ragionevole, egli non potesse aspirare a quegli incarichi e gradi che presuppongono il precedente svolgimento di particolari funzioni, per il che gli riconobbe un danno patrimoniale di Euro 15.000,00. La Corte escluse che fosse stato provato un nesso di causalità tra il prolungamento del processo e le spese di trasferimento in altra sede, nonché il danno biologico costituito dall’aggravamento di una “cefalea a grappolo” e dall’insorgenza di un carcinoma, giudicando insufficiente la dichiarazione del dottor Fedi, tanto più che, quanto alla cefalea, la patologia in questione era stata riconosciuta dalla Commissione Medica di Firenze per il particolare tipo di lavoro svolto, sicché era al riguardo inutile l’assunzione della consulenza tecnica, che era stata richiesta dall’amministrazione resistente. La Corte riconobbe infine il danno non patrimoniale, comprensivo del danno esistenziale per il venir meno dell’interesse allo svolgimento d’attività non remunerative, fonte di compiacimento e di benessere, e lo liquidò in Euro 50.000,00.

Avverso tale decreto il F. propose ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura. Il Ministro della giustizia resistette con controricorso e ricorso incidentale con due motivi di censura.

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 14832 del 27 giugno 2006, riuniti i ricorsi, rigettò il ricorso principale, accolse il primo motivo del ricorso incidentale, rigettò il secondo motivo dello stesso ricorso incidentale, cassò il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinviò la causa, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione.

Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte nell’accogliere il primo motivo del ricorso incidentale dell’Amministrazione, osservò: “Con il primo motivo del ricorso incidentale si denunciano violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, dell’art. 2697 c.c. e del D. Lgs. n. 69 del 2001, art. 32, e vizi di motivazione su un punto decisivo. Si deduce che, in contrasto con il principio che il danno patrimoniale deve essere provato, la Corte lo aveva presunto sulla base dell’impossibilità per il F. di aspirare a incarichi e gradi che presuppongono lo svolgimento di particolari funzioni, ponendosi in contrasto con il disposto del D. Lgs. n. 69 del 2001, art. 32, sulla ricostruzione della carriera, pur contraddittoriamente richiamato in sentenza. Il motivo è fondato quanto al denunciato vizio di motivazione. Le disposizioni contenute nel D. Lgs. 19 marzo 2001, n. 69, artt. 32 e segg. (Riordino del reclutamento, dello stato giuridico e dell’avanzamento degli ufficiali del Corpo della Guardia di finanza), contenuti nel Capo 3 (“Cessazione delle cause impeditive della valutazione o della promozione”), delineano un sistema, tendenzialmente completo, diretto a neutralizzare gli effetti negativi verificati nella progressione in carriera dell’ufficiale, nei cui riguardi il procedimento penale o quello disciplinare, avviato per l’eventuale irrogazione di una sanzione di stato, si sia concluso con esito favorevole, o per il quale sia stata revocata la sospensione dall’impiego di carattere precauzionale. La Corte territoriale, decidendo sulla domanda di equa riparazione del danno patrimoniale, lamentato dal tenente F. in conseguenza dell’ingiustificato prolungamento del processo penale al quale era stato sottoposto, ha affermato che le disposizioni ricordate avrebbero trovato applicazione a favore del ricorrente. Nonostante ciò, la Corte ha aggiunto che il rimedio offerto dalla legge non sarebbe stato completo, sul presupposto che nel frattempo egli non avesse ricoperto incarichi operativi: quest’ultima circostanza faceva presumere che, non potendo vantare l’esperienza e la preparazione che avrebbe potuto acquisire se il processo si fosse concluso in tempo ragionevole, il ricorrente non potesse aspirare a quegli incarichi e gradi che presuppongono il precedente svolgimento di particolari funzioni. In tal modo la Corte ha basato la sua decisione su una presunzione semplice che si poneva in contrasto con la precedente affermazione, dell’applicabilità al caso di specie del rimedio previsto dalla legge. È bensì vero che quella disciplina legale, dettata ad altri fini, non preclude l’accertamento di ulteriori danni patrimoniali subiti dal ricorrente nello svolgimento del suo rapporto con l’amministrazione; ma quest’ultima, osservando che tali danni non potevano essere presunti, come ha invece ritenuto la Corte, coglie nel segno, sia perché il danno patrimoniale in genere non può essere presunto, ma deve essere dimostrato da chi ne chiede la riparazione, sia perché la precedente affermazione giustificava, semmai, una presunzione (semplice) di segno contrario. In tal modo, la Corte è incorsa nel denunciato vizio di motivazione su un punto decisivo – esistenza di un danno patrimoniale passibile di equa riparazione – che comporta la cassazione della sentenza. […] La cassazione del decreto in relazione al motivo accolto comporta il rinvio della causa, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte stessa territoriale, in altra composizione. Questa, nel procedere al nuovo giudizio sull’esistenza e l’ammontare del danno patrimoniale, motiverà la sua decisione, se favorevole al ricorrente, identificando i vantaggi patrimoniali, collegati alla carriera, ai quali la parte avrebbe potuto aspirare – dopo lo spirare del termine di ragionevole durata del processo già stabilito – e che, pregiudicati di fatto dal mancato svolgimento di particolari funzioni nel tempo d’ingiustificata protrazione del processo, non troverebbero copertura nelle disposizioni del citato D. Lgs. n. 69 del 2001”.

Riassunto il giudizio dal F. con ricorso notificato il 1 ottobre 2007, la Corte di Venezia dispose consulenza tecnica d’ufficio “volta ad accertare se e quali danni patrimoniali, a causa della durata del processo che lo aveva interessato, avesse subito il ricorrente nella carriera, ulteriori rispetto a quelli ai quali la ricostruzione della carriera, effettuata ai sensi degli articolo 32 e segg. del decreto legislativo n. 69/01, aveva già rimediato”.

Con decreto depositato il 28 novembre 2008, la Corte adita ha condannato il Ministro della giustizia a corrispondere al F. la somma di Euro 274.878,86, oltre gli interessi legali dalla data della pronuncia al saldo.

In particolare, per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte di Venezia ha affermato che il consulente tecnico d’ufficio: a) “ha accertato che, tenendo conto sia della situazione dei meriti, sia della situazione dell’anzianità, deve ritenersi evidente oltre ogni ragionevole dubbio che B..F. (ora tenente colonnello F.) è stato danneggiato dal prolungamento del processo”, prendendo in considerazione, al riguardo, “(come gli era stato richiesto e come indicato dalla Cassazione) il periodo successivo ai cinque anni e undici mesi ritenuti dalla Corte d’Appello come tempo di ragionevole durata del processo e considerato tale anche dal Supremo Collegio” e tenendo conto anche “della rapida progressione in carriera compiuta subito dopo la assoluzione anche in secondo grado, e il conseguimento di diversi elogi”; b) a tale conclusione “è pervenuto valutando che, nel periodo di ingiustificata protrazione del processo (dal 14 settembre 1994 al 20 dicembre 2002) non ha potuto essere nominato Maggiore – grado che avrebbe conseguito nel gennaio 2001 – e, quindi, non ha potuto assumere un comando che gli avrebbe permesso la automatica progressione in carriera (che per i militari può avvenire solo ove dimostrino di avere ricevuto un incarico di comando effettivo nel periodo in cui conservano il grado)”, con la conseguenza che, “rispetto ai colleghi del suo corso che hanno potuto usufruire di tale opportunità nel periodo normale in cui avevano il grado di Maggiore, B..F. è sicuramente danneggiato, posto che tutti otterranno la promozione al grado di Colonnello mentre il Tenente Colonnello F. non la otterrà mai”.

Inoltre, la Corte di Venezia ha affermato che: c) da quanto prima esposto può desumersi il danno economico patito dal F., relativo non a quello derivante dal mancato avanzamento nella carriera – posto che dopo l’assoluzione in secondo grado è stata effettuata a suo favore la ricostruzione della carriera fino al grado di Tenente Colonnello -, ma alla impossibilità di raggiungere il grado di Colonnello: infatti, “poiché le vicende giudiziarie occorse gli impediranno sicuramente di raggiungere il grado di Colonnello al quale egli poteva legittimamente aspirare e che aveva la ragionevole tranquillità di conseguire, è evidente che il predetto non potrà mai beneficiare del miglior trattamento economico legato allo scatto di carriera, subendo così un danno patrimoniale che si protrarrà anche nel periodo di quiescenza”.

Infine, in ordine alla determinazione dell’entità del danno patrimoniale patito dal F., la stessa Corte ha affermato: d) “Il consulente ha quantificato tale danno tenendo conto sia che non potranno essere calcolati gli interessi su di una somma che, liquidata da questa Corte, gli sarà corrisposta in unica soluzione, sia della rivalutazione annuale degli stipendi. Il consulente tecnico ha illustrato nel dettaglio i calcolo argomentando ogni passaggio con esposizione puntuale, logica coerente, che non si presta ad alcuna censura: del resto, nessuna delle due parti ha formulato critiche all’elaborato, neppure il Ministero che, nella sua comparsa di costituzione, successiva al deposito dell’elaborato, nulla ha contestato sul punto. La Corte, pertanto, fa proprie le conclusioni del Consulente”.

Avvero tale decreto il Ministro della giustizia ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura.

Resiste, con controricorso illustrato da memoria, F.B..

Motivi della decisione

Con il primo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, dell’art. 394 c.p.c. – art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.”), il ricorrente – premesso che, in ragione del carattere dispositivo dell’impugnazione, i poteri del giudice di rinvio vanno determinati con esclusivo riferimento all’iniziativa delle parti, in assenza di impugnazione incidentale della parte parzialmente vittoriosa, la decisione del giudice non può essere più sfavorevole, nei confronti dell’impugnante, di quanto non sia stata la sentenza oggetto di gravame e non può quindi dare luogo ad una reformatio in peius in danno di quest’ultimo – critica il decreto impugnato, sostenendo che, nella specie, il F. aveva impugnato per cassazione il precedente decreto del 5 gennaio 1994 soltanto con riferimento al mancato riconoscimento del danno biologico.

Con il secondo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione del’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, dell’art. 32 D. L.vo 19 marzo 2001, n. 69, dell’art. 394 c.p.c., nonché degli artt. 1223, 2043 e 2697 c.c., con riferimento all’art. 360 n. 3, c.p.c.”) e con il terzo motivo (con cui deduce: “Insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio – art. 360, n. 5, c.p.c.”) – i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione – il ricorrente critica il decreto impugnato – anche sotto il profilo del vizio di motivazione -, sostenendo che i Giudici a quibus hanno sostituito alla presunzione di esistenza di danno patrimoniale ulteriore rispetto alla operata ricostruzione della carriera del F., altra presunzione fondata sulle indimostrate affermazioni del consulente tecnico d’ufficio che ha tenuto per certe circostanze che, invece, sono soltanto ipotetiche, cioè la normalità della promozione a Maggiore in base alla mera anzianità, dell’affidamento al Maggiore di incarichi di comando, e della promozione del Maggiore a Tenente Colonnello.

Il ricorso merita accoglimento in riferimento al primo motivo.

Il secondo ed il terzo motivo del ricorso sono privi di fondamento.

Secondo il costante orientamento di questa Corte condiviso dal Collegio -, in tema di risarcimento del danno, il creditore che voglia ottenere i danni derivanti dalla perdita di chance – che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non costituisce una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione – ha l’onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 11353 del 2010, 4052 del 2009, 21544 del 2008, 1752 del 2005, 18945 del 2003).

Orbene, la Corte di Venezia, sulla base delle argomentate e motivatamente condivise valutazioni del consulente tecnico d’ufficio ha ritenuto sussistente il danno economico patito dal F. – concernente non quello derivante dal mancato avanzamento nella carriera, dal momento che dopo l’assoluzione in secondo grado era stata effettuata a suo favore la ricostruzione della carriera fino al grado di Tenente Colonnello, ma l’impossibilità di raggiungere il grado di Colonnello -, in quanto il procedimento penale di cui questi è stato vittima (protrattosi per ben quindici anni ed undici mesi e conclusosi con l’assoluzione piena del F. ) gli ha sicuramente impedito, alla luce dei criteri normalmente seguiti all’interno del Corpo per la progressione nella carriera di ufficiale della Guardia di finanza, di raggiungere il grado di Colonnello “al quale egli poteva legittimamente aspirare e che aveva la ragionevole tranquillità di conseguire”, con la conseguenza che “il predetto non potrà mai beneficiare del miglior trattamento economico legato allo scatto di carriera, subendo così un danno patrimoniale che si protrarrà anche nel periodo di quiescenza”. Così argomentando, la Corte di Venezia non si è sostanzialmente discostata dai principi di diritto dianzi richiamati, in quanto ha ritenuto dimostrata, mediante ragionevoli e motivate presunzioni sulla base dell’id quod plerumque accidit (progressione nella carriera di ufficiale della Guardia di Finanza secondo i criteri normalmente seguiti all’interno del Corpo) e secondo un ragionevole calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato – promozione dal grado di Tenente Colonnello a quello di Colonnello – ed impedito dall’irragionevole durata del predetto procedimento penale dal quale il danno risarcibile è immediatamente e direttamente derivato.

Il primo motivo è, invece, fondato.

Come dianzi precisato (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 1-), la Corte d’Appello di Venezia, con il decreto del 5 gennaio 2004, ha riconosciuto al F. l’indennizzo di cui all’art. 2 della legge n. 89 del 2001, quantificandolo in Euro 15.000,00, a titolo di danno patrimoniale, ed in Euro 50.000,00, a titolo di danno non patrimoniale, comprensivo del danno esistenziale.
Avverso tale decreto – nella parte in cui ha riconosciuto e liquidato il danno patrimoniale – ha interposto ricorso incidentale per cassazione il solo Ministro della giustizia, mentre il F. ha proposto ricorso principale, con due motivi, soltanto per il mancato riconoscimento della voce di danno non patrimoniale afferente al danno biologico (“Con il ricorso principale si censura il rigetto, da parte della Corte del merito, della domanda di riparazione del danno biologico”: cfr. i Motivi della decisione della sentenza della Corte di cassazione n. 14832 del 2006).

Orbene, secondo il costante orientamento di questa Corte concernente il divieto di reformatio in peius in sede di impugnazione, il giudice dell’impugnazione, confermando la sentenza impugnata, può senza violare il principio dispositivo, anche d’ufficio, correggerne, modificarne o integrarne la motivazione, purché la modifica non concerna statuizioni adottate dal giudice di grado inferiore non impugnate dalla parte interessata, con la conseguenza che, in assenza d’impugnazione della parte parzialmente vittoriosa (appello o ricorso per cassazione), la decisione non può essere più sfavorevole all’impugnante e più favorevole alla controparte di quanto non sia stata la sentenza impugnata e non può, quindi, dare luogo ad una reformatio in peius in danno del primo (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 14127 del 2011). Più in particolare, e con specifico riferimento al caso di specie, è stato enunciato il principio secondo cui, in caso di cassazione con rinvio di una sentenza, i poteri del giudice di rinvio, in ragione del carattere dispositivo dell’impugnazione, vanno determinati con esclusivo riferimento all’iniziativa delle parti, con la conseguenza che in assenza di impugnazione incidentale della parte parzialmente vittoriosa, la decisione del giudice del rinvio non può essere più sfavorevole, nei confronti della parte che abbia impugnato, di quanto non sia stata la sentenza oggetto di gravame, e non può quindi dare luogo alla sua reformatio in peius in danno di quest’ultima (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 1823 del 2005).

È, dunque, evidente che la Corte di Venezia – in presenza di ricorso principale per cassazione del F. , concernente il solo capo del decreto impugnato relativo al mancato riconoscimento dell’indennizzo relativo al danno non patrimoniale (danno biologico), e di ricorso incidentale del Ministro della giustizia, concernente il capo del medesimo decreto relativo al riconoscimento dell’indennizzo relativo al danno patrimoniale nella misura di Euro 15.000,00 – non poteva riconoscere al F. , a titolo di danno patrimoniale, in assenza di impugnazione dello stesso sul punto, una somma maggiore di quella liquidatagli dalla stessa Corte con il decreto del 5 gennaio 2004.

Da ciò consegue che il decreto impugnato deve essere annullato, restando coperto da giudicato il decreto del 5 gennaio 2004, nella parte in cui ha riconosciuto al F. l’indennizzo di Euro 50.000,00, a titolo di danno non patrimoniale.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ..

Le medesime considerazioni, svolte dianzi (cfr., supra, n. 2.1.) per respingere il secondo ed il terzo motivo del presente ricorso, possono essere poste a fondamento dell’equitativo riconoscimento al F. dell’indennizzo di Euro 15.000,00, a titolo di danno patrimoniale (perdita di chance), posto che è indubitabile che lo stesso F. , a causa dell’abnorme protrazione del giudizio penale presupposto conclusosi con la sua assoluzione, ha subito anche un danno patrimoniale connesso, quantomeno, alla mancata progressione in carriera dal grado di Tenente Colonnello a quello di Colonnello.

In conclusione, al F. spetta l’indennizzo di Euro 50.000,00, a titolo di danno non patrimoniale, in forza del giudicato formatosi sul decreto della Corte d’Appello di Venezia in data 5 gennaio 2004, oltre gli interessi dalla data della domanda di equa riparazione e fino al saldo, nonché l’indennizzo di Euro 15.000,00, in forza della presente sentenza, oltre gli interessi dalla data della domanda di equa riparazione e fino al saldo.

Conseguentemente, le spese processuali debbono essere nuovamente liquidate, sulla base delle tabelle A, paragrafo IV, e B, paragrafo I, allegate al Decreto del Ministro della giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi, come segue: 1) quanto al primo giudizio di merito, conclusosi con il decreto del 5 gennaio 2004, in complessivi Euro 3.635,70, di cui Euro 335,70 per esborsi, Euro 1.300,00 per diritti ed Euro 2.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge; 2) quanto al primo giudizio di legittimità, in complessivi Euro 3.500,00 di cui Euro 500,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge; 3) quanto al giudizio di rinvio, conclusosi con il decreto impugnato, in complessivi Euro 3.635,70, di cui Euro 335,70 per esborsi, Euro 1.300,00 per diritti ed Euro 2.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il secondo ed il terzo motivo del ricorso ed accoglie il primo; cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro della giustizia al pagamento al ricorrente della somma di Euro 15.000,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore del F., delle spese del giudizio, che determina: 1) quanto al primo giudizio di merito, conclusosi con il decreto del 5 gennaio 2004, in complessivi Euro 3.635,70, di cui Euro 335,70 per esborsi, Euro 1.300,00 per diritti ed Euro 2.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge; 2) quanto al primo giudizio di legittimità, in complessivi Euro 3.500,00 di cui Euro 500,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge; 3) quanto al giudizio di rinvio, conclusosi con il decreto impugnato, in complessivi Euro 3.635,70, di cui Euro 335,70 per esborsi, Euro 1.300,00 per diritti ed Euro 2.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge; 4) quanto al presente grado del giudizio, in complessivi Euro 2.500,00 di cui Euro 500,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

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