Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 28 marzo 2017, n. 7938

Sommario

In materia di eliminazione di barriere architettoniche la l. 13/1989 costituisce espressione di un principio di solidarieta’ sociale e persegue finalita’ di carattere pubblicistico volte a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilita’ agli edifici, sicche’ la sopraelevazione del preesistente impianto di ascensore ed il conseguente ampliamento della scala padronale, non possono essere esclusi unicamente in forza di disposizione del regolamento condominiale che subordini l’esecuzione di qualunque opera che interessi le strutture portanti, modifichi impianti generali o che comunque alteri l’aspetto architettonico all’autorizzazione del condominio.

Tale disposizione del regolamento condominiale risulta infatti recessiva rispetto all’esecuzione di opere indispensabili ai fini di una effettiva abitabilita’ dell’immobile, dovendo in tale caso verificarsi che dette opere, se effettuate a spese del condomino interessato, rispettino i limiti previsti dall’articolo 1102 c.c..

Nel compiere tale verifica, il giudice di merito dovra’ tenere conto del principio di solidarieta’ condominiale, secondo il quale la coesistenza di piu’ unita’ immobiliari in un unico fabbricato implica di per se’ il contemperamento di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche, oggetto di un diritto fondamentale, che prescinde dall’effettiva dell’utilizzazione da parte di costoro degli edifici interessati

Suprema Corte di Cassazione

sezione II civile

sentenza 28 marzo 2017, n. 7938

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26321-2013 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), nonche’ (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS), in proprio e quali eredi della sig.ra (OMISSIS) ed aventi causa della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– ricorrenti e c/ricorrenti all’incidentale –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), (c.f. (OMISSIS)) in persona dell’Amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;

– c/ricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 3013/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 24/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/01/2017 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO;

udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore dei ricorrenti, che ha chiesto l’accoglimento delle difese in atti;

udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore del Condominio, che si e’ riportato agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso principale e per il rigetto del ricorso incidentale.

ESPOSIZIONE DEL FATTO

Il Tribunale di Roma, con la sentenza n.25841/2003, definitivamente pronunciando sulla controversia instaurata da (OMISSIS) srl e (OMISSIS) nei confronti del Condominio (OMISSIS), confermo’ l’ordinanza cautelare di autorizzazione degli attori all’esecuzione delle opere aventi ad oggetto la modifica dell’impianto di ascensore e la prosecuzione della scala condominiale sino al piano superattico.

Il giudice di prime cure peraltro, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta, in via subordinata, del condominio, condanno’ gli attori al risarcimento del danno provocato al condominio dagli eseguiti lavori, che avevano inciso negativamente sul decoro architettonico dell’edificio, ed avevano altresi’ determinato un pregiudizio derivante dal maggiore utilizzo e sfruttamento del nuovo impianto da parte degli ultimi appartamenti da esso serviti, danni da liquidarsi in separato giudizio.

Il Condominio impugno’ detta sentenza nei confronti di (OMISSIS) (nel frattempo posta in liquidazione), nonche’ di (OMISSIS), in proprio e quale erede di (OMISSIS), deceduta nelle more del giudizio, di (OMISSIS), di (OMISSIS) ed (OMISSIS) e degli altri eredi della signora (OMISSIS), riproponendo la domanda di rimessione in pristino o in subordine di condanna degli appellati al risarcimento dei danni derivanti dalla realizzazione delle opere in oggetto.

(OMISSIS) srl in liquidazione, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) costituitisi, chiesero la reiezione dell’appello spiegando altresi’ appello incidentale per la revoca della statuizione di condanna al risarcimento dei danni.

La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n.3013 pubblicata il 24 maggio 2013, in accoglimento dell’appello principale condanno’ gli appellati alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, con integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.

La Corte d’Appello, in particolare, premesso che non era stata fornita alcuna concreta dimostrazione che la signora (OMISSIS), ormai deceduta, avesse gravi difficolta’ di deambulazione, non potendo dunque trovare applicazione la normativa sull’eliminazione delle barriere architettoniche, affermo’ che le opere dovevano ritenersi in contrasto con al disposizione dell’articolo 5) n. 12 del Regolamento condominiale, che vietava l’esecuzione di qualunque opera interessante le strutture portanti e che comunque alterassero l’aspetto architettonico dell’edificio ed ogni modifica agli impianti di uso generale, senza l’autorizzazione dell’assemblea dei condomini.

La Corte territoriale inoltre rilevo’, da un lato, che il divieto contenuto nella richiamata disposizione del Regolamento condominiale doveva ritenersi assoluto, non potendo invocarsi in contrario il disposto dell’articolo 1102 c.c. e che, nel merito, la realizzazione di una rampa di scala aveva necessariamente interessato le strutture portanti dell’edificio, mentre la realizzazione dell’ascensore (per giungere sino al piano superattico) costituiva modifica di un “impianto” di uso generale.

Dichiaro’, inoltre, inammissibile la domanda del condominio di risarcimento dei danni subiti nel corso delle lavorazioni, in quanto detta domanda, formulata nelle conclusioni dell’atto di gravame, non risultava illustrata nei motivi di appello.

Il giudice di appello, infine, in considerazione della peculiarita’ della controversia e delle questioni di carattere interpretativo del regolamento condominiale, dispose l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.

Per la cassazione di detta sentenza propongono ricorso, affidato a tre motivi, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e quali eredi di (OMISSIS) ed aventi causa della (OMISSIS) srl in liquidazione.

Il Condominio resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, resistito da controricorso dei ricorrenti in via principale.

Sia i ricorrenti in via principale che il Condominio hanno depositato memorie ex articolo 378 c.p.c..

CONSIDERATO IN DIRITTO

Deve anzitutto disattendersi l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso per violazione dell’articolo 366 c.p.c., n. 3), atteso che esso contiene l’esposizione chiara ed esauriente dei fatti di causa, dalla quale risultano le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte, in modo sintetico ma esauriente, nonche’ lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni essenziali (Cass. 19767/2015),contenendo in se’ tutti gli elementi necessari ad evidenziare le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito (Cass. 14784/2015).

Con il primo motivo i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., articolo 1102 c.c., nonche’ della normativa in materia di eliminazione delle barriere architettoniche L. n. 13 del 1989, ex articoli 1 e 2 e Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 77 e 78, in relazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 3), nonche’ omesso esame di un fatto decisivo che e’ stato oggetto di discussione tra le parti avuto riguardo alla mancata prova delle gravi difficolta’ di deambulazione della signora (OMISSIS).

I ricorrenti lamentano che la Corte territoriale abbia omesso di valutare la legittimita’ delle opere, sia in relazione alla normativa in materia di eliminazione delle barriere architettoniche, che dell’articolo 1102 c.c..

Con il secondo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1102 c.c., degli articoli 2, 32 e 42 Cost., dell’articolo 1322 c.c. e della normativa in materia di eliminazione delle barriere architettoniche, di cui alla L. n. 13 del 1989, articoli 1 e 2 e Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 77 e 78, nonche’ la nullita’ per carenza di motivazione, anche in violazione dell’articolo 111 Cost., articolo 132 c.p.c. e articolo 118 disp. att. c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto che il diritto del proprietario di favorire, mediante l’esecuzione di opere a proprie spese ex articolo 1102 c.c., un accesso agevole e dignitoso alla sua proprieta’ possa essere derogata dal regolamento condominiale, deducendo che cio’ sarebbe in contrasto con diritti costituzionalmente tutelati, ed in particolare il fondamentale diritto alla salute, di cui all’articolo 32 Cost..

Con il terzo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., nonche’ degli articoli 1138, 1362, 1363, 1366, 1367 e 1371 c.c. ex articolo 360 c.p.c., n. 3), censurando la statuizione dell’impugnata sentenza secondo cui le opere eseguite rientrassero per tipologia tra quelle vietate ex articolo 5, n. 12 reg. condominio.

I primi due motivi, che, in virtu’ dell’intima connessione, vanno unitariamente esaminati, colgono nel segno.

La sentenza impugnata ha affermato che, non essendo stata fornita alcuna concreta dimostrazione che la (OMISSIS) avesse gravi difficolta’ di deambulazione, non poteva in ogni caso trovare applicazione la normativa sulle barriere architettoniche ed ha pertanto affermato la prevalenza del regolamento condominiale (articolo 5, n. 12) sulla disposizione dell’articolo 1102 c.c., con conseguente illegittimita’ delle opere di dirette a consentire che l’impianto di ascensore e la scala principale potessero raggiungere il piano superattico.

La Corte territoriale ha infatti affermato che non essendo stata provata la sussistenza di gravi difficolta’ di deambulazione della signora (OMISSIS), conduttrice dell’immobile sito all’ultimo piano (superattico) dell’edificio, doveva senz’altro applicarsi il divieto di modifiche previsto dal regolamento condominiale.

Si osserva in contrario che, come evidenziato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 167/1999, la legislazione relativa ai portatori di handicap, (ed in particolare la L. 9 gennaio 1989, n. 13 recante “Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati” e la L. 5 febbraio 1992, n. 104, “Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”) non si e’ limitata ad innalzare il livello di tutela in favore di tali soggetti, ma, come questa Corte ha gia’ affermato (Cass. 18334/2012 in motivazione), ha segnato un radicale mutamento di prospettiva rispetto al modo stesso di affrontare i problemi delle persone affette da invalidita’, tali da dover essere assunti dall’intera collettivita’.

Con le leggi citate sono state infatti introdotte disposizioni generali per la costruzione di edifici privati e per la ristrutturazione di quelli preesistenti, intese alla eliminazione delle barriere architettoniche, indipendentemente dalla effettiva utilizzazione degli edifici stessi da parte delle persone disabili (Corte cost. n. 167/1999).

Nella valutazione del legislatore, quale si desume dalla L. n. 13 del 1989, articolo 1 cit., dunque, l’installazione dell’ascensore o di altri congegni, con le caratteristiche richieste dalla normativa tecnica, idonei ad assicurare l’accessibilita’, adattabilita’ e visitabilita’ degli edifici, costituisce elemento che deve necessariamente essere previsto dai progetti relativi alla costruzione di nuovi edifici, ovvero alla ristrutturazione di interi edifici. Da tale indicazione si desume che nella valutazione del legislatore, l’ascensore ed i congegni similari – ma, negli edifici con piu’ di tre livelli fuori terra solo l’ascensore – costituiscono una dotazione imprescindibile per l’approvazione dei relativi progetti edilizi potendo dunque fondatamente ritenersi che, sulla base della legislazione vigente, l’esistenza dell’ascensore possa senz’altro ritenersi funzionale ad assicurare la vivibilita’ dell’appartamento e rivesta pertanto carattere essenziale.

E’ vero che tali prescrizioni, e la qualificazione in termini di essenzialita’ della presenza dell’ascensore negli edifici con piu’ di tre livelli che ne consegue, sono dal legislatore imposte per i nuovi edifici o per la ristrutturazione di interi edifici, mentre per gli edifici privati esistenti valgono le disposizioni di cui alla L. n. 13 del 1989, articolo 2.

La assolutezza della previsione di cui all’articolo 1, peraltro, non puo’ non costituire un criterio di interpretazione anche per la soluzione dei potenziali conflitti che dovessero verificarsi con riferimento alla necessita’ di adattamento degli edifici esistenti alle prescrizioni dell’articolo 2: l’installazione di un ascensore deve dunque considerarsi indispensabile ai fini dell’accessibilita’ dell’edificio e della reale abitabilita’ dell’appartamento e rientra, pertanto, nei poteri dei singoli condomini, ai sensi dell’articolo 1102 c.c., esigendo il rispetto dei soli limiti dettati da detta norma, comportanti il divieto di alterare la destinazione della cosa comune o impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.(Cass. 14096/2012; 14809/2014).

Se dunque e’ vero che l’articolo 1102 cod. civ., nel prescrivere che ciascun partecipante puo’ servirsi della cosa comune purche’ non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso, non pone una norma inderogabile con la conseguenza che, i suddetti limiti possono essere resi piu’ rigorosi dal regolamento condominiale, (o da delibere assembleari adottate con i “quorum” prescritti dalla legge) (Cass. 27233/2013) nel caso di specie la Corte territoriale ha omesso di considerare la natura dei lavori, dichiaratamente rivolti alla eliminazione di barriere architettoniche, e dunque coinvolgenti diritti fondamentali dei disabili.

Nella fattispecie in esame, dunque, i divieti del regolamento condominiale ulteriori rispetto ai generali limiti stabiliti dall’articolo 1102 c.c., appaiono recessivi rispetto all’ipotesi di realizzazione di opere, quale ampliamento delle scale ed adeguamento dell’ascensore, che devono ritenersi indispensabili ai fini di una effettiva abitabilita’ dell’immobile, intesa nel senso di una condizione abitativa che rispetti l’evoluzione delle esigenze generali dei condomini, o di chi comunque utilizza il condominio, ed il rispetto del benessere abitativo e di piena utilizzazione della propria abitazione, dovendo ritenersi che le disposizioni in materia di eliminazione di barriere architettoniche costituiscono norme imperative ed inderogabili, direttamente attuative degli articoli 32 e 42 Cost.. Si sarebbe, inoltre, dovuto tenere conto del principio di solidarieta’ condominiale, gia’ applicato da questa Corte per affermare che, in materia di condominio, le norme relative ai rapporti di vicinato, tra cui quella dell’articolo 889 c.c. trovano applicazione soltanto in quanto compatibili con la concreta struttura dell’edificio e con la particolare natura dei diritti e facolta’ dei singoli proprietari, considerando che la coesistenza di piu’ appartamenti in un unico edificio implica di per se’ il contemperamento di vari interessi al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che e’ propria dei rapporti condominiali, e cio’ a maggior ragione laddove vengano in rilievo diritti fondamentali di persone disabili e comunque anziane.

Si osserva al riguardo che tali disposizioni devono ritenersi vigenti indipendentemente dall’effettiva utilizzazione degli edifici stessi da parte di persone disabili (in tal senso vedi, Corte cost. sent. n. 167/1999).

Il concetto di disabilita’ va inoltre interpretato in senso ampio, anche alla luce della nuova dimensione che ha assunto il diritto alla salute, non piu’ intesa come semplice assenza di malattia, ma come stato di completo benessere fisico e psichico (ex multis Cass. 21748/2007), si’ da doversi ritenere che la normativa concernente il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche di cui alla L. n. 13 del 1989, articolo 2 debba ritenersi applicabile anche alle persone che, in condizione dell’eta’ avanzata, pur non essendo portatori di handicap, abbiano comunque disagi fisici e difficolta’ motorie.

Orbene, nel caso di specie la signora (OMISSIS) all’epoca dei fatti aveva ottantasei anni e risultava affetta da patologie invalidanti, quali sclerosi miocardica, blocco dell’anca destra e difficolta’ nella deambulazione desumibili dalla documentazione clinica allegata.

Si osserva inoltre che, dalla gia’ menzionata considerazione che la L. n. 13 del 1989, in tema di eliminazione delle barriere architettoniche, costituisce espressione di un principio di solidarieta’ sociale e persegue finalita’ di carattere pubblicistico volte a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilita’ agli edifici, il diritto al mantenimento ed all’uso dei dispositivi antibarriera (nella specie, un dispositivo servo scale), installati (anche provvisoriamente) in presenza di un soggetto residente portatore di “handicap” o comunque in condizioni di disabilita’, non costituisce un diritto personale ed intrasmissibile del condomino disabile, che si estingue con la morte dello stesso (cosi’ Cass. 3858/2016), onde non assume rilievo la circostanza che la signora (OMISSIS), che, come gia’ evidenziato, all’epoca dell’instaurazione della presente controversia aveva gia’ ottantasei anni, sia deceduta nelle more del giudizio.

L’accoglimento dei primi due motivi assorbe l’esame del terzo, con cui i ricorrenti deducono che le opere eseguite non risultavano, in ogni caso, in contrasto con la citata disposizione di cui all’articolo 5 n. 12 del regolamento condominiale.

Va invece rilevata l’inammissibilita’ in questa sede della richiesta di sospensione della sentenza impugnata ex articolo 373 c.p.c..

Passando al ricorso incidentale, con il primo motivo il condominio denunzia violazione dell’articolo 112 c.p.c., in relazione alla statuizione della sentenza impugnata in cui si afferma l’inammissibilita’ della richiesta di ristoro dei danni (da liquidarsi in separata sede) subiti dal condominio in conseguenza delle opere per cui e’ causa, formulata nelle conclusioni dell’atto di gravame, in quanto la stessa non era stata in concreto illustrata nei motivi di appello.

Il condominio deduce di non aver proposto alcuna doglianza al riguardo, essendosi limitato a reiterare la domanda risarcitoria gia’ accolta dal Tribunale.

La censura e’ inammissibile per difetto di autosufficienza ed in ogni caso per carenza di decisivita’.

Ed invero, poiche’ non e’ stato specificamente riportato, nel corpo del ricorso incidentale, il contenuto della domanda risarcitoria originariamente formulata dal condominio nel giudizio di primo grado, ne’ le conclusioni prese nel giudizio di appello, non e’ possibile verificare se in sede di gravame il condominio si sia limitato a reiterare la domanda risarcitoria nei limiti in cui la stessa era stata accolta dal primo giudice, con conseguente configurabilita’, in tal caso, del dedotto vizio di ultra petizione in ordine alla pronuncia di rigetto dell’impugnazione (di fatto non proposta).

In ogni caso, peraltro, laddove il condominio non avesse in effetti proposto alcuna impugnazione, ne’ accampato ulteriori ragioni di danno rispetto a quanto riconosciuto dal primo giudice, il motivo e’ inammissibile per carenza di interesse.

Il secondo motivo del ricorso incidentale e’ assorbito dall’accoglimento del ricorso principale con cassazione della sentenza impugnata, da cui deriva una nuova regolazione delle spese di lite.

La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma, che si atterra’ al seguente principio di diritto:

“In materia di eliminazione di barriere architettoniche la l. 13/1989 costituisce espressione di un principio di solidarieta’ sociale e persegue finalita’ di carattere pubblicistico volte a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilita’ agli edifici, sicche’ la sopraelevazione del preesistente impianto di ascensore ed il conseguente ampliamento della scala padronale, non possono essere esclusi unicamente in forza di disposizione del regolamento condominiale che subordini l’esecuzione di qualunque opera che interessi le strutture portanti, modifichi impianti generali o che comunque alteri l’aspetto architettonico all’autorizzazione del condominio.

Tale disposizione del regolamento condominiale risulta infatti recessiva rispetto all’esecuzione di opere indispensabili ai fini di una effettiva abitabilita’ dell’immobile, dovendo in tale caso verificarsi che dette opere, se effettuate a spese del condomino interessato, rispettino i limiti previsti dall’articolo 1102 c.c..

Nel compiere tale verifica, il giudice di merito dovra’ tenere conto del principio di solidarieta’ condominiale, secondo il quale la coesistenza di piu’ unita’ immobiliari in un unico fabbricato implica di per se’ il contemperamento di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche, oggetto di un diritto fondamentale, che prescinde dall’effettiva dell’utilizzazione da parte di costoro degli edifici interessati”.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo. Respinge il ricorso incidentale.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma

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