Corte di Cassazione, sezione II penale, sentenza 15 novembre 2016, n. 48251

Non integra il delitto di appropriazione indebita il creditore che, a fronte dell’inadempimento del debitore, eserciti a fini di garanzia del credito il diritto di ritenzione sulla cosa di proprietà di quest’ultimo legittimamente detenuta in ragione del rapporto obbligatorio, a meno che egli non compia sul bene atti di disposizione che rivelino l’intenzione di convertire il possesso in proprietà

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II PENALE

SENTENZA 15 novembre 2016, n. 48251

Ritenuto in fatto

Con sentenza in data 30.6.2014, la Corte d’Appello di L’Aquila confermava la sentenza del Tribunale di Teramo del 17.9.2010 con la quale C.A. e D.C.S. sono stati condannati alla pena ritenuta di giustizia in relazione al reato di appropriazione indebita di due automezzi da loro detenuti in custodia. Fatti accertati il […].

1.1. La Corte d’Appello di Salerno respingeva le censure mosse con gli atti d’appello ed in particolare quella relativa alla sussistenza del reato nonostante la esistenza di preteso esercizio di diritto di ritenzione fondato su di una controversia civilistica inerente le pretese del depositante rispetto al corrispettivo dovuto.

Avverso tale sentenza propongono ricorso gli imputati, sollevando i seguenti motivi di gravame:

– violazione di legge in relazione all’art. 646 cod.pen. in quanto nella fattispecie sussiste la scriminante dell’esercizio del diritto, difetta l’elemento soggettivo (avendo l’indagato sin da tempo comunicato la propria intenzione di avvalersi del vantato diritto di ritenzione), come pure quello oggettivo perché non sono stati compiuti atti di disposizione sul bene diversi dalla semplice ritenzione.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato.

Giova precisare che, nel caso di specie, il diritto sul quale appare essere stata fondata la ritenzione del bene da parte degli imputati non è costituito dalla sola pretesa compensazione del credito asseritamente vantato dagli stessi – aspetto che, secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, non consente di esercitare la ritenzione, difettando i requisiti della certezza, determinazione e liquidità del credito -, quanto piuttosto dal diritto di ritenzione riconosciuto dal codice civile in favore del depositario per effetto del combinato disposto degli artt. 2756 comma 3 e 2761 cod.civ.; circostanza evincibile già dalla manifestazione di volontà espressa dagli imputati con il telegramma del 30.3.2009 con il quale motivavano il rifiuto di restituzione dei mezzi di causa.

1.1 In relazione alla fattispecie in esame, questa Corte ha già avuto modo di rilevare come non integri il delitto di appropriazione indebita il creditore che, a fronte dell’inadempimento del debitore, eserciti a fini di garanzia del credito il diritto di ritenzione sulla cosa di proprietà di quest’ultimo legittimamente detenuta in ragione del rapporto obbligatorio, a meno che egli non compia sul bene atti di disposizione che rivelino l’intenzione di convertire il possesso in proprietà. (Sez. 2, Sentenza n. 17295 del 23/03/2011, Rv. 250100).

Nello stesso senso, si veda la sentenza di questa Corte, sez. 2, n. 12077 del 17/02/2015, Rv. 262772, secondo cui la omessa restituzione della cosa alla controparte che ne ha fatto richiesta in pendenza di un rapporto contrattuale non integra, di per sé, il reato di cui all’art. 646 cod. pen., in quanto non modifica il rapporto tra il detentore ed il bene attraverso un comportamento oggettivo di disposizione ‘uti dominus’ e l’intenzione soggettiva di interversione del possesso, ma si riflette in un inadempimento di esclusiva rilevanza civilistica (Fattispecie relativa al diritto di credito di un meccanico).

Pare dunque al collegio evidente che, in siffatta condizione, perché si possa ritenere configurabile il reato di appropriazione indebita, occorra un quid pluris rispetto al semplice rifiuto di restituire il bene oggetto di un rapporto contrattuale ancora vigente, quale ad esempio il compimento di atti di disposizione o di distrazione che, nel caso di specie, non sono emersi.

Si impone dunque l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste

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