Corte di Cassazione, sezione II penale, sentenza 21 novembre 2016, n. 49318

Il reato di usura è punibile solo a titolo di dolo diretto, che consiste nella cosciente volontà di conseguire i vantaggi usurari. Infatti, il dolo eventuale o indiretto postula una pluralità di eventi (conseguenti all’azione dell’agente e da questi voluti in via alternativa o sussidiaria nell’attuazione del suo proposito criminoso) che non si verifica nel reato di usura in cui vi è l’attingimento dell’unico evento di ottenere la corresponsione o la promessa di interessi o vantaggi usurari, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II PENALE

SENTENZA 21 novembre 2016, n.49318

Ritenuto in fatto

Il g.u.p. del Tribunale di Pistoia, sentenza del 16/01/2015, ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di R.B., direttore pro tempore dell’agenzia n. 1 di Vibanca di San Pietro in Vincio, imputato del delitto di usura.

II Tribunale è pervenuto al proscioglimento dell’imputato osservando che lo stesso, nella qualità di direttore d’agenzia della citata banca, aveva conferito ad un sistema esterno gestito dalla Iside s.p.a. il compito di rilevare informaticamente l’eventuale superamento dei tassi soglia, al fine di ridurre in modo automatico su base trimestrale gli importi dovuti. Quindi conclude: «atteso tale incarico, sul quale l’imputato faceva evidentemente un certo affidamento, non si vede come in futuro dibattimento potrebbe essere provato l’elemento soggettivo del delitto contestato».

Avverso tale decisione ricorre la parte civile T.R., sostenendo anzitutto che il B. «non può ritenersi discriminato dal fatto di avere incaricato società esterne per effettuare conteggi, società che lui stesso ha il compito di selezionare con oculatezza, alle quali è tenuto a dare corrette istruzioni e, soprattutto, a controllarne l’operato, del quale comunque risponde». Il g.u.p. avrebbe quindi errato nell’escludere l’elemento soggettivo del reato, quantomeno nella forma del dolo eventuale.

Inoltre il giudice di merito avrebbe dato rilievo alla consulenza tecnica prodotta dalla difesa dell’imputato, che ha ribaltato i risultati cui erano pervenuti il consulente della persona offesa e il consulente del pubblico ministero, oltretutto trascurando il contenuto di una memoria difensiva nella quale si sottolineavano gli evidenti errori in cui era incorso il consulente del B.. In tal modo, essendo evidente la possibilità di sostenere in accusa il dibattimento, il g.u.p. avrebbe altresì violato l’art. 425 cod. proc. pen.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Va premesso che – secondo il consolidato orientamento della Cassazione – la sentenza di non luogo a procedere è una sentenza di merito su di un aspetto processuale, in cui il giudice dell’udienza preliminare è chiamato a valutare non la fondatezza dell’accusa, bensì la capacità degli elementi posti a sostegno della richiesta di cui all’art. 416 cod. proc. pen., eventualmente integrati ai sensi degli artt. 421 bis e 422 cod. proc. pen., di dimostrare la sussistenza di una ‘minima probabilità’ che, all’esito del dibattimento, possa essere affermata la colpevolezza dell’imputato (Sez. 6, n. 17385 del 24/02/2016 – Tali e altri, Rv. 267074). In altri termini, ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, il G.u.p., in presenza di fonti di prova che si prestano ad una molteplicità ed alternatività di soluzioni valutative, deve limitarsi a verificare se tale situazione possa essere superata attraverso le verifiche e gli approfondimenti propri della fase del dibattimento, senza operare valutazioni di tipo sostanziale che spettano, nella predetta fase, al giudice naturale (Sez. 6, n. 6765 del 24/01/2014 – Luchi e altri, Rv. 258806).

Ciò posto, nel caso di specie non è affatto vero che il g.u.p. si sia spinto a valutare nel merito le prove fornite dalle parti, con particolare riferimento alle contraddittorie risultanze delle perizie del pubblico ministero e dell’imputato quanto allo sforamento del c.d. tasso soglia. Il secondo motivo si fonda su un palese travisamento delle ragioni poste a fondamento della decisione, assunta testualmente «tralasciando questo aspetto». Infatti, il proscioglimento dell’imputato si fonda esclusivamente sull’insussistenza dell’elemento soggettivo.

Passando, quindi, al punto della natura dell’elemento soggettivo del reato di usura, si registra un risalente orientamento di questa Corte, anteriore alla riforma dell’art. 644 cod, pen. ma che conserva – con i dovuti adattamenti – perdurante attualità: il reato dì usura è punibile solo a titolo di dolo diretto, che consiste nella cosciente volontà di conseguire i vantaggi usurari. Infatti, il dolo eventuale o indiretto postula una pluralità di eventi (conseguenti all’azione dell’agente e da questi voluti in via alternativa o sussidiaria nell’attuazione del suo proposito criminoso) che non si verifica nel reato di usura in cui vi è l’attingimento dell’unico evento di ottenere la corresponsione o la promessa di interessi o vantaggi usurari, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile (Sez. 2, n. 1789 del 21/06/1983 – dep. 01/03/1984, Gaiotto, Rv. 162875; Sez. 2, n. 6611 del 12/01/1983 – Priotti, Rv. 159935).

Nella prospettazione del ricorrente, invece, il B. dovrebbe rispondere del modesto sconfinamento (euro 751,09 nel terzo trimestre 2010 ed euro 93,01 nel primo trimestre 2011) del tasso usuraio praticato dall’agenzia bancaria di cui era direttore pro tempore, in ragione del dolo eventuale, anzi – a ben vedere – di una vera e propria ipotesi di culpa in eligendo o in vigilando sulla società esterna incaricata di contenere automaticamente il saggio di interessi entro il limite del c.d. ‘tasso soglia’ trimestrale.

È evidente, da un lato, l’infondatezza delle censure proposte dal ricorrente, che in sostanza si duole del fatto che il g.u.p. non abbia affermato la configurabilità del reato di usura anche a titolo di colpa o di dolo eventuale. Dall’altro, che il sindacato del g.u.p. sulla sostenibilità in giudizio dell’accusa si è mosso entro il perimetro consentito dalla legge.

Si aggiunga, che è inammissibile il ricorso per cassazione, proposto dalla parte civile avverso sentenza di non luogo a procedere, se l’atto di impugnazione, in una situazione di incertezza probatoria, si limiti a contestare il merito dell’apprezzamento del G.u.p., senza dedurre specificamente gli ulteriori elementi di prova che avrebbero potuto essere acquisiti al dibattimento, né i punti del quadro probatorio suscettibili di integrazione attraverso il contraddittorio dibattimentale, poiché, secondo il principio generale desumibile dal sistema, deve procedersi al dibattimento solo se dallo svolgimento della relativa istruttoria la prospettiva accusatoria può trovare ragionevole sostegno per fugare la situazione di dubbio, ma non anche in caso di astratta possibilità di una decisione diversa a parità di quadro probatorio. (Sez. 6, n. 48927 del 11/11/2015 – Provenzano, Rv. 265477; Sez. 6, n. 17659 del 01/04/2015 – Bellissimo e altro, Rv. 263256).

Il ricorso va quindi rigettato e, secondo quanto previsto dall’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

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