La massima

1. Nel caso di divisione di beni oggetto di comproprietà provenienti da titoli diversi e, quindi, appartenenti a diverse comunioni, è possibile procedere ad un’unica divisione invece che a tante divisioni quante sono le masse solo con il consenso di tutte le parti, consenso che non può risultare da una manifestazione tacita o da un semplice comportamento processuale non oppositivo avverso la domanda di divisione unitaria, ma deve materializzarsi in uno specifico ed apposito negozio giuridico, da cui possa evincersi in modo inequivocabile tale comune volontà.

2. Il principio dell’universalità della divisione ereditaria non è assoluto ed inderogabile, ed è possibile una divisione parziale sia quando al riguardo intervenga un accordo tra le parti, sia quando, essendo stata richiesta tale divisione da una delle parti, le altre non amplino la domanda, chiedendo a loro volta la divisione dell’intero asse.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE 

SENTENZA 10 aprile 2012 5694


Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 24-10-2000 V.L.M.A. e C.G..V., nella loro qualità di procuratori generali di Cl..Va., convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Erba A..V. , V.L. , Gi..Va. , An..Va. , V.G. e M.R..V. nella loro qualità di eredi di V.C. , chiedendo dichiararsi lo scioglimento della comunione con i medesimi sussistente, con l’attribuzione in proprietà esclusiva di un lotto pari al valore della quota di 1/2 spettante sulla massa da dividersi, ovvero, nel caso di vendita dei beni, dell’importo ricavato pari a tale quota di 1/2.

Gli attori esponevano che Cl..Va. e V.C. avevano acquistato, in data compresa tra il 1953 ed il 1961, in comproprietà nella misura del 50% tra loro, una serie di terreni siti nel Comune di Erba per poi edificarvi dei fabbricati, dando origine all’attuale compendio immobiliare sito in (omissis) ; gli stessi, legati da vincolo fraterno, avevano infatti investito nell’acquisto di terreni e nell’edificazione di immobili i proventi ricavati dall’esercizio in comune dell’attività di autoriparatori e rivenditori di autovetture; essendo sopraggiunto in data 28-2-1996 il decesso di C..V. , la comproprietà dei beni suddetti era continuata con i suoi figli convenuti in giudizio, avendo la moglie G..C. e la figlia Va.Lu. rinunciato all’eredità.

Si costituivano in giudizio A..V. , V.L. , Gi..Va. , An..Va. , V.G. e M.R..V. , i quali aderivano alla domanda attrice di scioglimento della comunione immobiliare; V.M.R. chiedeva l’estensione della divisione anche ad un immobile (ovvero un garage) oggetto di comproprietà tra i convenuti e la loro madre G..C. , soggetto nei cui confronti veniva esteso il contraddittorio e che, costituendosi in giudizio, aderiva a tale richiesta; gli altri convenuti aderivano alla domanda formulata da M.R..V. .

Quest’ultima peraltro all’udienza del 19-2-2004 rinunciava agli atti del giudizio di scioglimento della comunione promosso con la comparsa di costituzione e risposta del 28-12-2000 nei confronti sia degli altri convenuti sia della C. in relazione al suddetto immobile, ma anche nei confronti degli attori relativamente a) residuo compendio comune; gli altri convenuti dichiaravano contestualmente di accettare la rinuncia.

Rimessa la causa al Tribunale di Corno, quest’ultimo con sentenza del 4-7-2006 dichiarava estinto il rapporto processuale tra V.M.R. , gli altri convenuti e la C. relativamente allo scioglimento della comunione immobiliare sussistente tra le stesse parti, e disponeva lo scioglimento della comunione immobiliare esistente tra Cl..Va. ed i convenuti mediante l’attribuzione al primo del lotto B di cui al progetto divisionale del CTU, con conguaglio ad avere di Euro 439,58, ed ai secondi, in comunione tra loro, del residuo patrimonio immobiliare comune, con obbligo di corresponsione del predetto conguaglio.

Proposto gravame da parte di A..V. , Va.An. , G..V. , Gi..Va. e V.L. cui resistevano L.M.A..V. e V.C.G. quali procuratori generali di Va.Cl. , integrato il contraddicono nei confronti di V.M.R. che rimaneva contumace, la Corte di Appello di Milano con sentenza del 4-2-2010 ha rigettato l’impugnazione ed ha condannato gli appellanti al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio.

Per la cassazione di tale sentenza A..V. , Va.An. , G..V. , Gi..Va. e V.L. hanno proposto un ricorso articolato in tre motivi cui V.L.M.A. e C.G..V. quali procuratori generali di Cl..Va. hanno resistito con controricorso introducendo altresì un ricorso incidentale basato su di un unico motivo; M.R..V. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Motivi della decisione

Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.

Venendo quindi all’esame del ricorso principale, si rileva che con il primo motivo, deducendo violazione o falsa applicazione dell’art. 729 c.c. e vizio di motivazione, si censura la sentenza impugnata per aver confermato l’assegnazione in natura dei lotti ai condividenti nonostante le porzioni formate fossero di uguale entità, e senza fornire le ragioni di tale deroga al criterio legale previsto dalla norma sopra menzionata; i ricorrenti principali affermano che il giudice di appello, nel confermare l’attribuzione in proprietà esclusiva a Cl..Va. dei lotti 15 e 16, non ha considerato la pacifica attività svolta dagli esponenti di rivendita di motociclette nei locali ricompresi in tali lotti, destinati a spazi espositivi e di deposito delle motociclette commercializzate dalla società Valsecchi; il rilievo invece della Corte territoriale secondo il quale l’intera attribuzione agli appellanti di tutti i locali adibiti ad attività commerciale siti in (omissis) , piano terra, per il loro notevole valore commerciale avrebbe determinato un forte conguaglio a loro carico, era immotivato ed arbitrario, non essendosi mai gli attuali ricorrenti opposti all’eventuale pagamento di un conguaglio.

La censura è inammissibile.

Invero i ricorrenti principali, denunciando la mancata adozione del criterio del sorteggio previsto dall’art. 729 c.c. nell’assegnazione dei suddetti lotti previsti nel progetto divisionale pur in presenza di due porzioni uguali, prospettano una questione non trattata nella sentenza impugnata, che invero ha esaminato la diversa questione dell’assegnazione di tali lotti a Cl..Va. piuttosto che agli eredi di C..V. ; pertanto i ricorrenti principali, al fine di evitare una sanzione di inammissibilità per novità della censura, avevano l’onere – in realtà non assolto – non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di appello, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avessero fatto, per dar modo a questa Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.

Con il secondo motivo i ricorrenti principali, denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 713 e seguenti – 1113 e 2909 c.c. – 112 e 324 c.p.c., nullità della sentenza e vizio di motivazione, assumono che erroneamente la sentenza impugnata ha proceduto allo scioglimento della sola comunione ordinaria tra Va.Cl. e C..V. , e non anche della comunione ereditaria intervenuta dopo il decesso di quest’ultimo tra i suoi eredi, pur in presenza di un solo progetto divisionale e del fatto decisivo che tutte le parti in causa avevano chiesto lo scioglimento di entrambe le comunioni consensualmente.

Con il terzo motivo i ricorrenti principali, deducendo violazione o falsa applicazione degli artt. 2909-713 e seguenti e 1110 c.c., 101-112 e 167 c.p.c. nonché vizio di motivazione, assumono che la Corte territoriale erroneamente ha ritenuto inammissibile d’ufficio la domanda riconvenzionale proposta dagli eredi di V.C. di scioglimento della comunione non solo con Cl..Va. , ma anche tra i convenuti in relazione ai soli beni del compendio immobiliare già condiviso tra i fratelli Va.Cl. e C., senza considerare che in proposito si era formato il giudicato interno.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono infondate.

La sentenza impugnata, premesso che nella fattispecie si era presenza di una comunione ordinaria tra i fratelli Va.Cl. e C. ed una comunione ereditaria sorta dopo la morte di quest’ultimo tra i suoi eredi, ha ritenuto inammissibile la domanda riconvenzionale proposta da detti eredi di scioglimento di tale comunione “in relazione ai soli beni del compendio immobiliare già condiviso tra i fratelli Cl. e C. ” in quanto tale domanda era parziale, non comprendendo tutti i beni della massa ereditaria, quali crediti e debiti del “de cuius” ed altri beni immobili.

Il Collegio ritiene di poter confermare tale decisione in quanto conforme al diritto, correggendo peraltro la motivazione ai sensi dell’art. 384 quarto comma c.p.c..

In proposito giova rilevare che, coma già esposto in precedenza, M.R..V. , coerede di C..V. , dopo aver proposto una domanda di scioglimento della comunione sussistente con gli altri convenuti in relazione ad un determinato immobile, domanda proposta anche nei confronti dell’attore relativamente al residuo compendio comune, ha successivamente rinunciato a tale domanda, cosicché il giudice di primo grado aveva dichiarato estinto il rapporto processuale relativamente allo scioglimento di tale comunione, rilevando che tale rinuncia comprovava l’assenza di volontà concorde, tra i convenuti, in ordine allo scioglimento della comunione tra gli stessi esistente.

Da tale premessa consegue che non sussisteva l’accordo di tutti i coeredi di C..V. in ordine allo scioglimento della suddetta comunione ereditaria, e che pertanto non poteva procedersi a detto scioglimento nella presente causa; invero nel caso di divisione di beni oggetto di comproprietà provenienti da titoli diversi e, quindi, appartenenti a diverse comunioni (come appunto nella fattispecie), è possibile procedere ad un’unica divisione invece che a tante divisioni quante sono le masse solo con il consenso di tutte le parti, consenso che non può risultare da una manifestazione tacita o da un semplice comportamento processuale non oppositivo avverso la domanda di divisione unitaria, ma deve materializzarsi in uno specifico ed apposito negozio giuridico, da cui possa evincersi in modo inequivocabile tale comune volontà (Cass. 5-5-1992 n. 5798; Cass. 6-2-2009 n. 3029); non costituiva invece un elemento ostativo allo scioglimento della comunione sussistente tra gli eredi di V.C. il fatto che si era in presenza di una divisione parziale (come invece ritenuto dal giudice di appello), considerato che il principio dell’universalità della divisione ereditaria non è assoluto ed inderogabile, ed è possibile una divisione parziale sia quando al riguardo intervenga un accordo tra le parti, sia quando, essendo stata richiesta tale divisione da una delle parti, le altre non amplino la domanda, chiedendo a loro volta la divisione dell’intero asse (Cass. 29-11-1994 n. 10220; Cass. 12-1-2011 n. 573).

Il ricorso principale deve quindi essere rigettato.

Esaminando ora il ricorso incidentale, si rileva che con l’unico motivo formulato, denunciando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4 del D.M. n. 127 del 2004, dell’art. 2 punto 2 del D.L. n. 223 del 2006 convertito in L. n. 248 del 2006 e dell’art. 64 del R.D. n. 1578 del 1933, si assume che il giudice di appello, nel liquidare le spese di lite del secondo grado di giudizio in favore degli esponenti in Euro 1285,00 per diritti ed in Euro 1050,00 per onorari, ha violato i minimi tariffari individuati dal menzionato D.M. n. 127 del 2004, avuto riguardo al valore della causa, pari ed Euro 3.500.000,00 come indicato dagli appellanti nell’atto di appello; invero l’importo minimo da liquidare era pari ad Euro 3094,00 per diritti e ad Euro 14.450,00 per onorari.

La censura è fondata.

Premesso che i ricorrenti incidentali hanno specificato analiticamente le voci e gli importi considerati in ordine ai quali il giudice di appello sarebbe incorso in errore, le somme sopra liquidate risultano inferiori ai minimi tariffari sia per i diritti che per gli onorari, avuto riguardo al valore della causa come sopra determinato; in proposito quindi in sede di rinvio occorrerà procedere ad una nuova liquidazione sia dei diritti che degli onorari spettanti ai ricorrenti incidentali.

In definitiva, rigettato il ricorso principale, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione all’accoglimento del ricorso incidentale, e la causa deve essere rinviata anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.

P.Q.M.

LA CORTE

Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.

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