cassazione 8

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II

SENTENZA 10 marzo 2016, n. 4721

Ritenuto in fatto

Ac.Mi. – nella qualità di erede legittimario del padre A.S. , il quale, con testamento olografo, aveva lasciato tutti i propri beni ai suoi due figli e attribuito la metà dell’usufrutto sugli stessi alla moglie D.E. – convenne in giudizio il fratello A.M. e la madre D.E. , chiedendo, previo accertamento dell’avvenuta lesione della quota legittima a lui spettante, la riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni compiute in vita dal padre in favore del fratello e la completa reintegrazione nella sua quota di riserva.
Nella resistenza di A.M. e nella contumacia di D.E. , il Tribunale di Napoli, con sentenza del 23.3.1983, accogliendo la domanda di riduzione, attribuì all’attore – ad integrazione della sua quota di legittima – l’appartamento sito nella via (…) (traversa di via …) di (…) (ordinando alla Cooperativa “Sorgi e Cammina” di riconoscerlo subentrato al de cuius nella posizione di socio), un lotto di terreno di mq. 400 sito nel comune di (…) ed un conguaglio in denaro di L. 633.000, mentre attribuì al convenuto Ac.Mi. un fondo rustico sito in località (omissis) .
2. – Sul gravame proposto in via principale da A.M. e in via incidentale da Ac.Mi. , la Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 15.11.1984, rigettò l’appello principale e dichiarò inammissibile quello incidentale.
3. – Avverso tale pronuncia propose ricorso per cassazione A.M. e questa Corte, con sentenza del 22.6.1989, in accoglimento del ricorso, cassò la sentenza di appello e rinviò ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli per l’integrazione del contraddittorio nei confronti della Cooperativa “Sorgi e Cammina”, che non era stata citata nel giudizio di secondo grado.
4. – Riassunto il giudizio e ricostituitosi il contraddittorio anche nei confronti della detta cooperativa (che però rimaneva contumace), la Corte di Appello di Napoli, decidendo quale giudice di rinvio, prima – con sentenza non definitiva del 3.11.1993 – dichiarò ammissibile l’appello incidentale e dispose l’ammissione di alcune delle prove dedotte dalle parti; poi – con ulteriore sentenza non definitiva del 22.12.1995 – dichiarò che andava compresa nella massa una donazione di lire 4.000.000 ricevuta da Ac.Mi. e che le rendite degli immobili oggetto di riduzione spettavano al legittimario leso in ragione della metà sino alla morte della comune madre D.E. e in ragione dell’intero per il periodo successivo; infine – con sentenza definitiva del 13.7.1999 – recepite le conclusioni del consulente ed accertata la sussistenza della lesione della legittima di Ac.Mi. per L. 22.560.000, in parziale riforma della sentenza di primo grado, attribuì i fondi in siti nel comune di (…) ad A.M. , condannando questi al pagamento in favore di Ac.Mi. del conguaglio di L. 1.179.000 e delle rendite dell’immobile in (…) per complessive L. 60.446.000.
5. – Avverso le tre sentenze del giudice di rinvio, propose ulteriore ricorso per cassazione A.M. e questa Corte, con sentenza del 13.1.2003, in accoglimento del ricorso, cassò la sentenza del giudice di rinvio, relativamente alla omessa valutazione di una parte della deposizione della teste P.M. , ritenuta decisiva ai fini della decisione, nonché relativamente alla omessa valutazione della disposizione particolare contenuta nel testamento del de cuius, con la quale lo stesso, dopo aver istituito eredi entrambi i figli in parti eguali, aveva aggiunto: “La casa di via (…), goduta da M. e da lui trasformata ed abbellita, sarà di M. “.
6. – La Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, pronunciando ancora una volta quale giudice di rinvio, con la sentenza non definitiva del 3.9.2007, previa rivalutazione della dichiarazione testimoniale della teste P. e del contenuto della scheda testamentaria, dichiarò che la somma di L. 5 milioni materialmente consegnata dalla madre ad Ac.Mi. non costituiva donazione paterna e non andava pertanto calcolata ai fini della riunione fittizia; dichiarò poi che la detta disposizione particolare contenuta nel testamento del de cuius doveva essere interpretata come institutio ex re certa in favore del figlio M. , quale quota dell’universalità dei beni spettantigli. Con sentenza definitiva del 2.9.2010, poi, la stessa Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ad integrazione della quota di legittima spettante ad Ac.Mi. , nel frattempo deceduto, dispose l’attribuzione ai suoi eredi A.E. ed A.S. – costituitisi in giudizio in sua vece – del fondo (omissis) e della metà del fondo (…) siti nel comune di (…), nonché del conguaglio di Euro 443,92; dispose la divisione degli altri beni facenti parte dell’eredità, attribuendo ad A.M. l’appartamento ubicato nella via (omissis) e ponendo a suo carico – e in favore degli eredi di Ac.Mi. – il conguaglio di Euro 1.048,29.
7. – Per la cassazione di tali ultime due sentenze ricorrono A.E. e A.S. , sulla base di cinque motivi.
Resiste con controricorso A.M. .
Il ricorrente A.S. ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Considerato in diritto

– Con i primi due motivi di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 555 – 558 – 559 – 733 cod. civ., nonché il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere la Corte territoriale erroneamente interpretato la disposizione testamentaria particolare prevista in favore di A.M. ed escluso che essa costituisse una disposizione preferenziale ai sensi dell’art. 588 comma 2 cod. civ. e per avere la Corte territoriale erroneamente provveduto a ridurre le donazioni senza aver prima ridotto le disposizioni testamentarie (tra cui l’attribuzione ad A.M. della casa di via de (omissis) ).

Le censure sono fondate nei limiti che seguono.

Va innanzitutto rilevata la inammissibilità delle censure relative alla interpretazione del testamento da parte dei giudici di merito.

I ricorrenti pongono in discussione l’interpretazione del testamento compiuta dalla Corte napoletana, sostenendo che il testatore – con la disposizione testamentaria con la quale attribuì ad A.M. la casa di via (…) (angolo via (…)) in (…) – intese attribuire al figlio M. un bene determinato e non – come ritenuto dalla Corte di Appello di Napoli – una quota dell’universalità dei beni.

Sul punto va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’”institutio ex re certa’ non determina necessariamente la successione al testatore a titolo di legato, dovendo il giudice del merito accertare se in tal modo il ‘de cuius’ ha inteso attribuire una quota del suo patrimonio unitariamente considerato, sì che la successione in esso è a titolo universale, o se – invece – l’individuazione di singoli beni, pesi ed oneri, esclude l’istituzione nell’”universum ius’ (Sez. 2, Sentenza n. 974 del 04/02/1999, Rv. 522948; Sez. 2, Sentenza n. 24163 del 25/10/2013, Rv. 628231).

Tale accertamento – e la relativa indagine sulla volontà del testatore – costituisce un apprezzamento di fatto riservato ai giudici del merito ed incensurabile in cassazione se congruamente motivato (Sez. 2, Sentenza n. 24163 del 25/10/2013, Rv. 628231).

Nella specie, la Corte territoriale ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto che la institutio ex re certa in favore del figlio M. dovesse intendersi come quota dell’universalità dei beni a lui spettanti. La motivazione sul punto è completa ed esente da vizi logici e giudici, rimanendo così insindacabile in sede di legittimità.

E peraltro, va ricordato che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che l’interpretazione data all’atto negoziale dal giudice del merito sia l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto, ma è sufficiente che sia una delle possibili e plausibili interpretazioni; perciò, quando di un negozio sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944; Sez. 1, Sentenza n. 4178 del 22/02/2007, Rv. 595003). E invero, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere l’interpretazione del negozio contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una autonoma rilettura delle dichiarazioni negoziali poste a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria interpretazione a quella dei giudici del merito, dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento, da essi reso manifesto nella motivazione della sentenza impugnata, non violi le regole della logica o le regole legali di interpretazione dei contratti; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.

Le censure mosse con i motivi in esame sono invece fondate relativamente alle modalità con le quali la Corte partenopea ha proceduto alla riduzione delle disposizioni lesive della quota di legittima spettante all’attore.

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 554,555,558 e 559 cod. civ., ai fini della reintegrazione della quota di legittima lesa, devono anzitutto essere ridotte le disposizioni testamentarie (art. 554 cod. civ.); tale riduzione colpisce proporzionalmente tutte le disposizioni testamentarie, sia a titolo universale che a titolo particolare, nei limiti di quanto è necessario per soddisfare il diritto del legittimario (art. 558 comma 1 cod. civ.). Il testatore non può impedire la riduzione delle disposizioni testamentarie, ma può soltanto disporre che una disposizione (c.d. ‘disposizione privilegiata’) sia ridotta dopo che siano state ridotte le altre e ciò non sia stato sufficiente a reintegrare la quota di legittima lesa (art. 558 comma 2 cod. civ.). In ogni caso, non è possibile procedere alla riduzione delle donazioni poste in essere dal de cuius se non dopo aver operato la riduzione di tutte le disposizioni testamentarie – anche di quelle privilegiate – e aver constatato che tale riduzione non è sufficiente a reintegrare la quota di riserva spettante al legittimario (art. 555 comma 2 cod. civ.); solo in tal caso, può procedersi alla riduzione delle donazioni, sia dirette che indirette, la quale è soggetta al criterio cronologico, nel senso che va prima ridotta l’ultima donazione e, solo ove tale riduzione si riveli insufficiente per reintegrare la quota di legittima, può risalirsi via via a quelle anteriori, secondo l’ordine cronologico, fino a soddisfare il diritto del legittimario (art. 559 cod. civ.).

L’ordine secondo cui deve operarsi la riduzione delle disposizioni lesive di legittima è tassativo e inderogabile (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 3500 del 22/10/1975, Rv. 377674).

Nel caso di specie, la Corte di Appello di Napoli non ha osservato i principi appena richiamati, in quanto ha proceduto alla riduzione delle donazioni compiute in vita dal de cuius (cfr. p. 12 della sentenza impugnata, laddove la Corte territoriale afferma che ‘la reintegrazione di Ac.Mi. nei suoi diritti di legittimario va effettuata riducendo le donazioni, a cominciare dall’ultima e risalendo via via alle anteriori’), senza previamente procedere alla riduzione di tutte le disposizioni testamentarie, in particolare di quella con cui il defunto aveva attribuito la casa ‘casa di via (…)’ (in realtà di via (…), angolo di (…)) ad A.M. .

Sul punto, è patente la violazione dell’art. 555 comma 2 cod. civ..

Invero, la disposizione testamentaria particolare in favore di A.M. – a prescindere dall’interpretazione che di essa ha dato il giudice di merito, che, come si è detto, non è sindacabile da parte di questa Corte, rimanendo così definitivamente accertata – andava comunque ridotta, proprio per la sua natura di disposizione testamentaria, prima della riduzione delle donazioni.

Sul punto, non rimane che cassare la impugnata sentenza, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli, perché si adegui al seguente principio di diritto:

Ai fini della reintegrazione della quota di legittima lesa, il giudice di merito non può procedere alla riduzioni delle donazioni, senza aver prima ridotto tutte le disposizioni testamentarie e aver verificato che la riduzione di esse non è sufficiente a soddisfare il diritto del legittimario‘.

– Col terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ., nonché il vizio della motivazione delle sentenze impugnate, per avere il giudice di rinvio – dopo il rigetto da parte della Corte di cassazione del motivo di ricorso col quale A.M. aveva denunciato che la Corte di Napoli aveva omesso di decidere sull’istanza di rinnovazione della C.T.U. – disposto poi nuova consulenza tecnica, finendo – a dire dei ricorrenti – per accogliere le censure che la Corte suprema aveva rigettato.

La censura non ha fondamento.

Va premesso che questa Corte, con sentenza del 13.1.2003, ha accolto il ricorso proposto da A.M. – tra l’altro – con riferimento alla omessa valutazione della disposizione particolare contenuta nel testamento del de cuius, con la quale quest’ultimo, dopo aver istituito eredi entrambi i figli in parti eguali, aveva aggiunto: ‘La casa di via (…), goduta da M. e da lui trasformata ed abbellita, sarà di (…)’.

L’annullamento dell’impugnata sentenza della Corte di Appello di Napoli sul punto veniva disposta in accoglimento di un motivo di ricorso col quale si denunciarono la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 588 cod. civ. e 116 cod. proc. civ.) nonché il vizio della motivazione della pronuncia impugnata.

Orbene, posto quanto sopra, va ricordato che – secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi – i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni: nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384, primo comma, cod. proc. civ., al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo, mentre, nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza, infine, la sua potestas iudicandi, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità (Sez. 1, Sentenza n. 17790 del 07/08/2014, Rv. 632551; Sez. L, Sentenza n. 6707 del 06/04/2004, Rv. 571860).

Nella specie, questa Corte, con la sentenza del 13.1.2003, ebbe a cassare la sentenza di appello sia per violazione e falsa applicazione di norme di diritto sia per vizi della motivazione.

Ne deriva che al giudice di rinvio non era preclusa un’autonoma rivalutazione del complesso della vicenda fattuale, cosicché legittimamente la Corte territoriale ha disposto la rinnovazione della consulenza tecnica (esperita dal nuovo C.T.U. ing. Onofaro), negata nel precedente giudizio di rinvio, e ha proceduto ad un completo riesame dei termini della lesione della quota di legittima di Ac.Mi. e delle modalità di reintegrazione della stessa.

E peraltro, va ricordato che questa stessa Corte, con la richiamata sentenza del 13.1.2003, ebbe a rilevare che ‘il riesame della controversia conseguente all’accoglimento del secondo motivo di ricorso comporta, di necessità, lo svolgimento d’una nuova consulenza (…) quantomeno in ordine all’accertamento della sussistenza ed, in caso positivo, dell’entità della lesione di legittima ed alla determinazione delle quote e degli eventuali conguagli’.

È evidente, quindi, la insussistenza del preteso giudicato dedotto dal ricorrente; ovvio essendo che l’annullamento pronunciato da questa Corte implicasse l’esperimento di una nuova C.T.U. e lasciasse impregiudicata la questione relativa all’entità della lesione della legittima, alle modalità della sua reintegrazione e alla attribuzione dei beni alle parti.

– Il quarto motivo (col quale si lamenta la erroneità della liquidazione del danno da mancato percepimento dei frutti dell’appartamento di via de (…)) e il quinto motivo (col quale si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale compensato interamente tra le parti le spese di tutti i gradi del giudizio) rimangono assorbiti nell’accoglimento, per quanto di ragione, dei primi due motivi di ricorso.

– In definitiva, vanno accolti il primo e il secondo motivo di ricorso per quanto di ragione; va rigettato il terzo; vanno dichiarati assorbiti il quarto e il quinto. La sentenza impugnata va cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli perché si conformi al principio di diritto dettato supra, a fine par. 1.

Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese relative al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso per quanto di ragione; rigetta il terzo motivo e dichiara assorbiti il quarto e il quinto; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli.

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